Tumori cutanei: “Prima si riconosce la patologia prima si arriva alla diagnosi e alla cura,

oggi si può guarire e avere buona qualità di vita e lunga sopravvivenza” 

13 dicembre 2021 – Il carcinoma squamo cellulare (CSCC) è uno dei tumori della pelle più comuni e rappresenta da solo il 20/25% di tutti quelli cutanei, secondo per diffusione solo al melanoma. È caratterizzato da una crescita anomala e accelerata delle cellule squamose, che se individuata precocemente, nella maggior parte dei casi è curabile. Può localizzarsi ovunque sul corpo ma si trova più spesso sulle aree esposte alle radiazioni ultraviolette, che rappresentano uno dei principali fattori di rischio, unitamente all’età superiore a 50 anni e a un sistema immunitario indebolito. Con l’obiettivo di discutere degli strumenti più adatti ad una diagnosi precoce e delle attuali prospettive di cura, Motore Sanità ha organizzato l’Evento ‘Presa in carico del paziente affetto da tumore cutaneo’, realizzato grazie al contributo incondizionato di SANOFI.

“Il carcinoma della cute a cellule squamose rappresenta il secondo tumore della pelle per incidenza con circa 20000 nuovi casi l’anno. È più frequente nel sesso maschile e la sua localizzazione correla con le aree di massima irradiazione solare come il labbro inferiore, la porzione superiore del padiglione auricolare, il dorso del naso, la fronte, le regioni zigomatiche, il dorso delle mani ed il cuoio capelluto nelle persone calve. In circa il 95% dei casi grazie soprattutto alla chirurgia ed in misura minore la radioterapia si ottiene una guarigione definitiva mentre i restanti casi determinano una malattia avanzata a livello locale e/o sistemico coinvolgendo pertanto organi vitali. I principali fattori di rischio sono rappresentati da una eccessiva esposizione solare in particolare di tipo occupazionale (per esempio pescatori ed agricoltori), l’età avanzata (soprattutto dopo i 70 anni di età), la cute chiara, l’immunosoppressione come per esempio si verifica nei soggetti trapiantati d’organo. Il decorso della malattia avanzata, quella cioè non più controllabile con la chirurgia oppure con la radioterapia, non è generalmente modificabile con gli attuali approcci terapeutici. Recentemente però l’immunoterapia ha mostrato una particolare efficacia in queste forme, con una elevata tollerabilità che la rende idonea ai pazienti anziani che sono quelli principalmente colpiti da questa neoplasia”, ha dichiarato Mauro Alaibac, Direttore Clinica Dermatologica AOU Padova 

“I tumori cutanei, in particolare il Carcinoma Cutaneo a Cellule Squamose (CsCC), colpiscono in maggior parte le zone foto-esposte, la zona del volto, del collo, del capo, delle braccia. La malattia localmente ha un effetto molto aggressivo e come per gli altri tumori della pelle si associa alla comparsa di metastasi. Oggi quindi capire, aiutare a capire e a non temere, per curare in anticipo è fondamentale. L’avanzamento della ricerca, le nuove cure, le linee guida, stanno dando grandi risultati e molta speranza, e oggi siamo qui a lavorare assieme, medici, oncologi e Associazione AIMaMe con l’obiettivo che la conoscenza e la consapevolezza per il malato siano il punto di partenza per un percorso di terapia e di guarigione. Il nostro compito è ascoltare la voce del paziente, spesso anziano e colpito dove la sua pelle è stata bruciata dal sole, per non arrivare tardi ad una diagnosi. Un grido di aiuto arriva anche dai giovani, i giovani immunodepressi, in cura da HIV o per altre patologie che favoriscono l’immunodepressione. Prima si riconosce la patologia prima si arriva alla diagnosi e alla cura, perché oggi si può guarire e migliorare la situazione provocata dal CsCC, per avere una buona qualità della vita e una lunga sopravvivenza”, ha spiegato Giovanna Niero, Presidente AIMaMe (Associazione Italiana dei Malati di Melanoma e NMSC) 

Tumori cutanei: bando alla vergogna e alla paura. Oggi guarire si può, grazie alla diagnosi precoce 

“È importante conoscere la malattia, per poterla affrontare al meglio. Per questo occorre coinvolgere i pazienti e i loro familiari”. 

21 dicembre 2021 – È uno dei tumori della pelle più comuni, secondo per diffusione solo al melanoma. È il carcinoma squamo cellulare (CSCC), che rappresenta da solo il 20-25% di tutti i tumori cutanei, caratterizzato da una crescita anomala e accelerata delle cellule squamose che, se individuata precocemente, nella maggior parte dei casi è curabile. Può localizzarsi ovunque sul corpo, ma si trova più spesso sulle aree esposte alle radiazioni ultraviolette, che rappresentano uno dei principali fattori di rischio, unitamente all’età superiore a 50 anni e a un sistema immunitario indebolito. 

Con l’obiettivo di discutere degli strumenti più adatti a una diagnosi precoce e delle attuali prospettive di cura, Motore Sanità ha organizzato l’evento ‘Presa in carico del paziente affetto da tumore cutaneo’, dove hanno partecipato i maggiori esperti in campo. 

