NASCE OSSERVATORIO DI MOTORE SANITÀ: LA BANCA DEL SAPERE SCIENTIFICO

OSSERVATORIO DI MOTORE SANITÀ

Claudio Zanon, direttore: “La pandemia da Covid-19 ci ha permesso di raccogliere una mole incredibile di dati, la mettiamo a disposizione per concorrere a migliorare il Sistema Sanitario”

L’emergenza Covid-19 ha messo in rete per mesi professionisti di diverse estrazioni, istituzioni, associazioni, mondo scientifico. Il tutto ha prodotto una mole incredibile di dati che non solo tracciano il percorso fino ad ora intrapreso, ma che se ben utilizzati possono diventare una vera e propria “banca del sapere”. La difficoltà, come spesso accade, è quella di non poterne fruire in modo rapido e etico. Ci ha pensato Motore Sanità che dall’inizio della pandemia ha messo in campo Officina di Motore Sanità, una realtà che ha prodotto tramite incontri, seminari, approfondimenti, un vero e proprio tesoro delle buone pratiche. 

Dati e percorsi che oggi mette a disposizione di quanti ne abbiano necessità, istituzioni, professionisti, associazioni o media tramite il neonato Osservatorio. Sono dati e percorsi a livello nazionale, declinati anche a livello regionale, il Direttore dell’Osservatorio di Motore Sanità è il dottor Claudio Zanon, direttore Scientifico di Motore Sanità. “Dall’inizio della pandemia attraverso le attività che abbiamo messo in campo quotidianamente abbiamo raccolto una mole davvero impressionante di dati anche inediti legati al Covid-19, ma anche a tutte quelle patologie che in tempo di pandemia non devono assolutamente essere dimenticate – spiega il dottor Zanon – Ci siamo accorti che uno dei problemi maggiori che abbiamo è quello che i pazienti arrivano in ospedale troppo tardi, abbiamo infatti il terzo indice di mortalità a livello mondiale. Questo significa che esiste un problema di medicina territoriale. Se ne parla molto, ma poi non si prendono le dovute misure”.

Zanon punta l’indice sulla programmazione e sulla mancanza di infermieri. “Il Governo ha stanziato 10 milioni di euro per gli infermieri del territorio che vuol dire ad esempio che in Piemonte ne arriveranno 750 mila con i quali si potranno assumere non più di 25 infermieri.

Pochi, insufficienti. Una goccia nel bisogno che è di ben altra portata – spiega il direttore – Seconda questione è proprio l’organizzazione ospedaliera che ha visto un deficit di programmazione anche per quanto riguarda il personale. Dobbiamo tenere conto che se in un ospedale arrivano 1500 respiratori, servono almeno 4mila infermieri in più per permettere di metterli in funzione. Infermieri preparati oltretutto. Questa è la giusta programmazione: pensare a tutta la catena della sanità, non solo alla dotazione tecnologica”. E non poteva mancare un accenno al vaccino per il covid-19 che dovrebbe arrivare dopo le festività. “Entro il 23 novembre le regioni devono  mandare al commissario Arcuri il loro piano vaccino. – spiega Zanon – Avremo 3,4 milioni di dosi, utili per 1,7 milioni di persone. Serve attivare da subito il personale, la logistica, il trasporto, la conservazione dei vaccini, migliorare la rete di cure territoriali. Ma se ne parliamo e non facciamo una programmazione accurata ora, come faremo a fare una buona campagna di vaccinazione domani?”

Il ruolo dell’Osservatorio sarà anche questo, quello cioè di mettere in rete tutte le esperienze e le buone pratiche, i dati, gli studi affinché possano diventare patrimonio comune. “Se vogliamo unificare un sistema per non lasciare indietro nessuno è bene che si parta dalla conoscenza ed è proprio questo il servizio alla comunità che Osservatorio vuole offrire”.

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ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA: “Collaborazione e comunicazione per garantire innovazione e sostenibilità al servizio del paziente”

ONCOLOGIA ONCOEMATOLOGIA

17 novembre 2020 – L’attuale pandemia Covid-19 ha fatto comprendere come il sistema salute negli ultimi anni sia stato continuamente depauperato di mezzi e risorse, volendo mantenere il paziente al centro del sistema, tutto deve essere  volto per garantirgli un beneficio in termini di salute e di vita. Tra le innumerevoli innovazioni terapeutiche in oncologia e oncoematologia si è arrivati alla scoperta del BCMA e della sua azione nello sviluppo del mieloma multiplo, svolta decisiva nel trattamento dei pazienti refrattari: l’antigene di maturazione delle cellule B, infatti, si è rivelato bersaglio ideale per l’immunoterapia target del mieloma multiplo. Ma le speranze nell’innovazione devono conciliarsi con la sostenibilità dei sistemi sanitari che in tutto il mondo vedono diminuire gli investimenti nella salute. Per fare il punto sullo stato dell’arte in Regione Puglia, Motore Sanità ha organizzato il primo di tre webinar dal titolo “GOVERNANCE DELL’INNOVAZIONE IN ONCOLOGIA E ONCOEMATOLOGIA”, che ha visto confrontarsi pazienti, clinici, industria e istituzioni, realizzato grazie al contributo incondizionato di GLAXOSMITHKLINE e DAIICHI SANKYO.

