Diabete Italia: “Ruolo chiave dell’infermiere nel riconoscere la malattia fin da piccoli, con sete e pipì è subito allarme”

Diabete Italia

In Italia il diabete di tipo 1 colpisce 500mila persone e oltre 3milioni e mezzo il tipo 2

13 novembre 2020 – In occasione della Giornata Mondiale del diabete, Diabete Italia Onlus insieme a Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk, AstraZeneca e MSD, ha riunito gli esperti della patologia per fare il punto sulla situazione italiana. Ancora troppe le persone, bambini e adulti che non sanno di avere la malattia: per combatterla nel migliore dei modi è ormai riconosciuto da tutti che è fondamentale affrontare il diabete rivolgendosi ad un team multidisciplinare completo, dal diabetologo al medico di base, dallo psicologo al podologo, ma la figura dell’infermiere deve fare da collante nel percorso di cura che il paziente affetto deve affrontare per sconfiggere il diabete.

“Sicuramente il 2020 lo ricorderemo come l’anno della pandemia: questo virus Covid-19, oltre ad aver provocato direttamente la morte di migliaia di persone, ha causato anche un rallentamento nelle cure delle malattie croniche come il diabete. Ma chi ha il diabete deve fronteggiarlo quotidianamente e la difficoltà in questi mesi è stata di conciliare l’urgenza delle disposizioni anti-Covid con la regolarità delle cure per le cronicità. Il diabete non ci abbandona purtroppo ed è necessario poter contare anche su cure certe e continuative. In Italia 1 diabetico su 3 non sa di esserlo. Cosa vuol dire questo? Che purtroppo questi malati senza cure necessiteranno di più attenzioni una volta che il loro quadro clinico si aggraverà e questo è un fattore da evitare sia per il paziente sia per la spesa sanitaria nazionale.  I numeri del diabete sono in salita e per evitare un’impennata deve per forza entrare in gioco la prevenzione: adottare uno stile di vita sano, ovvero mangiare bene e fare movimento. Oltre a questa grande fetta di “ignoti” al sistema sanitario nazionale, voglio anche ricordare che purtroppo nel nostro Paese di diabete di tipo 1 si muore ancora. Più o meno ogni anno, purtroppo, si presentano casi di minori ai quali non era stata diagnosticata la malattia diabetica e che sono deceduti. Terribile. Fatti gravi che non devono mai più ripetersi. I sintomi che devono far scattare l’allarme e che possono essere indicatori della malattia sono una gran sete e di conseguenza l’aumento dello stimolo a urinare. Se sono presenti questi due segnali è meglio avvisare subito il proprio medico curante e approfondire la propria situazione di salute”, ha dichiarato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“The nurse makes a difference, è il tema di questa giornata e, l’infermiere proprio perché ha un ruolo chiave nella gestione del diabete, può fare la differenza quando con competenza, attraverso l’educazione terapeutica permette, alla persona con diabete di assumersi la responsabilità della cura e ottenere e mantenere una migliore qualità di vita. Ma l’infermiere, in considerazione del fatto che l’attenzione e le risorse si focalizzano obbligatoriamente sulla pandemia Covid-19, deve essere oggi il professionista indispensabile e determinante, oltre che nella gestione, nella prevenzione e nell’ informazione, deve esserlo nel riconoscimento precoce delle emergenze della malattia diabetica quali il non sottovalutare nel diabete 1 il sintomo “tanta sete tanta pipì” che può portare alla chetoacidosi fino al coma del bambino o il non riconoscere la sintomatologia relativa alla ipoglicemia”, ha detto Carolina Larocca, Presidente OSDI (Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani)

Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo

Ero malato di diabete

13 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di  73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk ed AstraZeneca, nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti. Durante questo webinar si è puntato i riflettori sulla grande problematica dei moltissimi cittadini che soffrono di diabete ma non ne riconoscono i sintomi e quindi non ne possono avere una diagnosi dei medici.

Se un adulto è più facilmente in grado di notare da solo i sintomi del diabete nel caso del diabete pediatrico è necessario che i genitori siano informati di quali sintomi non vanno sottovalutati, come spiegato da Angela Zanfardino, Dipartimento Pediatria Servizio Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”, Napoli: “Noi non possiamo prevenire il diabete di tipo1, quindi la diagnosi precoce non è possibile. Quello che è possibile fare è invece una diagnosi precoce per prevenire la chetoacidosi che è la complicanza più frequente all’esordio di diabete tipo 1. Questa complicanza presenta sintomi molto semplici e banali come il bere tanto ed urinare molto vengono molto spesso sottovalutati dai familiari. Se questi sintomi vengono sottovalutati i medici non possono arrivare ad una diagnosi portando a tantissimi gravi casi che portano anche alla morte del bambino”.