“Si tratta di una patologia importante su cui va mantenuta alta l’attenzione”, ha dichiarato a inizi lavori Sonia Brescacin, Presidente V Commissione Sanità e Politiche Sociali Consiglio Regionale Veneto: “anche in un periodo come questo dove la diffusione del Covid-19 sta coinvolgendo settori importanti del Sistema sanitario regionale. Molto è stato fatto nella Regione Veneto anche sulla scorta di scelte programmatorie e di capacità organizzative e gestionali negli anni precedenti, per cui il Sistema sanitario regionale vanta la Rete Oncologica e Centri di eccellenza per il trattamento delle patologie tumorali

“È molto importante che il paziente sia messo in prima linea, soprattutto nel percorso di cura e anche nella precocità della diagnosi”, ha aggiunto Giovanna Niero, Presidente AIMaMe (Associazione Italiana dei Malati di Melanoma e NMSC): “Su questo si sono fatti oggi passi da gigante, anche grazie al nostro lavoro. La nostra Associazione, ad esempio, è nata proprio sulla necessità di dare voce al paziente malato di melanoma. Io stessa sono malata di melanoma dal 2009 e nel 2019 ci siamo aperti anche al non-melanoma skin cancer perché abbiamo accolto la voce dei pazienti che avevano bisogno di un sostegno e soprattutto perché la medicina, in questo caso l’immunoterapia, ha fatto enormi progressi e oggi possiamo dire che la malattia è affrontabile e curabile, se presa precocemente. Ecco qui l’importanza della nostra Associazione di lavorare sul territorio nazionale, affinché tutti vengano a conoscenza della patologia. Nel caso specifico del carcinoma a cellule squamose, fino a poco tempo fa se ne parlava poco e ancora oggi persistono paura e vergogna legate a questa malattia esteticamente invasiva che colpisce una fascia d’età molto avanzata e una categoria di immunodepressi come malati di HIV e trapiantati. Se non abbiamo consapevolezza della malattia, non siamo in grado di affrontarla: gli stessi familiari che assistono o vivono accanto a questi pazienti hanno difficoltà a capire la malattia, ed è per questo che molto spesso il paziente arriva in ritardo alla diagnosi, quando la malattia è già metastatica.  

“Il bisogno assistenziale di questi pazienti ha bisogno di percorsi diagnostico terapeutici appropriati, perché la grande maggioranza di questi pazienti per fortuna è curabile con cure precoci che consentono di prevenire lesioni invasive”, chiosa Pierfranco Conte, Coordinatore Rete Oncologica Veneta: “La gran parte delle lesioni invasive è curabile con interventi chirurgici anche molti limitati e conservativi e solamente quei pochi casi che progrediscono verso una malattia avanzata hanno bisogno di un approccio multidisciplinare e multiprofessionale, per cui vanno individuati pochissimi Centri di riferimento. Abbiamo molte armi terapeutiche: la chirurgia, la chirurgia estetica-ricostruttiva, la radio terapia e le terapie mediche, ultima risorsa qualora le altre terapie non siano sufficienti. La Regione Veneto è all’avanguardia per gli aspetti organizzativi, però in generale si continua a parlare di tumori rari e a mio avviso questa è una definizione anti scientifica. Bisognerebbe che anche a livello politico si cambiasse questa mentalità per far capire che parlare di tumori rari oggi significa identificare o situazioni biologicamente ben definibili (mutazioni rare in tumori frequenti), o situazioni cliniche altrettanto ben definibili (tumore cutaneo localmente avanzato, che è una situazione clinica rara e che richiede di individuare Centri di riferimento che abbiano competenze, specialisti, esperienze per la presa in carico di questi pazienti)

Sclerosi Multipla: puntiamo sulla terapia precoce

9 dicembre 2021 – La Sclerosi Multipla (SM) può esordire ad ogni età, ma è più comunemente diagnosticata nel giovane adulto tra i 20 e i 40 anni. Ci sono circa 2,5-3 milioni di persone con SM nel mondo, di cui 1,2 milioni in Europa e circa 130.000 in Italia. Il numero di donne con SM è doppio rispetto a quello degli uomini, assumendo così le caratteristiche non solo di malattia giovanile ma anche di malattia di genere. Esistono varie forme di malattia, ma la pratica clinica ha evidenziato come iniziare la terapia il più precocemente possibile porti ad un rallentamento della progressione della disabilità, ricordando che ogni individuo richiede un programma di cura personalizzato. Al fine di sensibilizzare le istituzioni verso un trattamento precoce ed efficace, Motore Sanità ha organizzato un nuovo appuntamento regionale dal titolo ‘Focus Sicilia: #MULTIPLAYER – La Sclerosi Multipla si combatte in squadra’, realizzato grazie al contributo incondizionato di Celgene | Bristol Myers Squibb Company.

