L’innovazione dirompente in medicina è in atto

innovazione dirompente

Ricerca traslazionale, tecnologie innovative e medicina di precisione: il futuro della sanità parte da qui, ma è importante garantire equità di accesso alle cure e sostenibilità del Sistema sanitario

16 Marzo 2021 – Nell’Opinione su “Disruptive innovations” o innovazione dirompente, l’Expert Panel on investing in health della Commissione Europea (EXPH), ha definito “l’innovazione dirompente nel settore sanitario” come un tipo di innovazione che crea nuove reti e nuove organizzazioni sulla base di una nuova serie di valori, coinvolgendo nuovi attori, che consente di migliorare la salute e di raggiungere altri obiettivi preziosi, come equità ed efficienza. Oltre alla definizione “europea” di innovazione dirompente il Panel ha elaborato anche una nuova tassonomia delle innovazioni dirompenti basata sui “campi di applicazione” e sulle loro categorie tecnologica (tecnologie a bassa ed alta complessità), organizzativa (modelli, strutture, processi), prodotti e servizi e risorse umane (personale sanitario, pazienti, cittadini e comunità).

In area tecnologica, numerosi dispositivi saranno disponibili nel prossimo biennio. 

Le proposte interesseranno la sensoristica, i micro/macro infusori, l’apparato cardiocircolatorio in termini di controllo di patologie aritmiche, coronariche e di deficit muscolare cardiaco.

La teragnostica implementerà i prodotti a disposizione, così come la radioterapia e la radiologia, tecnologie innovative che permetteranno di vedere gli organi come strutture trasparenti, gli xenobots (piccoli robot) che introdotti nell’apparato vascolare permetteranno di ripulire le arterie e veicolare  farmaci, le CAR  che amplieranno la propria copertura terapeutica, la medicina di precisione che si avvarrà di strumenti digitali di implementazione, super computer per analisi di big data per accelerare la scoperta farmacologica e la possibile applicazione clinica, e non ultima l’intelligenza artificiale che migliorerà le performance in tutti gli ambiti terapeutici e diagnostici a supporto dell’attività specialistica. L’home care sarà inoltre una possibilità di espansione della tecnologia medica a partire dalla telemedicina, fino a dispositivi di monitoraggio e cura. Non vanno dimenticati i prodotti misti  farmaco/dispositivo, non  ultimi  quelli  per  migliorare  l’aderenza  terapeutica  o  sistemi  di  impianto o esterni con delivery di sostanze.

Di tutto questo si è parlato durante il webinar intitolato “TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021”, organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

Alcuni campi di innovazione dirompente in medicina sono la ricerca traslazionale, le tecnologie innovative, la medicina di precisione. L’Unione Europea sta già finanziando alcuni progetti per esplorare questo problema in numerosi Stati membri spingendo a valutare i costi e i benefici delle attività di diagnostica molecolare per identificare le persone che potrebbero beneficiare di particolari attività di prevenzione e per identificare alcuni gruppi che dovrebbero ricevere o meno un trattamento particolare, e attività di identificazione di gruppi di pazienti che potrebbero trarre beneficio da un particolare tipo di trattamento specifico per quel sottogruppo.

Nei prossimi anni ci sarà uno sviluppo importante dell’immunoterapia – ha spiegato Paolo Ascierto, Direttore reparto di oncologia, melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative IRCCS Fondazione Pascale di Napoli –. Uno dei trattamenti che probabilmente avrà un futuro importante è quello dei TILs, lifociti intratumorali che vengono estratti dal tumore attraverso una proceduta complessa, vengono messi in cultura, si fanno di queste delle sacche e poi vengono re-infusi nel paziente Il dato interessante che sta emergendo da alcuni clinical trials come questo è che nei  pazienti che hanno fallito l’immunoterapia con checkpoint inhibitors, che si trovano cioè nella black area, possono avere circa 40% di risposte da questo trattamento. C’è poi un altro approccio molto interessante che è quello del recettore T solubile, una sorta di surrogato delle Car-T cell: è un approccio abbastanza innovativo che sta facendo parlare di se nei tumori solidi sia nel trattamento del melanoma uveale; questo approccio è interessante perché potrebbe avere un seguito importante in quei tumori in cui l’immunoterapia ha dimostrato di avere dei limiti. Per quanto riguarda invece le CAR-T per i tumori solidi ci sono dei limiti dovuti alla loro tipologia rispetto ai tumori ematologici e dovuti al target che a volte non è specifico del tumore. E poi c’è tutta una serie di sviluppi, che purtroppo il Covid ha fermato e che ci hanno visto coinvolti, e mi riferisco al progetto CARMA sul quale abbiamo lavorato fino a febbraio dello scorso anno. In un breve futuro sentiremo parlare anche di CAR NK, il CAR Macrophage-CAR Ms, CAR-Trucks”.

La terapia genica e il genome editing nella cura delle malattie ematologiche è stato il tema affrontato da Franco Locatelli, Direttore Dipartimento Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma e Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

I prodotti di terapia genica avanzata rappresentano l’avanguardia della medicina personalizzata e di precisione, e nei prossimi anni questi approcci terapeutici cambieranno la storia naturale di molte malattie ematologiche sia ereditarie sia acquisite. Le grandi sfide sono come implementare collaborazioni fruttuose tra istituzioni accademiche e industrie anche in Italia, come presentare nella maniera più corretta il rapporto benefici-rischi collegati a queste terapie e come meglio definire il loro posizionamento nella strategia più globale di trattamento di un paziente e, infine, il tema del costo di queste terapie e della loro sostenibilità, soprattutto per un paese come il nostro che ha la fortuna di poter contare su un sistema sanitario solidaristico”.

La medicina molecolare è diventata la medicina per tutte le patologie, per questo esige razionalizzazione e condivisione delle risorse.

Ci vuole una attenta valutazione e programmazione che si basa su quanto è stato fatto fino ad ora, ma che permetta una raccolta di dati sulla medicina molecolare al fine di una programmazione accurata delle risorse che devono essere inserite per mantenere attivo il percorso, altrimenti i costi diventano eccessivi e non sono più sostenibili, considerando che oramai la medicina molecolare è una medicina per tutte le patologie e non più una medicina di nicchia – ha spiegato Anna Sapino, Direttore Scientifico IRCCS Candiolo (TO)-. Quindi è necessario un percorso programmatico adeguato che garantisca la qualità di questo tipo di diagnosi e cura e l’applicabilità e la sostenibilità utilizzando tutte quelle che sono già le esperienze maturate fino ad ora. La rete, infine, è fondamentale anche nella medicina molecolare: ci sono diversi tipi di rete ma devono poi confluire tutte nel medesimo intento, quello di permettere che i farmaci nuovi possono essere utilizzati, quindi razionalizzazione e condivisione delle risorse”.

