COVID: VANNOZZI, GIÀ UN ANNO FA +30% POLMONITI ANOMALE

COVID VANNOZZI

Dichiarazione di David Vannozzi sul Covid al webinar Motore Sanità

”Se solo fosse stato possibile incrociare i dati a disposizione delle Regioni, probabilmente già nei mesi di settembre/ottobre 2019  avremmo potuto rilevare un incremento del 30% di polmoniti “anomale”. Questo significava far partire con cinque mesi di anticipo il contrasto al Covid e trovarci oggi in una situazione probabilmente diversa e migliore”: lo ha detto David Vannozzi, direttore generale di Cineca, nel suo intervento al webinar “Terapia e presa in carico domiciliare del paziente affetto da Covid-19” organizzato da Motore Sanità, con riferimento al ruolo e ai compiti che il consorzio Cineca è in grado di svolgere con il supercomputer europeo.

  “Con il progetto Exscalate4Covid abbiamo la concreta opportunità dimettere a fattore comune la conoscenza sviluppata nel mondo nell’opera di contrasto alla pandemia. Questa modalità cerchiamo di portarla su altri aspetti. Quanto dicevo sui dati a disposizione delle singole Regioni ma da nessuno mai incrociati è un esempio di quello che Cineca può fare, non solo contro il Covid-19. Ci sono dati di natura sanitaria o riguardanti i comportamenti dei cittadini, le loro abitudini sanitarie in fatto di medicina preventiva che sono stati resi inaccessibili, fino all’esplosione della pandemia. Oggi che quei dati, in forma chiaramente anonimizzata, sono disponibili possiamo ricavare informazioni utilissime su prevenzione e previsioni e cura della malattia. La sfida, come si può ben capire, è di natura tecnologico-giuridica. Al ministero della Salutec vengono trattate circa 25 milioni di cartelle cliniche, ogni cittadino genera circa 10 trattamenti terapeutici nel corso dell’anno, il che significa disporre di 250 milioni di dati, moltiplicati per cinque anni fanno 1 miliardo 250 milioni.

Come trattarli per ricavarne un quadro esauriente in termini di spesa e di trattamento ottimale delle patologie, di prevenzione e di profilassi?

A queste domande Cineca è in grado di dare le risposte grazie al supercomputer. Per dire: nel giro di un mese siamo riusciti, grazie al super-calcolo, a individuare 59 molecole potenzialmente in grado di contrastare il virus.

SISTEMA DI CURE AL TEMPO DEL COVID E NEL FUTURO, IL PUNTO DEL’ISS

SISTEMA DI CURE

Bertinato, ISS “L’assistenza territoriale deve guardare ai migliori modelli integrati sulle cure assistite  anche con l’ausilio della teleassistenza”.

Durante il webinar “Terapia e presa in carico domiciliare del paziente affetto da Covid-19”, organizzato da Motore Sanità il 20 Novembre, è intervenuto Luigi Bertinato, Segreteria Scientifica della Presidenza, Istituto Superiore di Sanità (ISS) facendo il punto sulla situazione attuale del sistema delle cure territoriali per il covid-19 e su come dovrà trasformarsi la sanità italiana dopo l’attuale pandemia.

“Le cure territoriali – afferma Bertinato – cambieranno certamente i loro modelli, alla fine della pandemia. Si dovrà tener conto del dibattito in corso sullo smart hospital e sul virtual hospital, ospedali cioè già in grado di fornire servizi da remoto a migliaia di pazienti in ospedali partner o a domicilio del paziente. Queste strutture sono prive di posti letto e pazienti ricoverati, ma sono in grado di fornire assistenza sanitaria h24, 7 giorni su 7. Però per riuscire a trasformare gli ospedali in smart-hospital sarà necessario anche un cambiamento radicale nel sistema di cure territoriali “Non sarà possibile – sottolinea l’esperto dell’ISS – attuare queste nuove forme di ospedale sugli attuali modelli di sanità territoriali italiani, stante il fatto che le dimissioni precoci o l’alternativa ai ricoveri impatteranno in misura importante sull’assistenza al di fuori dell’ospedale, sia quella domiciliare che nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie cosiddette intermedie e nelle RSA. Il cambiamento atteso non riguarderà solo i luoghi di cura ma anche la casa del paziente grazie al grande sviluppo della domotica”.

Ritornando alla situazione attuale, le RSA sono ancora un punto centrale del sistema territoriale che andrebbe rinforzato in particolare nella cultura del controllo delle infezioni. “L’ISS – sottolinea Bertinato – ha monitorato a fondo le RSA nella prima ondata dell’epidemia, evidenziandone delle criticità informative, a cui sono seguiti numerosi webinar di formazione per il personale sanitario e per gli OSS, a cui sono stati trasmessi appositi rapporti tecnici comprensivi di checklist per l’assistenza agli ospiti in sicurezza e video-tutorial”. L’ISS ha curato la pubblicazione di ulteriori rapporti tecnici, per il personale socio-sanitario, di aggiornamento epidemiologico e preventivo nel contesto della sorveglianza dell’epidemia di Covid-19.