L’educazione dei cittadini nel riconoscere i sintomi del diabete un ruolo fondamentale viene svolto dalle associazioni come spiegato da Riccardo Trentin, Vice Presidente Diabete Forum: “L’associazionismo nel campo del diabete in Italia ha aiutato a raggiungere dei risultati veramente incredibili. L’associazionismo dovrebbe quindi essere considerato come una componente strategica molto importante nell’organizzazione di un sistema sanitario nazionale. Infatti se andiamo ad osservare i sistemi sanitari regionali quelli più performanti sono quelli in cui la persona con diabete viene posta al centro dell’attenzione”.

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Conoscere il diabete fuori dal mondo diabete

Conoscere il diabete

12 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di 73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Conoscere il diabete fuori dal mondo diabete”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk e AstraZeneca nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti.

“Nell’ambito ospedaliero è ora di smetterla di considerare il paziente diabetico alla periferia del cerchio – dichiara Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso Università di Padova – ma deve essere il centro del cerchio. I centri diabetologici devono quindi essere il luogo dove convergono tutti gli specialisti dedicati alla terapia del paziente diabetico. Un altro punto interessante è che le complicanze croniche del diabete sono molto cambiate rispetto al passato. Oggi prevale di più la complicanza legata al disfacimento delle grandi arterie, quindi non riusciamo ancora a controllare tutti gli altri fattori di rischio che  sono legati alla malattia diabetica come ipertensione e obesità”. L’esperto ha voluto anche fare chiarezza su una fake news che spesso gira sui social network. Infatti, fin troppo spesso si parla di terapie con cellule staminali “Bisogna essere chiari che per questo genere di terapie – sottolinea Avogaro – serviranno probabilmente altri 10-20 anni per essere effettive, la letteratura indica che ancora molta strada deve essere fatta per il trattamento per il diabete”.

Alcuni degli aspetti più importanti della malattia diabetica sono l’altro impatto sociale che comporta per i pazienti e l’importanza con la quale i determinanti sociali influiscono su questa malattia. “Il ‘Piano nazionale del Diabete’ ha voluto dare importanza al diabete – afferma Paola Pisanti, Consulente Esperto Malattie Croniche, Ministero della Salute – che è una malattia non trasmissibile, cronica e con complicanze. Il piano diabete ha provato a lavorare a 360° sui bisogni complessi del paziente, non soltanto gli aspetti clinici ma cercando di ridurre il peso sociale della mattia provando ad intervenire sulle diseguaglianze sociali. Uno degli aspetti fondamentali sono inoltre i cosiddetti determinanti sociali. Nel piano diabete c’è un approfondimento di tutti gli aspetti sociali e ha posto come obiettivo quello di garantire, nella fase evolutiva del paziente, le stesse opportunità dei coetanei e prevenire i disturbi psicosociali che possono creare le discriminazioni. I pregiudizi sulla malattia purtroppo esistono ancora”

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DIABETE E COVID. L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

diabete e covid

11 novembre 2020 – In Italia il 3% delle persone tra i 35 e i 69 anni ha il diabete, ma non sa di averlo. Questa malattia è una malattia silenziosa e quando la si scopre può aver già creato gravi danni. La prevenzione, la diagnosi e la cura sono ovviamente più difficoltose in questo periodo di Covid. Questo è quanto emerso nella conferenza stampa “Diabete e Covid. L’importanza della prevenzione” organizzata da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità. Il diabete è una patologia con cui possiamo convivere e che si può prevenire, ma è fondamentale una maggiore informazione e consapevolezza da parte di tutti i cittadini. Anche in epoca Covid non bisogna abbassare la guardia: le persone con diabete devono misurare costantemente la glicemia e devono rivolgersi in caso di dubbi al proprio medico di fiducia e allo specialista.