“Questi ultimi anni sono stati caratterizzati in campo ematologico dalla disponibilità di nuovi farmaci che ci hanno fatto cambiare paradigmi terapeutici consentendoci di prolungare in maniera significativa la sopravvivenza dei pazienti attraverso la cronicizzazione di alcune malattie o l’utilizzo di terapie cellulari sempre più sofisticate. Tutto ciò è stato reso possibile grazie all’acquisizione di conoscenze biologiche che ci hanno permesso una migliore definizione prognostica e la possibilità di differenziare le terapie in funzione delle caratteristiche biologiche del singolo paziente realizzando quella che viene definita la ‘medicina di precisione’. L’ematologia pugliese è attrezzata per far fronte alle sfide che l’innovazione comporta sia sotto il profilo diagnostico-molecolare che terapeutico. La Rete Ematologica Pugliese da anni impegnata nel consentire uniformità diagnostica-terapeutica su tutto il territorio regionale rappresenta lo strumento ideale per affrontare con successo l’innovazione e trasferirne i vantaggi a tutti i pazienti rendendo di fatto inutili i cosiddetti ‘viaggi della speranza’”, ha spiegato Nicola Di Renzo, Direttore REP Rete Ematologica Regione Puglia

“Il mieloma multiplo, uno dei più frequenti tumori del sangue, è una patologia particolarmente complessa ed eterogenea, nella cui gestione negli ultimi anni sono però stati fatti importanti passi in avanti. In Puglia ogni anno sono circa 200 i nuovi casi di mieloma,  ma sono molti di più i pazienti che, diagnosticati negli anni precedenti, hanno visto la recidiva della malattia e sono sottoposti a più linee di terapie cosiddette “di salvataggio”. Nel nostro Centro seguiamo attualmente circa 150 pazienti affetti da mieloma in varie fasi di malattia, in prevalenza trattati con terapie convenzionali e trapiantologiche, ma anche in programmi ‘di uso compassionevole’ e,  soprattutto, nell’ambito di studi clinici nazionali e internazionali, procedure, queste, che consentono l’utilizzo di farmaci innovativi prima della loro commercializzazione. La novità terapeutica più consistente per il mieloma è stata la recente introduzione della immunoterapia, in primo luogo gli anticorpi monoclonali, che colpiscono specificatamente molecole espresse sulla superficie delle cellule tumorali, che possono veicolare al loro interno altri farmaci tossici per il tumore e che potenziano l’attività anti-neoplastica del nostro sistema immunitario L’altra grande innovazione nel campo della immunoterapia è rappresentata dall’utilizzo delle cosiddette CAR-T. Si tratta di una particolare popolazione di linfociti già presenti nel sangue periferico del paziente, che vengono “estratti”, espansi e “indirizzati” specificamente verso il mieloma attraverso tecniche di bioingegneria genetica che le rendono particolarmente efficaci nei confronti della malattia dopo la loro rinfusione nel paziente. I risultati preliminari di questo approccio, ancora da considerare sperimentale, ma che contiamo di implementare presto all’Ematologia del Policlinico, sono molto lusinghieri, anche in pazienti che hanno ricevuto numerosi precedenti trattamenti.”, ha detto Pellegrino Musto, Professore Ordinario di Ematologia Università degli Studi di Bari, Direttore SC di Ematologia con Trapianto, AOU Consorziale Policlinico, Bari

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Cirrosi epatica: Una patologia che conta circa 20.000 decessi l’anno

Cirrosi Epatica

Aderenza alle terapie, prevenzione e presa in carico per migliorare qualità di vita del paziente e sostenibilità del SSN

Padova, 13 novembre 2020 – Migliorare l’aderenza alla terapia, prevenire complicanze gravi come encefalopatia epatica e ascite, potenziare l’assistenza domiciliare, formare il paziente e il caregiver, rendere sostenibili le cure e aumentare la qualità e l’aspettativa di vita. Questi gli argomenti discussi, con i principali interlocutori del Veneto, durante il Webinar: “Focus La realtà italiana della cirrosi epatica in epoca Covid-19 tra terapie e impatto socio economico”, organizzato da Motore Sanità grazie alla sponsorizzazione non condizionante di Alfasigma S.p.A.. Particolare attenzione è stata data alla necessità di prevenire l’encefalopatia epatica dato che è la più invalidante complicanza della cirrosi, causa di ripetuti ricoveri, di problemi per tutto il contesto familiare del paziente e di un aggravio dei costi per il SSN.

