17 ottobre 2022 – L’Emilia Romagna spende per la salute mentale il 3.6% del Fondo sanitario regionale, pari a 285 milioni di euro, mentre la spesa media nazionale è del 2,9%. Ma le conseguenze del persistere dello stigma, con stili di vita sbagliati e ritardo nell’accesso alle cure, incidono sulla durata della vita dei pazienti con disturbi psichici, che hanno una mortalità per infarto e tumore 2,6 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Questi dati sono emersi dalla ricerca progettata dal Professor Domenico Berardi della Clinica Psichiatrica dell’Università di Bologna, realizzata in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, l’Università di Bologna e del sistema informativo regionale. La ricerca, iniziata nel 2008 e terminata nel 2018, ha coinvolto 200mila pazienti e ha evidenziato un’emergenza: i pazienti con disturbi psichiatrici hanno un’attesa di vita decisamente inferiore rispetto alla popolazione generale e si ammalano in particolare di patologie tumorali che sono addirittura correlate con i diversi quadri dei disturbi psichiatrici che gli specialisti trattano. L’utilizzo del sistema informativo ha consentito di ricavare il tasso di mortalità dei pazienti psichiatrici. Nelle altre regioni probabilmente non andrà meglio e tale preoccupante analisi mette in discussione il concetto di equità e universalità, principi fondanti del servizio sanitario nazionale. Se n’è parlato nell’evento “SALUTE MENTALE: COME SUPERARE LO STIGMA IN SANITÀ” organizzato da Motore Sanità con gli esperti del settore, i rappresentanti dei cittadini e le istituzioni.
Il quadro è allarmante. Da inizio 2021 al 31 agosto di quest’anno si contano 413 suicidi e 348 tentativi, secondo l’osservatorio suicidi della Fondazione Brf – Istituto per la ricerca in psichiatria e neuroscienze, pubblicati alla vigilia della giornata mondiale per la prevenzione del suicidio.
Le difficoltà psichiatriche gravi dopo la pandemia Covid, come la depressione, l’autolesionismo, le psicosi, i disturbi alimentari, negli adolescenti italiani sono incrementati del 30% e il 41% risulta a rischio di sviluppare problematiche psicologiche. Un adolescente su 4 soffre di depressione, il 16% ha disturbi alimentari, ha ideazioni suicidarie e va incontro ad autolesionismo. Le donne hanno più possibilità di sviluppare conseguenze psichiatriche perché a loro viene chiesto di svolgere più funzioni, genitoriali, famigliari, lavorative. Infine, l’isolamento sociale, l’ansia, la solitudine, la paura prolungata e la conflittualità famigliare alla lunga possono cronicizzarsi e svilupparsi in forme più severe.
“Le patologie psichiatriche comportano notoriamente esiti di sofferenza, di non o di difficile integrazione sociale, ma anche un peggioramento della salute in generale e addirittura una riduzione importante dell’aspettativa di vita, mediamente è di 10 anni minore rispetto alla popolazione generale – ha spiegato Domenico Berardi, Cattedra di Psichiatria dell’Università di Bologna -. Questo
studio permette di analizzare la mortalità in tutti i tipi di patologie psichiatriche, che è raro in letteratura internazionale. Lo studio ha evidenziato che ci sono stati 6mila decessi in più rispetto a quelli che avrebbero dovuto esserci”.
Secondo il professor Berardi esiste una ampia variabilità di questo valore che è rapportabile alle condizioni sociali. “Ci sono delle province della Regione dove ci sono aree di deprivazione, come per esempio la zona del Po, dove la mortalità è più alta, mentre in zone in cui i servizi di salute mentale sono più ricchi il tasso di mortalità è minore, in particolare a Bologna dove la convergenza tra l’Università e il servizio di salute mentale porta ad una forza maggiore del sistema. Insomma, ci troviamo davanti a delle emergenze nuove che riguardano i giovani con disturbi di personalità e i disturbi depressivi, dove il tasso di mortalità è elevato. Stiamo cercando di dialogare con gli oncologi e con le direzioni sanitarie per capire meglio quali sono i percorsi da intraprendere e quali sono le popolazioni più a rischio rispetto all’esecuzione degli screening, alla compliance terapeutica per evirare questo eccesso di mortalità”.