“Le persone che soffrono di diabete non hanno un rischio aumentato di incontrare il virus, se naturalmente rispettano tutti i giusti comportamenti di prevenzione, ma hanno un rischio di maggiore gravità della malattia in caso di contagio. I diabetici quindi sono da considerarsi persone più fragili anche perché spesso esprimono un’età avanza e altre patologie ponendoli una posizione di rischio in caso di contagio. I pazienti diabetici però oltre a tutti i comportamenti come il mantenere il distanziamento sociale, indossare la mascherina, ed evitare assembramenti, non devono abbassare la guardia nei confronti della loro malattia. Nonostante le difficoltà che in questo periodo stanno riscontrando nel rimanere in collegamento con il sistema sanitario devono continuare a tenere alta la guardia sul controllo glicemico, devono continuare ad aderire alla terapia e devono continuare a fare attività fisica e perseguire le norme alimentari. Deve essere chiaro che un conto è andare in contro al virus con un buon livello glicemico ed un altro affrontarlo con un diabete profondamente decompensato in partenza”, ha dichiarato Paolo Di Bartolo, Presidente AMD

“Dal diabete non si guarisce, quindi ci si chiede perché ogni anno il paziente deve andare dal medico specialista per vedere rinnovati dei piani terapeutici che nella stragrande maggioranza sono identici di anno in anno. Il rinnovo è certamente un’occasione di controllo da parte dei medici, ma si potrebbero mettere in atto controlli più specifici e comunque tenere in considerazione che questi piani debbano essere rinnovati solo nel caso in cui debbano essere modificati”, ha detto Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“La cura delle patologie croniche anche durante questo periodo di emergenza Covid-19 deve rimanere una priorità. In particolare dobbiamo assicurare ai bambini e adolescenti con diabete una adeguata continuità nelle cure e nell’assistenza. Inoltre, come SIEDP abbiamo voluto sottolineare che i bambini e gli adolescenti con diabete non debbono essere discriminati nel percorso tortuoso di frequenza scolastica. Dobbiamo garantire loro sicurezza e vigilanza, ma d’altra parte è necessario che proseguano nel loro percorso di crescita sociale e culturale”, ha affermato Riccardo Schiaffini, Dirigente Medico I Livello UOC Diabetologia – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – IRCCS 

“In questo periodo drammatico è assolutamente necessario lanciare un appello ai direttori di ospedali, ASL e regioni di tenere aperti i centri diabetologici in collaborazione con i MMG, PLS e Farmacie del territorio per permettere ai pazienti diabetici di usufruire dell’assistenza necessario ad un controllo efficace della glicemia essendo i medesimi più sensibili alle complicanze del coronavirus”, ha dichiarato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità

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Farmaci equivalenti: “Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, il loro uso in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Farmaci equivalenti

24 novembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile l’SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, dall’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi 2019 si è visto come il consumo degli equivalenti di classe A sia risultato maggiore al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) e al Sud Italia (22,4%; 18,1%). Per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS SICILIA. I FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN’, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

“Anche in Sicilia, come in tutta Italia, le farmacie in questi anni hanno dato un contributo importante alla diffusione dei medicinali equivalenti. Nella nostra Regione scontiamo ancora alcune resistenze da parte dei cittadini nell’utilizzare l’equivalente e ad accettare la sostituzione del medicinale di marca da parte del farmacista; resistenze dovute a fattori di natura prevalentemente culturale. C’è la convinzione, e questo non riguarda solo la Sicilia, ma molte Regioni italiane, soprattutto del centro-sud, che il prodotto di marca sia più efficace. Si è disposti a pagare qualcosa di più per avere la certezza che “funzioni”. Per superare queste diffidenze non basta l’opera quotidiana di sensibilizzazione del farmacista, c’è bisogno di una sinergia tra tutti gli operatori del settore e le Istituzioni, che devono diffondere lo stesso messaggio e favorire così la conoscenza e il corretto uso del medicinale equivalente”, ha detto Gioacchino Nicolosi, Presidente Federfarma Regione Siciliana

“Il farmaco equivalente è stato introdotto nel mercato farmaceutico italiano nel 1995, e nell’ultimo ventennio, ha gradualmente visto aumentare le sue prescrizioni da parte dei medici e l’utilizzo da parte dei pazienti, nonostante questo, il nostro rimane uno degli ultimi paesi d’Europa per uso di farmaci equivalenti. L’utilizzo da parte del SSN e del SSR degli equivalenti consente, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento delle patologie croniche, di trattare a parità di costi un numero maggiore di pazienti garantendo così l’universalità delle cure. La riduzione dei costi, a carico del paziente, generata, a parità di sicurezza ed efficacia, dall’utilizzo di questi farmaci, consente inoltre una maggiore aderenza e persistenza alla terapia, determinando, in questo modo, una riduzione nel rischio di complicanze secondarie alla sospensione della terapia effettuata”, ha spiegato Francesco Salamone, Vice Segretario Regionale FIMMG Sicilia

