Gli esperti: «Serve più informazione sui farmaci equivalenti tra medici, farmacisti e pazienti» 16 Dicembre 2020 – L’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso, pari al 39,6%, rispetto ad altri paesi come Gran Bretagna (53,2%), Germania (45,7%), Francia (45,5%), Spagna (42,3%) e anche rispetto ai farmaci di marca. Nel 2019, l’83,7% di farmaci utilizzati dal sistema sanitario italiano nella farmaceutica convenzionata sono equivalenti, di cui il 53% sono farmaci a brevetto scaduto generici branded e il 30,6% equivalenti. La diffidenza che ferma il mercato italiano all’utilizzo dei farmaci equivalenti ha una duplice natura economica: più è alta la quota di generici puri maggiore è la riduzione di prezzo successiva e più è forte la concorrenza nella riduzione del prezzo (e AIFA rimborserà il prezzo di riferimento che è il generico meno caro); la compartecipazione alla spesa sostenuta dai cittadini (ticket sulla farmaceutica) oggi in Italia ammonta a 1,6 miliardi di euro (15,8% della spesa farmaceutica convenzionata) di cui il 70% è data dalla differenza di prezzo tra il medicinale a brevetto scaduto branded prescritto e il prezzo di riferimento definito dalle liste di trasparenza AIFA, con un valore di spesa pari a 1 miliardo 126 milioni di euro, in crescita del + 7,2% rispetto all’anno precedente. La stessa compartecipazione alla spesa, purtroppo, è anche un freno all’aderenza alle terapie da parte del cittadino. È questo lo scenario emerso durante il webinar “Farmaci equivalenti. Opportunità clinica ed economica. Come proporli in maniera corretta”, organizzato da MOTORE SANITÀ, in collaborazione con Mondosanità e con il contributo incondizionato di TEVA.
“I farmaci equivalenti rappresentano uno strumento che permette di ottimizzare la spesa farmaceutica non tanto bloccando i consumi, imponendo sconti o tagliando i prezzi, ma mirano ad aumentare l’efficienza del sistema, cioè a dare più salute a parità di risorse spese, attraverso il ripristino della concorrenzialità e stimolando la price competition dei produttori – ha spiegato Giorgio Colombo, Direttore Scientifico Cefat Centro di Economia e valutazione del Farmaco e delle Tecnologie Sanitarie, Università degli Studi di Pavia -. A titolo di esempio, dalla scadenza del brevetto il principio attivo telmisartan ha ottenuto una riduzione del 70% del prezzo, ciò significa che oggi possiamo trattare lo stesso numero di pazienti con telmisartan risparmiando il 70% di spesa, oppure possiamo trattare più pazienti a parità di spesa”.
Ma c’è un aspetto da considerare. “Un miliardo 126 milioni di euro è il valore del ticket che i cittadini pagano per avere un farmaco generico branded, mentre un farmaco equivalente sarebbe offerto ad un prezzo gratuito dallo Stato, ma questo i cittadini non lo sanno. Il semplice stimolo dal lato dell’offerta non è sempre sufficiente a permettere una buona diffusione del farmaco equivalente, solo le nazioni che hanno seguito una politica riguardante anche il lato della domanda (paziente e medico prescrittore) sono riuscite ad aumentare la cultura a favore del farmaco equivalente puro e di incrementare la vendita di farmaci equivalenti. Credo – ha aggiunto Colombo – che sia necessario, in un momento in cui le risorse sono scarse, prima di tagliare la spesa per l’assistenza sanitaria, guardare in primo luogo alle opportunità per migliorare l’efficienza. Tutti i sistemi sanitari ovunque potrebbero ottenere un migliore utilizzo delle risorse attraverso migliori pratiche di acquisto, un uso più ampio di prodotti generici, migliori incentivi per fornitori o procedure amministrative di finanziamento semplificate”.