Il Disruptive innovations nel prossimo futuro chiede un cambio culturale di approccio da parte di tutti gli attori del sistema salute.

Siamo all’inizio di una rivoluzione che ricade sia sulle aziende sia sui singoli professionisti e sulla loro capacità di accettare questo tipo di nuova organizzazione e di nuovo supporto, che è inevitabile, in cui ci dovrà essere un regista e una serie di attori che danno una  mano – ha spiegato Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza (VA) -. Il Disruptive nel prossimo futuro spiega proprio questo, che la conoscenza in medicina nel prossimo futuro non sarà più dominio di una unica persona ma ci sarà bisogno della conoscenza di team di specialisti in varie discipline, che dovranno operare insieme ed in sequenza con tempi coordinati. La Car-T ci ha già mostrato questo scenario e la necessità di nuovi modelli decisionali differenti”.

Così ha spiegato Francesco S. Mennini, Presidente SIHTA. “La Disruptive innovations in sanità richiede valutazioni corrette e seguire approcci economici rigorosi che consentano di effettuare una vera e propria valorizzazione dell’innovazione in senso lato; richiede di valutare una innovazione che è in grado di creare nuovi mercati per introdurre il concetto di concorrenza e richiede nuovi ruoli professionali e nuove competenze, fondamentali per consentire anche il raggiungimento degli obiettivi in termini di outcome in maniera migliore” ha spiegato Francesco S. Mennini, Presidente SIHTA.

“Bisogna superare il concetto di evidenza paretiana”

Abbiamo imparato – ha concluso Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità – che dalla innovazione dirompente ognuno riesce finalmente a parlare della salute a 360 gradi, partendo  dalla innovazione tecnologica diagnostica alla organizzazione ai diritti del cittadino e a quelli del paziente, fino alla giusta equità di accesso alle cure. Come Motore Sanità proseguiremo organizzando nuovi incontri sull’argomento perché questo è il tema del futuro”.

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Aderenza e appropriatezza terapeutica ai tempi del COVID 19: ‘Quali migliori strategie terapeutiche usare? Parola agli esperti’

Aderenza e appropriatezza terapeutica

17 marzo 2021 – Facilitare la diffusione di buone pratiche organizzative finalizzate a favorire l’aderenza terapeutica. Attraverso un confronto tra i professionisti che si dedicano alla cura delle patologie più diffuse ad esempio medici specialisti, farmacisti, medici di medicina generale, economisti sanitari. Con lo scopo di stimolare un confronto sull’utilizzo delle strategie terapeutiche disponibili, sull’impatto che la pandemia in corso potrebbe lasciare sul sistema, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘FOCUS NORD OVEST. ADERENZA E APPROPRIATEZZA TERAPEUTICA, realizzato grazie al contributo non condizionato di Daiichi-Sankyo.

“L’aderenza terapeutica è innanzitutto una sfida! Perché? perché è estremamente difficile ottenerla e solo una stretta alleanza tra medici e pazienti potrò riuscire nell’intento. È stato oramai ampiamente dimostrato che lo scarso successo nel raggiungimento dei target terapeutici nelle principali patologie (ipertensione scompenso dislipidemie diabete) in buona parte è proprio dovuto ad una insufficiente aderenza terapeutica: dimenticanza di assumere farmaco, non ritenere così importante la patologia che uno ha, il continuo cambiamento di strategie terapeutiche ne sono la principale causa. Indubbiamente l’avvento di terapie di associazione prefissate dove in un’unica pastiglia possono essere contenuti più composti della medesima area terapeutica o di diverse ha in alcuni campi migliorato l’aderenza stessa. Ad esempio, per l’ipertensione arteriosa si è passati negli ultimi 10 anni da un’aderenza del 40% ca a più del 60%, ecco questa è una strada pratica da continuare a seguire però con un’avvertenza: non possiamo prescindere da un sempre più maggiore coinvolgimento dei pazienti. Solo uniti si può vincere”, ha spiegato Stefano Carugo, Direttore e Professore Cardiologia Policlinico, Milano

“Il tema della continuità delle cure, in particolare per quanto riguarda le malattie long-term, non può prescindere da una corretta aderenza ed appropriatezza terapeutica, non solo relativa ai farmaci ma anche alla diagnostica. Spesso i professionisti,  a qualsiasi livello del contesto sanitario, che sia esso Ospedaliero o Territoriale, danno per scontato che il paziente assuma correttamente le terapie a lui prescritte, ma sovente si osserva, tramite verifiche o – ancora peggio – per recidive della patologia (forse anche indotte da un’informazione sempre meno orientata al singolo cittadino ma tendente ad un processo di globalizzazione), che alcuni pazienti si scompensano e ricorrono frequentemente alle cure dei sanitari. A tal proposito ritengo che sia necessario avviare con i pazienti delle attività di informazione e counselling relativamente alla patologia di cui sono portatori e che sia necessario condividere con loro anche un cambiamento degli stili di vita. Un percorso virtuoso potrebbe essere, a mio avviso, quello di inserire i pazienti in percorsi specifici di sanità di iniziativa e follow-up che prevedono controlli periodici, counselling e incontri relativi a stili di vita, educazione terapeutica e, soprattutto, alla gestione delle terapie. Queste poche ma fondamentali misure dovranno essere adeguate alle necessità cliniche e culturali dei pazienti, affinché si perfezioni sempre di più il concetto di appropriatezza, non solo in termini economici”, ha dichiarato Lorenzo Angelone, Direttore Sanitario AOU Città della salute e della Scienza, Torino

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Innovazione del SSN e la salute dei cittadini nel 2021: “Quale medicina lascerà nel nostro futuro la pandemia COVID-19?”