“È stato un importante confronto che ha dimostrato la necessità che tutti gli stakeholder continuino a parlare del valore del farmaco equivalente. La sfida è lavorare insieme per avere azioni concrete a livello locale, regionale per aumentare l’utilizzo di farmaci equivalenti”, ha aggiunto Umberto Comberiati, Business Unit Head Teva Pharmaceutica

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Farmaci equivalenti: l’uso in Italia è basso

Farmaci equivalenti

“Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, l’uso dei farmaci equivalenti in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Padova 10 novembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile l’SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, dall’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi 2019 si è visto come il consumo degli equivalenti di classe A sia risultato maggiore al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) e al Sud Italia (22,4%; 18,1%). Per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS I FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN’, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

Dal varo della legge n. 405/2001, introduttiva del concetto delle liste di riferimento e della sostituibilità del farmaco originale con uno equivalente, il settore di questi medicinali ha avuto un grande sviluppo e le farmacie hanno dato un contributo notevole alla conoscenza e alla diffusione degli equivalenti, dovendo tuttavia affrontare forti diffidenze. Il ricorso diversificato agli equivalenti ovvero ai farmaci branded che si registra ancora su territorio nazionale e regionale è determinato da una serie difattori, prevalentemente di natura culturale: la convinzione che il prodotto di marca sia più efficace e la diffidenza nei confronti della sostituzione proposta dal farmacista, che il paziente può ricondurre a ragioni di convenienza economica. È necessario allora che il paziente sia messo al centro di un percorso di crescita culturale e che nel processo di informazione e di promozione dell’equivalente siano coinvolti tutti gli operatori sanitari, che tutti ricevano informazioni indipendenti e autorevoli da parte delle Istituzioni sui farmaci equivalenti, che tutti parlino lo stesso linguaggio e diffondano gli stessi messaggi ai pazienti”, ha detto Andrea Bellon, Presidente Federfarma Veneto

“Purtroppo, dati OSMED alla mano, abbiamo anche quest’anno una spesa privata di oltre 1 miliardo di euro a carico delle famiglie, dovuta alla differenza di prezzo tra farmaco brand e equivalente. Tale spesa si deve comprimere, soprattutto in questo delicato periodo. Sarebbe importante ricevere un segnale da parte dei decisori nazionali al fine di ridurre le marcate disuguaglianze regionali rispetto all’uso dei farmaci equivalenti e mettere così fine ad una tassa occulta, frutto di disinformazione. Tali prodotti hanno la stessa qualità, efficacia e sicurezza del loro corrispettivo originator; costano meno perché una volta scaduto il brevetto, è possibile produrre un farmaco copia di uno di marca. Questo è quanto affermiamo da alcuni anni attraverso la nostra campagna IoEquivalgo’. In termini di sostenibilità del SSN gli equivalenti sono un asset strategico: permettono di risparmiare risorse da reinvestire poi in innovazione. E qui si apre una delle più grandi incompiute politiche degli ultimi anni: gli eventuali risparmi della farmaceutica devono restare all’interno del comparto e non essere utilizzati per altre cose che niente hanno a che fare con gli investimenti in salute pubblica e innovazione in sanità”, ha spiegato Antonio Gaudioso, Segretario Generale Cittadinanzattiva

“È stato un importante confronto che ha dimostrato la necessità che tutti gli stakeholder continuino a parlare del valore del farmaco equivalente.  La sfida è lavorare insieme per avere azioni concrete a livello locale, regionale per aumentare l’utilizzo di farmaci equivalenti”, ha aggiunto Umberto Comberiati, Business Unit Head Teva Pharmaceutical

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Artrite reumatoide colpisce circa 400.000 persone in Italia

Artrite reumatoide

L’SSN sopporta solo il 30% del costo dell’artrite reumatoide corrispondente ai costi diretti, mentre il restante 70%, che rappresenta l’impatto dei costi indiretti, rimane a carico della collettività 

“Artrite reumatoide, insorge tra i 30 ed i 50 anni, colpisce circa 400.000 persone in Italia ma solo il 40% di loro segue le terapie in modo corretto”

9 novembre 2019 – L’aderenza alla terapia è fondamentale in una patologia cronica con decorso invalidante, spesso non ben controllata, che costringe le persone all’assenza dal lavoro, gravando quasi totalmente sulle spalle delle famiglie in termini economici, sociali e psicologici. Questo il tema del webinar “L’artrite reumatoide in epoca Covid-19”, organizzato da MOTORE SANITÀ, ultimo di una serie di appuntamenti, nati con l’obiettivo di mettere a confronto sulle attuali buone pratiche organizzative e sui modelli di utilizzo dell’innovazione terapeutica, pazienti e operatori coinvolti nella diagnosi, gestione e cura delle malattie reumatiche, tracciando anche le aree critiche da migliorare.