Paolo Angeli, Direttore Clinica Medica V Università di Padova ha spiegato come “la cirrosi e altre malattie epatiche croniche siano tra le principali cause di morbilità e mortalità a livello globale. Il “Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD)” ha segnalato che nel 2017 la cirrosi ha causato, nel mondo, più di 1,32 milioni di decessi totali (437.000 fra le femmine e 883.000 fra i maschi), rispetto a meno di 900.000 decessi globali nel 1990. I decessi dovuti a cirrosi hanno costituito il 2,4% dei decessi totali nel 2017 rispetto all’1,9% nel 1990. Nonostante un aumento del numero di decessi, il tasso di mortalità standardizzato per età è diminuito da 21,0 per 100.000 abitanti nel 1990 a 16,5 per 100.000 abitanti nel 2017. In Italia il numero assoluto di decessi ha avuto un forte incremento tra il 1960 e la seconda metà degli anni ’70, per poi mostrare una progressiva tendenza alla riduzione. Per effetto di questa tendenza, il tasso di mortalità annuo per cirrosi è sceso dal 17 per 100.000/abitanti nel 2004, al 9 per 100.000/abitanti nel 2014. Venendo poi ai dati relativi alla Regione Veneto, il tasso di mortalità per cirrosi standardizzato per età è passato dal 35,1 e 36,2 per 100.000/abitanti nel 2013 al 15,7 e 8,2 per 100.000 abitanti dal 2013 al 2017, rispettivamente nei maschi e nelle femmine. La cirrosi epatica comporta un notevole impegno delle strutture assistenziali. L’entità di questo impegno è andata progressivamente aumentando, a livello globale, dal 1990 ad oggi per effetto, almeno in parte, della crescita e dell’invecchiamento della popolazione. Va infatti segnalato un aumento significativo del tasso di prevalenza standardizzato per età della cirrosi scompensata tra il 1990 e il 2017. Per effetto di tale incremento, sono stati registrati nel 2017, a livello globale, 10,6 milioni di casi prevalenti di cirrosi scompensata e 112 milioni di casi prevalenti di cirrosi compensata. La prevalenza standardizzata per età di pazienti con cirrosi compensata e scompensata dovuta a NASH è aumentata più che per qualsiasi altra causa di cirrosi (del 33,2% per la cirrosi compensata e del 54,8% per quella scompensata). Non disponiamo di dati analoghi in Italia e nella Regione Veneto. Tuttavia, per quest’ultima, va segnalato che i ricoveri urgenti legati alla malattia epatica sono risultati 11.000-12.000 per anno nel periodo tra il 2006 e il 2008, motivati più frequentemente da ascite (30%) ed encefalopatia epatica (30%)”.

“Considerato l’incremento attuale dei contagi del virus SarsCov-2 siamo molto preoccupati per i pazienti con cirrosi epatica perché dovrebbero effettuare controlli e procedure sanitarie a cadenza periodica e molto spesso questi esami si svolgono in ambito ospedaliero. Sono oltre 100.000 i pazienti con cirrosi e malattia avanzata già curati dall’epatite C ma ancora a rischio di sviluppare un tumore del fegato, inoltre, ci sono almeno altri 100.000 casi correlati ad altre patologie come alcol, obesità, epatite B, ecc. La preoccupazione vale anche per anche per tutti i pazienti con malattia avanzata che devono iniziare una qualunque terapia, ad esempio per l’eradicazione del virus dell’epatite C. Un recente studio (Kondili LA, Marcellusi A, Ryder S, Craxì A. Will the COVID-19 pandemic affect HCV disease burden? Digestive and Liver Disease, 2020 52(9). https://doi.org/10.1016/j.dld.2020.05.040) ha stimato che ritardare l’inizio delle cure di 12 mesi, decuplica le complicanze e i decessi nei 5 anni successivi. È quindi indispensabile indicare quali sono le prestazioni differibili da quelle indifferibili in questi pazienti ad alto rischio di complicanze. Le cure e il monitoraggio dei malati cronici a rischio dovrebbero continuare attraverso approcci innovativi come il telemonitoraggio e la telemedicina oppure decentralizzando esami e prestazioni spostandoli dall’ospedale al territorio per evitare di esporre i pazienti fragili a rischi inutili. Sarebbe anche di grande aiuto semplificare gli atti burocratici come rinnovare automaticamente i piani terapeutici, consentire il ritiro dei farmaci ospedalieri presso la farmacia di fiducia o consegnarli direttamente a casa, incrementare le confezioni erogabili e tutte le altre modifiche di natura amministrativa che possono incidere positivamente sulla qualità di vita di pazienti cronici che devono restare sempre più protetti e monitorati come raccomandato da tutti gli esperti”, ha detto Ivan Gardini, Presidente EPAC