Innovazione del SSN

16 marzo 2021Sensoristica, micro/macro infusori, patologie aritmiche, coronariche e deficit muscolare cardiaco, teragnostica, radioterapia, radiologia, Xenobots (robot fatti di cellule viventi che introdotti nell’apparato vascolare permetteranno di ripulire le arterie e veicolare farmaci), CAR, medicina di precisione, analisi di Big Data e intelligenza artificiale. Questi alcuni delle novità che saranno disponibili nel prossimo biennio e che saranno tra gli argomenti chiave della prossima Winter School di MOTORE SANITÀ. Con l’obiettivo di esaminare potenzialità e ricadute dell’innovazione breakthrough sul SSN e sulla salute dei cittadini, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021’ che si è svolto nell’arco di 2 giornate, realizzate grazie al contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

“Tra le tanti dolorose lezioni impartite da COVID-19 c’è anche l’incremento significativo del rischio di infezioni da opportunismo microbico all’interno delle aree di terapia intensiva dedicate. Le motivazioni che guidano tale aumento di incidenza sono molteplici, il sovraffollamento nelle terapie intensive, la necessità di impiegare infermieri senza un adeguato training, la necessità di misure comportamentali finalizzate a proteggere gli operatori sanitari hanno giocoforza ridotto l’attenzione sulla protezione dei pazienti, il ricorso a pressioni negative, normalmente non utilizzate in tale setting, l’utilizzo di farmaci immunosoppressori, una minore attenzione ai principi dell’antimicrobial stewardship. Tutto ciò ha generato più infezioni e maggiore circolazione di microrganismi resistenti, riproponendo con forza la grande necessità di farmaci innovativi. Rispetto a questi ultimi il mondo scientifico e gli Enti regolatori si trovano di fronte ad un dilemma di difficile soluzione: da un lato una necessità sempre più stringente, dall’altro una relativa carenza di evidenze, correlata alla estrema difficoltà a condurre trial clinici su casistiche di grandi dimensioni  in grado di arruolare pazienti in condizioni di estrema criticità e complessità. Appare quindi fortemente necessario aprire una nuova stagione di confronto tra clinici ed Enti regolatori al fine di identificare nuovi strumenti di valutazione dell’innovazione in terapia antimicrobica e di aumentare il livello di responsabilizzazione dei prescrittori”, ha detto Pierluigi Viale, Direttore unità Operativa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna

“Innovazione dirompente si coniuga attraverso processi differenti ma con una matrice comune: pensare e progettare out of the box qualunque sia il settore di appartenenza. Che sia farmaco, o dispositivo medico,  o alta tecnologia o organizzazione, è dirompente ciò che muta completamente o trasforma la realtà attuale. La pandemia lascia macerie ma anche insegnamenti e capacità sino a prima impensabili basti pensare alla creazione di decine di vaccini in circa 12 mesi! La rincorsa della scienza ha aperto nuovi scenari impensabili con nuove terapie e nuove possibilità diagnostiche. Il Webinar analizzerà l’innovazione breakthrough del SSN del 2021 e degli anni a seguire”, ha spiegato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità

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La prossima pandemia riguarderà le malattie neuro-degenerative

malattie neuro degenerative

Nel 2050 in Europa si prevedono quasi 14 milioni di pazienti.

Ecco le nuove strategie terapeutiche che cambieranno l’approccio della cura nei prossimi anni. Ma l’Italia non è pronta.

16 Marzo 2021 – Sarà una nuova strategia terapeutica a cambiare lo scenario in neurologia: si tratta di nuovi farmaci che potrebbero essere disponibili già nei prossimi anni, ma l’Italia non sarebbe ancora pronta ad accogliere questa grande rivoluzione, a causa di un inadeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, di pet e poi non tutti i centri possono fare l’esame del liquor cerebrospinale.

Quella che prevedono i neurologi sarà una vera e propria pandemia che interesserà nei prossimi decenni le patologie neurodegenerative. Negli Stati Uniti come in Europa si assisterà ad una triplicazione dei casi di malattia di malattia di Alzheimer, quasi 14 milioni nel 2050, e ancora di più in quei paesi emergenti dove l’aspettativa di vita sta rapidamente crescendo.

Mentre per altre terapie contro tumori, malattie cardiache, ictus o l’Hiv sono state trovate terapie che hanno drasticamente ridotto la mortalità, per quanto riguarda l’Alzheimer la mortalità è in continua crescita perché i farmaci disponibili attualmente non vanno ad incidere o a bloccare l’evoluzione delle patologie. Per le patologie neurodegenerative in generale non si sono trovate terapie adeguate perché alla base c’è una morte progressiva di cellule.

Quale sarà il nuovo scenario in Neurologia e quale sarà l’impatto dei nuovi farmaci sulla salute delle persone e sui sistemi sanitari è stato il tema affrontato nel webinar intitolato TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021” organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

Per la malattia di Alzheimer l’ultimo ventennio ha visto una grossa mole di scoperte in ambito neurobiologico che hanno dimostrato che alla base della malattia c’è l’accumulo di una proteina chiamata betamiloide che si forma da una proteina più grossa che tende a cumularsi progressivamente nel cervello, fino a dare quel quadro già descritto nel secolo scorso di Alzheimer “placche senili”. Questa proteina a sua volta porta ad alterazione di altre proteine.

Le ricerche degli ultimi anni hanno inoltre dimostrato che questi accumuli si verificano anche vent’anni prima dall’esordio della malattia.

In particolare nel quadro intermedio di declino cognitivo lieve (MCI), che precede la demenza e in cui si evidenziano i primi disturbi di memoria neuropsicologici, grazie ai biomarcatori potremmo dimostrare la patologia nel cervello e quindi intervenire con l’aiuto di nuovi farmaci che bloccano l’accumulo di beta-amiloide, oppure con anticorpi monoclonali (vaccinazione) che rimuovono questa proteina dal cervello, oppure, a cascata, con altre molecole che agiscono sulla Tau e su altri meccanismi innescati dall’accumulo di amiloide – spiega Carlo Ferrarese, Direttore Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza -. Ci sono molti studi che sono arrivati in fase tre e che si sono anche conclusi. Potremmo anche prevedere che il prossimo anno questi farmaci possano essere disponibili per quei pazienti in fase preliminare, non già dementi”.

È stato calcolato l’impatto sui sistemi sanitari di queste nuove terapie biologiche che potrebbero essere disponibili nei prossimi anni. “Lo studio condotto dall’agenzia americana Rand Corporation, che ha calcolato l’impatto negli Stati Uniti e nei paesi europei, ha dimostrato che in Italia su 20,6 milioni di persone con età superiore ai 55 anni nel 2019, 16,4 milioni potrebbero richiedere uno screening presso uno studio medico richiedendo quei test che possono prevedere il rischio di demenza; dei 2,9 milioni che risultano positivi allo screening per MCI, 1,4 milioni potrebbero cercare uno specialista per una valutazione, 1,3 milioni potrebbero essere indirizzati per il test del biomarker, 0,6 milioni potrebbero risultare positivi ai biomarker e tornare dallo specialista per conoscere il trattamento, 0,5 milioni potrebbero essere raccomandati per la terapia infusionale”.

Se l’Italia sarà pronta ad accogliere queste terapie è un grande punto interrogativo.