Nell’era COVID-19 i pazienti affetti da artrite reumatoide sono andati incontro a molteplici difficoltà. Il secondo picco della pandemia, in corso in questi giorni, ci ha mostrato che il nostro globo si trova ancora in una condizione di grande fragilità, nella quale rientra anche la gestione delle malattie reumatiche. L’attenzione delle autorità sanitarie, concentrata giustamente sui pazienti affetti da COVID-19 e sulle misure di prevenzione della diffusione del contagio, non deve tuttavia tralasciare la garanzia di un alto livello di cura per i malati con malattie croniche. In particolare, nell’artrite reumatoide, al fine di prevenire l’evoluzione verso la disabilità, è necessaria una valutazione continuativa della patologia, sin dal suo esordio come pure nelle fasi successive. Abbiamo oggi a disposizione farmaci che sono in grado di limitare la progressione della malattia e gli specialisti conoscono le strategie terapeutiche ottimali per la gestione del paziente affetto da tale patologia. Anche nella pandemia quindi la continuità assistenziale e la cura ottimale dei malati con artrite reumatoide deve essere garantita, mentre invece si sta assistendo oggi, in alcune realtà, ad una chiusura o ad una limitazione delle attività degli ambulatori e delle strutture specialistiche a danno dei pazienti”, ha spiegato Annamaria Iagnocco, Professoressa Ordinaria di Reumatologia Università di Torino e Presidente Eletto EULAR

“I costi annui per i Pazienti con Artrite Reumatoide in Italia sono stimati tra i 3,5 ed i 4 miliardi di euro. Lo scenario epidemiologico della patologia è in forte e rapido cambiamento ed ancora di più in era COVID l’organizzazione ospedale/territorio per la sua gestione deve cambiare. In particolare, relativamente all’Artrite Reumatoide, il sistema sanitario è sollecitato in maniera importante anche dal punto di vista sociale. L’organizzazione di una Rete Reumatologica può fornire risposte efficienti, soprattutto in era Covid-19, quando è necessaria una presa in carico territoriale efficiente e capillare. La diagnosi precoce è essenziale anche nel campo dell’AR ed il ritardo diagnostico è la prima causa di complicanze e disabilità. Le visite in telemedicina sono un’opportunità ma non potranno sostituire le visite ambulatoriali se non per alcune attività di controllo e monitoraggio. Si dovrà lavorare ad un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) dedicato per l’AR che preveda la creazione di corsie preferenziali per i pazienti urgenti o con red flags di esordio o riattivazione di malattia. Sappiamo che la politica sulla assunzione di nuovo personale specializzato è sotto i riflettori per tutte le realtà regionali. La rete di specialisti dovrà operare in connessione con la medicina territoriale anche mediante il Teleconsulto. Fondamentale da questo punto di vista la formazione ed il coinvolgimento dei MMG, anche per la gestione delle frequenti comorbilità, e la semplificazione, gestione online e “sburocratizzazione” dei piani terapeutici. Posti letto dedicati per pazienti con patologie reumatologiche complesse e gravi dovrebbero essere garantiti (cosa purtroppo non sempre accaduta durante la precedente ondata). Fondamentale anche l’interazione fra centri Hub, Spoke e Specialisti territoriali per ridurre le liste d’attesa. Sarebbe anche auspicabile una più equa e rapida accessibilità sul territorio ai farmaci, specie per quelli più pratici, evitando così lo spostamento ed il disagio dei pazienti. Bene il risparmio attraverso le terapie Biosimilari, ma con le garanzie per i Pazienti di poter accedere alle migliori cure, anche innovative, se necessario. I decisori politici dovranno mantenere il dialogo con tutti gli interlocutori (prima fra tutte le Associazioni di Malati reumatici) perché la realizzazione di una Rete Reumatologica efficiente possa migliorare l’offerta sanitaria e l’appropriatezza dei servizi offerti dal SSN”, ha detto Maurizio Rossini, Professore Ordinario di Reumatologia e Direttore Scuola Specializzazione di Reumatologia, Università di Verona

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“STRATEGIA E PIANO AZIENDALE”

STRATEGIA E PIANO AZIENDALE

Si è svolta in digitale la presentazione del nuovo libro di Andrea Beretta Zanoni e Silvia Vernizzi

Il docente e partner ENDEVO: “In un momento come quello che stiamo vivendo, più le condizioni diventano incerte e più aumenta il fabbisogno strategico”

 

Vicenza, 05 novembre 2020 – Si è svolta in digitale, data l’emergenza in corso, la presentazione del nuovo libro di Andrea Beretta Zanoni e Silvia Vernizzi “Strategia e Piano Aziendale”.

