Salute mentale: basta nascondere la testa sotto la sabbia

4milioni di italiani soffrono di disturbi mentali, a rischio soprattutto donne e ragazzi. L’episodio di Marco Bellavia al Grande Fratello Vip ha riacceso i riflettori su questo sempre più dilagante problema e ora bisogna agire subito e agire in fretta. A chiederlo a gran voce i maggiori esperti in campo: “Nei prossimi mesi rischiamo grosso”.

18 ottobre 2022 – Sono più di 4milioni gli italiani – dati Istat – che soffrono di disturbi mentali. Una persona su otto in tutto il mondo – il 13% dell’intera popolazione del nostro pianeta – come emerge dal rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Numeri importanti, alimentati per altro dalla pandemia da Covid-19 che ha sicuramente influito negativamente sulla nostra salute. Parlarne però è tabù, perché mentre è molto più facile provare empatia con chi ha un disturbo fisico, chi ha una malattia mentale viene definito “pazzo”, “debole”, “da rinchiudere”, “perdente”, come ha scritto sui suoi social Marco Bellavia. È noto a tutti il recente episodio in cui il concorrente del Grande Fratello Vip, dopo aver manifestato più volte il suo disagio emotivo e psicologico nella casa più spiata dagli italiani, è stato emarginato dal resto del gruppo, tanto da decidere di autoeliminarsi dal gioco. Vittima due volte, bullizzato dagli altri concorrenti a cui aveva chiesto aiuto e dai quali, in cambio, ha ottenuto invece ostilità e vessazioni “da branco”. Un esempio di cattiva televisione che ha fatto molto discutere e che ha sollevato un certo clamore mediatico ma che ha avuto, di contro, il pregio di portare alla ribalta il tema della salute mentale, alla vigilia del 10 ottobre: giornata mondiale della Salute Mentale.

Motore Sanità – organizzazione no profit al servizio del cittadino che vanta un patrimonio di una nutrita rete di professionisti, aziende, stakeholder, Associazioni di cittadini e di pazienti – non è stata certo a guardare, ma ha chiamato in causa i maggiori esperti in campo, riuniti per l’evento “SALUTE MENTALE: COME SUPERARE LO STIGMA IN SANITÀ”.

Ebbene, quello che è emerso è un quadro allarmante: da inizio 2021 al 31 agosto di quest’anno si contano 413 suicidi e 348 tentativi – secondo l’osservatorio suicidi della Fondazione Brf, Istituto per la ricerca in psichiatria e neuroscienze. Le difficoltà psichiatriche gravi dopo la pandemia Covid come la depressione, l’autolesionismo, le psicosi, i disturbi alimentari, negli adolescenti italiani sono incrementati del 30% e il 41% risulta a rischio di sviluppare problematiche psicologiche. Un adolescente su 4 soffre di depressione, il 16% ha disturbi alimentari, ha ideazioni suicidarie e va incontro ad autolesionismo. Le donne hanno più possibilità di sviluppare conseguenze psichiatriche perché a loro viene chiesto di svolgere più funzioni: genitoriali, famigliari, lavorative. Infine, l’isolamento sociale, l’ansia, la solitudine, la paura prolungata e la conflittualità famigliare, alla lunga possono cronicizzarsi e svilupparsi in forme più severe.

Così Enrico Zanalda, Copresidente Società di Psichiatria: “Lo stigma in salute mentale determina un ritardo nella diagnosi e presa in carico delle patologie fisiche e psichiche dei nostri pazienti. La morbilità fisica e la mortalità sono maggiori nelle persone che soffrono di patologia mentale. I nostri pazienti, a causa dello stigma, hanno un’attesa di vita inferiore alla popolazione di controllo – mediamente di 10-11 anni. Gli stessi operatori sanitari sono meno solerti nel trattare pazienti con sintomi psichici, poiché non li ritengono molto attendibili e ne sottovalutano la differenza. Questo

atteggiamento di diffidenza ed evitamento degli operatori della sanità è direttamente proporzionale alla gravità della sintomatologia psichica del paziente”.