Non siamo ancora pronti perché non abbiamo un adeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, non ci sono pet a sufficienza, non tutti i centri possono fare il liquor cerebrospinale – ha rimarcato il Dottor Ferrarese -. Proprio per queste previsioni abbastanza catastrofiche, l’Aifa ha finanziato, circa due anni fa, lo studio Interceptor che ha già concluso l’arruolamento di 400 pazienti con un quadro di declino cognitivo lieve per studiarli nell’arco di tre anni con un insieme di biomarcatori per poter predire quali sono i soggetti più candidabili a queste terapie quando saranno disponibili. L’altra strategia riguarda l’investimento che si sta facendo in sanità a causa del Covid, che può aiutare a sostenere il progetto di mettere in rete i CDCD affinché siano in grado di affrontare la grande sfida delle nuove terapie”.

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Blockchain e AI al servizio della sanità

Blockchain e AI

L’Academy Tech di Motore Sanità per sviluppare modelli sanitari digitali e tecnologici a supporto del paziente.

12 marzo 2021Il periodo emergenziale che il mondo sta vivendo ha evidenziato la necessità che il servizio sanitario nazionale e regionale abbia una rete in grado di mettere a sistema l’interdisciplinarietà fra tutti gli attori che intervengono nel percorso di cura e di prevenzione.  Si è tenuto il quarto appuntamento dell’Academy di alta formazione di MOTORE SANITÀ TECH: “BLOCKCHAIN & AI”, realizzata grazie al contributo incondizionato di ALMAVIVA, dove si è parlato di “Blockchain”, analizzando i casi d’uso e la sua applicazione nel mondo della sanità e di “AI”, esaminando con gli esperti gli impatti e i modelli dell’Intelligenza Artificiale nell’ambito sanitario.

“Le Blockchain vedono una progressiva applicazione in numerosi campi, da quello industriale a quello alimentare, ed interessante anche nel campo della salute. Le nuove tecnologie rappresentano una realtà odierna e futura imprescindibile. Se pensiamo all’intelligenza artificiale ed al suo progressivo impiego, ad esempio, nella diagnostica e nello scouting della ricerca, ci rendiamo conto quanto muteranno le possibilità della nostra vita ed il conseguente mondo del lavoro anche in sanità. Per non trovarci impreparati l’Academy Tech di Motore Sanità ha lo scopo di trasmettere le conoscenze principali agli operatori della salute al fine di affrontare con competenza le trasformazioni in corso”, ha spiegato Claudio Zanon, Direttore scientifico MOTORE SANITÀ

“Tecnologie informatiche e progetti di digitalizzazione dei processi sanitari sono sempre stati finalizzati a supportare l’attività dei professionisti nel percorso di diagnosi e cura. L’emergenza sanitaria ha reso più evidente come le tecnologie innovative possano essere utilmente impiegate per l’adozione di nuovi modelli di organizzazione sanitaria e per assicurare la continuità delle cure nel nuovo scenario epidemico con i necessari criteri di sicurezza per gli operatori e per gli assistiti. In particolare, si sta assistendo ad un enorme cambiamento dell’organizzazione sanitaria e dei relativi servizi con passaggio da un modello ad “accesso diretto” ai servizi ad un modello ad “accesso programmato”.

Le tecnologie di Blockchain e di Big Data Analytics rappresentano importanti opportunità per supportare il cambiamento dell’organizzazione sanitaria e del modello di erogazione dei servizi. Ritengo che la valorizzazione dei patrimoni informativi e la capacità delle organizzazioni di assumere decisioni sulla base di analisi dati, soprattutto in modalità predittiva, rappresenti la sfida per la sostenibilità dei servizi sanitari e per l’attuazione di nuovi e più efficaci modelli organizzativi. L’iniziativa condotta dall’Academy Motore Sanità è uno stimolo a cogliere le opportunità di cambiamento che l’emergenza sanitaria ci obbliga ad attuare e contribuisce a diffondere conoscenza sulle più promettenti tecnologie disponibili attraverso la presentazione di esperienze concrete che possono essere un esempio per la prosecuzione di un difficile ma inevitabile cambiamento”, ha dichiarato Giovanni Delgrossi, Direttore UOC Sistemi Informativi Aziendali, ASST Brianza

“Nel prossimo futuro, nell’Health Care sarà naturale fare riferimento a una rappresentazione digitale del paziente aggiornata in tempo reale e costantemente monitorata per individuare possibili problematiche o verificare i risultati di terapie, come oggi già facciamo nel monitoraggio delle performance sportive.  In un contesto dove reale e digitale dialogano virtuosamente, dove sempre più si affermerà un contesto cyberfisico con processi automatici e azioni prese con l’aiuto dei Big Data, sono necessarie tecnologie in grado di tracciare, certificare e regolare sé stesse secondo aspetti legali, etici, culturali specifici del contesto in cui operano. Tutto questo richiede un’interoperabilità integrata e automatizzata su larga scala di dati e servizi, che sia sicura, affidabile e verificabile, in cui siano garantite contemporaneamente la trasparenza dei processi e la privacy del dato”, ha detto Alessandro Mantelli, Chief Technology Officer & Practice Leader at AlmavivA & AlmavivA Digitaltec

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TRIALS CLINICI: “Nei prossimi anni condividere progetti tra i professionisti delle diverse specialità indispensabile per definire protocolli per risposte sempre più precise”

Trials clinici

12 Gennaio 2021 – Il termine trial clinico definisce uno studio clinico farmacologico, biomedico o salute-correlato, progettato secondo regole condivise e protocolli predefiniti per rispondere a precisi quesiti riguardanti l’effetto sui soggetti umani in termini di efficacia e sicurezza. Senza i trials clinici, il progresso nella lotta contro le malattie  sarebbe bloccato, ma perché sia ben fatto, bisogna costruire un disegno di studio preciso, individuando con cura sia la domanda a cui si vuole dare risposta (endpoint primario) sia la popolazione di pazienti arruolati nello studio (target), assicurandosi che tutto possa dare significatività statistica ai risultati. Nel caso di trials clinici sui farmaci, devono essere esaminati attentamente e approvati da Comitati Etico-Scientifici di esperti multidisciplinari. Per approfondire il tema, con il coinvolgimento di tecnici esperti, utilizzando come esempio la patologia oncologica renale e prostatica, MOTORE SANITÀ ha organizzato 3 appuntamenti dal titolo “Trials clinici: analisi e interpretazione la farmacia incontra l’oncologia”, in Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana, realizzati grazie al contributo incondizionato di IPSEN.

