Esercizio fisico: la rete di medici di famiglia e pediatri del Veneto per contrastare malattie croniche e ridurre disabilità nei pazienti a rischio

Pollenzo, 11 febbraio 2022 – Le forti evidenze scientifiche dell’ultimo ventennio in merito all’importanza dell’attività fisica come vero e proprio farmaco (“exercise pill”) che può contribuire alla prevenzione e al trattamento delle patologie croniche, hanno modificato il nome ed il ruolo della Medicina dello sport, oggi divenuto: “Medicina dello Sport e dell’Esercizio”. Proprio in quest’ottica, il PSSR 2019-2023 della Regione Veneto riconosce il ruolo rilevante che questa disciplina può svolgere, in ambito preventivo, diagnostico e terapeutico, estendendolo ben oltre la funzione storica di tutela sanitaria delle attività sportive. 
L’intervento attraverso l’esercizio fisico è infatti in linea con questo Piano, per quanto riguarda il richiamo alla necessità di migliorare l’appropriatezza delle cure e l’accessibilità ai trattamenti, sia per le patologie più frequenti e più frequentemente causa di ricovero (patologie cardiovascolari, polmonari, renali, etc.), sia per affrontare in maniera appropriata il progressivo invecchiamento della popolazione e per rallentare la cronicizzazione e diminuire le complicanze e le disabilità. A supporto di ciò, nel 2020 è stata attivata in Veneto la Rete Clinica di Medicina dello Sport e dell’Esercizio, che si pone come organizzazione efficace per la realizzazione di ogni intervento preventivo e terapeutico in cui la prescrizione dell’esercizio fisico strutturato (EFS) venga utilizzata per contrastare le malattie croniche e ridurre il carico di morbilità e disabilità nei soggetti affetti da patologie e a rischio, in un’ottica di sinergie e intersettorialità. Questo modello è presentato nel corso della Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Celgene Italia e Bristol Myers Squibb.

La Rete Clinica di Medicina dello Sport e dell’Esercizio in Veneto si articola in nodi polifunzionali con connessione di tipo “Hub and Spoke”, ed include, oltre a Strutture di Medicina dello Sport e dell’Esercizio di I, II e III livello, anche i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, considerati nodi base della rete stessa. 
“Questa organizzazione, fortemente integrata a livello territoriale, si pone a supporto di altre reti cliniche già esistenti in Regione, come ad esempio la rete dell’obesità e la rete oncologica, integrando il processo diagnostico-terapeutico con la valutazione funzionale del paziente e la prescrizione di esercizio fisico individualizzato – spiega il professore Andrea Ermolao, Coordinatore della Rete clinica di Medicina dello Sport e dell’Esercizio della Regione del Veneto -.  A supporto e completamento di quello che si configura come un percorso assistenziale, troviamo la figura professionale del chinesiologo dell’attività motoria preventiva e adattata, di recente giuridicamente riconosciuta (D.L. 28 febbraio 2021, n. 36),  che, nell’ambito di strutture non sanitarie come le “palestre della salute”, supervisiona i programmi di EFS finalizzati al miglioramento/mantenimento dello stato di salute, specificamente definiti attraverso l’integrazione professionale e organizzativa tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e medici specialisti, sulla base delle patologie o fattori di rischio dei singoli soggetti cui sono destinati. Questo modello organizzativo appare pienamente coerente con l’esigenza e necessità di implementazione e sviluppo della medicina del territorio, oggi più che mai evidente

In Reumatologia reti ancora non omogenee e diffuse sul territorio. 

“C’è ancora molto da fare” l’appello delle associazioni dei pazienti 

Pollenzo, 11 febbraio 2022 – “Le reti in reumatologia possono offrire l’opportunità di attivare percorsi che le evidenze scientifiche hanno ampiamente codificato ma che trovano difficile applicazione pratica: in primis la diagnosi precoce delle artriti iniziali e il riconoscimento della lombalgia infiammatoria, ma nel futuro sarà determinante attivare modelli di gestione integrata al pari di altre patologie croniche quali diabete, scompenso cardiaco e BPCO” 
Enrico Fusaro, Direttore della SC di Reumatologia AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, ha aperto con queste parole la sessione “Il valore delle reti di patologia nella medicina attuale in Reumatologia”, alla Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Celgene Italia e Bristol Myers Squibb“Il valore di una rete in reumatologia è quello di offrire, quantomeno a livello regionale, un’omogeneità di offerta e una condivisione dei comportamenti clinici attraverso PDTA”.