A questo proposito Domenico Berardi, Cattedra di Psichiatria dell’Università di Bologna, ha parlato del suo studio dal quale emerge che, in Emilia Romagna, i pazienti con salute mentale muoiono 2,6 volte di più di malattie cardiovascolari e tumori perché, essendo psichiatrici, non vengono adeguatamente trattati.

A fronte dell’aumento della domanda di cura di salute mentale, soprattutto da parte degli adolescenti e dei giovani, occorre rafforzare i Dipartimenti i salute Mentale aumentando gli interventi di prevenzione e di intervento precoce.” È quanto sostiene Michele Sanza, Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Forlì Cesena, ricordando come “sempre di più il disagio psichico si esprima anche attraverso l’abuso di sostanze. Serve andare oltre l’intervento settoriale, integrando i Servizi di Salute Mentale per gli adulti con la Neuropsichiatria infantile e le Dipendenze patologiche”.

Su queste tematiche”, ha sottolineato Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità Regione Piemonte, “è importante fare ricerche sempre rigorose e sensibilizzare le persone e le istituzioni per superare lo stigma sociale. La sofferenza psicologica è una componente umana frutto di tanti fattori, anche di ordine sociale ed economico e questo, sicuramente, nei prossimi mesi si accentuerà”.

Un invito ad agire subito e in fretta, in vista di un periodo storico sicuramente non semplice – tra post pandemia, economia di guerra e crisi ambientale – prima che sia troppo tardi.

Psoriasi, con PASI 100 si punta alla guarigione completa

Luca Bianchi, Responsabile U.O.S.D. Dermatologia Fondazione PTV Policlinico Tor Vergata, Roma: “Stiamo vivendo nella dermatologia numerosi passi in avanti sia dal punto di vista terapeutico, sia dal punto di vista della conoscenza della malattia”.

12 ottobre 2022 – La psoriasi è una malattia infiammatoria della pelle ad andamento cronico- recidivante che colpisce 125 milioni di persone nel mondo e circa 2,5 milioni in Italia (prevalenza 3-4%).

La maggior parte di queste soffre della forma più comune, la psoriasi a placche lieve/moderata, mentre circa il 20% è colpito da una forma grave. Si manifesta con placche eritemato- desquamative localizzate su diverse superfici del corpo dalle pieghe cutanee alle zone palmoplantari, dal cuoio capelluto al volto, dalle unghie alle mucose e che possono apparire in qualsiasi periodo della vita, in entrambe i sessi. Nel 30% pazienti ha carattere familiare e oramai molte evidenze la indicano come malattia sistemica con diverse comorbilità: alterazioni distrofiche delle unghie, artropatie, uveiti, malattie infiammatorie croniche intestinali, malattie metaboliche e cardiovascolari, disordini psichiatrici, apnee notturne, osteoporosi, Parkinson, solo per citarne alcune. Pertanto è facile comprendere come questo quadro di comorbilità abbinato al peso dei sintomi e alle implicazioni psicologiche per dover convivere con una malattia molto visibile e in alcuni casi deturpante, abbiano un impatto molto rilevante sulla vita, sulla sua qualità, sugli aspetti sociali dei pazienti e delle loro famiglie.

Alcuni fattori poi possono incidere sulla progressione della malattia e ridurre l’efficacia delle terapie come fumo, consumo di alcolici, sovrappeso, sindrome metabolica, depressione e quindi vanno corretti. Intervenire rapidamente e con una terapia che mantenga la sua efficacia nel tempo è quindi un obiettivo fondamentale per il paziente. Si è parlato di questo, e di molto altro ancora, nel corso dell’evento “PSORIASI: IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE? – LAZIO”, organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di UCB Pharma.