Quali gli strumenti necessari per il sistema di cure territoriali?

“Le USCA si sono dimostrate – spiega Bertinato – uno strumento fondamentale per la presa in carico dei pazienti Covid. Un altro strumento fondamentale è il tele-monitoraggio, infatti le strutture sanitarie che avevano accesso al tele-monitoraggio hanno reagito meglio alla presa in carico dei loro pazienti”

Il territorio in soccorso della salute mentale degli italiani

“La pandemia ed il lockdown – aggiunge l’esperto – hanno influito negativamente sulla salute mentale degli italiani, aggravando non solo chi già viveva situazioni di fragilità ma ha influito negativamente anche a chi non soffriva di problematiche del genere. Il territorio sta svolgendo un ruolo fondamentale attraverso l’istituzione di linee telefoniche dedicate che a distanza riescono a dare conforto e supporto ai pazienti e ai cittadini fragili”

Quali le prospettive future per il territorio post-Covid?

“L’intero sistema di prevenzione e promozione della salute del territorio – conclude Bertinato – dovrà sostenere e controllare l’implementazione delle misure di prevenzione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei trasporti e negli altri luoghi pubblici. Sarà però necessario un coordinamento fra il livello centrale e i livelli regionali, e il corretto scambio dei dati, coinvolgendo tutti gli attori del sistema, compresi i Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta e le comunità locali per individuare le loro esigenze e potenzialità nell’ambito di un nuovo paradigma di presa in carico ospedale-territorio sia reale che virtuale”.

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GALLERA: “IL 90% DEI PAZIENTI TRATTATI IN MANIERA DOMICILIARE, IL TEMA DELLE CURE TERRITORIALI È QUINDI CENTRALE NELLA LOTTA ALLA PANDEMIA”

Gallera

La seconda ondata di COVID-19 ha messo sotto fortissima pressione le terapie intensive e sub-intensive di tutta Italia. Le cure dei pazienti positivi però si svolge in gran parte sul territorio, per fare chiarezza sulla situazione attuale dal punto di vista territoriale Motore Sanità ha organizzato il webinar “Terapia e presa in carico domiciliare del paziente affetto da Covid-19”. Durante il panel in cui esperti clinici e della governance si sono confrontati sui punti di forza e di debolezza dei SSR è intervenuto Giulio Gallera, Assessore Welfare Regione Lombardia che ha fatto il punto della situazione nella sua Regione, una delle aree più colpite dalla pandemia.

“Questa seconda ondata ha colpito l’intera nazione – dichiara Gallera – diffondendosi in maniera omogenea su tutto il territorio”. “In Lombardia memori delle azioni intraprese durante la prima ondata – prosegue l’Assessore – abbiamo applicato delle ordinanze precedendo anche il governo nazionale riuscendo a ridurre la diffusione del contagio. Oggi, grazie alle azioni intraprese notiamo che l’RT è sceso intorno ad 1, questo evidentemente non comporta ancora una riduzione della pressione sugli ospedali e sulle terapie intensive. Il Covid – sottolinea Gallera – ha messo in luce la debolezza su alcune scelte politiche che nel tempo hanno valutato la sanità come un costo incidendo soprattutto sulla medicina territoriale”.

Una sanità territoriale che si sta dimostrando co-protagonista nel trattamento dei pazienti con Covid. “Il 90% dei pazienti viene gestito in maniera domiciliare – afferma Gallera – quindi il tema dell’assistenza sul territorio è centrale. Negli anni non ci sono stati investimenti atti a valorizzare la figura dell’MMG, anche i corsi di formazione messi a disposizione hanno raggiunto un numero ridotto di medici rispetto a quanto necessario”.

Secondo l’assessore quindi la soluzione al Covid non si può trovare soltanto aumentando i posti letto ma “La soluzione – spiega Gallera – si può trovare anche supportando gli MMG e dotandoli degli strumenti adatti mettendoli quindi nelle condizioni di lavorare al meglio ed essere così protagonisti proattivi della sanità territoriale del trattamento del paziente Covid”.

Attualmente in Lombardia per migliorare l’assistenza territoriale durante la pandemia sono state istituite le USCA ma è una soluzione che, secondo l’assessore, non può bastare per il miglioramento strutturale del sistema. “In Lombardia – prosegue Gallera – sono stati destinati 442 medici alle USCA, ma non si può in maniera strutturale pensare di trovare una risposta che non comprenda i medici di medicina generale. Per il futuro è quindi necessario creare una struttura normativa ed economica per gli MMG molto più forte di quella attuale – conclude Gallera – ed è possibile farlo”

TERAPIA DOMICILIARE: QUALI LE MIGLIORI

TERAPIA DOMICILIARE

Nella giornata di ieri si è svolto il webinar “Terapia e presa in carico domiciliare del paziente affetto da Covid-19”. Durante l’evento organizzato da Motore Sanità è stato fatto il punto della situazione delle cure domiciliari in Italia mettendo in luce punti di forza e criticità. Non si può parlare di cure domiciliare senza però parlare di terapie, attualmente non esiste un protocollo nazionale ed ogni Regione agisce come meglio crede, ma quali sono le best practices?