“Il Farmacista Ospedaliero ha un ruolo sempre più centrale, sia di collaborazione alla sperimentazione controllata di nuovi trattamenti sia nella fase di monitoraggio dell’impiego degli stessi una volta disponibili per la pratica clinica. La conoscenza delle più recenti regole per la valutazione della quantità e della qualità delle evidenze della ricerca è quindi oltremodo utile (e necessaria). In particolare, il Sistema GRADE è assunto a standard riconosciuto per la valutazione delle Prove e per la produzione delle Linee Guida per la pratica clinica. Nello specifico, il metodo GRADE propone una valutazione della qualità delle prove più ampia e articolata di quella proposta da tutti gli altri sistemi di Grading. Le principali caratteristiche del metodo consistono nel passaggio da una valutazione “studio specifica” a una valutazione “outcome specifica” per giudicare la qualità delle prove, cui concorre non solo la tipologia dello studio ma numerose altre variabili che nei metodi precedenti erano considerate in modo implicito e/o incompleto. La forza delle raccomandazioni fornite dal metodo GRADE è tenuta distinta dalla qualità delle prove e tiene conto del bilancio complessivo dei benefici e degli effetti indesiderati dei trattamenti, dei valori e preferenze dei pazienti, e dell’impiego di risorse necessarie all’implementazione delle raccomandazioni”, ha affermato Giovanni Pappagallo, Epidemiologo Clinico, Silea TV

“Oggi è sempre più rilevante l’acquisizione e la diffusione di strumenti interpretativi per l’analisi degli studi clinici. Quest’incontro ha cercato proprio di stimolare la discussione tra Oncologi, Farmacisti Ospedalieri e Metodologici in quest’ambito partendo dagli studi di terapia nei tumori urologici. Questa inter-relazione faciliterà sempre di più nei prossimi anni la collaborazione e la condivisione di progetti tra i professionisti delle diverse specialità”, ha spiegato Carmine Pinto, Direttore Struttura Complessa di Oncologia, Azienda USL IRCCS, Reggio Emilia

“Il trial clinico è un’opportunità per il clinico di sperimentare nuove procedure e per il paziente che in genere anticipa un trattamento innovativo. Una rete oncologica deve poter disporre di una infrastruttura dedicata che consenta di lavorare con casistica regionale secondo criteri di qualità e di equità. Occorre tuttavia non solo saper fare trials ma anche e soprattutto saperli leggere sapendo che, tra studi registrati e Real word, esistono differenze da interpretare e inserire nelle nostre scelte cliniche. Occorre anche superare ritardi burocratici e applicativi. il rapido trasferimento della ricerca alla clinica è un valore aggiunto per un sistema di qualità”, ha dichiarato Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO), Regione Toscana

Le recenti acquisizioni di conoscenze in ambito oncologico portano alla necessità di saper governare la mole di informazioni che si rendono disponibili dalla letteratura. Diventa quindi indispensabile la capacità di una corretta analisi degli studi clinici e l’acquisizione di competenze trasversali tra i diversi operatori coinvolti. La collaborazione tra clinici e farmacisti deve essere sempre più integrata in un percorso multidisciplinare fino ad ipotizzare un farmacista clinico al fianco del medico sia nella parte assistenziale che nel disegno di futuri studi di ricerca. Questa iniziativa assume pertanto una rilevanza nel percorso di formazione e di crescita di tutti coloro che sono coinvolti nell’attività oncologica”, ha detto Giordano Beretta, Responsabile Unità Operativa Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni, Bergamo e Presidente Nazionale AIOM

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Gli effetti a breve e lungo termine del Covid-19: dolore, alterazione del sonno, ansia, paura Il ruolo del follow up e della riabilitazione dopo la dimissione del paziente dalla terapia intensiva

Gli effetti

23 Dicembre 2020 – Una delle preoccupanti considerazioni derivate dalla pandemia da SARS-COV-2 è stata che il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad  una insufficienza respiratoria talora mortale, ma attacca tutti gli organi causando alcuni effetti che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.

Recentemente una pubblicazione della Rockfeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza. Altre alterazioni: riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad attacco ischemico transitorio nell’immediato ma anche nel medio-periodo legati all’alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve e/o moderata. Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante.

Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati.

Oggi c’è un farmaco che modula gli effetti della tempesta citochimica e potrebbe avere influenza anche su manifestazioni croniche.

“La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alzaha spiegato  Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.

Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze.

“Si registra una condizione di elevato impatto emotivo – ha spiegato Giancarlo Bosio, Direttore  Pneumologia Ospedale di Cremona -: la paura di infettarsi è stata elevata ma comunque minore della paura di infettare i familiari; il livello di benessere soggettivo è drasticamente diminuito e anche nella fase successiva post emergenziale non è tornata ai livelli precedenti: l’impatto emotivo è stato generalizzato e sono presenti per alcuni operatori manifestazioni persistenti degli eventi critici associate a difficoltà nel sonno e ad ansia; quasi due operatori su 3 accetta un supporto o sostegno emotivo”.

Quello che già si sta osservando negli ambulatori è una recidiva dei pazienti che hanno una sindrome dell’intestino irritabile, che hanno avuto un’infezione da Covid, l’elemento trigger che riaccende i sintomi funzionali.

Ma ci sono dei pazienti che non hanno mai avuto sintomi funzionali, hanno fatto l’infezione da Covid e sviluppano una sindrome tipica della sindrome dell’intestino irritabile, e non è una cosa nuova – ha ammesso Franco Radaelli, Direttore UOC Gastroenterologia Ospedale Valduce di Como -. Sappiamo che dopo una infezione del tratto gastroenterico circa un 10% dei pazienti sviluppa una sindrome dell’intestino irritabile post-infettiva. Il danno citopatico diretto del virus dà un’alterazione della permeabilità intestinale che dà una attivazione del sistema immunitario enterico che porta un’alterata motilità, una iperalgesia viscerale, a una disbiosi intestinale (i tre meccanismi fisiopatologici principali dei disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico). Inoltre, la sindrome post Covid è caratterizzata da un’alterazione dello stato psichico (ansia, depressione), che nel doppio legame che c’è nell’asse cervello-intestino influenza negativamente la percezione di tutti i sintomi gastrointestinali. Ci aspetteremo nel prossimo futuro proprio un aumento dei pazienti nelle cliniche dei disturbi funzionali che hanno avuto infezione da Covid”.

C’è una relazione importante tra le malattie cardiovascolari e il Covid.