Facendo un esame del quadro generale, il professore Fusaro mette in evidenza alcune criticità che devono essere affrontate sul piano organizzativo e assistenziale: disomogeneità nell’attivazione delle reti, disomogeneità nella distribuzione dell’offerta e l’aumento costante della domanda di cura da parte dei pazienti che chiedono delle risposte concrete
A livello nazionale le reti sono presenti solo in alcune regioni, con vari livelli di operatività. “Assistiamo al fenomeno per cui vi sono sia reti regionali formalizzate con atti deliberativi senza che vi sia un’attuazione pratica, sia attività spontanee non formalizzate – spiega il medico -. L’obiettivo è naturalmente quello che formalizzazione ed operatività vadano di pari passo in modo che sia garantita la continuità e il mantenimento dei risultati progressivamente raggiunti. Una criticità dell’assistenza reumatologica è la disomogeneità dell’offerta, spesso concentrata nei capoluoghi di provincia e in alcuni casi nei capoluoghi di regione. Il significato di una rete è pertanto anche quello di analizzare dove l’offerta sia allocata e che potenzialità di risposta possa dare e quindi, in sinergia con le Associazioni di Tutela, stimolare l’apertura di nuove strutture o ambulatori specialistici. La domanda di prestazioni reumatologiche è in costante aumento, questo è dovuto sia all’evoluzione delle conoscenze scientifiche, senz’altro ad una maggiore conoscenza da parte dei medici di medicina generale delle patologie reumatiche, che induce maggiore domanda. L’aumento della domanda a fronte di un territorio disomogeneo nell’offerta porta ad un prolungarsi dei tempi di attesa”.

Secondo il Professor Fusaro è necessario che la rete comprenda il medico di medicina generale in modo che sia coinvolto nel percorso del paziente. 
“Le reti devono farsi carico anche della formazione dei medici di medicina generale con particolare riferimento ad alcune condizioni cliniche. In questo ambito è determinante agire sull’appropriatezza, prendendo spunto dai documenti esistenti e in particolare il Piano Nazionale per il Controllo dei tempi di attesa e le sue declinazioni regionali, in quanto nel piano vi è un riferimento fondamentale, i RAO (Raggruppamenti di attesa omogenei), da cui partire per favorire l’appropriatezza dell’invio a visita reumatologica, sia per quanto attiene l’indicazione clinica in sè sia per quanto attiene l’attribuzione delle classi di priorità. La pandemia ha creato delle evidenti difficoltà nella gestione specialistica delle malattie croniche, con interruzioni o quantomeno diradamento dei follow up. Nel futuro il modello pre-Covid non potrà riproporsi; è il momento quindi di individuare modelli di gestione integrata in cui il medico di medicina generale e lo specialista collaborino per ridurre la pressione di follow up sui centri specialistici e favorire i primi accessi in modo che sia maggiormente soddisfatto il bisogno di diagnosi precoce”.

“L’implementazione delle reti come nel caso dei PDTA per patologia e del PNC se fossero in alcune regioni attuati, o deliberati, avrebbero potuto evitare una serie di problematiche che in epoca Covid sono state amplificate. Voglio ricordare che i pazienti reumatologici da 2 anni sono alle prese con ambulatori chiusi o in forte difficoltà” è il commento di Silvia Tonolo, Presidente ANMAR. 
“Sappiamo che le reti sono sistemi organizzativi che servono a facilitare il percorso di diagnosi e di cura del paziente, supportando la persona affetta da patologia cronica nel migliore percorso. La rete con la suddivisione del territorio in Hub e Spoke facilita la comunicazione, agevola l’implementazione dei PDTA e PNC, e coinvolge il medico di medicina generale. Dal punto di vista dei costi, l’implementazione delle reti, sapendo che le nostre patologie costituiscono la seconda causa più frequente di disabilità, garantirebbero una migliore presa in carico e gestione del paziente, l’organizzazione sanitaria per una diminuzione di costi e una maggiore appropriatezza nelle cure e una presa in carico a 360 gradi del paziente, e specialisti e medici di medicina generale in collaborazione dalla diagnosi alla gestione della cronicità” conclude Silvia Tonolo. 

La rete di dietetica e nutrizione che raggiunge il paziente in ospedale, ambulatorio e a casa sua. L’esperienza piemontese

Pollenzo, 11 febbraio 2022 – “Il ruolo della nutrizione clinica è peculiare, in quanto si tratta di una specialità trasversale, che riveste una funzione primaria, sia nella continuità assistenziale fra ospedale e territorio, sia nei confronti delle strutture che operano nella prevenzione”
Così Andrea Pezzana, Direttore della Struttura complessa di Nutrizione Clinica dell’ASL Città di Torino, spiega il ruolo della rete di Dietologia nel corso della sessione “Il valore delle reti di patologia nella medicina attuale” della Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Celgene Italia e Bristol Myers Squibb