“Per quanto riguarda le terapie – dichiara Antonio Cascio, Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico P. Giaccone, Palermo – raccomando di utilizzare il paracetamolo o l’acido acetilsalicilico qualora la temperatura superi i 38/38 e mezzo e a  maggior ragione se si manifestano anche dolori articolari e muscolari. Bisogna stare attenti a non esagerare, al massimo si  possono utilizzare 3 grammi di paracetamolo nelle 24 ore. Questo è raccomandato in qualsiasi fase della malattia”

“Per quanto riguarda gli antibiotici – continua il professor Cascio – io sono contrario al loro utilizzo come profilassi o da cominciare all’inizio della malattia non appena viene diagnosticata l’infezione da SARS-COV-2. Gli antibiotici dovranno essere utilizzati durante il decorso della malattia qualora il medico abbia contezza che c’è una sovra infezione batterica e questo potrà avvenire perché, ad esempio i globuli bianchi sono aumentati in maniera spropositata. In corso della malattia, tante volte, vediamo pazienti in cui i globuli bianchi aumentano; dobbiamo tenere conto però che i pazienti che fanno il cortisone presentano un valore non attendibile, perché il cortisone fa aumentare i globuli bianchi. Quindi non dobbiamo pensare che un paziente Covid, che ha i globuli bianchi aumentati abbia necessariamente un’infezione opportunistica solo perché i globuli bianchi sono aumentati; i globuli bianchi sono aumentati perché sta facendo terapia cortisonica. È molto importante nel paziente ospedalizzato valutare il valore della procalcitonina. Per i pazienti a domicilio non è necessario fare la terapia antibiotica a meno che il medico si rende conto che c’è una sovra infezione batterica oppure perché il paziente ha un’altra infezione. Per quanto riguarda il cortisone, non deve essere dato all’inizio della malattia perché durante le prime fasi della malattia, potrebbe favorire la replicazione del virus stesso. Il cortisone deve essere riservato quando la patologia assume una certa gravità. L’eparina è giusto darla se il paziente ha segni di polmonite”. Infine il professor Cascio consiglia: “Bisogna cercare di non stare a letto ma di muoversi il più possibile; se si è stanchi, bisogna stare seduti e non a letto; mangiare leggero, idratarsi per bene ed eventualmente andare a dormire in posizione prona”ha concluso Cascio. 

“Grazie ad un’ordinanza del 3 aprile 2020 – dichiara Barbara Rebesco, Direttore SC Politiche del Farmaco A.Li.Sa.  Regione Liguria – la Liguria ha creato un gruppo multidisciplinare per delineare le linee guida regionali per il trattamento farmacologico del paziente covid. In questi mesi siamo arrivati alla quinta versione di questo protocollo. Per decidere quali farmaci utilizzare ci siamo mossi all’interno di una cornice basata sulle indicazioni AIFA. Noi distinguiamo i pazienti a seconda della gravità del quadro patologico indicando che per i pazienti asintomatici non devono essere utilizzati farmaci; per i pazienti che hanno sintomatologia lieve (con febbre non superiore a 38°) l’indicazione è di utilizzare una terapia sintomatica a base di antiinfiammatori come paracetamolo o ibuprofene o Acido acetilsalicilico; per i pazienti con sintomi moderati come febbre persistente oltre i 38,5°, tosse e dispnea da sforzo l’indicazione è di associare alla terapia sintomatica detta prima con l’eparina a scopo profilattico. Per quanto riguarda gli antibiotici siamo d’accordo con l’idea che non possono essere utilizzati a scopo profilattico per il trattamento di un’infiammazione virale ma va utilizzato nel caso ci sia un sospetto sovrapposizione batterica ed infime per quanto riguarda i cortisonici l’indicazione per il loro utilizzato è non nelle prime fasi della patologia ma quando il paziente ha bisogno di una supplementazione di ossigeno”.

“Il protocollo per la cura domiciliare – afferma Matteo Bassetti, Direttore dell’Unità Operativa Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico San Martino – deve essere il più semplice possibile. Fino ed oggi sono stati dati troppi farmaci ai pazienti a casa,  questo è frutto del fatto che manca una linea nazionale e quindi ognuno ha agito come ha voluto. Era stato per altro ampiamente raccomandato di fare un protocollo nazionale ma a livello centrale sono molto in ritardo. Deve essere chiaro che ai pazienti  asintomatici non va dato nessun farmaco – sottolinea Bassetti – mentre i lievemente sintomatici possono essere trattati con  l’aspirina o il paracetamolo, naturalmente con dosi maggiori rispetto al trattamento di una semplice febbre”. Nella presa in carico domiciliare del paziente Covid la Liguria è tra le più avanzate in Italia. “Quello che è stato fatto in Liguria è unico, c’è un approccio domiciliare fast-track direttamente con il reparto di malattie infettive quando la situazione si aggrava. Una collaborazione quindi  tra infettivologo e MMG per le cure domiciliari. Questo processo è iniziato da una settimana e abbiamo complessivamente 220 pazienti già trattati con questo sistema, e anche se non c’è ancora certezza c’è la percezione di una minore pressione sui pronto soccorso”.