“La Sclerosi Multipla è una malattia cronica ad elevata complessità a forte impronta neurologica. I malati che ne soffrono vengono assistiti per lo più in luoghi di cura, denominati centri Sclerosi Multipla, che hanno aggregato diversi professionisti (non solo neurologi), e che hanno contribuito con la ricerca clinica allo sviluppo delle conoscenze su questa malattia. I Centri si trovano nelle UUOO di Neurologia dei vari Ospedali Italiani e sono organizzati in rete volontaria di professionisti (neurologi) che si ritrovano nel gruppo studio Sclerosi Multipla della Società Italiana di neurologia e che lavorano in ogni aspetto (assistenziale, sociale e ricerca scientifica) con l’AISM (associazione di persone con SM). Nonostante queste persone vengano gestite in larga parte dai Neurologi, la SM genera una svariata serie di bisogni che richiede la presa in carico globale, a 360 gradi, di ogni paziente, che potrebbe avere necessità (a seconda della fase della malattia, dalla diagnosi in poi) di altri specialisti medici, infermieri, terapisti, psicologi, farmacisti, assistenti sociali, per citarne solo una esigua parte. Nascevano per questo in tutta Italia, di concerto con le società scientifiche, l’AISM e le istituzioni i PDTA, atti ad omogeneizzare ogni intervento assistenziale, sempre ispirato dalle nuove conoscenze scientifiche e tendente a raggiungere il paziente nella sede più prossima alla sua residenza. Tuttavia, negli anni i Centri si sono specializzati in scelta e prescrizione di farmaci modificanti il decorso della malattia, hanno imparato a diagnosticare prima e più correttamente la malattia, generando altre criticità: scarso collegamento con il territorio, vanificazione del ruolo del MMG, poco tempo per le persone assistite in aumento in ogni centro e aumento dei costi sostenuti dal SSN. La pandemia da COVID ha accentuato ulteriormente lo scarso collegamento esistente fra Centri e territorio ha identificato nella telemedicina una possibile surroga alla distanza creatasi tra il paziente e il centro. Discutere come affrontare il nuovo assetto organizzativo per la migliore assistenza da offrire alle persone con SM è un must recepito ad ogni livello: dal paziente al decisore politico, passando dai vari players, in testa i neurologi con le loro società scientifiche”, ha dichiarato Francesco Patti, Responsabile Centro Sclerosi Multipla AOU Policlinico Vittorio Emanuele Università di Catania, già Coordinatore Nazionale Sclerosi Multipla 

Sclerosi Multipla: in Sicilia 11mila persone colpite,

più 300 nuovi casi l’anno

“L’ospedale, in questo periodo di pandemia, è stata una struttura resiliente e ora
ha un’opportunità di ripresa con nuove modalità. A partire dalla Telemedicina”.

13 dicembre 2021 – In Sicilia sono 11mila le persone affette da Sclerosi Multipla (SM), malattia
neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, a cui si aggiungono 300 nuovi casi
l’anno.
Sebbene esistano varie forme di malattia, la pratica clinica ha evidenziato come iniziare la terapia
il più precocemente possibile porti a un rallentamento della progressione della disabilità,
ricordando che ogni individuo richiede un programma di cura personalizzato.
A tal fine – sensibilizzare le istituzioni verso un trattamento precoce ed efficace della Sclerosi
Multipla – Motore Sanità, da sempre in prima linea sui temi legati alla salute mettendo i bisogni
del paziente al centro, ha organizzato un nuovo appuntamento regionale dal titolo ‘Focus Sicilia:

MULTIPLAYER – La Sclerosi Multipla si combatte in squadra’. Tante prestigiose autorità

scientifiche sono intervenute sul tema.

“In questo periodo di pandemia tutto è stato stravolto e quindi l’assistenza per le patologie no
Covid ha subito delle influenze negative”, ha chiosato Luigi Aprea, Direttore Sanitario di Presidio
AOU Policlinico Paolo Giaccone, Palermo. “In primissima battuta i neurologi hanno dovuto fare
assistenza ai pazienti Covid, e questo ha comportato una riconversione di reparti, che hanno
un’altra mission, per affrontare questo tsunami che ha travolto la sanità. Le lezioni che possiamo
trarre da questa esperienza sono quelle di aver maggiormente sviluppato e applicato la
telemedicina. Insieme all’attività di distribuzione dei farmaci con la consegna a domicilio e nelle
strutture di prossimità, evitando l’accesso dei pazienti nelle strutture ospedaliere con i loro
accompagnatori. L’ospedale è stata una struttura resiliente e ora ha un’opportunità di ripesa con

nuove modalità. Tante patologie croniche si possono avvalere di queste piattaforme accessibili a
una pluralità di specialisti che hanno in cura i pazienti. La nostra Regione sta facendo passi
avanti per quanto riguarda il fascicolo sanitario elettronico. Questa patologia cronica e
invalidante ha inoltre necessità di due tipi di integrazioni: tra l’attività ospedaliera e quella del
territorio (questo tipo di patologie devono essere spostate sul territorio, possibilmente a domicilio)
e tra i due silos, che sono il silos della sanità e il silos del sociale. Purtroppo nella nostra Regione
questi ultimi due si interfacciano poco perché, a fronte di 17 aziende sanitarie, abbiamo diverse
centinaia di comuni, ognuno dei quali è titolare dell’intervento sociale e molte volte questa
integrazione manca. L’assistenza come dicevo non deve solo essere sociale, ma integrata,
sociosanitaria. Nella nostra Regione la separazione tra aziende ospedaliere e aziende territoriali
è un ostacolo e anche per questo il PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) per la SM

  • sappiamo che la Regione Sicilia è stata una delle prima a elaborarlo – andrebbe rivisto e
    aggiornato”.