In Piemonte con DGR 18-13672 del 29.03.2010 è stata istituita la Rete regionale delle Strutture di Dietetica e Nutrizione clinica. Con successiva Determinazione n. 507 del 28.07.2010 è stata stabilita la composizione e le modalità operative della Commissione regionale di Coordinamento. 
Nella Regione Piemonte, l’attività di nutrizione clinica si basa su di un modello organizzativo (le Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica – SODNC) che integra le attività a livello ospedaliero, ambulatoriale e domiciliare, e che connette, in modo organico, l’area della nutrizione clinica con le altre aree terapeutiche. La Rete regionale, riorganizzata con la recente DGR 21-3634 del 30.7.2021, è ora composta da 16 strutture, 14 per il paziente adulto e 2 per il paziente in età evolutiva, che sono, per l’Area omogenea Torino, l’ASL Città di Torino, ASL TO4, AOU Citta della Salute e della Scienza (presidio Molinette per adulti e presidio OIRM/S. Anna per età evolutiva); per l’Area omogenea Torino Ovest, l’AOU S. Luigi di Orbassano, AO Ordine Mauriziano di Torino e ASL TO 3; per l’Area omogenea Piemonte Sud Ovest, l’ASL CN 2, AO S. Croce e Carle di Cuneo; per l’Area omogenea Piemonte Nord Est, l’ASL VCO, ASL VC, ASL BI, AOU Maggiore della Carità di Novara; per l’Area omogenea Piemonte Sud Est, l’ASL AT, AO SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo di Alessandria (presidio SS. Antonio e Biagio per adulti e Presidio C. Arrigo per età evolutiva).

“L’attività delle strutture è fondata sulla condivisione di documenti delle Società scientifiche nazionali ed internazionali di riferimento (linee guida accreditate) che hanno determinato la stesura delle procedure attualmente in uso: procedura sulle modalità operative della visita nutrizionale, gestione della nutrizione enterale domiciliare (NED), gestione della nutrizione parenterale domiciliare (NPD) – prosegue il Dottor Pezzana -. Attraverso riunioni operative mensili, i referenti medici e dietisti delle strutture di Dietetica e Nutrizione clinica si confrontano al fine di rendere omogenea ed efficace l’applicazione di tali procedure e quindi l’assistenza fornita su tutto il territorio regionale”

Dalle Regioni: “Usiamo i dati sanitari al servizio della salute”. 

Ma quali competenze, infrastrutture digitali e strument

Pollenzo, 11 febbraio 2022 – “Il dato sanitario è fondamentale per dare un impulso definitivo a quella che si chiama la Sanità digitale, che va dai fascicoli sanitari, che dovranno essere implementati e portati a termine in tutte le Regioni italiane, alla telemedicina che sarà la nuova frontiera di sviluppo di un collegamento tra le varie realtà della presa in carico del paziente: dal domicilio all’ospedale. La telemedicina permetterà l’interconnessione e la possibilità di accedere a consulenze e visite per via telematica, superando gli ostacoli che abbiamo visto durante la pandemia da Covid-19 e realizzando una vera connessione tra ospedale e territorio”, spiega il Dottor Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità. 
Con queste parole si apre la sessione “Uso secondario dei dati sanitari: competenze, infrastrutture digitali e strumenti innovativi necessari – Il punto di vista delle Regioni” della Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Roche.

La Commissione Europea ha delineato tra le sue priorità la condivisione di uno spazio di dati UE, che comprenda anche il settore sanitario. 
“Se oggi ci concentriamo sull’acquisizione dei dati dei pazienti per la presa in carico e la cura, lo sviluppo e la condivisione, consentirebbe uno studio della malattia e delle terapie – spiega Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità di Regione Piemonte -. L’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha fatto da volano dimostrandoci come le basi di dati condivise e analizzate siano prezioso contributo nello studio della malattia. Da medico oltre che da politico, è doveroso da parte mia porre l’accento sull’esigenza di utilizzo di strategie preventive: quelle che si possono realizzare solo grazie a ricerche su dati omogenei, potenziando il fascicolo elettronico sanitario e la digitalizzazione. Come Regione Piemonte auspichiamo che, attraverso l’utilizzo del PNRR e dei fondi europei dedicati all’Italia, si possa compiere un salto di qualità, considerando il limite reale di una Unione Europea cui non sono attribuite delle competenze dirette in materia di salute. La telemedicina ci ha anticipato un futuro i cui driver sono condivisione e di rete, che non significa perdere di vista il paziente o snaturare il contatto con esso ma offrire un accesso più lineare ai servizi, anche in situazioni di disagio”.

“Oggi più che mai è necessario e improcrastinabile per il nostro servizio sanitario nazionale e di Welfare prendere decisioni che determineranno la vita del nostro Paese e la struttura organizzativa, gestionale ed economica negli anni che verranno – spiega Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Presidente SIHTA -. L’intervento deve essere perentorio non solo per rispondere alla crisi del momento ma anche per scongiurare crisi future ancora più drammatiche e con l’obiettivo di garantire una sostenibilità, economica e finanziaria, di lungo periodo. C’è bisogno di un nuovo paradigma che preveda il superamento della logica dei Silos (sia a livello macro che micro) verso un approccio basato sulla valutazione dell’impatto economico complessivo della patologia, così da considerare interventi e tecnologie efficaci un investimento e non un costo”.