Il docente e partner ENDEVO, società tra professionisti per azioni strutturata in modo conforme alle best practice internazionali delle advisory firm, con sede a Vicenza nella prestigiosa location di Palazzo Garzadori (Contrà Ponte San Michele, 3), è stato coadiuvato per l’occasione da Benedetto Tonato, Presidente ENDEVO e Alberto Nardi, Responsabile area credito e finanza Confindustria Vicenza. A moderare l’incontro la giornalista Fiammetta Benetton.

In un momento di totale incertezza quale quello che il mondo intero sta vivendo, caratterizzato dalle difficoltà per le imprese di poter pianificare il proprio business, viene immesso sul mercato il libro di Beretta Zanoni e Vernizzi “che va a colmare, con quanto contenuto nei suoi 16 capitoli, un gap in Italia – sottolinea Fiammetta Benetton introducendo l’incontro – rivolgendosi, diversamente da altri testi che hanno per oggetto soprattutto le grandi aziende, in particolar modo alle piccole e medie imprese”.

“La strategia della quale si parla nel libro è un insieme di approcci, di metodi, di logiche – spiega il docente e  partner ENDEVO –. È stata sviluppata in contesti molto diversi da quello caratterizzante il nostro tessuto economico imprenditoriale, riferendosi quindi a modelli d’impresa più grandi. Questo spesso ha portato, in passato, a considerare la strategia come qualcosa di non facilmente applicabile in contesti piccoli o medi. Questo è stato ovviamente un errore di valutazione. Bisognava infatti tradurre queste logiche, lavoro che in questo volume, con Silvia Vernizzi, abbiamo provato a fare, rivolgendoci alle nostre imprese. Negli anni abbiamo capito che i metodi strategici non solo erano importabili – prosegue Beretta Zanoni – ma potevano aiutare quella sintesi tra cultura manageriale e imprenditoriale che oggi poi è sempre più necessaria data l’evoluzione delle nostre imprese”.

Non è mancato nel corso della presentazione online del volume un riferimento diretto alla fase emergenziale che il nostro Paese, come anche gran parte del resto del mondo, sta vivendo. “Contrariamente a quanto si possa pensare, più le condizioni di contesto diventano incerte – ha spiegato Beretta Zanoni – più l’esigenza e il fabbisogno strategico aumentano. Più si percepisce quindi il contesto caotico, più è necessario far strategia. E ogni impresa trova poi la propria modalità per attuare dei piani. Un consiglio quindi – suggerisce l’economista  – è quello di non essere assolutamente scoraggiati in questo frangente storico”.

“La strategia aiuta a trovare una sintesi, una condivisione – spiega il Presidente ENDEVO Benedetto Tonato  –. I piani strategici servono per dare degli obiettivi, ma servono anche a mettere insieme le persone, come ad esempio manager e imprenditore. Quindi, il libro di Beretta Zanoni ha una valenza accademica, ma anche professionale perché fornisce degli input pratici a chi deve operare. Oggi più che mai è necessario che le imprese formulino le proprie strategie. Ogni giorno noi consulenti siamo chiamati ad assistere le imprese. E le medie e piccole son quelle che più necessitano di questi strumenti”.

È poi intervenuto, in rappresentanza di Confindustria Vicenza, Alberto Nardi: “Da diversi anni in Confindustria abbiamo avviato una articolata collaborazione con il professor Beretta Zanoni. Innanzitutto, con il suo prezioso aiuto abbiamo potenziato l’analisi della congiuntura dell’industria vicentina, affiancando ai dati economici di consuntivo un originale indicatore di previsione dell’andamento prospettico della produzione. Inoltre, nel contesto dell’attività di rafforzamento della cultura finanziaria delle imprese del nostro sistema, con Beretta Zanoni e l’Università di Verona abbiamo recentemente proposto alle aziende del territorio lo “Strategy lab”, una occasione di approfondimento proprio sul tema della strategia d’impresa. L’obiettivo di questo progetto, che ha mosso in questi mesi i suoi primi passi, è quello di avvicinare le tematiche e l’articolazione del pensiero strategico al complesso del mondo delle imprese vicentine, siano essi grandi che di media o più contenuta dimensione”.

Il volume di Andrea Beretta Zanoni e Silvia Vernizzi “Strategia e Piano Aziendale” è edito da Egea ed è già acquistabile nelle migliori librerie e store online.