Così Luca Bianchi, Responsabile U.O.S.D. Dermatologia Fondazione PTV Policlinico Tor Vergata, Roma: “Credo che sarà un’occasione, questo incontro, per dare un ritratto delle differenze di accesso alle cure tra le diverse regioni italiane, che non è affatto omogenea. Sono state analizzate fino ad ora delle regioni molto virtuose come la Lombardia, ma non è così ovunque. Le nuove terapie hanno come obiettivo il PASI 100: la guarigione completa, molto importante per una malattia altamente impattante per il paziente come la psoriasi. Stiamo vivendo nella dermatologia numerosi passi in avanti sia dal punto di vista terapeutico, sia dal punto di vista della conoscenza della malattia. Stiamo raggiungendo la possibilità di raggiungere il clearing, cioè non la guarigione totale dalla malattia, ma il curare al meglio possibile risolvendo tutte le sintomatologie della malattia. Stiamo vivendo un periodo in cui stiamo raggiungendo la possibilità di avere le migliori cure”.

Per quanto riguarda le reti di patologia si rileva un’effettiva differenza da regione a regione nella loro strutturazione. Parola di Clara De Simone, Professore Associato di Clinica Dermosifilopatica Policlinico Gemelli Roma – Delegato SIDeMaST Regione Lazio (Società Italiana Dermatologia Medica Chirurgica Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse): “In Lazio si sente molto la mancanza di una rete; in passato ci sono stati diversi sforzi per organizzare un sistema strutturato, però si è trattato di sole iniziative aziendali e personali; non essendo strutturali non hanno avuto un grande slancio organizzativo. Essendo numerosi i centri prescrittori e numerosi i pazienti, oltre ad essere numerosi i dermatologi e gli MMG, è necessaria un’organizzazione strutturata. Senza una rete strutturata non riusciamo a garantire l’accesso all’innovazione di tipo farmacologica e non solo”.

Circa i bisogni dei pazienti Valeria Corazza, Presidente APIAFCO, ha sottolineato i seguenti punti: “Prima cosa è il riconoscimento di questa malattia all’interno del piano nazionale cronicità, perché la psoriasi è una malattia che dura tutta la vita e comporta numerose comorbilità. Poi chiediamo l’aggiornamento dei LEA e la possibilità di accesso per i pazienti della fototerapia a livello domiciliare. Importantissimo, inoltre, è l’accesso alle terapie innovative”.

In questo momento le questioni messe in luce dalle Associazioni sono molto importanti: dobbiamo avere un equo accesso ai farmaci e garantire ottimi livelli di cura dovunque sul territorio italiano, ha aggiunto Sabrina Nardi, Consigliere Nazionale Salutequità. “Se il SSN vuole essere al passo coi tempi deve attrezzarsi per garantire l’innovazione in maniera equa sul territorio, ma per garantire l’innovazione serve un’organizzazione capace di recepire l’innovazione. Alcuni aspetti fondamentali su cui agire: l’innovazione deve entrare rapidamente nei PDTA, bisogna però in primo luogo creare questi PDTA che mancano in molte regioni. Abbiamo l’opportunità da cogliere rappresentato dal PNRR, il piano però non deve lasciare indietro le patologie poste in secondo piano nei piani di programmazione regionali. Bisogna fare in modo che queste patologie non siano oggetto di discussione soltanto tra gli addetti ai lavori”.

Figura di primo piano il farmacista, come ha ricordato Chiara Izzi, Dirigente Farmacista U.O.C. Farmacia Clinica Fondazione PTV Policlinico Tor Vergata: “Oltre a garantire materialmente il farmaco, ci troviamo anche a gestire il budget di spesa. Il farmacista deve quindi essere anche un punto di collegamento tra le autorità e la realtà clinica di ogni giorno”.

E a proposito di spesa Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Presidente SIHTA ha dichiarato che: “A livello generale soltanto chi non vuole vedere continua a ragionare che la sanità è un costo e a non voler vedere il valore dell’innovazione e delle cure. Questo discorso generale si cala perfettamente nella tematica della psoriasi perché chiaramente i costi diretti e indiretti sono notevoli per queste patologie, soprattutto quanto riguarda i costi indiretti quindi spesi dal paziente. Non si può dimenticare che il peso economico sul paziente crea un effetto domino sul lungo periodo sia per i pazienti che per i caregiver”.

