Rischio cefalee per medici e infermieri che usano i DPI

Rischio cefalee

Purtroppo è alto il rischio cefalee per chi usa tanto i dispositivi di protezione individuale. Da quando il Covid-19 ha fatto la sua comparsa sono numerosissimi gli studi che ne cercano di identificare gli effetti clinici e sociali del virus e di tutto ciò che ne è scaturito, come lockdown e utilizzo di dispositivi di sicurezza individuale. Da poco è stato reso noto una ricerca che è andata ad analizzare il collegamento tra coronavirus e cefalee.

Rischio cefalee: le ricerche dell’Università de l’Aquila

Secondo quanto emerso dallo studio presentato da Simona Sacco, professore ordinario di Neurologia presso l’Università dell’Aquila, l’utilizzo prolungato di dispositivi di protezione e il distanziamento sociale possono causare un peggioramento della cefalea. Il mal di testa di per sé è uno dei sintomi che spesso accompagna i pazienti infettati dal Covid-19 ma la cefalea può essere però anche associata all’uso di mascherine professionali, occhiali protettiti e visiere.

La causa va identificata nella compressione prolungata di cinturini stretti intorno alla testa, dalla difficoltà respiratoria e dalla ridotta capacità visiva. Tutti fattori di stress a cui gli attori del sistema sanitario sono sottoposti anche quattordici ore al giorno.

Ad essere a rischio di cefalee sono quindi i medici e gli infermieri che da mesi devono utilizzare una moltitudine di DPI (dispositivi di protezione individuale) ma anche tutti quei lavoratori che dovendo stare a contatto con il pubblico devono indossare mascherine per lunghi periodo di tempo. C’è poi da considerare l’impatto del distanziamento sociale che può essere fonte di stress e quindi di cefalee.

Thomas Riccardo

Test sierologici a Torino e Novara, positivo il 5,5%

Test sierologici

Per effettuare una mappatura epidemiologica importante, su un campione rappresentativo di cittadini, volontari di associazioni e dipendenti di municipalizzate che hanno svolto servizi di utilità pubblica durante il periodo di lockdown, sono stati effettuati test sierologici a Torino e Novara realizzati dal laboratorio B-Life.

Questa tipologia di iniziativa e nello specifico la volontà di effettuare uno screening è stata una scelta mai fatta da nessun Paese europeo.

I numeri analizzati hanno reso noto che 331 su 6005, ovvero il 5,5%, delle persone testate hanno dato esiti positivi. Nello specifico, 207 su 4.826 a Torino (4,8%), 124 su 1.179 (10,5%) a Novara.

L’assessore alla Ricerca, Matteo Marnati, spiega come i dati ottenuti dai test sierologici effettuati da B-Life, durante l’emergenza Covid in Piemonte, dimostrino lo straordinario lavoro e sforzo fatto dalla Regione e dai cittadini piemontesi. Su una popolazione di 4,3 milioni di abitanti, i cittadini piemontesi che potrebbero essere potenzialmente positivi, non supererebbero le 235.000 persone.

L’iniziativa del laboratorio B-Life, il testare i cittadini di Torino e Novara dalla metà del mese di giugno 2020, è stata condivisa e finanziata dall’ESA – Agenzia Spaziale Europeadall’Università Cattolica di Louvain (Belgio), dal Governo del Lussemburgo e dal Rotary internazionale.

La scelta di effettuare test sierologici sui cittadini della Regione Piemonte, non è certamente stata casuale, infatti, è stato scelto un territorio che facesse parte di una zona fortemente colpita dalla pandemia da Coronavirus dal mese di febbraio 2020.

La volontà è quella di mappare la diffusione del COVID-19 su un campione che sia assolutamente rappresentativo, così da avere una descrizione epidemiologica di individui che nell’ultimo periodo hanno vissuto in una zona fortemente colpita, a maggior ragione persone costrette a dover lavorare nel periodo di lockdown e quindi rischiare di stare a contatto in modo assai ravvicinato con il rischio di essere contagiati.

Stefano Sermonti