“Un recente studio (Mennini et al, 2018), basato su dati Real-world italiani ha calcolato i costi sostenuti dal SSN per le ospedalizzazioni dovute a episodi di Encefalopatia Epatica conclamata (OHE). Lo studio riferisce che i pazienti con encefalopatia epatica sono caratterizzati da una storia clinica più severa di quella riportata in letteratura: l’incidenza di nuovi ricoveri dopo il primo risulta pari al 62%, più elevata di altri studi osservazionali italiani o di trial clinici. La probabilità di decesso al primo ricovero risulta pari al 32% (superiore rispetto studi osservazionali e RCT). Ancora, la probabilità di decesso, dei dimessi, per tutte le cause risulta pari al 29% nel primo anno e al 33% entro il secondo (anche qui più elevata rispetto a studi osservazionali e RCT) generando un impatto economico per il SSN pari a € 13.000 per paziente. Riportando il valore a livello Nazionale, si tratta di una spesa di € 200 milioni per la sola assistenza ospedaliera. Nel 2020 è stata effettuata un’analisi aggiuntiva (Mennini et al, EEHTA CEIS, 2020) con l’obiettivo di confrontare le Guide Lines sulla HE con i dati Real World dopo un primo ricovero per OHE. L’analisi dell’aderenza alla terapia evidenzia due aspetti fondamentali: i pazienti dimessi dopo un episodio di HE non assumono la terapia prescritta e solo i pazienti più gravi sembrerebbero essere più aderenti al trattamento. Emerge in maniera decisa l’indicazione di utilizzare trattamenti più appropriati dopo il primo ricovero per ridurre l’elevato rischio di ricadute e diminuire l’impatto dei costi”, ha dichiarato Francesco S. Mennini, Professore di Economia Sanitaria, EEHTA CEIS, Università di Roma “Tor Vergata”, Kingston University London UK

Alfasigma

Alfasigma, tra i principali player dell’industria farmaceutica italiana, è un’azienda focalizzata su specialità da prescrizione medica, prodotti di automedicazione e prodotti nutraceutici. Nata nel 2015 dall’aggregazione dei gruppi Alfa Wassermann e Sigma-Tau – due tra le storiche realtà farmaceutiche italiane – oggi è presente con filiali e distributori in circa 90 paesi nel mondo. L’azienda impiega oltre 3000 dipendenti, di cui più della metà in Italia suddivisi in 5 sedi: a Bologna il centro direzionale e a Milano la sede della divisione internazionale, mentre a Pomezia (RM), Alanno (PE) e a Sermoneta (LT) sono localizzati i siti produttivi. Bologna e Pomezia ospitano anche laboratori di Ricerca e Sviluppo. In Italia Alfasigma è leader nel mercato dei prodotti da prescrizione dove è presente in molte aree terapeutiche primary care (cardio, orto-reuma, gastro, pneumo, vascolare, diabete) oltre a commercializzare prodotti di automedicazione di grande notorietà, come Biochetasi, Neo-Borocillina, Dicloreum e Yovis. Sito web www.alfasigma.it

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Diabete Italia: “Ruolo chiave dell’infermiere nel riconoscere la malattia fin da piccoli, con sete e pipì è subito allarme”

Diabete Italia

In Italia il diabete di tipo 1 colpisce 500mila persone e oltre 3milioni e mezzo il tipo 2

13 novembre 2020 – In occasione della Giornata Mondiale del diabete, Diabete Italia Onlus insieme a Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk, AstraZeneca e MSD, ha riunito gli esperti della patologia per fare il punto sulla situazione italiana. Ancora troppe le persone, bambini e adulti che non sanno di avere la malattia: per combatterla nel migliore dei modi è ormai riconosciuto da tutti che è fondamentale affrontare il diabete rivolgendosi ad un team multidisciplinare completo, dal diabetologo al medico di base, dallo psicologo al podologo, ma la figura dell’infermiere deve fare da collante nel percorso di cura che il paziente affetto deve affrontare per sconfiggere il diabete.

“Sicuramente il 2020 lo ricorderemo come l’anno della pandemia: questo virus Covid-19, oltre ad aver provocato direttamente la morte di migliaia di persone, ha causato anche un rallentamento nelle cure delle malattie croniche come il diabete. Ma chi ha il diabete deve fronteggiarlo quotidianamente e la difficoltà in questi mesi è stata di conciliare l’urgenza delle disposizioni anti-Covid con la regolarità delle cure per le cronicità. Il diabete non ci abbandona purtroppo ed è necessario poter contare anche su cure certe e continuative. In Italia 1 diabetico su 3 non sa di esserlo. Cosa vuol dire questo? Che purtroppo questi malati senza cure necessiteranno di più attenzioni una volta che il loro quadro clinico si aggraverà e questo è un fattore da evitare sia per il paziente sia per la spesa sanitaria nazionale.  I numeri del diabete sono in salita e per evitare un’impennata deve per forza entrare in gioco la prevenzione: adottare uno stile di vita sano, ovvero mangiare bene e fare movimento. Oltre a questa grande fetta di “ignoti” al sistema sanitario nazionale, voglio anche ricordare che purtroppo nel nostro Paese di diabete di tipo 1 si muore ancora. Più o meno ogni anno, purtroppo, si presentano casi di minori ai quali non era stata diagnosticata la malattia diabetica e che sono deceduti. Terribile. Fatti gravi che non devono mai più ripetersi. I sintomi che devono far scattare l’allarme e che possono essere indicatori della malattia sono una gran sete e di conseguenza l’aumento dello stimolo a urinare. Se sono presenti questi due segnali è meglio avvisare subito il proprio medico curante e approfondire la propria situazione di salute”, ha dichiarato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“The nurse makes a difference, è il tema di questa giornata e, l’infermiere proprio perché ha un ruolo chiave nella gestione del diabete, può fare la differenza quando con competenza, attraverso l’educazione terapeutica permette, alla persona con diabete di assumersi la responsabilità della cura e ottenere e mantenere una migliore qualità di vita. Ma l’infermiere, in considerazione del fatto che l’attenzione e le risorse si focalizzano obbligatoriamente sulla pandemia Covid-19, deve essere oggi il professionista indispensabile e determinante, oltre che nella gestione, nella prevenzione e nell’ informazione, deve esserlo nel riconoscimento precoce delle emergenze della malattia diabetica quali il non sottovalutare nel diabete 1 il sintomo “tanta sete tanta pipì” che può portare alla chetoacidosi fino al coma del bambino o il non riconoscere la sintomatologia relativa alla ipoglicemia”, ha detto Carolina Larocca, Presidente OSDI (Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani)

Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo

Ero malato di diabete

13 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di  73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk ed AstraZeneca, nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti. Durante questo webinar si è puntato i riflettori sulla grande problematica dei moltissimi cittadini che soffrono di diabete ma non ne riconoscono i sintomi e quindi non ne possono avere una diagnosi dei medici.

Se un adulto è più facilmente in grado di notare da solo i sintomi del diabete nel caso del diabete pediatrico è necessario che i genitori siano informati di quali sintomi non vanno sottovalutati, come spiegato da Angela Zanfardino, Dipartimento Pediatria Servizio Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”, Napoli: “Noi non possiamo prevenire il diabete di tipo1, quindi la diagnosi precoce non è possibile. Quello che è possibile fare è invece una diagnosi precoce per prevenire la chetoacidosi che è la complicanza più frequente all’esordio di diabete tipo 1. Questa complicanza presenta sintomi molto semplici e banali come il bere tanto ed urinare molto vengono molto spesso sottovalutati dai familiari. Se questi sintomi vengono sottovalutati i medici non possono arrivare ad una diagnosi portando a tantissimi gravi casi che portano anche alla morte del bambino”.

L’educazione dei cittadini nel riconoscere i sintomi del diabete un ruolo fondamentale viene svolto dalle associazioni come spiegato da Riccardo Trentin, Vice Presidente Diabete Forum: “L’associazionismo nel campo del diabete in Italia ha aiutato a raggiungere dei risultati veramente incredibili. L’associazionismo dovrebbe quindi essere considerato come una componente strategica molto importante nell’organizzazione di un sistema sanitario nazionale. Infatti se andiamo ad osservare i sistemi sanitari regionali quelli più performanti sono quelli in cui la persona con diabete viene posta al centro dell’attenzione”.

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Conoscere il diabete fuori dal mondo diabete

Conoscere il diabete

12 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di 73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Conoscere il diabete fuori dal mondo diabete”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk e AstraZeneca nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti.

“Nell’ambito ospedaliero è ora di smetterla di considerare il paziente diabetico alla periferia del cerchio – dichiara Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso Università di Padova – ma deve essere il centro del cerchio. I centri diabetologici devono quindi essere il luogo dove convergono tutti gli specialisti dedicati alla terapia del paziente diabetico. Un altro punto interessante è che le complicanze croniche del diabete sono molto cambiate rispetto al passato. Oggi prevale di più la complicanza legata al disfacimento delle grandi arterie, quindi non riusciamo ancora a controllare tutti gli altri fattori di rischio che  sono legati alla malattia diabetica come ipertensione e obesità”. L’esperto ha voluto anche fare chiarezza su una fake news che spesso gira sui social network. Infatti, fin troppo spesso si parla di terapie con cellule staminali “Bisogna essere chiari che per questo genere di terapie – sottolinea Avogaro – serviranno probabilmente altri 10-20 anni per essere effettive, la letteratura indica che ancora molta strada deve essere fatta per il trattamento per il diabete”.

Alcuni degli aspetti più importanti della malattia diabetica sono l’altro impatto sociale che comporta per i pazienti e l’importanza con la quale i determinanti sociali influiscono su questa malattia. “Il ‘Piano nazionale del Diabete’ ha voluto dare importanza al diabete – afferma Paola Pisanti, Consulente Esperto Malattie Croniche, Ministero della Salute – che è una malattia non trasmissibile, cronica e con complicanze. Il piano diabete ha provato a lavorare a 360° sui bisogni complessi del paziente, non soltanto gli aspetti clinici ma cercando di ridurre il peso sociale della mattia provando ad intervenire sulle diseguaglianze sociali. Uno degli aspetti fondamentali sono inoltre i cosiddetti determinanti sociali. Nel piano diabete c’è un approfondimento di tutti gli aspetti sociali e ha posto come obiettivo quello di garantire, nella fase evolutiva del paziente, le stesse opportunità dei coetanei e prevenire i disturbi psicosociali che possono creare le discriminazioni. I pregiudizi sulla malattia purtroppo esistono ancora”

