Tivoli, 13 luglio 2022 – L’emergenza Covid-19 ha messo in evidenza la necessità di creare delle infrastrutture tecnologiche avanzate che permettano alle Università e agli istituti di ricerca e alle industrie farmaceutiche di effettuare una sperimentazione medico-biologica innovativa e in tempi rapidi, usando strumenti moderni e laddove necessario, di svilupparne ad hoc, per far fronte ad emergenze come l’attuale procurata dal Covid-19. La messa a punto di terapia accurata e di una cura passano dall’invenzione di una molecola o del giusto mix di quelle già esistenti e terminano con i test clinici, attraversando diversi passaggi intermedi, tra cui la sperimentazione animale, che ne moltiplicano i costi e i tempi. Una possibile strategia per ovviare a questi problemi, che sta emergendo prepotentemente in questi anni, prende il nome di approccio “organ-on-chip (OOC)” e consiste nel ricreare parti significative di organi o tessuti su piccoli chip microfluidici (comunemente detti Lab on chip, da cui l’acronimo LoC) che integrino, almeno in parte, la complessità del sistema umano, utilizzando, ove possibile, cellule primarie da donatore umano, e diano luogo ad un modello controllato, parametrizzabile e misurabile. Un approccio come questo permette quindi di rappresentare microambienti sperimentali molto più biologicamente e fisiologicamente simili alla clinica di quelli usati nei test fatti fino ad ora e con la possibilità di ottenere nuove e più estese tipologie di informazione.
Ne ha parlato Eugenio Martinelli, Professore presso il Dipartimento di Ingegneria Elettronica all’Università Tor Vergata in occasione della MIDSUMMER SCHOOL 2022 – La diagnostica integrata al servizio del paziente” di Motore Sanità, organizzata con il contributo incondizionato di Technogenetics, Abbott, Becton Dickinson, Siemens Healthineers, Stago Italia, Medical Systems e Mindray.
Dunque, ecco cos’è la tecnologia organ-on-chip (OOC). “La tecnologia OOC nasce dalla sinergia di diverse discipline, ognuna delle quali risulta fondamentale per la completa riuscita di una tale metodica – ha spiegato il professor Martinelli -. La progettazione, nonché l’utilizzo di OOC richiede, oltre alle competenze biomedicali, necessarie per il popolamento e l’implementazione delle condizioni di sussistenza di questi ambienti microfluidici, di uno specifico know-how proveniente dal campo dell’ingegneria elettronica e biomedica. Affinché le informazioni ottenute da un OOC siano messe a piena disposizione della ricerca medica e farmaceutica, occorre codificarle in risultati tangibili tramite piattaforme software dedicate (Machine Learning, Artificial Intelligence, video analysis, etc.)”.
Le nuove tecnologie, sia in termini di dispositivi di monitoraggio, che di algoritmi di machine learning, permetterebbero di ottenere dagli OOC risultati più rapidi, più informazioni, più test. “Cruciale – ha proseguito Martinelli – è la possibilità fornita da questa metodologia di condurre esperimenti in maniera massiva e parallela al fine di sperimentare in tempi brevi più cocktail farmacologici, composti molecolari e sistemi integrativi, scartando rapidamente le soluzioni inefficaci per una specifica condizione patologica testata. In una visione più generale, un OOC si sviluppa quindi in un “laboratory on chip”, un laboratorio in cui i ricercatori biomedici possono studiare ex-vivo il comportamento di cellule (tessuti) vive che si muovono e interagiscono con un determinato microambiente ricostituito per lo scopo sperimentale e terapeutico”.
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