Link al video di presentazione del libro: https://www.youtube.com/watch?v=l2eYDRCyzBs&feature=emb_err_woyt

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Progetto Open Way in Regione Toscana

Progetto Open Way

“Grazie al web è possibile realizzare PDTA condivisi con tutto il comparto sanitario regionale”

4 novembre 2020 – Le autorità sanitarie della Regione Toscana, abituata a deliberare con continuità le PDTA nelle principali patologie, hanno constatato come molti risultino poco o parzialmente applicati nonostante l’impegno di risorse impiegate. Gli organismi tecnici della Direzione diritti di cittadinanza e coesione sociale hanno deciso di intraprendere una strada innovativa nella condivisione dei PDTA che andrebbe, prima della deliberazione, a validare il percorso del tavolo tecnico implementandolo in applicabilità, per sperimentarne poi i risultati. Per avere un confronto aperto tra istituzioni e referenti delle aziende produttrici di tecnologie (farmaci e device) MOTORE SANITÀ ha organizzato, con il contributo incondizionato di ALFASIGMA, BOEHRINGER INGELHEIM, ALLERGAN, IPSEN, MENARINI, ROCHE, GSK, SANOFI e TAKEDA, il terzo evento ‘PROGETTO PDTA OPEN WAY: RISULTATI DI UN MODELLO VIRTUOSO’, che dopo aver presentato il modello Open Way, obiettivi e risultati attesi, modalità di attuazione e strumenti tecnici scelti per la sua realizzazione, presentazione di alcuni esempi applicativi del modello con lancio di alcuni “challenge” nel sistema, oggi presenta i risultati ottenuti.

“Anche l’esperienza COVID-19 ha portato alla luce, facilitandolo, un nuovo modo di interazione fra professionisti. Anche se è successo tutto in pochi mesi nessuno pensa sia realistico ritornare alle modalità pre-COVID, le nostre riunioni per costruire un PDTA, una linea guida, un documento di consenso di qualche tempo fa appaiono improvvisamente vecchie, faticose e appartenenti ad un passato non più proponibile né accettabile. Oggi, quasi quasi, ci vergogniamo a proporre una riunione in presenza ed abbiamo apprezzato i vantaggi di una sorta di ciò che chiamiamo smart-working, tempi veloci, spazio per tutti, sintesi e necessità di pragmaticità conservando l’essenzialità dei problemi. Credo che questo sia solo l’inizio, un grande facilitatore per migliorare anche le forme di collaborazione, lo sviluppo di nuove idee, la possibilità di arrivare a cogliere le potenzialità di un gran numero di professionisti che, nella era precedente non avrebbero mai avuto la possibilità di dar voce alla propria competenza, al proprio contributo e alla propria creatività che, per la loro posizione all’interno della azienda, quella dello Sharp-end, la frontiera, sono il contributo più importante per lo sviluppo armonico della stessa. Prima del COVID avevo solo una preoccupazione, che i nostri professionisti non accettassero forme di collaborazione attraverso un canale comunicativo appoggiato sul web. Oggi ho la certezza contraria che può diventare, se ben gestita, uno dei motori più forti per lo sviluppo organizzativo delle nostre aziende sanitarie. È per questo che il progetto Open Way rappresenta il più grande investimento su cui dobbiamo puntare”, queste le parole di Carlo Tomassini, Direttore Generale Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale, Regione Toscana

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MALATTIE CARDIOVASCOLARI, I NUMERI DELLA LOMBARDIA

malattie cardiovascolari

3 novembre 2020 – Nella gestione delle cronicità durante il Covid-19 c’è stato aumento esponenziale di pazienti anziani con patologie croniche (prevalentemente malattie cardiovascolari) associate a comorbilità̀ che necessitano di cure e trattamenti farmacologici cronici. La poli-terapia e la mancanza di aderenza alle terapie fanno sì che il paziente sia seguito da medici che conoscano la loro storia clinica e li informino sull’assunzione dei farmaci prescritti, sui dosaggi, sulle caratteristiche terapeutiche e rischi dei farmaci. Per discutere di come poter ridurre al minimo il numero di farmaci essenziali da assumere, magari in una unica formulazione per favorire una maggiore aderenza, MOTORE SANITÀ ha organizzato il webinar “La gestione del paziente con pregresso evento cardiovascolare”, realizzato grazie al contributo incondizionato di SANOFI.

Quale è l’impatto degli eventi cardiovascolari sulla popolazione lombarda?