Sia perché che le malattie cardiovascolari preesistenti, in qualche modo, influenzano la prognosi e la  storia clinica del paziente Covid, sia perché il Covid di per sé determina malattie cardiovascolari – ha spiegato Claudio Bilato, Direttore UO Cardiologia Ospedale “Cazzavillan” Arzignano -. Sicuramente c’è una persistenza di sintomi post Covid che sembrerebbe non riguardare almeno in gran parte la patologia cardiovascolare, ma sicuramente i danni miocardici e polmonari accusati durante l’infezione da Covid possono determinare delle sequele importanti non solo in termini di scompenso ma, per esempio, se si pensa ad una fibrosi polmonare, può determinare una ipertensione polmonare cronica, malattia che sicuramente oltre a rappresentare una prognosi compromessa peggiora anche drasticamente la qualità di vita”.

Quando parliamo di qualità di vita post Covid si devono considerare le caratteristiche cliniche dei  pazienti trattati. “Ipertesi nel 64,5% dei casi, problematiche cardiache quasi nel 29% dei casi, diabetici nel 21%, obesi nel 18,8%, con dislipidemia nel 17,7% dei casi, con problemi oncologici nel 16,7% e con problematiche neurologiche legate alla senescenza nel 50% dei casi e con terapie molto complesse nel 67% – ha snocciolato i dati Sebastiano Marra, Direttore Dipartimento Cardiologia Villa Pia Hospital Torino che, a 60 giorni dal ricovero acuto, nel programma di riabilitazione, ha registrato un buon recupero di questi pazienti “sia sui parametri oggettivi sia su quelli clinici di recupero di soggettività e di normalizzazione della vita”.

Presso l’IRCCS San Martino di Genova è stato creato un follow up a brevissimo termine per monitorare il paziente dimesso dalla terapia intensiva e sottoporlo ad un vero e proprio programma di riabilitazione intenso in cui la fisioterapia ha un ruolo fondamentale.

I pazienti vengono mantenuti dai 3 ai 10 ai 15 giorni perché almeno il 30%-35% di loro presentano ulteriori problematiche che necessitano di essere trattate in maniera molto rapida – ha spiegato Paolo Pelosi, Professore Ordinario in Anestesiologia e Rianimazione, Direttore UOC Anestesia e Terapia Intensiva IRCCS San Martino Genova -. E’ estremamente importante il monitoraggio continuo della saturazione e della fatica respiratoria e l’intubazione precoce nei pazienti con grave difficoltà respiratoria”.

E’ necessario un controllo prolungato nel tempo dei pazienti e i sistemi di telemonitoraggio, teleconsulto, teleriabilitazione possono svolgere un ruolo estremamente importante per affrontare in modo concreto questi problemi che si prolungano dopo la dimissione, considerando che non tutti i pazienti possono essere seguiti in modo ambulatoriale tradizionale –  ha spiegato Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Ovviamente è fondamentale un follow up costante che dirà, nel lungo periodo, su quali ulteriori problematiche dovremo concentrare la nostra attenzione dal punto di vista riabilitativo per restituire pienamente questi pazienti alla loro vita pre Covid”.

Invece, per affrontare le positività persistenti in pazienti e operatori sanitari, nei laboratori di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova sono stati messi a punto degli esami molecolari ulteriori per poter dare degli aiuti ulteriori ai clinici.

Il nostro obiettivo è verificare se queste bassissime positività persistenti sono legate ad un virus che è ancora in fase replicativa oppure se sono solo una scia in cui il virus non è più infettante – ha spiegato Lucia Rossi, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova -. In questi mesi, in parallelo abbiamo fatto sia le colture cellulari sia la ricerca del mRNA subgenomico – ha aggiunto Elisa Franchin, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova  -. Stiamo adottando questi tipi criteri di ricerca del campione del virus per la gestione dei pazienti  e del personale che deve rientrare al lavoro”.

A fronte di un numero importante di ricoveri negli ospedali e di ricoveri in terapie intensive, quindi di un  importante numero di pazienti che dovranno essere presi in carico dopo le dimissioni, le istituzioni devono pensare di favorire lo sviluppo di percorsi appropriati di salute nell’ambito di queste patologie – ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio Sanitari Regione Piemonte – ovvero modelli che devono partire da linee guida, che devono essere tradotti dal punto di vista organizzativo e soprattutto valutati”.

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Covid 19 e cervello: sintomi, complicanze e ripercussioni sulla gestione delle malattie neurologiche

Covid-19 e cervello

Lo studio multicentrico NeuroCOVID della Società Italiana di Neurologia sta raccogliendo informazioni sui pazienti che sono o sono stati affetti da Covid-19 per valutare possibili implicazioni a lungo termine sul cervello ed il sistema nervoso

23 Dicembre 2020 – Il Covid 19, come può colpire organi come polmoni, cuore, rene, può anche colpire il cervello e con due implicazioni nelle malattie neurologiche, manifestazioni neurologiche direttamente indotte dall’infezione e grosse ripercussioni sulla gestione delle malattie neurologiche legate all’emergenza come dimostra uno studio recentemente pubblicato che ha evidenziato gli effetti comportamentali e psicologici della quarantena nei pazienti con demenza: peggioramento di sintomi comportamentali e psicologici della demenza come apatia (34,5%), depressione (25%), ansia (29%), disturbi del sonno (24%), irritabilità (40,2%), agitazione (30,7%) e un nuovo inizio di sintomi comportamentali e psicologici della demenza quali disturbi del sonno (21,3%), irritabilità (20,6%), apatia ( 17%) e aggressività (13%).

E’ quanto è emerso durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

Sono molteplici i quadri neurologici che possono insorgere nelle varie fasi dell’infezione: sintomi a livello del sistema nervoso centrale come cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti da infezione diretta del virus o su base autoimmune, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi, spesso legati a ictus ischemici o emorragici; sintomi a livello del sistema nervoso periferico come la perdita o distorsione del senso dell’olfatto, del gusto, sofferenza diretta o su base immuno-mediata dei nervi periferici (neuralgie, sindrome di Guillan-Barrè), nonché sintomi da danno muscolare scheletrico, che si manifestano con mialgie intense, spesso correlate a rialzo di enzimi liberati dal muscolo (CPK), espressione di danno muscolare diretto.

Ma, come è stato segnalato per altri organi, si possono manifestare complicanze neurologiche post Covid: in circa il 30% dei soggetti trattati presso gli ambulatori post Covid, oltre ad astenia, che è il sintomo più comune, si è osservata difficoltà di concentrazione o veri e propri disturbi di memoria, e ora i neurologi stanno cercando di documentare quali sono le aree cerebrali che posso maggiormente essere colpite, con valutazioni neuropsicologiche o con la risonanza o con esami di imaging.

Si possono inoltre manifestare patologie neurologiche legate ad alterazioni delle pareti vasali, alterazioni della coagulazione, liberazione delle citochine pro-infiammatorie, infiammazione della parete dei vasi e la produzione di autoanticorpi.