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ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA: “Collaborazione e comunicazione per garantire innovazione e sostenibilità al servizio del paziente”

ONCOLOGIA ONCOEMATOLOGIA

17 novembre 2020 – L’attuale pandemia Covid-19 ha fatto comprendere come il sistema salute negli ultimi anni sia stato continuamente depauperato di mezzi e risorse, volendo mantenere il paziente al centro del sistema, tutto deve essere  volto per garantirgli un beneficio in termini di salute e di vita. Tra le innumerevoli innovazioni terapeutiche in oncologia e oncoematologia si è arrivati alla scoperta del BCMA e della sua azione nello sviluppo del mieloma multiplo, svolta decisiva nel trattamento dei pazienti refrattari: l’antigene di maturazione delle cellule B, infatti, si è rivelato bersaglio ideale per l’immunoterapia target del mieloma multiplo. Ma le speranze nell’innovazione devono conciliarsi con la sostenibilità dei sistemi sanitari che in tutto il mondo vedono diminuire gli investimenti nella salute. Per fare il punto sullo stato dell’arte in Regione Puglia, Motore Sanità ha organizzato il primo di tre webinar dal titolo “GOVERNANCE DELL’INNOVAZIONE IN ONCOLOGIA E ONCOEMATOLOGIA”, che ha visto confrontarsi pazienti, clinici, industria e istituzioni, realizzato grazie al contributo incondizionato di GLAXOSMITHKLINE e DAIICHI SANKYO.

“Questi ultimi anni sono stati caratterizzati in campo ematologico dalla disponibilità di nuovi farmaci che ci hanno fatto cambiare paradigmi terapeutici consentendoci di prolungare in maniera significativa la sopravvivenza dei pazienti attraverso la cronicizzazione di alcune malattie o l’utilizzo di terapie cellulari sempre più sofisticate. Tutto ciò è stato reso possibile grazie all’acquisizione di conoscenze biologiche che ci hanno permesso una migliore definizione prognostica e la possibilità di differenziare le terapie in funzione delle caratteristiche biologiche del singolo paziente realizzando quella che viene definita la ‘medicina di precisione’. L’ematologia pugliese è attrezzata per far fronte alle sfide che l’innovazione comporta sia sotto il profilo diagnostico-molecolare che terapeutico. La Rete Ematologica Pugliese da anni impegnata nel consentire uniformità diagnostica-terapeutica su tutto il territorio regionale rappresenta lo strumento ideale per affrontare con successo l’innovazione e trasferirne i vantaggi a tutti i pazienti rendendo di fatto inutili i cosiddetti ‘viaggi della speranza’”, ha spiegato Nicola Di Renzo, Direttore REP Rete Ematologica Regione Puglia

“Il mieloma multiplo, uno dei più frequenti tumori del sangue, è una patologia particolarmente complessa ed eterogenea, nella cui gestione negli ultimi anni sono però stati fatti importanti passi in avanti. In Puglia ogni anno sono circa 200 i nuovi casi di mieloma,  ma sono molti di più i pazienti che, diagnosticati negli anni precedenti, hanno visto la recidiva della malattia e sono sottoposti a più linee di terapie cosiddette “di salvataggio”. Nel nostro Centro seguiamo attualmente circa 150 pazienti affetti da mieloma in varie fasi di malattia, in prevalenza trattati con terapie convenzionali e trapiantologiche, ma anche in programmi ‘di uso compassionevole’ e,  soprattutto, nell’ambito di studi clinici nazionali e internazionali, procedure, queste, che consentono l’utilizzo di farmaci innovativi prima della loro commercializzazione. La novità terapeutica più consistente per il mieloma è stata la recente introduzione della immunoterapia, in primo luogo gli anticorpi monoclonali, che colpiscono specificatamente molecole espresse sulla superficie delle cellule tumorali, che possono veicolare al loro interno altri farmaci tossici per il tumore e che potenziano l’attività anti-neoplastica del nostro sistema immunitario L’altra grande innovazione nel campo della immunoterapia è rappresentata dall’utilizzo delle cosiddette CAR-T. Si tratta di una particolare popolazione di linfociti già presenti nel sangue periferico del paziente, che vengono “estratti”, espansi e “indirizzati” specificamente verso il mieloma attraverso tecniche di bioingegneria genetica che le rendono particolarmente efficaci nei confronti della malattia dopo la loro rinfusione nel paziente. I risultati preliminari di questo approccio, ancora da considerare sperimentale, ma che contiamo di implementare presto all’Ematologia del Policlinico, sono molto lusinghieri, anche in pazienti che hanno ricevuto numerosi precedenti trattamenti.”, ha detto Pellegrino Musto, Professore Ordinario di Ematologia Università degli Studi di Bari, Direttore SC di Ematologia con Trapianto, AOU Consorziale Policlinico, Bari