“Penso che, anche in considerazione della Strategy for Data europea, il nostro Paese debba prioritizzare disposizioni e infrastrutture abilitanti l’uso secondario dei dati sanitari – spiega Noemi Porrello, Real World Evidence Lead Integrated Access Roche S.p.A. – La definizione di una Data Governance e la presenza di sistemi informativi capaci di mettere a disposizione dataset aggiornati, completi e di qualità saranno alla base della nostra efficacia nell’accelerare la ricerca, migliorare i percorsi di cura e favorire la sostenibilità del Sistema. Si tratta di un passaggio evolutivo essenziale e urgente, che altri paesi europei stanno già affrontando con maggiore successo rispetto all’Italia e che dovrebbe vedere impegnate tutte le parti che operano nell’ambito del Sistema Salute, fra cui l’industria. Roche da anni investe in progetti e competenze in questo ambito ed è pronta anche oggi a dare il proprio contributo”.

“La evoluzione del sistema sanitario negli ultimi anni e l’incremento dell’uso delle nuove tecnologie comporta l’esigenza di tutelare l’integrità dei dati sensibili del singolo – aggiunge Franco Ripa, Direttore Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio-sanitari di Regione Piemonte -. L’elaborazione di una definizione della materia ha evidenziato l’importanza di garantire un diritto fondamentale quello alla salute, senza tuttavia tralasciare il ruolo fondamentale della prestazione del consenso da parte del soggetto interessato. In tal senso si può parlare realmente di ‘sanità elettronica’, ovvero di moderne tecnologie dell’informazione al servizio della sanità

innovativi? 

Dati integrati a supporto di servizi integrati: il “cruscotto di indicatori” per monitoraggio e valutazione dei percorsi dei pazienti

Pollenzo, 11 febbraio 2022 – Il cruscotto di indicatori nasce e si sviluppa come strumento di monitoraggio e valutazione dei percorsi dei pazienti che accedono ai servizi territoriali delle ASL piemontesi. Gabriella Viberti, Ricercatrice Economia Sanitaria – Organizzazione e Valutazione della Performance dei servizi, spesa e finanziamento IRES Piemonte, presenta questo strumento nella sessione “Uso secondario dei dati sanitari: competenze, infrastrutture digitali e strumenti innovativi necessari – Il punto di vista delle Regioni” della Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Roche.
Il riferimento è al macrolivello Assistenza distrettuale e singoli Livelli di Assistenza ad esso afferenti, con riferimento ai Nuovi LEA introdotti con il DPCM del 12 gennaio 2017. La valutazione dalla prospettiva dei pazienti, la continuità delle cure e le interdipendenze delle reti di offerta rappresentano i principi guida del lavoro.
“Gli indicatori sono informazioni selezionate che consentono di valutare il raggiungimento di un determinato obiettivo – spiega Viberti -. Il cruscotto di indicatori che si propone è pensato, in relazione ai fenomeni da valutare, con riferimento al processo programmatorio in atto nella Regione Piemonte e, in relazione alla costruibilità, considerando i flussi informativi del Nuovo Sistema Informativo Sanitario disponibili (più alcune rilevazioni in atto nella Direzione Sanità). Dei 21 indicatori sinora individuati 10 sono riferiti agli indicatori core del “Nuovo Sistema di Garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria” individuato dal ministero della Salute per il Monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza. Gli altri indicatori sono riferiti a fenomeni “traccianti” a livello regionale (es. introduzione della telemedicina) e/o a sperimentazioni regionali (Case della Salute, Infermieri di famiglia e di Comunità)”.

Le dimensioni oggetto di valutazione hanno come riferimento quelle prese in considerazione nel NSG (di seguito, da 1. a 5.), più una proposta (0.) nella dimensione regionale piemontese, relativa alle risorse utilizzate nell’erogare i servizi.

  1. Risorse – finanziarie, fisiche, strutturali – utilizzate nell’erogare i servizi
  2. Contesto-Bisogno di salute
  3. Efficienza e appropriatezza organizzativa
  4. Efficacia e appropriatezza clinica
  5. Qualità percepita e umanizzazione delle cure
  6. Equità geografica e sociale.

Il gruppo di lavoro regionale ha elaborato un primo documento che riporta, per ogni indicatore il fenomeno che l’indicatore intende valutare; il livello territoriale al quale l’indicatore è significativo e/o costruibile: ASL e/o Distretto, regionale; la fonte dei dati; ove esistenti, i corrispondenti indicatori NSG (contrassegnati con * gli indicatori core) e Indicatori S. Anna di Pisa (inseriti tra gli indicatori oggetto di “Approfondimento”).
“Dei 20 indicatori proposti ne sono stati sinora costruiti 18, contenuti in un Rapporto regionale illustrato alle ASL piemontesi nel gennaio 2022, e sono state predisposte Schede per singole ASL, che consentono una lettura congiunta degli indicatori per ogni singola realtà regionale. Le Schede verranno discusse nelle prossime settimane in incontri dedicati”, conclude Gabriella Viberti.

Cronicità: è l’ospedale che va verso il territorio, non viceversa. 

