Un articolo di recente pubblicato su ‘Nutrition, Obesity and Exercise’ suggerisce che un punto vita abbondante, superiore a 88 cm (cioè un’obesità di tipo centrale), nelle donne in post-menopausa potrebbe associarsi ad un aumentato rischio di mortalità. Yangbo e colleghi sono giunti a questa conclusione, effettuando uno studio retrospettivo su 156.624 donne americane in menopausa, su dati del Women’s Health Initiative study. Dall’analisi emerge che l’obesità centrale, anche quando si associa ad peso corporeo normale, risulta associata ad un aumento della mortalità da qualsiasi causa, a quella da cause cardiovascolari e da tumori, rispetto alle donne normopeso, con circonferenza vita nella norma. Una simile associazione si riscontrava anche nelle donne obese con pattern di obesità centrale. Gli autori ritengono importanti questi risultati perché in genere i medici non pongono attenzione alla misura della circonferenza vita nelle donne con peso corporeo nella norma. Ma in questo modo sfugge una categoria di soggetti a rischio di mortalità aumentato, quella delle donne in post-menopausa con giro vita superiore a 88 centimetri.
Lo studio ha valutato 156.624 donne di età media 63,2 anni, nell’arco di un follow up corrispondente a 2.811.187 anni/persona; in questo periodo sono stati registrati 43.838 decessi, tra i quali 12.965 per cause cardiovascolari (il 29.6 per cento) e 11.828 per tumori (il 27.0 per cento). Confrontando questi dati con quelli relativi a donne di peso normale, senza obesità centrale, (a parità di caratteristiche demografiche, stato socioeconomico, fattori legati allo stile di vita e stato ormonale), in quelle con obesità centrale il rischio per tutte le cause di mortalità è risultato aumentato del 31 per cento; mentre tra le donne in sovrappeso ma senza obesità centrale, il rischio risultava aumentato solo del 16 per cento. Anche tra le donne normopeso, quelle con punto vita superiore a 88 cm presentavano rispetto a quelle con circonferenza vita normale, un rischio di mortalità cardiovascolare aumentato del 25 per cento e di mortalità per tumori del 20 per cento.
“Lo studio – commenta la professoressa Patrizia Burra, ordinario di Gastroenterologia, dipartimento di Scienze chirurgiche, oncologiche e gastroenterologiche dell’Università degli Studi di Padova e vicepresidente della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva (SIGE) – presenta alcuni limiti perché ha preso in considerazione solo donne in post-menopausa; di conseguenza, questi risultati non possono essere estrapolati a donne più giovani, o alla popolazione maschile. Inoltre l’obesità centrale è stata valutata solo attraverso la misurazione del giro vita, mentre il ricorso a esami di imaging più sofisticati, avrebbero fornito informazioni e permesso una più accurata stratificazione del rischio della popolazione in studio. Il messaggio che emerge da questo studio – prosegue la professoressa Burra – è importante perché, analizzando un’ampia coorte prospettica, ha permesso di evidenziare come donne di peso corporeo normale, che presentino però obesità centrale, siano a maggior rischio di mortalità rispetto a donne di peso normale senza obesità centrale e che questo rischio sia simile a quello delle donne obese. Ciò significa che basare la valutazione del rischio comportato dall’obesità, solo sulla base del calcolo dell’indice di massa corporea (BMI) non consente di individuare l’aumentato rischio di mortalità proprio delle donne normopeso ma con distribuzione del grasso di tipo centrale. Il messaggio dunque è chiaro e semplice: misurare sempre il giro vita! L’indice di massa corporea e la misura del girovita ci aiutano ad identificare le pazienti a rischio”.
Anche un altro studio, pubblicato nel 2015, analizzando i dati relativi a 15.184 persone (52.3 per cento donne) di età compresa tra i 18 e i 90 anni, aveva riscontrato che nelle persone normopeso, ma con obesità centrale, il rischio di mortalità generale e da eventi cardiovascolare fosse superiore rispetto a soggetti con indice di massa corporea simile ma senza distribuzione del grasso a livello centrale, dato che è stato confermato nelle donne.
Ma a far aumentare il rischio di mortalità non sono solo i chili di troppo e, in particolare, quelli che si depositano sulla pancia. Negli ultimi anni l’attenzione degli studiosi si sta focalizzando con sempre maggior attenzione su un’altra condizione metabolica, la perdita del tessuto muscolare scheletrico (sarcopenia). “Di recente – sottolinea la professoressa Burra – abbiamo effettuato presso il nostro centro uno studio su pazienti con cirrosi epatica, che di frequente presentano una sarcopenia progressiva e generalizzata. La sarcopenia è risultata associata ad aumento sia del rischio di complicanze cliniche che di mortalità, anche dopo che i pazienti vengono sottoposti a trapianto di fegato (Lucidi C J Hepatol. 2018, Merli M J Hepatol. 2017)”. L’alterata omeostasi metabolica è stata associata anche ad alterazioni della normale distribuzione del tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo e tali alterazioni sono state correlate in modo indipendente ad un aumento del rischio di mortalità in pazienti con cirrosi, soprattutto di sesso femminile, ed ad aumento del rischio di recidiva di epatocarcinoma dopo trapianto di fegato soprattutto nel sesso maschile(3). Il nostro studio, ancora in corso, sta dunque valutando le immagini della TAC addome a livello della III vertebra lombare per studiare la distribuzione del tessuto adiposo sottocutaneo e del tessuto adiposo viscerale. I risultati non hanno riscontrato un’associazione tra le alterazioni della distribuzione del tessuto adiposo e un aumentato del rischio di complicanze, né con un aumento di mortalità dopo trapianto. Questo resta dunque un argomento ancora aperto alla ricerca clinica”. Secondo il presidente della Sige professor Domenico Alvaro “occorre che le società scientifiche si adoperino per diffondere nella popolazione messaggi chiari sulla prevenzione dell’obesità e sui semplici parametri da monitorare inclusi peso corporeo e giro vita!”