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Cirrosi epatica: Una patologia che conta circa 20.000 decessi l’anno

Cirrosi Epatica

Aderenza alle terapie, prevenzione e presa in carico per migliorare qualità di vita del paziente e sostenibilità del SSN

Padova, 13 novembre 2020 – Migliorare l’aderenza alla terapia, prevenire complicanze gravi come encefalopatia epatica e ascite, potenziare l’assistenza domiciliare, formare il paziente e il caregiver, rendere sostenibili le cure e aumentare la qualità e l’aspettativa di vita. Questi gli argomenti discussi, con i principali interlocutori del Veneto, durante il Webinar: “Focus La realtà italiana della cirrosi epatica in epoca Covid-19 tra terapie e impatto socio economico”, organizzato da Motore Sanità grazie alla sponsorizzazione non condizionante di Alfasigma S.p.A.. Particolare attenzione è stata data alla necessità di prevenire l’encefalopatia epatica dato che è la più invalidante complicanza della cirrosi, causa di ripetuti ricoveri, di problemi per tutto il contesto familiare del paziente e di un aggravio dei costi per il SSN.

Paolo Angeli, Direttore Clinica Medica V Università di Padova ha spiegato come “la cirrosi e altre malattie epatiche croniche siano tra le principali cause di morbilità e mortalità a livello globale. Il “Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD)” ha segnalato che nel 2017 la cirrosi ha causato, nel mondo, più di 1,32 milioni di decessi totali (437.000 fra le femmine e 883.000 fra i maschi), rispetto a meno di 900.000 decessi globali nel 1990. I decessi dovuti a cirrosi hanno costituito il 2,4% dei decessi totali nel 2017 rispetto all’1,9% nel 1990. Nonostante un aumento del numero di decessi, il tasso di mortalità standardizzato per età è diminuito da 21,0 per 100.000 abitanti nel 1990 a 16,5 per 100.000 abitanti nel 2017. In Italia il numero assoluto di decessi ha avuto un forte incremento tra il 1960 e la seconda metà degli anni ’70, per poi mostrare una progressiva tendenza alla riduzione. Per effetto di questa tendenza, il tasso di mortalità annuo per cirrosi è sceso dal 17 per 100.000/abitanti nel 2004, al 9 per 100.000/abitanti nel 2014. Venendo poi ai dati relativi alla Regione Veneto, il tasso di mortalità per cirrosi standardizzato per età è passato dal 35,1 e 36,2 per 100.000/abitanti nel 2013 al 15,7 e 8,2 per 100.000 abitanti dal 2013 al 2017, rispettivamente nei maschi e nelle femmine. La cirrosi epatica comporta un notevole impegno delle strutture assistenziali. L’entità di questo impegno è andata progressivamente aumentando, a livello globale, dal 1990 ad oggi per effetto, almeno in parte, della crescita e dell’invecchiamento della popolazione. Va infatti segnalato un aumento significativo del tasso di prevalenza standardizzato per età della cirrosi scompensata tra il 1990 e il 2017. Per effetto di tale incremento, sono stati registrati nel 2017, a livello globale, 10,6 milioni di casi prevalenti di cirrosi scompensata e 112 milioni di casi prevalenti di cirrosi compensata. La prevalenza standardizzata per età di pazienti con cirrosi compensata e scompensata dovuta a NASH è aumentata più che per qualsiasi altra causa di cirrosi (del 33,2% per la cirrosi compensata e del 54,8% per quella scompensata). Non disponiamo di dati analoghi in Italia e nella Regione Veneto. Tuttavia, per quest’ultima, va segnalato che i ricoveri urgenti legati alla malattia epatica sono risultati 11.000-12.000 per anno nel periodo tra il 2006 e il 2008, motivati più frequentemente da ascite (30%) ed encefalopatia epatica (30%)”.