“Questa ricerca ci parla non solo dei bisogni dei pazienti ma anche dei bisogni dell’innovazione tecnologica all’interno dei nostri servizi che è necessaria per aprire quei ponti che sempre di più servono per realizzare una salute mentale che non sia solo di settore ma sia centrata sulla presa in carico della persona. Per realizzare questo, il dipartimento di salute mentale ha bisogno di andare avanti, di dotarsi di migliori tecnologie, e a tale proposito la Regione Emilia Romagna si è dotata negli ultimi tre anni di una cartella clinica informatizzata, che consente l’integrazione tra le diverse unità operative del dipartimento di salute mentale, e ha inoltre la cartella unica Cure che permette un miglioramento della comunicazione interna tra salute mentale adulta, servizi per le dipendente patologiche e neuropsichiatria infantile. Pertanto, la circolazione dei dati, l’informazione, la comunicazione assumono un valore decisamente strategico per il superamento dello stigma per l’affermazione della salute mentale dei nostri assistiti” ha spiegato Michele Sanza, Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Forlì Cesena.
Sullo stigma è intervenuto Enrico Zanalda, Copresidente Società di Psichiatria: “Lo stigma è una grave problema e lo stigma in salute mentale determina un ritardo nella diagnosi e presa in carico delle patologie fisiche e psichiche dei nostri pazienti. La morbilità fisica e la mortalità sono maggiori nelle persone che soffrono di patologia mentale. I nostri pazienti a causa dello stigma hanno un’attesa di vita inferiore alla popolazione di controllo. Gli stessi operatori sanitari sono meno solerti nel trattare pazienti con sintomi psichici poiché non li ritengono molto attendibili e ne sottovalutano la differenza. Questo atteggiamento di diffidenza ed evitamento degli operatori della sanità è direttamente proporzionale alla gravità della sintomatologia psichica del paziente. Dobbiamo riuscire a cambiare la comunicazione e il modo di chiedere le cose di cui c’è bisogno quando si parla di salute mentale”.
“Su queste tematiche – ha sottolineato Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità Regione Piemonte – è importante fare ricerche sempre rigorose e sensibilizzare le persone e le istituzioni per superare lo stigma sociale. La sofferenza psicologica è una componente umana frutto di tanti fattori, anche di ordine sociale ed economico e questo, sicuramente, nei prossimi mesi si accentuerà. Le istituzioni, come la stessa Regione Piemonte, si sanno impegnando per misurare il problema, il fabbisogno e per capire quali possono essere le soluzioni da mettere a terra al di là delle decisioni prese dal governo per dare supporto alla popolazione a livello territoriale. È importante calibrare e modulare bene la programmazione di queto tema nei prossimi anni”.
Maurizio Cancian, Presidente SIMG-Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie del Veneto ha evidenziato il ruolo della medicina di famiglia e delle cure primarie nel campo della
salute mentale. “Il 25-35% della popolazione generale soffre di disturbi psichici, un bisogno assistenziale che trova risposta prevalentemente dalla medicina di famiglia e cure primarie, mentre solo l’1-2% della popolazione accede a servizi specialistici – ha spiegato Cancian -. Sono trascorsi più di 20 anni da quando la SIMG ha avviato iniziative di riorganizzazione e formazione volte a favorire la migliore integrazione tra medici di medicina generale e Dipartimenti di salute mentale, promosse e coordinate da Giuseppe Leggeri, valoroso medico di medicina generale prematuramente scomparso. Solo in poche regioni questa sollecitazione è stata raccolta e almeno parzialmente portata a sistema, mentre le crisi finanziarie, la pandemia e ora la guerra in Europa hanno moltiplicato i bisogni della popolazione”. Secondo il presidente Cancian, “ora più che mai è necessaria una profonda riorganizzazione della medicina generale che liberi tempo per i medici e grazie a risorse aggiuntive promuova modelli di integrazione tra medicina di famiglia e servizi di psichiatria funzionali a una più efficace presa in carico delle persone con disturbi psichici, tali modelli dovrebbero essere incentrati su 3 punti principali: individuare e formare operatori sanitari con funzione di collegamento tra i gruppi di medici di medicina generale e i servizi di salute mentale; adozione di un modello per livelli di assistenza, come promosso dalle linee guida Nice, e localmente già attivo in alcune regioni italiane; programmi di formazione intensiva a livello di Gruppi di medici di medicina generale, condotti da medici di medicina generale esperti e formatori, inclusi incontri con discussione dei casi e dei percorsi di cura”.