D’accordo su quest’ultimo punto anche Sebastiano Bucello, Dirigente Medico UOSD Responsabile
Centro Sclerosi Multipla Presidio Ospedaliero Muscatello Augusta, Siracusa: “Credo che uno dei
punti essenziali del PDTA sia partire dal sistemare il Centro Sclerosi Multipla, luogo che deve
coordinare tutto il percorso del paziente con SM”.

Lotta all’HCV: “Solo scovando e trattando i casi ‘sommersi’ sarà possibile eradicare la malattia”

7 dicembre 2021 – La terapia per l’epatite C nel 2017 è stata allargata a tutti i soggetti portatori di HCV, indipendentemente dal grado di malattia epatica. L’obiettivo oggi è l’eradicazione dell’epatite C, ma ciò richiede l’identificazione e successivo trattamento di almeno l’80/90% dei soggetti infetti. Per raggiungere questo risultato è indispensabile far emergere l’”HCV sommerso”, dato che l’infezione corre spesso in modo del tutto asintomatico e silente. È inoltre essenziale creare percorsi facilitati per la presa in carico e l’immediato trattamento dei casi identificati. Con l’obiettivo di analizzate le strategie per l’emersione del sommerso e l’ottimizzazione della presa in carico dei soggetti con HCV, Motore Sanità ha organizzato, in Regione Veneto, l’evento ‘EPATITE C COME RIPARTIRE?’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD e IT-MeD.

“Modelli di stima attualizzati suggeriscono che in Italia rimangono ancora 100.000 pazienti con malattia di fegato avanzata da un’infezione da HCV attiva ancora non diagnosticata, la maggior parte di età fra i 60 e i 70 anni e altri 280.000 individui con infezione da HCV attiva con età media di 46 anni, ignari di una potenziale malattia in quanto asintomatica, ma del tutto reversibile dopo una terapia che garantisce l’eradicazione virale in poche settimane e senza effetti collaterali. Sebbene la scelta di attribuire priorità nello screening ad alcune popolazioni ad alto rischio e alla coorte 1969-1989 sia stata dettata da fondate considerazioni di tipo epidemiologico ed economico, è essenziale ribadire l’assoluta importanza di garantire dopo il primo biennio l’accesso allo screening per HCV alla coorte dei nati fra il 1948 e il 1968 e ad altri gruppi ad alto rischio quali coloro con un danno del fegato, potenzialmente da virus dell’epatite C non diagnosticato e popolazioni con caratteristiche di vulnerabilità (migranti, lavoratrici/lavoratori del sesso, uomini che fanno sesso con altri uomini), garantendo una ulteriore programmazione e dei fondi dedicati. Le Regioni sono ora chiamate a stilare una strategia e definire un modello organizzativo per realizzare gli screening attraverso anche un piano di comunicazione strategica efficace e indispensabile per evitare di non beneficiare dei fondi stanziati dallo Stato”, ha dichiarato Loreta A. Kondili, Istituto Superiore di Sanità 

“L’introduzione dei nuovi farmaci orali ad azione antivirale diretta (DAA), caratterizzati da un eccellente profilo di sicurezza ed efficacia, ha reso concreto e raggiungibile l’obiettivo, fissato dalla OMS per il 2030, della definitiva eliminazione della epatite C. Ad oggi in Italia sono stati trattati con questi farmaci oltre 230.000 pazienti, ma il programma di eliminazione di HCV nel nostro Paese, rallentato purtroppo dalla pandemia in corso, è ancora lontano dal traguardo. Infatti, se la maggior parte dei casi noti sono stati trattati, va ricordato che l’infezione decorre spesso in modo asintomatico, ed ancora elevato è il numero di persone inconsapevoli di essere serbatoio per il virus, essendo a rischio di complicanze e al tempo stesso fonte di nuovi contagi. Al fine di raggiungere anche questi pazienti, il Governo ha stanziato di recente un fondo ad hoc destinato allo screening gratuito per HCV di tutta la popolazione nata dal 1969 al 1989, oltre che dei soggetti di qualsiasi età seguiti dai Servizi per le Dipendenze o detenuti in carcere, in quanto categorie ritenute a maggior rischio di infezione e di progressione della malattia. È ora prioritario ed urgente definire le strategie più adeguate a utilizzare questi fondi nel modo più efficiente ed efficace”, ha detto Alfredo Alberti, Senior Professor Università di Padova 