“Considerato l’incremento attuale dei contagi del virus SarsCov-2 siamo molto preoccupati per i pazienti con cirrosi epatica perché dovrebbero effettuare controlli e procedure sanitarie a cadenza periodica e molto spesso questi esami si svolgono in ambito ospedaliero. Sono oltre 100.000 i pazienti con cirrosi e malattia avanzata già curati dall’epatite C ma ancora a rischio di sviluppare un tumore del fegato, inoltre, ci sono almeno altri 100.000 casi correlati ad altre patologie come alcol, obesità, epatite B, ecc. La preoccupazione vale anche per anche per tutti i pazienti con malattia avanzata che devono iniziare una qualunque terapia, ad esempio per l’eradicazione del virus dell’epatite C. Un recente studio (Kondili LA, Marcellusi A, Ryder S, Craxì A. Will the COVID-19 pandemic affect HCV disease burden? Digestive and Liver Disease, 2020 52(9). https://doi.org/10.1016/j.dld.2020.05.040) ha stimato che ritardare l’inizio delle cure di 12 mesi, decuplica le complicanze e i decessi nei 5 anni successivi. È quindi indispensabile indicare quali sono le prestazioni differibili da quelle indifferibili in questi pazienti ad alto rischio di complicanze. Le cure e il monitoraggio dei malati cronici a rischio dovrebbero continuare attraverso approcci innovativi come il telemonitoraggio e la telemedicina oppure decentralizzando esami e prestazioni spostandoli dall’ospedale al territorio per evitare di esporre i pazienti fragili a rischi inutili. Sarebbe anche di grande aiuto semplificare gli atti burocratici come rinnovare automaticamente i piani terapeutici, consentire il ritiro dei farmaci ospedalieri presso la farmacia di fiducia o consegnarli direttamente a casa, incrementare le confezioni erogabili e tutte le altre modifiche di natura amministrativa che possono incidere positivamente sulla qualità di vita di pazienti cronici che devono restare sempre più protetti e monitorati come raccomandato da tutti gli esperti”, ha detto Ivan Gardini, Presidente EPAC

“Un recente studio (Mennini et al, 2018), basato su dati Real-world italiani ha calcolato i costi sostenuti dal SSN per le ospedalizzazioni dovute a episodi di Encefalopatia Epatica conclamata (OHE). Lo studio riferisce che i pazienti con encefalopatia epatica sono caratterizzati da una storia clinica più severa di quella riportata in letteratura: l’incidenza di nuovi ricoveri dopo il primo risulta pari al 62%, più elevata di altri studi osservazionali italiani o di trial clinici. La probabilità di decesso al primo ricovero risulta pari al 32% (superiore rispetto studi osservazionali e RCT). Ancora, la probabilità di decesso, dei dimessi, per tutte le cause risulta pari al 29% nel primo anno e al 33% entro il secondo (anche qui più elevata rispetto a studi osservazionali e RCT) generando un impatto economico per il SSN pari a € 13.000 per paziente. Riportando il valore a livello Nazionale, si tratta di una spesa di € 200 milioni per la sola assistenza ospedaliera. Nel 2020 è stata effettuata un’analisi aggiuntiva (Mennini et al, EEHTA CEIS, 2020) con l’obiettivo di confrontare le Guide Lines sulla HE con i dati Real World dopo un primo ricovero per OHE. L’analisi dell’aderenza alla terapia evidenzia due aspetti fondamentali: i pazienti dimessi dopo un episodio di HE non assumono la terapia prescritta e solo i pazienti più gravi sembrerebbero essere più aderenti al trattamento. Emerge in maniera decisa l’indicazione di utilizzare trattamenti più appropriati dopo il primo ricovero per ridurre l’elevato rischio di ricadute e diminuire l’impatto dei costi”, ha dichiarato Francesco S. Mennini, Professore di Economia Sanitaria, EEHTA CEIS, Università di Roma “Tor Vergata”, Kingston University London UK

Alfasigma

Alfasigma, tra i principali player dell’industria farmaceutica italiana, è un’azienda focalizzata su specialità da prescrizione medica, prodotti di automedicazione e prodotti nutraceutici. Nata nel 2015 dall’aggregazione dei gruppi Alfa Wassermann e Sigma-Tau – due tra le storiche realtà farmaceutiche italiane – oggi è presente con filiali e distributori in circa 90 paesi nel mondo. L’azienda impiega oltre 3000 dipendenti, di cui più della metà in Italia suddivisi in 5 sedi: a Bologna il centro direzionale e a Milano la sede della divisione internazionale, mentre a Pomezia (RM), Alanno (PE) e a Sermoneta (LT) sono localizzati i siti produttivi. Bologna e Pomezia ospitano anche laboratori di Ricerca e Sviluppo. In Italia Alfasigma è leader nel mercato dei prodotti da prescrizione dove è presente in molte aree terapeutiche primary care (cardio, orto-reuma, gastro, pneumo, vascolare, diabete) oltre a commercializzare prodotti di automedicazione di grande notorietà, come Biochetasi, Neo-Borocillina, Dicloreum e Yovis. Sito web www.alfasigma.it

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Diabete Italia: “Ruolo chiave dell’infermiere nel riconoscere la malattia fin da piccoli, con sete e pipì è subito allarme”

Diabete Italia

In Italia il diabete di tipo 1 colpisce 500mila persone e oltre 3milioni e mezzo il tipo 2

13 novembre 2020 – In occasione della Giornata Mondiale del diabete, Diabete Italia Onlus insieme a Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk, AstraZeneca e MSD, ha riunito gli esperti della patologia per fare il punto sulla situazione italiana. Ancora troppe le persone, bambini e adulti che non sanno di avere la malattia: per combatterla nel migliore dei modi è ormai riconosciuto da tutti che è fondamentale affrontare il diabete rivolgendosi ad un team multidisciplinare completo, dal diabetologo al medico di base, dallo psicologo al podologo, ma la figura dell’infermiere deve fare da collante nel percorso di cura che il paziente affetto deve affrontare per sconfiggere il diabete.