La compartecipazione alla spesa è anche un freno all’aderenza alle terapie da parte del cittadino. Lo dimostrano diversi studi internazionali. “I risultati dimostrano che quando si cambia la rimborsabilità del farmaco si assiste in tutte le aree terapeutiche ad una riduzione di aderenza alla terapie e accade soprattutto ai soggetti che devono affrontare pluri-terapie al mese – ha concluso Giorgio Colombo -. In questi casi si può arrivare a spendere cifre che vanno oltre i 20-30 euro di compartecipazione e quando si superano queste cifre si assiste sempre e comunque a delle modifiche di aderenza delle terapie da parte di pazienti. La compartecipazione dunque non è semplicemente un problema di ticket, diventa anche un problema di pagamento, che il cittadino può evitare, e anche un problema clinico”.
Francesca Moccia, Vice Segretaria Generale Cittadinanzattiva è stata altrettanto chiara. “Il messaggio non è sempre così univoco, i cittadini colgono queste contraddizioni se non c’è una fiducia nei confronti di medico e farmacisti. Informazione corretta e consapevolezza non significa convincere ma spiegare che esiste la possibilità di scelta. Dobbiamo semplificare la vita alle persone, trovando soluzioni nuove”.
Fin dal 2001 le farmacie hanno dato un contributo notevole alla conoscenza e alla diffusione dei farmaci equivalenti, fornendo quotidianamente ai cittadini informazioni utili a fugare dubbi sulla loro sicurezza ed efficacia. “Purtroppo, talvolta, registriamo ancora resistenze di carattere culturale: alcuni cittadini sono convinti che il prodotto di marca sia più efficace – ha spiegato Marco Cossolo, Presidente Federfarma Nazionale -. Per sfatare simili pregiudizi è necessario che tutti gli operatori sanitari operino in sinergia e diffondano un messaggio univoco, mettendo il paziente al centro di un processo di crescita culturale, basato su un flusso di comunicazione coerente. Le 19 mila farmacie italiane confermano il proprio impegno sul territorio con l’obiettivo di diffondere capillarmente una corretta informazione sull’utilizzo dei medicinali equivalenti”.
Il cittadino vuole essere certo di trovare in farmacia il farmaco di cui ha bisogno, indipendentemente dalla farmacia in si trova e dal costo che dovrà sostenere. “Il 27% delle persone sono affette da malattie croniche e non si preoccupano di guardare cosa c’è nella scatola, danno per scontato che ci sia un prodotto che qualcuno garantisce – ha spiegato Claudio Cricelli, Presidente SIMG -. Credo che bisogna superare le polemiche “farmaci costosi e farmaci meno costosi” ma bisogna considerare quali sono le ragioni per cui il cittadino, molto più che il medico, scelga per esempio di acquistare un farmaco con il nome commerciale, pagando un differenziale di prezzo: è solo una dinamica che riguarda la sua capacità economica. Quindi non si tratta di liberare risorse ma di spostare delle risorse. La scelta da parte del cittadino di un farmaco branded è legata a consuetudini e a considerazioni pratiche, la più frequente delle quali è quella per cui dovunque vada è certo che lo troverà, mentre il farmaco generico cambia di farmacia in farmacia. In quanto al costo, il differenziale è del 15%-20%, non c’è un abisso tra farmaco generico e farmaco branded”.
Secondo Carmelo Pullara, Vicepresidente VI Commissione Salute, Direttore Generale Territoriale Regione Siciliana i medici di medicina generale, come soggetti erogatori, costituiscono il primo front line per i pazienti e il concetto di spesa e approccio di questi farmaci. “Solo il medico di medicina generale può dare fiducia al paziente sull’utilizzo dei farmaci equivalente. Ma non c’è solo l’importanza da un punto di vista clinico, c’è anche a livello economico perché il loro utilizzo ci può consentire di recuperare delle risorse da reinvestire all’interno del sistema per innalzare la qualità dell’assistenza sanitaria ospedaliera e territoriale”.
Da parte dei medici ospedalieri arriva un appello. “Non esiste un problema di qualità per i farmaci equivalenti ma di cultura e di informazione sul quale lavorare perché chi perde, molto spesso, è il paziente – ha spiegato Francesco Dentali, Presidente Eletto FADOI -. E’ necessaria una campagna di informazione verso il paziente e di informazione e di formazione verso i medici che seppur in percentuali basse, quando il paziente viene dimesso dall’ospedale gli consigliano di acquistare un farmaco griffato”.
Image by Eugeniusz Dudzinski