380mila italiani hanno l’EPATITE C, ma non lo sanno
È necessario garantire lo screening a tutti i gruppi a rischio,

per eradicare la malattia entro il 2030

14 dicembre 2021 – Entro il 2030 l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede di eradicare
l’epatite C (HCV), un’infezione del fegato che colpisce oltre 70 milioni di individui in tutto il
mondo. Una malattia asintomatica che si manifesta quando è in fase molto avanzata e può
sfociare in cirrosi, tumore al fegato e provocare altre complicazioni a livello epatico. Grazie ai
nuovi antivirali ad azione diretta si può curare con un’efficacia del 95%. Ma il problema di
questa infezione è trovarla.
Per vedere a che punto siamo in Italia, Motore Sanità ha promosso l’evento ‘EPATITE C COME
RIPARTIRE?’, con l’intento di analizzare le strategie nazionali e regionali per l’emersione del
sommerso HCV e la ottimizzazione della presa in carico dei soggetti HCV positivi, analizzando
soluzioni e criticità e anche i risultati ad oggi ottenuti nelle diverse aziende sanitarie del Veneto.
“Nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo dell’eliminazione di HCV in Italia, la scelta più
appropriata sarebbe quella di uno screening universale che raggiungesse l’intera popolazione.
Tale tipo di intervento non è però ipotizzabile al momento, per ragioni di fattibilità e di costi”, ha
dichiarato Loreta A. Kondili, Istituto Superiore di Sanità. “Secondo modelli di stima attualizzati, nel
nostro Paese sono 100mila i pazienti con malattia di fegato avanzata da un’infezione da HCV
attiva non ancora diagnosticata, la maggior parte di età fra i 60 e i 70 anni. A questi si
aggiungono altri 280mila individui con infezione da HCV attiva con età media di 46 anni, ignari
della malattia in quanto asintomatica, ma del tutto reversibile dopo una terapia che garantisce
l’eradicazione virale in poche settimane e senza effetti collaterali. Sebbene la scelta di attribuire
priorità nello screening ad alcune popolazioni ad alto rischio e alla coorte 1969-1989 sia stata
dettata da fondate considerazioni di tipo epidemiologico ed economico, è essenziale ribadire
l’assoluta importanza di garantire dopo il primo biennio l’accesso allo screening per HCV alla
coorte dei nati fra il 1948 e il 1968 e ad altri gruppi ad alto rischio, quali coloro con un danno del
fegato, potenzialmente da virus dell’epatite C non diagnosticato e popolazioni con
caratteristiche di vulnerabilità, garantendo una ulteriore programmazione e dei fondi dedicati.
Le Regioni sono ora chiamate a stilare una strategia e definire un modello organizzativo per
realizzare gli screening attraverso anche un piano di comunicazione strategica efficace e
indispensabile per evitare di non beneficiare dei fondi stanziati dallo Stato”.

“Al di là di informare la popolazione, correttissimo, il ruolo del medico di base è fondamentale”,
replica Giada Carolo, Dirigente Medico UOC Malattie infettive AOUI Verona. “Molto spesso da me
arrivano pazienti consapevoli di avere la malattia, ma ignari dei progressi della medicina in questi
anni. Ora è fondamentale che un paziente con epatite cronica, di qualunque origine, si
sottoponga a specifici esami per capire l’eziologia della sua epatopatia, che può essere anche
multifattoriale. Niente ci vieta che un alcolista abbia anche l’epatite C, niente ci vieta che un
obeso sia anche un alcolista: il paziente va studiato a livello di medicina generale e specialistico.
Aggiungo che io, nelle ultime due settimane, ho visto 4 episodi di epatite C acute: 1 è un paziente
30enne già noto per patologie di rischio per malattie sessualmente trasmissibili, gli altri 3 sono 3
signore tra i 45 e i 60 anni senza alcun fattore di rischio noto. Da qui la necessità di scrinare il più
precocemente possibile la popolazione, in modo da bonificare il bacino di infezioni che non
riusciamo altrimenti a controllare”.

Sclerosi Multipla: diagnosi precoce, presa in carico precoce, trattamenti efficaci il più presto possibile.

Così migliora la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari 

Gli esperti non hanno dubbi: la SM, patologia che dal punto di vista economico impatta 5 miliardi di euro l’anno,

si combatte coinvolgendo tutte le figure professionali, compresi gli infermieri il cui ruolo è fondamentale. 

7 dicembre 2021 – La Sclerosi Multipla (SM) può esordire ad ogni età, ma è più comunemente diagnosticata nel giovane adulto tra i 20 e i 40 anni. Ci sono circa 2,5-3 milioni di persone con SM nel mondo, di cui 1,2 milioni in Europa e circa 130mila in Italia. Il numero di donne con SM è doppio rispetto a quello degli uomini, assumendo così le caratteristiche non solo di malattia giovanile, ma anche di malattia di genere. Esistono varie forme di malattia, ma la pratica clinica ha evidenziato come iniziare la terapia il più precocemente possibile porti a un rallentamento della progressione della disabilità, ricordando che ogni individuo richiede un programma di cura personalizzato. 

Al fine di sensibilizzare le istituzioni verso un trattamento precoce ed efficace della sclerosi multipla, Motore Sanità ha organizzato il sesto di 10 appuntamenti regionali dal titolo ‘Focus Campania: #MULTIPLAYER – La Sclerosi Multipla si combatte in squadra’. Tante prestigiose autorità scientifiche sono intervenute sul tema.

“Iniziative come queste sono molto importanti. Mi piace molto anche il titolo: affrontare questa patologia con il discorso di squadra e di rete, perché l’unione fa la forza, associata alla ricerca e al progresso”, ha dichiarato a inizio dei lavori Antonio Postiglione, Direttore Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale. L’occasione di confronto con i diversi modelli organizzativi regionali è fondamentale, per capire le buone pratiche e per far sì che la squadra possa sempre lavorare meglio.  