“Sicuramente il 2020 lo ricorderemo come l’anno della pandemia: questo virus Covid-19, oltre ad aver provocato direttamente la morte di migliaia di persone, ha causato anche un rallentamento nelle cure delle malattie croniche come il diabete. Ma chi ha il diabete deve fronteggiarlo quotidianamente e la difficoltà in questi mesi è stata di conciliare l’urgenza delle disposizioni anti-Covid con la regolarità delle cure per le cronicità. Il diabete non ci abbandona purtroppo ed è necessario poter contare anche su cure certe e continuative. In Italia 1 diabetico su 3 non sa di esserlo. Cosa vuol dire questo? Che purtroppo questi malati senza cure necessiteranno di più attenzioni una volta che il loro quadro clinico si aggraverà e questo è un fattore da evitare sia per il paziente sia per la spesa sanitaria nazionale.  I numeri del diabete sono in salita e per evitare un’impennata deve per forza entrare in gioco la prevenzione: adottare uno stile di vita sano, ovvero mangiare bene e fare movimento. Oltre a questa grande fetta di “ignoti” al sistema sanitario nazionale, voglio anche ricordare che purtroppo nel nostro Paese di diabete di tipo 1 si muore ancora. Più o meno ogni anno, purtroppo, si presentano casi di minori ai quali non era stata diagnosticata la malattia diabetica e che sono deceduti. Terribile. Fatti gravi che non devono mai più ripetersi. I sintomi che devono far scattare l’allarme e che possono essere indicatori della malattia sono una gran sete e di conseguenza l’aumento dello stimolo a urinare. Se sono presenti questi due segnali è meglio avvisare subito il proprio medico curante e approfondire la propria situazione di salute”, ha dichiarato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“The nurse makes a difference, è il tema di questa giornata e, l’infermiere proprio perché ha un ruolo chiave nella gestione del diabete, può fare la differenza quando con competenza, attraverso l’educazione terapeutica permette, alla persona con diabete di assumersi la responsabilità della cura e ottenere e mantenere una migliore qualità di vita. Ma l’infermiere, in considerazione del fatto che l’attenzione e le risorse si focalizzano obbligatoriamente sulla pandemia Covid-19, deve essere oggi il professionista indispensabile e determinante, oltre che nella gestione, nella prevenzione e nell’ informazione, deve esserlo nel riconoscimento precoce delle emergenze della malattia diabetica quali il non sottovalutare nel diabete 1 il sintomo “tanta sete tanta pipì” che può portare alla chetoacidosi fino al coma del bambino o il non riconoscere la sintomatologia relativa alla ipoglicemia”, ha detto Carolina Larocca, Presidente OSDI (Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani)

Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo

Ero malato di diabete

13 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di  73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk ed AstraZeneca, nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti. Durante questo webinar si è puntato i riflettori sulla grande problematica dei moltissimi cittadini che soffrono di diabete ma non ne riconoscono i sintomi e quindi non ne possono avere una diagnosi dei medici.

Se un adulto è più facilmente in grado di notare da solo i sintomi del diabete nel caso del diabete pediatrico è necessario che i genitori siano informati di quali sintomi non vanno sottovalutati, come spiegato da Angela Zanfardino, Dipartimento Pediatria Servizio Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”, Napoli: “Noi non possiamo prevenire il diabete di tipo1, quindi la diagnosi precoce non è possibile. Quello che è possibile fare è invece una diagnosi precoce per prevenire la chetoacidosi che è la complicanza più frequente all’esordio di diabete tipo 1. Questa complicanza presenta sintomi molto semplici e banali come il bere tanto ed urinare molto vengono molto spesso sottovalutati dai familiari. Se questi sintomi vengono sottovalutati i medici non possono arrivare ad una diagnosi portando a tantissimi gravi casi che portano anche alla morte del bambino”.

L’educazione dei cittadini nel riconoscere i sintomi del diabete un ruolo fondamentale viene svolto dalle associazioni come spiegato da Riccardo Trentin, Vice Presidente Diabete Forum: “L’associazionismo nel campo del diabete in Italia ha aiutato a raggiungere dei risultati veramente incredibili. L’associazionismo dovrebbe quindi essere considerato come una componente strategica molto importante nell’organizzazione di un sistema sanitario nazionale. Infatti se andiamo ad osservare i sistemi sanitari regionali quelli più performanti sono quelli in cui la persona con diabete viene posta al centro dell’attenzione”.