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DIABETE E COVID. L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

diabete e covid

11 novembre 2020 – In Italia il 3% delle persone tra i 35 e i 69 anni ha il diabete, ma non sa di averlo. Questa malattia è una malattia silenziosa e quando la si scopre può aver già creato gravi danni. La prevenzione, la diagnosi e la cura sono ovviamente più difficoltose in questo periodo di Covid. Questo è quanto emerso nella conferenza stampa “Diabete e Covid. L’importanza della prevenzione” organizzata da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità. Il diabete è una patologia con cui possiamo convivere e che si può prevenire, ma è fondamentale una maggiore informazione e consapevolezza da parte di tutti i cittadini. Anche in epoca Covid non bisogna abbassare la guardia: le persone con diabete devono misurare costantemente la glicemia e devono rivolgersi in caso di dubbi al proprio medico di fiducia e allo specialista.

“Le persone che soffrono di diabete non hanno un rischio aumentato di incontrare il virus, se naturalmente rispettano tutti i giusti comportamenti di prevenzione, ma hanno un rischio di maggiore gravità della malattia in caso di contagio. I diabetici quindi sono da considerarsi persone più fragili anche perché spesso esprimono un’età avanza e altre patologie ponendoli una posizione di rischio in caso di contagio. I pazienti diabetici però oltre a tutti i comportamenti come il mantenere il distanziamento sociale, indossare la mascherina, ed evitare assembramenti, non devono abbassare la guardia nei confronti della loro malattia. Nonostante le difficoltà che in questo periodo stanno riscontrando nel rimanere in collegamento con il sistema sanitario devono continuare a tenere alta la guardia sul controllo glicemico, devono continuare ad aderire alla terapia e devono continuare a fare attività fisica e perseguire le norme alimentari. Deve essere chiaro che un conto è andare in contro al virus con un buon livello glicemico ed un altro affrontarlo con un diabete profondamente decompensato in partenza”, ha dichiarato Paolo Di Bartolo, Presidente AMD

“Dal diabete non si guarisce, quindi ci si chiede perché ogni anno il paziente deve andare dal medico specialista per vedere rinnovati dei piani terapeutici che nella stragrande maggioranza sono identici di anno in anno. Il rinnovo è certamente un’occasione di controllo da parte dei medici, ma si potrebbero mettere in atto controlli più specifici e comunque tenere in considerazione che questi piani debbano essere rinnovati solo nel caso in cui debbano essere modificati”, ha detto Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“La cura delle patologie croniche anche durante questo periodo di emergenza Covid-19 deve rimanere una priorità. In particolare dobbiamo assicurare ai bambini e adolescenti con diabete una adeguata continuità nelle cure e nell’assistenza. Inoltre, come SIEDP abbiamo voluto sottolineare che i bambini e gli adolescenti con diabete non debbono essere discriminati nel percorso tortuoso di frequenza scolastica. Dobbiamo garantire loro sicurezza e vigilanza, ma d’altra parte è necessario che proseguano nel loro percorso di crescita sociale e culturale”, ha affermato Riccardo Schiaffini, Dirigente Medico I Livello UOC Diabetologia – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – IRCCS 

“In questo periodo drammatico è assolutamente necessario lanciare un appello ai direttori di ospedali, ASL e regioni di tenere aperti i centri diabetologici in collaborazione con i MMG, PLS e Farmacie del territorio per permettere ai pazienti diabetici di usufruire dell’assistenza necessario ad un controllo efficace della glicemia essendo i medesimi più sensibili alle complicanze del coronavirus”, ha dichiarato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità

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Farmaci equivalenti: “Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, il loro uso in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Farmaci equivalenti

24 novembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile l’SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, dall’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi 2019 si è visto come il consumo degli equivalenti di classe A sia risultato maggiore al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) e al Sud Italia (22,4%; 18,1%). Per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS SICILIA. I FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN’, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

“Anche in Sicilia, come in tutta Italia, le farmacie in questi anni hanno dato un contributo importante alla diffusione dei medicinali equivalenti. Nella nostra Regione scontiamo ancora alcune resistenze da parte dei cittadini nell’utilizzare l’equivalente e ad accettare la sostituzione del medicinale di marca da parte del farmacista; resistenze dovute a fattori di natura prevalentemente culturale. C’è la convinzione, e questo non riguarda solo la Sicilia, ma molte Regioni italiane, soprattutto del centro-sud, che il prodotto di marca sia più efficace. Si è disposti a pagare qualcosa di più per avere la certezza che “funzioni”. Per superare queste diffidenze non basta l’opera quotidiana di sensibilizzazione del farmacista, c’è bisogno di una sinergia tra tutti gli operatori del settore e le Istituzioni, che devono diffondere lo stesso messaggio e favorire così la conoscenza e il corretto uso del medicinale equivalente”, ha detto Gioacchino Nicolosi, Presidente Federfarma Regione Siciliana