Ha parlato della dimensione del problema dal punto di vista economico Francesco S. Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director – Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Presidente SIHTA: “La  SM è una patologia che impatta moltissimo: è stato calcolato un costo totale di 5miliardi di euro, con un costo medio per persona di circa 40-45 mila euro all’anno. Il dato che a me ha sempre colpito molto, però, è quello relativo alla classe di età in cui viene diagnosticata per la maggior parte la malattia, ovvero tra i 20 e i 40 anni. Il che significa tutta una popolazione in piena attività lavorativa, che viene impattata negativamente dall’avvento della patologia. Questo ne riduce la loro qualità di vita e genera un aumento dei costi, tanto per il Sistema sanitario, quanto dal punto di vista dei costi a carico delle famiglie e dei pazienti stessi e di perdita di produttività lavorativa. Molti studi hanno dimostrato come nell’andare avanti con la progressione della malattia aumentano in maniera molto forte i costi. Questo significa che c’è la necessità di intervenire tempestivamente nella diagnosi precoce e nella presa in carico precoce del paziente con conseguente trattamento precoce. Gli assegni ordinari di invalidità nel 2019 sono cresciuti del 30% rispetto al 2016 e le prestazioni per quanto riguarda questa tipologia di servizio previdenziale, quindi assegno ordinario e pensione di inabilità, pesano per l’Inps circa 110milioni di euro ogni anno. E poi c’è l’indennità di accompagnamento che, sempre nei 4 anni considerati, pesano sui 120milioni di euro

“In tutto questo percorso gli infermieri sono coloro che accompagnano il paziente”, incalza Teresa Rea, Presidente OPI Napoli. “Quando pensiamo agli infermieri ci soffermiamo spesso sull’aspetto tecnico della professione infermieristica e a me, rispetto a questa patologia, piace pensare all’aspetto relazionale e anche educativo che è specificato nell’ambito del profilo professionale degli infermieri. È una diagnosi che avviene in un momento particolare della vita di un soggetto, generalmente giovane. Quindi la presa in carico dei bisogni assistenziali di questi pazienti affetti da SM non sono da sottovalutare. Abbiamo bisogno di rivedere i modelli organizzativi della nostra Regione, perché non si può prescindere dall’inserire nell’ambito dei nostri percorsi tutte le figure professionali e anche gli infermieri. Perché non rilevare i bisogni di queste persone, significa non dare loro le cure e noi oggi dobbiamo ragionare molto in termini di cure mancate ai nostri cittadini. Abbiamo la necessità che loro sentano una presa in carico totale, perché spesso il nostro Sistema sanitario offre cure parcellizzate. Soprattutto in questi due anni è stato difficile offrire cure ai cittadini, quindi se vogliamo rispondere ai loro bisogni, dobbiamo innanzitutto individuare quelli che sono gli strumenti per una presa in carico condivisa, andare a individuare i bisogni assistenziali e dare risposte concrete ai nostri cittadini per evitare tante cure mancate che poi nel tempo cronicizzano e danno tante invalidità. Noi infermieri inoltre siamo i garanti della somministrazione dei farmaci, abbiamo un ruolo importante

Recovery Plan: le Associazioni dei pazienti a confronto per una migliore gestione dei fondi, a tutela della salute di tutti e per azzerare le disuguaglianze fra le Regioni

malattie neuro degenerative

19 luglio 2021 – Associazioni di pazienti a confronto, per una nuova medicina del territorio, in grado di azzerare le disuguaglianze fra le Regioni. Occasione di incontro il webinar ‘MEDICINA DEL TERRITORIO E RECOVERY PLAN: UN’OPPORTUNITÁ DI CAMBIAMENTO’, promosso da Motore Sanità, che ha visto la partecipazione di importanti relatori, i quali non hanno mancato di far sentire la loro voce offrendo spunti di riflessione importanti, in vista dei circa 10miliardi del Recovery Plan previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

“Non ho idea se questi miliardi messi a disposizione siano sufficienti o meno, non ho elementi di competenza in questo senso, so però che occorre passare dall’annunciazione delle cose da fare al farle realmente, perché il tempo non è tantissimo”, ha sentenziato Marcello Grussu, Coordinamento Diabete Italia e Presidente Aniad. E ancora: Tra le malattie cosiddette non trasmissibili, il diabete è sicuramente la malattia maggiormente diffusa nel mondo. Da noi in Italia ne soffrono oltre 3milioni e mezzo di persone, con un grosso impatto sull’organizzazione sanitaria, sociale e sui costi. Persone che, quando è iniziata la pandemia, hanno avuto una serie di problemi che si sono scontrati con tutte le carenze dei nostri 21 sistemi sanitari regionali e nazionali. Carenze già esistenti, che il Covid ha soltanto accentuato. In questi giorni il gruppo di lavoro dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) sta portando avanti un documento importante. I punti sono: migliore e maggiore assistenza domiciliare, realizzazione di strutture e di Case di comunità, riorganizzazione degli ospedali di comunità, sviluppo della telemedicina. Speriamo che queste intenzioni possano rispondere alle necessità degli oltre 23milioni di persone che soffrono di qualche cronicità in questo Paese. Tra gli obiettivi anche ridurre l’accesso inappropriato dei ricoveri negli ospedali e nei pronto soccorsi, favorendo un’assistenza all’interno di un contesto più congeniale, che è l’ambito domestico, piuttosto che quello di residenza. Più raggiungeremo tutti questi obiettivi, maggiori saranno le chance di superare criticità e disuguaglianze che ci contraddistinguono. Non possiamo non tenere conto dei ritardi che esistono tra i territori, come ad esempio la scarsa viabilità di certe Regioni.