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Conoscere il diabete fuori dal mondo diabete

Conoscere il diabete

12 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di 73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Conoscere il diabete fuori dal mondo diabete”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk e AstraZeneca nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti.

“Nell’ambito ospedaliero è ora di smetterla di considerare il paziente diabetico alla periferia del cerchio – dichiara Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso Università di Padova – ma deve essere il centro del cerchio. I centri diabetologici devono quindi essere il luogo dove convergono tutti gli specialisti dedicati alla terapia del paziente diabetico. Un altro punto interessante è che le complicanze croniche del diabete sono molto cambiate rispetto al passato. Oggi prevale di più la complicanza legata al disfacimento delle grandi arterie, quindi non riusciamo ancora a controllare tutti gli altri fattori di rischio che  sono legati alla malattia diabetica come ipertensione e obesità”. L’esperto ha voluto anche fare chiarezza su una fake news che spesso gira sui social network. Infatti, fin troppo spesso si parla di terapie con cellule staminali “Bisogna essere chiari che per questo genere di terapie – sottolinea Avogaro – serviranno probabilmente altri 10-20 anni per essere effettive, la letteratura indica che ancora molta strada deve essere fatta per il trattamento per il diabete”.

Alcuni degli aspetti più importanti della malattia diabetica sono l’altro impatto sociale che comporta per i pazienti e l’importanza con la quale i determinanti sociali influiscono su questa malattia. “Il ‘Piano nazionale del Diabete’ ha voluto dare importanza al diabete – afferma Paola Pisanti, Consulente Esperto Malattie Croniche, Ministero della Salute – che è una malattia non trasmissibile, cronica e con complicanze. Il piano diabete ha provato a lavorare a 360° sui bisogni complessi del paziente, non soltanto gli aspetti clinici ma cercando di ridurre il peso sociale della mattia provando ad intervenire sulle diseguaglianze sociali. Uno degli aspetti fondamentali sono inoltre i cosiddetti determinanti sociali. Nel piano diabete c’è un approfondimento di tutti gli aspetti sociali e ha posto come obiettivo quello di garantire, nella fase evolutiva del paziente, le stesse opportunità dei coetanei e prevenire i disturbi psicosociali che possono creare le discriminazioni. I pregiudizi sulla malattia purtroppo esistono ancora”

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Farmaci equivalenti: “Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, il loro uso in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Farmaci equivalenti

24 novembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile l’SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, dall’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi 2019 si è visto come il consumo degli equivalenti di classe A sia risultato maggiore al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) e al Sud Italia (22,4%; 18,1%). Per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS SICILIA. I FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN’, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

“Anche in Sicilia, come in tutta Italia, le farmacie in questi anni hanno dato un contributo importante alla diffusione dei medicinali equivalenti. Nella nostra Regione scontiamo ancora alcune resistenze da parte dei cittadini nell’utilizzare l’equivalente e ad accettare la sostituzione del medicinale di marca da parte del farmacista; resistenze dovute a fattori di natura prevalentemente culturale. C’è la convinzione, e questo non riguarda solo la Sicilia, ma molte Regioni italiane, soprattutto del centro-sud, che il prodotto di marca sia più efficace. Si è disposti a pagare qualcosa di più per avere la certezza che “funzioni”. Per superare queste diffidenze non basta l’opera quotidiana di sensibilizzazione del farmacista, c’è bisogno di una sinergia tra tutti gli operatori del settore e le Istituzioni, che devono diffondere lo stesso messaggio e favorire così la conoscenza e il corretto uso del medicinale equivalente”, ha detto Gioacchino Nicolosi, Presidente Federfarma Regione Siciliana

“Il farmaco equivalente è stato introdotto nel mercato farmaceutico italiano nel 1995, e nell’ultimo ventennio, ha gradualmente visto aumentare le sue prescrizioni da parte dei medici e l’utilizzo da parte dei pazienti, nonostante questo, il nostro rimane uno degli ultimi paesi d’Europa per uso di farmaci equivalenti. L’utilizzo da parte del SSN e del SSR degli equivalenti consente, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento delle patologie croniche, di trattare a parità di costi un numero maggiore di pazienti garantendo così l’universalità delle cure. La riduzione dei costi, a carico del paziente, generata, a parità di sicurezza ed efficacia, dall’utilizzo di questi farmaci, consente inoltre una maggiore aderenza e persistenza alla terapia, determinando, in questo modo, una riduzione nel rischio di complicanze secondarie alla sospensione della terapia effettuata”, ha spiegato Francesco Salamone, Vice Segretario Regionale FIMMG Sicilia

“È stato un importante confronto che ha dimostrato la necessità che tutti gli stakeholder continuino a parlare del valore del farmaco equivalente. La sfida è lavorare insieme per avere azioni concrete a livello locale, regionale per aumentare l’utilizzo di farmaci equivalenti”, ha aggiunto Umberto Comberiati, Business Unit Head Teva Pharmaceutica

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