“Il farmaco equivalente è stato introdotto nel mercato farmaceutico italiano nel 1995, e nell’ultimo ventennio, ha gradualmente visto aumentare le sue prescrizioni da parte dei medici e l’utilizzo da parte dei pazienti, nonostante questo, il nostro rimane uno degli ultimi paesi d’Europa per uso di farmaci equivalenti. L’utilizzo da parte del SSN e del SSR degli equivalenti consente, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento delle patologie croniche, di trattare a parità di costi un numero maggiore di pazienti garantendo così l’universalità delle cure. La riduzione dei costi, a carico del paziente, generata, a parità di sicurezza ed efficacia, dall’utilizzo di questi farmaci, consente inoltre una maggiore aderenza e persistenza alla terapia, determinando, in questo modo, una riduzione nel rischio di complicanze secondarie alla sospensione della terapia effettuata”, ha spiegato Francesco Salamone, Vice Segretario Regionale FIMMG Sicilia

“È stato un importante confronto che ha dimostrato la necessità che tutti gli stakeholder continuino a parlare del valore del farmaco equivalente. La sfida è lavorare insieme per avere azioni concrete a livello locale, regionale per aumentare l’utilizzo di farmaci equivalenti”, ha aggiunto Umberto Comberiati, Business Unit Head Teva Pharmaceutica

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Farmaci equivalenti: l’uso in Italia è basso

Farmaci equivalenti

“Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, l’uso dei farmaci equivalenti in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Padova 10 novembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile l’SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, dall’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi 2019 si è visto come il consumo degli equivalenti di classe A sia risultato maggiore al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) e al Sud Italia (22,4%; 18,1%). Per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS I FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN’, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

Dal varo della legge n. 405/2001, introduttiva del concetto delle liste di riferimento e della sostituibilità del farmaco originale con uno equivalente, il settore di questi medicinali ha avuto un grande sviluppo e le farmacie hanno dato un contributo notevole alla conoscenza e alla diffusione degli equivalenti, dovendo tuttavia affrontare forti diffidenze. Il ricorso diversificato agli equivalenti ovvero ai farmaci branded che si registra ancora su territorio nazionale e regionale è determinato da una serie difattori, prevalentemente di natura culturale: la convinzione che il prodotto di marca sia più efficace e la diffidenza nei confronti della sostituzione proposta dal farmacista, che il paziente può ricondurre a ragioni di convenienza economica. È necessario allora che il paziente sia messo al centro di un percorso di crescita culturale e che nel processo di informazione e di promozione dell’equivalente siano coinvolti tutti gli operatori sanitari, che tutti ricevano informazioni indipendenti e autorevoli da parte delle Istituzioni sui farmaci equivalenti, che tutti parlino lo stesso linguaggio e diffondano gli stessi messaggi ai pazienti”, ha detto Andrea Bellon, Presidente Federfarma Veneto

“Purtroppo, dati OSMED alla mano, abbiamo anche quest’anno una spesa privata di oltre 1 miliardo di euro a carico delle famiglie, dovuta alla differenza di prezzo tra farmaco brand e equivalente. Tale spesa si deve comprimere, soprattutto in questo delicato periodo. Sarebbe importante ricevere un segnale da parte dei decisori nazionali al fine di ridurre le marcate disuguaglianze regionali rispetto all’uso dei farmaci equivalenti e mettere così fine ad una tassa occulta, frutto di disinformazione. Tali prodotti hanno la stessa qualità, efficacia e sicurezza del loro corrispettivo originator; costano meno perché una volta scaduto il brevetto, è possibile produrre un farmaco copia di uno di marca. Questo è quanto affermiamo da alcuni anni attraverso la nostra campagna IoEquivalgo’. In termini di sostenibilità del SSN gli equivalenti sono un asset strategico: permettono di risparmiare risorse da reinvestire poi in innovazione. E qui si apre una delle più grandi incompiute politiche degli ultimi anni: gli eventuali risparmi della farmaceutica devono restare all’interno del comparto e non essere utilizzati per altre cose che niente hanno a che fare con gli investimenti in salute pubblica e innovazione in sanità”, ha spiegato Antonio Gaudioso, Segretario Generale Cittadinanzattiva

“È stato un importante confronto che ha dimostrato la necessità che tutti gli stakeholder continuino a parlare del valore del farmaco equivalente.  La sfida è lavorare insieme per avere azioni concrete a livello locale, regionale per aumentare l’utilizzo di farmaci equivalenti”, ha aggiunto Umberto Comberiati, Business Unit Head Teva Pharmaceutical

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Artrite reumatoide colpisce circa 400.000 persone in Italia

Artrite reumatoide

L’SSN sopporta solo il 30% del costo dell’artrite reumatoide corrispondente ai costi diretti, mentre il restante 70%, che rappresenta l’impatto dei costi indiretti, rimane a carico della collettività 