Proprio per il rischio importante di complicanze durante l’infezione e di conseguenze anche dopo l’infezione, la Società Italiana di Neurologia (SIN) ha promosso lo studio multicentrico NeuroCOVID sulle manifestazioni neurologiche durante l’infezione con l’obiettivo di raccogliere informazioni sui pazienti che sono o sono stati affetti da Covid-19 relative alla specifica sintomatologia clinica neurologica manifestata, ad esami eventualmente eseguiti per evidenziare un interessamento del cervello e sul decorso della sintomatologia allo scopo di valutare possibili implicazioni a lungo termine sul sistema nervoso.

Lo studio è partito a marzo con l’esplosione della pandemia e il reclutamento si protrarrà fino al giugno 2021 con un follow-up che dovrebbe protrarsi fino alla fine dell’anno prossimo. Allo studio hanno già aderito 48 unità di neurologia nel territorio italiano e altre stanno chiedendo l’adesione.

Si osserva un legame della proteina Spike del virus ai recettori ACE2 e Neuropilina1, presenti sia in cellule epiteliali, che vascolari, che nervose – ha spiegato il Professor Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza -. L’ingresso del virus al cervello può essere ematogena ma soprattutto guidato dal nervo olfattorio e dal nervo vago, che innerva polmoni e l’intestino, e giunto al cervello può rapidamente diffondersi tra le varie cellule nervose, negli astrociti, e negli studi autoptici che sono stati fatti in soggetti deceduti con infezione, è stato osservato proprio il virus nelle cellule cerebrali”.

Le patologie che vengono osservate, come ad esempio le encefaliti, hanno spesso una base autoimmune. “In alcuni casi – ha proseguito il Ferraresesono legate al danno del virus, ma in molti casi si sono risolte con massicce dosi di steroidi seguite da plasmaferesi oppure da somministrazione di immunoglobuline, come accade nella malattia di Guillan-Barrè, i cui casi si manifestano a volte già all’esordio della sintomatologia Covid, a volte a distanza di tempo, quindi è come se la risposta immunitaria favorisse proprio queste patologie sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico”.

A tale proposito “l’esercizio di per sé ha un effetto terapeutico perché ha effetti di neuromodulazione e di modulazione anche della risposta immunitaria in funzione dell’intensità di esercizio – spiega Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Altro elemento da non sottovalutare in questi pazienti è la risposta del sistema vegetativo all’esercizio che è spesso alterata e che probabilmente è implicata nella sindrome da fatica cronica che stiamo osservando in questi pazienti. Questi due elementi andrebbero visti in modo molto approfonditi nel lungo periodo”.

Infine, la pandemia ha avuto una enorme ripercussione sulla gestione delle malattie neurologiche. “La chiusura degli ambulatori, soprattutto nella prima fase, la difficoltà stessa di pazienti che hanno avuto ansia a recarsi al pronto soccorso per le loro patologie e quindi non sono stati seguiti, e lo stesso lockdown che ha costretto a casa pazienti con la demenza hanno fatto registrare un netto peggioramento del quadro dei disturbi comportamentali o addirittura la comparsa di nuovi disturbi comportamentali in soggetti affetti da demenza, come testimonia uno studio recentemente pubblicato – ha concluso il Professor Ferrarese -. Stiamo cercando di attrezzarci con la telemedicina, con collegamenti via internet e telefonici, seppur non è la stessa cosa che seguire direttamente questi pazienti. Le patologie neurologiche hanno avuto un grosso impatto da questa pandemia, stiamo cercando di monitorarle e vedremo anche a distanza di tempo quale sarà lo scenario”.

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ORGANOPATIA DA SARS COV-2

organopatia

Consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire da diagnosi precoce, terapia rapida e follow-up

22 dicembre 2020 – È ormai appurato che il virus da SARS COV-2 non aggredisce solo i polmoni portando ad un’insufficienza respiratoria spesso mortale, ma attacca praticamente tutti gli organi causando in alcuni deficit che permangono a lungo e con conseguenze importanti. È il caso dei cosiddetti long-haulers, cioè persone che dopo un’infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire completamente, perché il virus persiste in piccole quantità in alcuni organi del corpo, dando origine non a una tempesta citochimica ma ad una pioggia citochimica con infiammazione permanente e se si giunge ad immunodepressione anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante. Per approfondire al meglio il tema, MOTORE SANITÀ ha organizzato il webinar ‘Organopatia da Covid-19: diagnosi, terapia e follow-up’.

Come affermato dagli esperti, in primis dal Prof. Fauci, il Coronavirus colpisce non solo le vie aree ma talora si diffonde a tutti gli organi con conseguenze che si prolungano a lungo. Sintomi come la fatica, dolori muscolari ed ossei, dispnea, diarrea e sintomi cardiaci e neurologici sono presenti soprattutto nei pazienti con alta carica virale o sottoposti a terapie ad alta intensità per vincere il contagio da SARS COV-2. In alcuni pazienti, come riportato in letteratura, il virus si occulta in alcuni organi non scatenando una tempesta citochinica ma una pioggia citochinica con uno stato infiammatorio permanente che talora riattiva la malattia prima superata a domicilio con necessità di ricovero in ospedale. D qui la necessità di analizzare le conseguenze del contagio in termini epidemiologici e assistenziali per indurre i centri e le regioni a programmare un follow up di  questi pazienti per capirne la prevalenza e l’impatto in termini di salute e sociali”, ha dichiarato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Osservatorio Motore Sanità

“Elevazione degli enzimi epatici sono comuni in corso di COVID-19, potendo essere riscontratifino al 76% dei casi. Elevati livelli di alanina aminotransferasi (ALT) e soprattutto di aspartato aminotransferasi (AST) sono le anomalie più comuni, anche se solo nei pazienti più gravi si osservano valori maggiori di 3 volte quelli normali; incremento dei livelli di γ-glutamil transferasi (GGT) possono essere riscontrati fino al 50% e della bilirubina nel 10% dei casi. La fosfatasi alcalina (ALP) è tipicamente normale nonostante il recettore ACE2 sia espresso sul 58% delle cellule dei dotti biliari. L’insufficienza epatica acuta su cronica (ACLF) segnalata già per il virus dell’influenza, è stata anche riportato nel 12% e nel 28% dei pazienti con cirrosi compensata con incremento della mortalità. I meccanismi con cui SARS-CoV-2 colpisce il fegato non sono ben definiti. Il recettore ACE2 è espresso solo nel 2,6% degli epatociti e un effetto citopatico diretto, descritto per i virus della SARS e della MERS non è stato documentato per SARS-CoV-2 anche se ci sono riscontri aneddotici alla microscopia elettronica della tipica struttura spike nel citoplasma degli epatociti. Secondo la World Gastroenterology Organization (WGO) le procedure interventistiche come l’endoscopia e la colangiopancreatografia retrograda endoscopica dovrebbero essere eseguite solo in casi di emergenza o quando sono considerate strettamente necessarie come in varici ad alto rischio o colangite. La sorveglianza del cancro epatocellulare potrebbe essere posticipata di 2 o 3 mesi. Il trapianto di fegato dovrebbe essere limitato ai pazienti con punteggi MELD elevati, insufficienza epatica acuta ed epatocellulare cancro entro i criteri di Milano. Donatori e riceventi dovrebbero essere testati per SARS-CoV-2 e se trovato positivo il donatore dovrebbe essere escluso e il trapianto di fegato posticipato fino alla guarigione dall’infezione”, ha spiegato Antonio Cascio, Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico P. Giaccone, Palermo