Il punto su oncologia, diabete, malattie cardiovascolari e BPCO 

Pollenzo, 10 Febbraio 2022 – “L’edizione 2022 della Winter School di Motore Sanità arriva in un momento storico in cui l’emergenza sanitaria ci costringe tutti a riflettere non solo sul valore della salute come bene primario, ma sul fatto che dai nostri comportamenti sociali e dalle scelte politiche può derivare o meno il benessere dell’intera società e, come vediamo, del mondo intero”. Con questo invito apre i lavori della nuova sessione, dedicata alla cronicità, della Winter School 2022 di Pollenzo, organizzata da Motore Sanità, in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomicheevento di alto profilo in ambito sanitario, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute, il Presidente della Provincia di Cuneo Federico Borgna che prosegue:
“Lo abbiamo toccato con mano anche nella nostra provincia “Granda” dove da inizio pandemia fino alla data del 31 gennaio 2022 sono state 120.027 le persone contagiate, di cui 1.553 decedute e 100.600 guarite su una popolazione totale di circa 590.00 abitanti. Dati che fanno riflettere seriamente e che ci invitano a considerare davvero la parola “integrazione” come fulcro dell’offerta sanitaria del futuro, che comprende anche un confronto tra chi si occupa direttamente di salute e chi è chiamato, come amministratore locale, a scelte di programmazione che riguardano lo sviluppo futuro del territorio”

L’appello degli esperti che si confrontano al tavolo della sessione “Cronicità e approccio integrato: le sfide per una filiera dell’offerta di diagnosi, azioni, controllo e formazione tecnologica” è all’unisono: è l’ospedale che va verso il territorio, non viceversa. 
Le malattie croniche, caratteristiche della popolazione che invecchia, sono la sfida del futuro. La necessità è che vengano trattate sul territorio, dal momento che gli ospedali nati per trattare le forme acute delle malattie e le riacutizzazioni delle malattie croniche, non sono adatti al trattamento della cronicità. La presa in carico della cronicità deve avvenire in primis nella medicina territoriale a partire dai medici di medicina generale. Per fare tutto questo, si stanno spendendo 10 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con la costruzione delle case e degli ospedali di comunità, con un centro operativo territoriale che prende in carico dal punto di vista informatico la gestione della giornata del paziente, i controlli degli esami che deve fare e così via. In più, con i medici di medicina generale e le altre figure infermieristiche e le farmacie di territorio, si vuole costruire un network dove la cronicità possa essere adeguatamente gestita. Questo significa che ancora di più ospedali e territorio si dovranno parlare, perché il paziente cronico quando si riacutizza e ritorna poi nel proprio domicilio, deve essere assistito con una gestione trasversale che ne assicuri una presa in carico ottimale. Per cui risulta utile una trasversalità aiutata dalla sanità digitale e dalla telemedicina di superamento del concetto di silos-budget con metodiche di remunerazione diverse e una gestione continuativa di tutti i processi che accompagnano la vita del paziente affetto da quella patologia cronica. Ci vuole quindi un sistema di remunerazione non diviso a settori, ma uniformato, accompagnato da percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali che ne garantisca l’assistenza secondo percorsi uniformi e scientificamente impattanti

“La Medicina generale è chiamata a svolgere un ruolo centrale, alla luce del Piano nazionale cronicità, attraverso una riorganizzazione territoriale che sposti il focus dall’ospedale al territorio e permetta di gestire in modo avanzato la cronicità nella sua complessità – spiega Roberto Venesia, Segretario Regionale Generale FIMMG Piemonte – Le patologie croniche vanno prevenute, precocemente diagnosticate e continuamente governate”
La gestione integrata del Diabete mellito Tipo2 (GID) in Piemonte è un esempio di Chronic Care Model multiprofessionale ispirato a 4 principi cardine: la medicina di iniziativa, il pay for performance, l’accountability, la qualità attraverso l’audit. 
Più di 120.000 sono i pazienti diabetici arruolati nella GID svolta dalla quasi totalità dei 2.800 medici di Medicina generale operanti su tutto il territorio della Regione Piemonte – prosegue Roberto Venesia -. Questo modello richiede un passaggio da una “medicina di attesa”, basata su singoli interventi gestiti da singoli professionisti, e rivolta al singolo paziente, ad una “medicina proattiva”, multidisciplinare, multi-professionale, con l’attenzione rivolta alla popolazione, ed in cui il paziente riveste un ruolo centrale ed irrinunciabile. È un modello che permette ai professionisti di misurare la qualità dei propri interventi attraverso l’audit, con la misurazione e la verifica di indicatori di processo e di esito intermedio, e ponendo le basi per una vera accountability. Rappresenta un modello “esportabile” alla gestione di altre patologie croniche, in rapido aumento sia come prevalenza sia come costi determinati tanto dalla patologia in sé quanto, soprattutto, dalle sue complicanze. Il buon controllo di questi pazienti è fondamentale nell’ottica della riduzione di eventi, disabilità e mortalità, considerando anche la complessità derivante dalle comorbilità presenti”.