“Artrite reumatoide, insorge tra i 30 ed i 50 anni, colpisce circa 400.000 persone in Italia ma solo il 40% di loro segue le terapie in modo corretto”

9 novembre 2019 – L’aderenza alla terapia è fondamentale in una patologia cronica con decorso invalidante, spesso non ben controllata, che costringe le persone all’assenza dal lavoro, gravando quasi totalmente sulle spalle delle famiglie in termini economici, sociali e psicologici. Questo il tema del webinar “L’artrite reumatoide in epoca Covid-19”, organizzato da MOTORE SANITÀ, ultimo di una serie di appuntamenti, nati con l’obiettivo di mettere a confronto sulle attuali buone pratiche organizzative e sui modelli di utilizzo dell’innovazione terapeutica, pazienti e operatori coinvolti nella diagnosi, gestione e cura delle malattie reumatiche, tracciando anche le aree critiche da migliorare.

Nell’era COVID-19 i pazienti affetti da artrite reumatoide sono andati incontro a molteplici difficoltà. Il secondo picco della pandemia, in corso in questi giorni, ci ha mostrato che il nostro globo si trova ancora in una condizione di grande fragilità, nella quale rientra anche la gestione delle malattie reumatiche. L’attenzione delle autorità sanitarie, concentrata giustamente sui pazienti affetti da COVID-19 e sulle misure di prevenzione della diffusione del contagio, non deve tuttavia tralasciare la garanzia di un alto livello di cura per i malati con malattie croniche. In particolare, nell’artrite reumatoide, al fine di prevenire l’evoluzione verso la disabilità, è necessaria una valutazione continuativa della patologia, sin dal suo esordio come pure nelle fasi successive. Abbiamo oggi a disposizione farmaci che sono in grado di limitare la progressione della malattia e gli specialisti conoscono le strategie terapeutiche ottimali per la gestione del paziente affetto da tale patologia. Anche nella pandemia quindi la continuità assistenziale e la cura ottimale dei malati con artrite reumatoide deve essere garantita, mentre invece si sta assistendo oggi, in alcune realtà, ad una chiusura o ad una limitazione delle attività degli ambulatori e delle strutture specialistiche a danno dei pazienti”, ha spiegato Annamaria Iagnocco, Professoressa Ordinaria di Reumatologia Università di Torino e Presidente Eletto EULAR

“I costi annui per i Pazienti con Artrite Reumatoide in Italia sono stimati tra i 3,5 ed i 4 miliardi di euro. Lo scenario epidemiologico della patologia è in forte e rapido cambiamento ed ancora di più in era COVID l’organizzazione ospedale/territorio per la sua gestione deve cambiare. In particolare, relativamente all’Artrite Reumatoide, il sistema sanitario è sollecitato in maniera importante anche dal punto di vista sociale. L’organizzazione di una Rete Reumatologica può fornire risposte efficienti, soprattutto in era Covid-19, quando è necessaria una presa in carico territoriale efficiente e capillare. La diagnosi precoce è essenziale anche nel campo dell’AR ed il ritardo diagnostico è la prima causa di complicanze e disabilità. Le visite in telemedicina sono un’opportunità ma non potranno sostituire le visite ambulatoriali se non per alcune attività di controllo e monitoraggio. Si dovrà lavorare ad un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) dedicato per l’AR che preveda la creazione di corsie preferenziali per i pazienti urgenti o con red flags di esordio o riattivazione di malattia. Sappiamo che la politica sulla assunzione di nuovo personale specializzato è sotto i riflettori per tutte le realtà regionali. La rete di specialisti dovrà operare in connessione con la medicina territoriale anche mediante il Teleconsulto. Fondamentale da questo punto di vista la formazione ed il coinvolgimento dei MMG, anche per la gestione delle frequenti comorbilità, e la semplificazione, gestione online e “sburocratizzazione” dei piani terapeutici. Posti letto dedicati per pazienti con patologie reumatologiche complesse e gravi dovrebbero essere garantiti (cosa purtroppo non sempre accaduta durante la precedente ondata). Fondamentale anche l’interazione fra centri Hub, Spoke e Specialisti territoriali per ridurre le liste d’attesa. Sarebbe anche auspicabile una più equa e rapida accessibilità sul territorio ai farmaci, specie per quelli più pratici, evitando così lo spostamento ed il disagio dei pazienti. Bene il risparmio attraverso le terapie Biosimilari, ma con le garanzie per i Pazienti di poter accedere alle migliori cure, anche innovative, se necessario. I decisori politici dovranno mantenere il dialogo con tutti gli interlocutori (prima fra tutte le Associazioni di Malati reumatici) perché la realizzazione di una Rete Reumatologica efficiente possa migliorare l’offerta sanitaria e l’appropriatezza dei servizi offerti dal SSN”, ha detto Maurizio Rossini, Professore Ordinario di Reumatologia e Direttore Scuola Specializzazione di Reumatologia, Università di Verona

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