Parla di disuguaglianze fra Regioni anche Andrea Vianello, Presidente A.L.I.Ce. Italia ODV: “Dati alla mano, sono 150mila gli italiani che ogni anno hanno un ictus. Una patologia importante, che in alcuni presenta danni importanti da gestire: da qui la nostra richiesta che parte dei soldi del Recovery plan vengano destinati a rafforzare le stroke unit, non distribuite uniformemente in ugual misura in tutte le regioni. Importantissime, dal momento che il tempo è l’alleato fondamentale per la gestione dell’ictus”. 

Il vero esercizio non è tanto quello di costruire della Case di comunità o degli ospedali di comunità, o delle reti di prossimità, ma un welfare comunitario, in cui lavoriamo su nuove formule e modelli di cultura, di consapevolezza e di responsabilità. Diamo una centralità reale alle Associazioni e ai cittadini, ha chiosato Paolo Bandiera, Direttore Affari Generali AISM.

Altri temi importanti, infine, sono stati portati alla luce da Anna Lisa Mandorino, Segretario Generale Cittadinanzattiva: “Quello che manca nel PNRR sono tre cose, secondo noi: tutto il capitolo della prevenzione, tutto il capitolo di misure ad hoc per gli altri determinanti di salute (rischi ambientali, climatici, sociali collegati alle questioni sanitarie) e, infine, un investimento significativo sul personale, a fronte del fatto che sappiamo che nel 2027 ci sarà il 16% di medici di medicina generale in meno e che il modello degli ospedali di comunità si basa su un potenziamento forte della figura degli infermieri, su cui però i numeri non ci fanno ben sperare nel medio termine.

Malattie rare: “I bisogni irrisolti dei pazienti e le criticità nei percorsi di presa in carico, necessario che i SSR migliorino i propri modelli di cura”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

19 luglio 2021 – Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza non supera i 5 casi su 10.000 persone, se ne conoscono e se ne diagnosticano tra le 7.000 e le 8.000, interessando quindi milioni di persone. I dati del registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, stimano in Italia 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti: il 20% delle patologie riguarda pazienti in età pediatrica. Per i pazienti in età adulta, invece, le più frequenti sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e quelle del sangue e degli organi ematopoietici (18%). [Fonte: ISS 2015] Ma ancora oggi, ad esempio, gli screening neonatali ed il ritardo diagnostico fanno in modo che i SSR debbano migliorare i propri modelli assistenziali. Con lo scopo di condividere a livello regionale i bisogni irrisolti dei pazienti e le criticità nei percorsi di presa in carico per poter valutare quale programmazione debba essere fatta, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘MALATTIE RARE. FOCUS CAMPANIA/PUGLIA/SICILIA’, terzo di 6 appuntamenti, realizzato grazie al contributo incondizionato di Alexion, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Biogen e Takeda. 

“Dirigo l’UOSC Nefrologia ed Emodialisi dell’AORN Cardarelli di Napoli, il Pronto Soccorso più grande del Meridione, punto di riferimento per Napoli e provincia per tante patologie ed anche per le malattie rare. Il nostro reparto è impegnato in prima linea per la Sindrome Emolitico Uremica Atipica, nella tempestiva diagnosi e nella terapia con Eculizumab, in collaborazione con i reparti dell’Urgenza con cui è stato istituito di recente un PDTA.  È attivo un ambulatorio in regime di Day Hospital per il follow up clinico e terapeutico post dimissione dei pazienti affetti, e per la somministrazione della terapia di mantenimento. Al momento, grazie all’esperienza maturata sul campo e alle competenze acquisite, la UOSC di che dirigo rappresenta un centro Hub and Spoke per la SEUa di riferimento per gli ospedali periferici”, ha dichiarato Olga Credendino, Direttore Struttura Complessa Nefrologia ed Emodialisi Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Antonio Cardarelli, Napoli

“Le malattie rare, caratterizzate da quadri clinici con interessamento multi-organo e/o deficit funzionali multipli, necessitano di una assistenza multispecialistica e multidisciplinare (medica, psicologica, sociale etc.) integrata (strutture universitarie e/o ospedaliere di riferimento e strutture sanitarie e sociali territoriali). Le principali criticità si possono racchiudere in 4 punti principali: ritardata diagnosi con conseguente ritardata presa in carico del paziente, elevata complessità assistenziale, difficoltà nel passaggio ospedale-territorio e quindi nella continuità assistenziale. Per migliorare la qualità dell’assistenza sono indispensabili formazione non solo per gli operatori sanitari, ma anche per gli studenti della Scuola di Medicina, campagne di informazione, stesura di PDTA eseguita anche in collaborazione con i pazienti, secondo criteri basati su evidenze scientifiche, appropriatezza ed efficacia, essenzialità e sicurezza”, ha spiegato Maria Piccione, Coordinatore Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Genetiche e Cromosomiche Rare, Regione Siciliana