Per gestire al meglio la cronicità, il medico diabetologo deve diventare un “manager della sanità”, è questa la proposta dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD). 
“Oggi più che mai, alla luce dell’esperienza della pandemia e del futuro della sanità, così come delineato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), riteniamo che il medico diabetologo non possa più guardare esclusivamente alla pratica clinica, ma debba acquisire la formazione e le competenze necessarie per diventare a tutti gli effetti un manager della sanità, in grado di interfacciarsi e di coordinare le diverse figure professionali coinvolte nel team di cura per gestire la cronicità all’interno di un modello assistenziale complesso, dettato dalla necessità di un’integrazione sempre più puntuale e sinergica tra ospedale e territorio – commenta Graziano Di Cianni, Presidente AMD e Coordinatore Area Diabetologica USL Toscana Nord Ovest -. Risulta peraltro essenziale la formazione dello specialista diabetologo in ambito digitale per rispondere concretamente alla sfida imposta dal PNRR e per farsi promotore del rafforzamento dell’offerta di servizi sanitari in telemedicina, con l’obiettivo di semplificare l’assistenza delle persone con diabete, in particolare per quanto riguarda le visite di controllo e il rinnovo dei piani terapeutici e presidi

Cosa accade per le malattie cardiovascolari
Da alcuni studi risulta, come il tempo diretto e indiretto impiegato dal paziente cardiologico per eseguire una visita specialistica sia più di 121 minuti in cui è compreso il viaggio, stimato in 37 minuti, la presenza in clinica/ospedale, stimato in 84 minuti, con un tempo di presenza reale davanti al medico che eroga la visita, dunque quello che realmente ha valore per l’utente, di soli 20 minuti.
“L’attuale pandemia ha messo in luce due aspetti fondamentali – spiega Federico Nardi, Direttore della SC Cardiologia dell’Asl di Alessandria -: la necessità di dialogo/rete tra ospedale e territorio, creando quel continuum assistenziale che dovrebbe essere prerogativa dell’ars cardiologica; l’importanza della centralità del paziente! Bisogna smettere di anteporre le prestazioni al paziente, guidati da DRG! Tutto ciò svuota la vera essenza della nostra professione. La tecnologia messa a disposizione dei nostri pazienti, ad esempio con televisita, permette allo specialista di andare dal paziente e non viceversa. È l’ospedale che va verso il territorio e non viceversa. Pertanto risulta necessario investire risorse e tempo per colmare quel gap che è emerso, nostro malgrado, in questi tempi”.

La broncopeumopatia-cronica-ostruttiva (BPCO) è una delle malattie croniche più diffuse. Le stime indicano che circa il 10% della popolazione è affetta da BPCO, con un pesante impatto sulla qualità di vita delle persone e con pesanti costi economici e sociali. La BPCO costituisce, inoltre, la quarta causa di mortalità nei paesi occidentali. La diagnosi tardiva e una gestione non corretta determinano un declino della funzione respiratoria e un marcato peggioramento clinico, per cui molti pazienti ricevono una diagnosi quando la malattia è severa ed hanno già necessità di ossigeno-terapia. Quale la grande sfida?
“La grande sfida per il futuro, sulla base della recente nota 99, è di migliorare la diagnosi precoce, per intercettare la malattia nella fase più lieve, quando la sospensione del fumo ed il trattamento farmacologico possono consentire degli ottimi risultati – spiega Claudio Micheletto, Direttore UOC Pneumologia AOUI Verona -. Sarà poi necessario che ospedale e territorio interagiscano in modo più efficace: i servizi Pneumologici possono garantire una prima diagnosi a tutti i pazienti, ma i casi più lievi potrebbero trovare sul territorio metodi efficaci di follow-up e rivalutazione. Nei gruppi aggregati di Medicina generale si può realizzare una formazione per l’esecuzione della spirometria semplice, che è un valido strumento per monitorare il paziente. Il miglioramento dell’aderenza e della tecnica inalatoria sono due altri aspetti critici, spesso la terapia è fatta in modo irregolare, per brevi periodi, determinando aumento delle riacutizzazioni e degli accessi ospedalieri. La riduzione delle riacutizzazioni è un obiettivo primario, visto che incidono sul declino di funzione respiratoria e sulla mortalità”

Oncologia territoriale, il modello della “Casa della salute” di Piacenza, tra innovazione organizzativa e tecnologia

Pollenzo, 10 febbraio 2022 – Organizzare le reti oncologiche secondo il concetto di Hub & Spoke, e soprattutto portare il più vicino possibile alla dimora del paziente una terapia non tossica e complessa in ambito oncologico, è fondamentale perché dobbiamo sempre ricordarci che non tutti i pazienti affetti da tumore possono fare chilometri e chilometri per recarsi in ospedale ad effettuare la terapia. Terapie utili e anche salvavita, terapie palliative e che, in qualche modo, curino il tumore ma che possano essere effettuate non in ospedale, bensì vicino al domicilio del paziente, è uno dei presupposti fondamentali per l’implementazione dell’oncologia territoriale. Oltre a questo, i malati di tumore possono essere seguiti con follow-up all’interno del territorio e anche la componente nutrizionale con i dietologi e dietisti può essere effettuata a livello territoriale, così come storicamente sono effettuate le terapie palliative, psico oncologia compresa.