“I decessi per eventi cardiovascolari in Lombardia si aggirano attorno a 31.000 per anno su circa 99.000 decessi complessivi (31,3 %), mentre i ricoveri per eventi cardiovascolari sono circa 130.000 anno, che portano, con alcune evidenze scientifiche, a stimare una popolazione compresa tra 650.000 e 950.000 pazienti in Lombardia. La presa in carico si alterna tra il MMG e lo specialista con problemi diversi tra loro: l’aderenza e la cura non sono ottimali nel paziente post evento. I costi si suddividono nel 54% in costi diretti (sanitari, circa 16 miliardi di €), il 46% restante si divide nel 24% da costi associati alla perdita di produttività dei pazienti ed il 22% sostenuti dalle famiglie in termini di informal care, mentre i costi diretti si attestano attorno ai 500 €/anno per farmaci per la cura della patologia, altri 500 €/anno per specialistica ambulatoriale e tolto l’evento indice per i ricoveri circa 4.000 €/anno. Questi costi variano tra studi, dovuto alle diverse cause/patologie di partenza”, queste le parole di Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale, LIUC Business School Castellanza (Varese)

L’impatto economico delle malattie cardiovascolari in Italia

In Italia, i costi diretti sanitari per le malattie cardiovascolari sono stati stimati pari a circa 16miliardi di euro a cui si devono aggiungere oltre 5miliardi sostenuti in termini di costi indiretti. A tutto questo si devono aggiungere i giorni di lavoro (e produttività) persi dopo l’evento cardiovascolare. Infatti è stimato che mediamente nell’anno successivo ad un evento cardiaco acuto i pazienti cardiopatici perdono 59 giorni di lavoro per un costo stimato dall’Inps a circa 755milioni di euro. 

Ospedale-Territorio: come si suddividono i pazienti lombardi

I dati regionali servono anche a capire chi svolge la presa in carico dei pazienti in regione, come sottolineato da Olivia Leoni, Struttura Epidemiologia e Valutazione della Performance “Per quanto riguarda la cardiopatia ischemica nel 2019 sono stati registrati circa 184800 soggetti. Di questi il 18% è costituito da casi incidenti, quindi l’82% sono pazienti prevalenti che hanno un trattamento di cura cronico. Altro dato interessante riguarda il livello di complessità dei pazienti: il 52% è a livello 3 cioè quello di gestione prevalentemente territoriale. Questo dato sottolinea l’importanza dell’MMG nel percorso terapeutico per questo genere di malattie. Il 41% invece di questi pazienti è al livello 2 di complessità cioè che oltre alla patologica ischemica hanno una o due comorbilità e vengono quindi trattati con un’azione congiunta tra territorio e ospedale. Il 5.7% dei pazienti sono invece ad alta fragilità quindi con una gestione prettamente ospedaliera”

Il problema dell’aderenza terapeutica in Lombardia

I numeri dell’aderenza terapeutica in Lombardia per quanto riguarda i pazienti con problemi cardiovascolari sono allarmanti come sottolineato da Annarosa Racca, Presidente Federfarma Lombardia “Come Federfarma abbiamo eseguito un sondaggio coinvolgendo 3100 pazienti cardiovascolari, molti dei quali over70, ed i dati emersi sono allarmanti: 6 intervistati su 10 non seguono adeguatamente o non seguono affatto le terapie prescritte, addirittura è stato riscontrato che per alcuni farmaci salvavita il 77% degli intervistati assumeva un sottodosaggio rispetto a quello prescritto dai medici”. La grave problematica dell’aderenza confermato anche da Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale, LIUC Business School Castellanza (Varese) “Se dal 2010 ad oggi la mortalità a 28 è scesa sensibilmente (10,42 nel 2010-8,6 nel 2016) non è scesa altrettanto la mortalità ad un anno (10,66 nel 2010, 10,17 nel 2016) venendo influita dalla mancata aderenza terapeutica da parte di molti pazienti”.

L’impatto della pandemia da COVID-19

“Altro dato che stiamo monitorando – ha spiegato Olivia Leoni, Struttura Epidemiologia e Valutazione della Performance – è l’impatto che la pandemia ha avuto su alcuni indicatori. I dati preliminari della prima ondata evidenziano un maggior numero di ricoveri e anche un maggiore numero di decessi. Il numero dei ricoveri da gennaio a marzo aumenta fino al 39%, allo stesso modo è aumentata la mortalità a 30 giorni a seguito di un infarto dal 7% al 14% però se analizziamo le tempistiche di ricovero o di intervento di angioplastica vediamo che non sono modificate quindi il sistema è riuscito a tenere anche durante il periodo peggiore dell’emergenza”.

Image by santoelia