 

La Regione Campania in prima linea nella lotta alle infezioni ospedaliere e all’antibiotico-resistenza L’ospedale Cardarelli di Napoli – 100mila ricoveri all’anno – ha mostrato una effettiva riduzione delle infezioni ospedaliere (- 1,02%)

Trapianto

19 luglio 2021 – L’antibiotico resistenza è una delle battaglie probabilmente più grandi del nostro prossimo futuro. A lanciare l’allarme è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per la quale nel 2050 le infezioni resistenti saranno la prima causa di morte: si parla di 10milioni di morti all’anno. Il che significa, a livello economico per l’Italia, un aumento dei costi sanitari di 11miliardi di euro. 

“Per un periodo la Campania è stata un po’ in ritardo su questo fronte, ma adesso abbiamo un referente regionale che, a livello nazionale, sta proponendo un impegno molto importante e fattivo: la sfida non è solo sul piano della ricerca, ma anche la necessità di avere risorse adeguate, ha commentato Antonio Postiglione, Direttore Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale, nel corso del webinar ‘FOCUS CAMPANIA. DAL “CUTTING EDGE” DELLA RICERCA IN ANTIBIOTICO TERAPIA AL BISOGNO DI NUOVI ANTIBIOTICI, DALLA VALUTAZIONE DEL VALORE AL PLACE IN THERAPY APPROPRIATO’, organizzato da Motore Sanità.

Tutto deve essere fatto in maniera sinergica: la Regione Campania ha dei tavoli appropriati fatti da infettivologi, farmacisti e altre branche specialistiche, oltre ai microbiologi, e questo è molto importante, visto che si parla di antimicrobico resistenza. Se non si lavora in team multidisciplinare, tutto questo non può avere valore aggiunto, ha puntualizzato a sua volta Ugo Trama, Responsabile Farmaceutica e Protesica della Regione Campania.

Un tema, quello della multidisciplinarietà, sottolineato anche da Alessandro Perrella, Infettivologo AORN Cardarelli: Per quanto le infezioni siano appannaggio degli infettivologi, la lotta all’antimicrobico resistenza coinvolge più specialisti (igienisti, internisti, infermieri) e dunque va affrontato in team. Per quanto riguarda invece gli scenari futuri, Perrella ha portato una sua preziosa testimonianza, nel tavolo di confronto che ha visto coinvolti importanti relatori di spicco: “Personalmente ho portato avanti un approccio un po’ particolare, basato sulle mie esperienze, ovvero valutare attraverso il meccanismo di prevedibilità dell’andamento delle infezioni dell’assistenza e dell’insorgenza dell’antimicrobico resistenza, per poi andare ad effettuare delle “chirurgiche” nuove valutazioni in quegli ambienti dove si verificano delle infezioni dell’assistenza, in maggiore misura rispetto ad altri ambienti. L’analisi che alcuni riconoscono, che è stata applicata anche per la gestione del Covid, è molto semplice ed è bastata su un algoritmo che altro non fa che dire qual è l’andamento dell’insorgenza delle infezioni antimicrobiche o delle infezioni correlate all’assistenza, rispetto a quelli che sono gli andamenti che si sono verificati negli ultimi anni. Noi questo strumento lo abbiamo utilizzato nel piano 2017 e 2018 e la relazione che il Cardarelli ha presentato a livello regionale sull’andamento delle resistenze e delle infezioni ospedaliere, ha mostrato una riduzione dell’1,02% delle infezioni ospedaliere. Per quanto possa sembrare una percentuale bassa, in realtà in un ospedale che fa circa 100mila ricoveri l’anno è rilevante.

Un lavoro quotidiano, sottolineato anche da Maria Giovanna De Cristofaro, Direttore UOC Rianimazione DEA AORN Cardarelli: “Il Cardarelli è al centro dell’emergenza della Regione Campania. Da anni mi sto interessando di infezioni in terapia intensiva e, come dico sempre, non è vero che in rianimazione i pazienti muoiono con l’infezione: in molti casi i pazienti muoiono per l’infezione. Noi abbiamo focalizzato l’attenzione nella rianimazione sulla prevenzione, ma non tutte le infezioni possono essere prevenute. Quindi dobbiamo vedere cosa fare per bloccare l’antimicrobico resistenza: si tratta di ragionare quotidianamente sul paziente, ognuno dei quali con problematiche e gradi di fragilità diversi”.

Un tema questo, ampiamente dimostrato dai dati della comunità scientifica: da tempo le pubblicazioni evidenziano come solo il 30-50% delle infezioni sia prevedibile attraverso buone pratiche preventive. La sfida che ci attende per il prossimo futuro è importante e c’è ancora molto da fare su questo fronte. Ma la Campania non sta certo a guardare, anzi. È in prima linea nella lotta e nella ricerca.