Il modello della “Casa della salute” di Piacenza è l’esempio virtuoso di come assistenza, cura e ricerca arrivino al domicilio del malato oncologico. È stato presentato durante la Winter School 2022 di Pollenzo, organizzata da Motore Sanità, in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, evento di alto profilo in ambito sanitario, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute, nella sessione “Esperienza di oncologia territoriale: innovazione organizzativa e tecnologica” da Luigi Cavanna, Direttore Dipartimento di Oncologia-Ematologia, Azienda USL di Piacenza e Presidente CIPOMO.
Con il razionale di portare l’assistenza, la cura e anche la ricerca clinica oncologica in sedi vicino al domicilio dei pazienti, nella realtà di Piacenza è stata istituita da circa 20 anni un’organizzazione che prevede che gli oncologi si spostino dall’ospedale capoluogo in 3 ospedali di prossimità e dal 2016 anche presso una casa della salute situata in un’ampia vallata priva di ospedali pubblici. In questo modo i trattamenti antitumorali, le visite, le terapie di supporto vengono attuate in strutture vicino alla residenza del malato.
“Le prescrizioni vengono eseguite per via informatizzata che consente la completa tracciabilità, i farmaci sono preparati presso l’Unità di farmaci antiblastici dell’ospedale di Piacenza e inviati con mezzi dell’ASL presso le sedi periferiche – spiega Cavanna -. I primi risultati dell’attività della Casa della Salute sono stati pubblicati sulla rivista recenti progressi in medicina nel 2018. A dicembre 2021 sono stati pubblicati sulla stessa rivista i risultati su 1.339 pazienti oncologici in trattamento attivo seguiti negli ultimi 4 anni sul territorio secondo questo modello”.

Centrali di acquisto per l’accesso rapido all’innovazione tra criticità e soluzioni. Le esperienze regionali

Pollenzo, 10 febbraio 2022 – Le Regioni, già da tempo, per cercare di rendere sostenibile l’innovazione e il costo delle terapie, hanno centralizzato gli acquisti, per cui molte hanno una centrale unica a livello regionale che opera nella maggior parte delle gare di aggiudicazione. All’interno delle varie Regioni però, l’accesso all’innovazione non è omogeneo. L’utilizzo del farmaco innovativo, che molte volte è importante per salvare la vita ai pazienti, arriva con una tempistica diversa dovuta al fatto che le Regioni stesse organizzano il controllo dell’accesso all’innovazione con modalità diverse, dotandosi di commissioni o prontuari che talora, invece di facilitare, ostacolano l’introduzione dell’innovazione. Inoltre anche la durata delle gare, l’e-procurement e la facilitazione burocratica, sono altrettanto importanti per un accesso rapido delle terapie innovative. Ci sono proposte di gare interregionali con sistemi innovativi, che possono facilitare dal punto di vista burocratico e procedurale l’accesso al farmaco e se tali gare venissero diffusamente utilizzate, tale procedura favorirebbe l’accesso all’innovazione stessa. 
Una valutazione dell’efficienza nell’Unione Europea relativa all’area dei sistemi pubblici di acquisto, basato su 12 indicatori di performance e che fornisce una fotografia indicativa sulla qualità degli appalti pubblici a livello europeo, inquadra l’Italia in area rossa (performance non soddisfacente). Tra le motivazioni emerge che più del 20% delle gare presentano un unico offerente (indicatore 1), meno del 45% sono aggiudicate a piccole e medie imprese (indicatore 7) e i tempi di gestione del processo di acquisto sono mediamente superiori a due anni (indicatore 6)
Quali possibili soluzioni? Se ne parla alla Winter School 2022 di Pollenzo, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Eli Lilly, nella sessione “Centrali di acquisto ed accesso rapido all’innovazione”.

Nicolò Pestelli, Presidente del Collegio sindacale FIASO – Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, considerando lo scenario generale attuale, spiega: 
“Questo contesto generale ha comportato spesso tempi di espletamento delle procedure di gara molto lunghi, numerose attività non a valore e disomogeneità tra le diverse Regioni; non adeguate stime dei fabbisogni di acquisto ed errata traduzione nei capitolati di gara; non omogenee interpretazioni normative e carenza di standard di lavorazione; difficoltà nel cercare metodi innovativi di acquisto. Queste problematiche si riproporranno in particolar modo adesso quando sarà necessario in tempi molto rapidi portare avanti procedure d’acquisto di beni e servizi finanziati con i fondi del PNRR. Per questo sarà fondamentale sviluppare modelli di acquisizione innovativi sviluppati anche su logiche di partnership con il privato ed in particolar modo sarà fondamentale fare sharing di esperienze e competenze tra tutte le centrali attraverso anche la creazione di specifici advisory board e osservatori