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Rivoluzione CAR-T in Emilia-Romagna

Rivoluzione CAR

Al Policlinico Sant’Orsola-Malpighi l’anno si chiuderà con 20 pazienti oncologici trattati. Il Covid non ferma l’attività.

Tra le sfide future il potenziamento delle CAR-T cell Team

Le CAR-T sono cure all’avanguardia, che possono dare una speranza in più ai pazienti oncologici. Cure che, per la complessità che richiedono, devono essere organizzate da centri selezionati e di altissima competenza. Queste CAR-T innovative sono arrivate in Regione Emilia Romagna nel 2019 dopo l’approvazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e la Regione da subito ha messo a disposizione l’esperienza, la qualità e la professionalità del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi – Unità Operativa Complessa di Ematologia per eseguire queste immunoterapie cellulari, che possono dare risposte di lunga durata, in alcuni casi anche la guarigione, in pazienti nei quali la malattia non è più curabile con le terapie convenzionali.

Motore Sanità ha organizzato, in Emilia-Romagna, il Webinar ‘BEST PRACTICE ORGANIZZATIVE IN TEMPO DI COVID: IL PERCORSO DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A CAR-T’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD e Kite.

Il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi è il centro Hub per l’Emilia-Romagna nell’utilizzo delle terapie avanzate CAR-T. È uno dei primi centri italiani che sono stati selezionati per condurre studi clinici sperimentali per le indicazioni approvate e per quelle future (mieloma multiplo). L’AIFA già dallo scorso settembre ha approvato i criteri per l’individuazione dei centri ospedalieri idonei alla somministrazione di queste terapie, non più in modalità sperimentale ma ordinaria. In base all’evoluzione delle cure e della numerosità dei pazienti da trattare, la Giunta regionale valuterà successivamente l’eventuale individuazione di altri centri regionali abilitati all’utilizzo delle terapie CAR-T.  L’anno 2020 si chiuderà con un totale di 20 pazienti a cui CAR-T sono state infuse (alcuni da studio clinico). Durante la prima ondata della pandemia si è registrato purtroppo un rallentamento negli arruolamenti; ma da settembre sono state schedulate 3 aferesi al mese, dal secondo trimestre 2021 saranno 4 al mese, andando a coprire i fabbisogni previsti dalla programmazione regionale. Tra le sfide future: fondamentale è il potenziamento delle CAR-T cell Team nell’organizzazione all’interno del centro Hub.

Il modello di base è quello dell’organizzazione a rete. Con la delibera è stato assegnato al centro Hub l’obiettivo di definire un protocollo di selezione e presa in carico dei pazienti candidati alle terapie avanzate ed è stata istituita un’apposita Commissione di esperti, con il compito di valutare la casistica e la qualità del percorso delle procedure CAR-T eseguite, anche per l’assunzione di eventuali provvedimenti aggiuntivi, nonché di definire la gestione dei tempi di attesa sia per i pazienti residenti in Regione sia per i pazienti provenienti da altre regioni (con il supporto prezioso di Casa Ail). Il processo è facilitato da uno strumento gestionale di tipo informatico che ha collegato i centri Spoke, otto sedi ematologiche in totale sul territorio regionale, al centro Hub, rendendo questa attività possibile online in ogni momento al fine di condividere l’eleggibilità al trattamento.

Per il paziente è stato creato un vero e proprio percorso: presa in carico e responsabilità, comunicazione delle interfacce, ambiti applicativi e standard of care, identificazione degli steps a maggior rischio, controllo (verifica) del processo.

Durante la pandemia è stato istituito un percorso ad hoc Covid-free per i pazienti sottoposti a terapia CAR-T. Il Covid ha influenzato certamente l’attività delle CAR-T ma ha permesso di costruire lo scheletro dell’organizzazione regionale che permetterà anche a regime di rispondere in maniera esaustiva alla domanda regionale e anche extra regionale. La Regione Emilia Romagna, dall’inizio della fase 1, ha individuato delle indicazioni per la gestione delle terapie e dei trapianti indifferibili nei pazienti ematologici. Insieme alla comunità professionale, a metà marzo, sono state emesse indicazioni per garantire la conservazione dei trattamenti trapiantologici come salvavita, sia autologi sia allogenici e anche di CAR-T, ritenuti indifferibili, in relazione ad una valutazione del rapporto rischio-beneficio, e anche degli elementi correlati all’immunodepressione. Questa condivisione di indicazioni ha permesso di arrivare ad approcciare il tema dei trapianti e delle CAR-T in maniera condivisa e omogenea anche nelle fasi successive.

Se i CAR-T diventeranno, come speriamo, una risorsa terapeutica in grado di cambiare  radicalmente la storia di quei pazienti che attualmente non hanno alternative terapeutiche, probabilmente solo il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi potrebbe non essere sufficiente a soddisfare i bisogni dell’intera regione e quindi potremmo essere un secondo centro se ce ne sarà bisogno. Questo lo valuteremo nel tempo insieme al centro e alla Regione” ha spiegato Giuseppe Longo, Direttore SC Medicina Oncologica Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena e Coordinatore clinico Gruppo Regionale Farmaci Oncologici di Regione Emilia-Romagna.

“A volte ci troviamo di fronte a scelte difficili e a situazioni mai viste prima – ha concluso  Francesca Bonifazi, Dirigente Ematologia Policlinico S. Orsola Malpighi – Istituto di Ematologia L. e A. Seragnoli Bologna – ma certamente la collaborazione con gli altri colleghi e poi l’intuito clinico, la continua ricerca scientifica e le relazioni umane sono fondamentali per affrontare questa grande e nuova sfida”.

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