Sul tema interviene anche Adriano Cristinziano, Direttore UOC Farmacia Ospedale Monaldi – AORN dei Colli di Napoli.
“Gli sforzi fatti fino ad ora nella gestione degli appalti pubblici evidentemente richiedono una spinta maggiore finalizzata a migliorare i processi di acquisizione dei beni e servizi per il Servizio sanitario nazionale, soprattutto in un momento strategico come quello attuale che vede, grazie al Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), la possibilità di accedere a risorse che devono essere spese sapientemente. Data la eterogeneità dei beni da acquisire, sarebbe opportuno soprattutto quando parliamo di farmaci, differenziare i processi di acquisto tra: farmaci biosimilari, farmaci generici, farmaci ancora coperti da brevetto, farmaci nuovi, fino ad arrivare ai farmaci innovativi. Proprio per questi ultimi mettere in piedi nella migliore delle ipotesi 21 procedure di acquisto, ammesso che siano solo una per regione, laddove il prezzo è stabilito da AIFA a livello nazionale, sembra un inutile dispendio di energie e risorse; quando basterebbe un’unica procedura nazionale, magari gestita da Consip, o al massimo poche procedure che vedano accorpamento di regioni. Tutto ciò renderebbe più rapidi i tempi di accesso all’innovazione e renderebbe il processo più efficiente ed efficace”.

Così interviene Marco Pantera, Direttore Centrale Acquisti ARIA spa. 
“L’accesso rapido all’innovazione non può prescindere dal garantire l’operatività corrente degli Enti, rappresentata in termini di attività di procurement gestite nel 2021 da ARIA con gare per un valore di circa 11,6 miliardi di euro oltre 1.000 nuove convenzioni attivate nell’anno, circa 3.500 convenzioni attive per un valore economico complessivo di 16,8 miliardi di euro. In questo contesto stiamo lavorando per promuovere l’accesso all’innovazione degli Enti Sanitari Regionali strutturando un processo di procurement integrato, sperimentando altresì logiche organizzative e partecipative “in rete” che, sotto l’egida ed il governo regionale, convoglino nella progettazione delle iniziative più sfidanti le migliori professionalità presenti negli Enti (specialisti di prodotto, amministrativi, progettisti)”. E poi sul processo di procurement Pantera aggiunge: 
“Il processo di procurement fa leva sulla messa a disposizione per tutti gli attori del sistema ed in ogni fase del ciclo di procurement, dei dati facenti parte del patrimonio informativo regionale utili a definire le necessità ed i fabbisogni: dai dati relativi alla programmazione, al monitoraggio della conduzione delle iniziative aggiudicate. Vogliamo spingere il modello attuale di analisi dei fabbisogni verso logiche predittive, valutando le possibilità fornite dall’intelligenza artificiale per avvicinare ancora di più il processo di procurement sanitario alle esigenze effettive di salute del territorio, in un contesto regionale caratterizzato da un importante numero di utenti, aziende e merceologie. L’innovazione, per essere tale, va accompagnata nelle organizzazioni: il procurement non può essere svincolato dai cambiamenti dei processi operativi degli Enti e dalle evoluzioni dei modelli organizzativi regionali”.

La Regione Piemonte è impegnata da anni nella gestione e valutazione delle tecnologie biomediche, utilizzate per offrire servizi e prestazioni innovative nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. 
“L’Health Technology Assessment (HTA) contribuisce a supportare le decisioni di politica sanitaria, esaminando le conseguenze a breve e a lungo termine dell’utilizzo di una “tecnologia sanitaria” – spiega Andrea Cane, Vicepresidente IV Commissione Sanità Regione Piemonte. È un processo multidisciplinare, che tenta di riassumere le informazioni riguardanti gli aspetti di carattere medico, sociale, economico ed etico relativi all’utilizzo di una tecnologia sanitaria in maniera sistematica, trasparente, imparziale e affidabile. Il Nucleo tecnico HTA dell’IRES, che si confronta con esperti di riferimento di livello locale, ma anche con il livello nazionale e con istituzioni internazionali che si occupano di HTA, predispone valutazioni brevi (rapid assessment) o indagini più approfondite, relativi alle tecnologie richieste dalle aziende sanitarie regionali attraverso i Piani locali delle tecnologie biomediche o anche attraverso i moduli per le richieste di introduzione di dispositivi medici innovativi. La Cabina di regia regionale dell’Assessorato alla Sanità, a fronte delle informazioni reperite e alla luce degli indirizzi programmatori vigenti, elabora pareri in merito all’opportunità o meno di introdurre la tecnologia richiesta in quello specifico contesto richiedente”

“In Toscana esiste un collegamento diretto tra la Commissione regionale HTA (Health Technology Assessment), che valuta i dispositivi medici fortemente innovativi, ed ESTAR, Ente di Supporto tecnico amministrativo regionale, che li contrattualizza – spiega Monica Piovi, Direttore Generale ESTAR di Regione Toscana -. Si tratta di un vero e proprio circolo virtuoso, che nel 2021 ha permesso agli operatori sanitari toscani di utilizzare, oltre ai prodotti inseriti nelle gare, ben 36 dispositivi medici innovativi derivanti da schede HTA e 249 dispositivi per pazienti che avevano necessità di un nuovo prodotto urgente