A fine convegno Ugo Viora, Presidente ANAP, ha messo l’accento sullo stigma: “C’è tutto il momento della socialità e del tempo libero che è difficile. La qualità di vita del paziente ne risente molto, anche la notte, perché la malattia influisce negativamente anche sulla sua qualità del sonno. In tutto questo contesto i farmaci hanno un impatto enorme, togliendo i sintomi e bloccando la progressione della malattia”.

È ormai assodato che oggi esistono farmaci in grado di arrivare a PASI 100 e quindi di far scomparire completamente la malattia psoriasica nei pazienti medio gravi”, conclude il Dottor Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità. “Il sistema deve però essere in grado di accogliere qualsiasi innovazione. Sapere che in alcune regioni, e il Lazio non fa differenza, soltanto il 20-30% dei possibili pazienti sono trattati con i nuovi farmaci in grado di arrivare al PASI 100, che manca una vera e propria rete dermatologica, che sarebbe ottimale l’utilizzo di dermatologi specialisti e una presa in carico del paziente multispecialistica, significa che da una parte l’innovazione sta diventando dirompente, ma dall’atra parte il Servizio Sanitario Regionale del Lazio non riesce a stare al passo”. Oltre che dalle persone, dalle idee e dai buoni propositi bisogna partire dalla visione dei modelli, per poter far sì che le cure adeguate arrivino al paziente adeguato in qualsiasi situazione.

Beta-talassemia e emoglobinopatie: regione Emilia Romagna punta sull’innovazione e sul fare rete tra i centri di cura

Ereditare la talassemia non è una colpa, convivere con essa non è sempre semplice. Una patologia cronica ti segna profondamente in ogni aspetto di vita, la forza che ogni paziente deve ricercare consente soprattutto al giorno d’oggi di studiare, lavorare, crearsi una famiglia e vivere appieno nella società”. Sono le parole di Valentino Orlandi, presidente di “Alt” Ferrara – Associazione per la Lotta alla Talassemia Rino Vullo. Parole che ha pronunciato in occasione dell’evento “PNRR ED INNOVAZIONE. FOCUS ON BETA-TALASSEMIA ED EMOGLOBINOPATIE – EMILIA-ROMAGNA” organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di BRISTOL MYERS SQUIBB.

Innovazione, organizzazione, programmazione, attività di ricerca, telemedicina e digitalizzazione sono stati i temi affrontati, e in tutto questo la voce dei pazienti è risuonata forte e con essa i loro “desideri”. “Di talassemia non si muore, semmai si muore per le complicanze da essa derivate – ha sottolineato Valentino Orlandi -. Proseguire la migliore presa in carico di cura e la terapia trasfusionale (per questo sono da lodare  i magnifici donatori di sangue, chi li organizza come Avis, Fidas, Fratres e Croce Rossa, insieme al sistema sanitario ospedaliero regionale e Ministeriale) consentono di auspicare al veloce arruolamento per le terapie innovative che potranno migliorare le cure riducendo a chi ne avrà caratteristiche, ridurre o eliminare le trasfusioni, o guarire quando le terapie geniche saranno disponibili ed autorizzate. Pazienti e associazioni dei pazienti monitoreranno e muoveranno ogni leva politica-istituzionale per evitare lungaggini e intoppi per queste innovative opportunità di cura e guarigione. Fondamentale sarà mettere in grado i nostri centri di cura di proporre e arruolare i pazienti”.

I dati sul percorso del paziente, emersi da una analisi nazionale pubblicata come poster per l’evento ISPOR-EU del Novembre 2020, “Disease Management of Patients with B-Thalassemia in Italy: Current and Future Perspectives.” (L. Pinto, M. Assanti, F. Fiorentino, C. Panetta, F. Randon. Presented at International Society of Pharmacoeconomics an Outcomes Research-Europe (ISPOR-EU). November 16-19, 2020), delineano l’identikit del paziente con Beta-talassemia.  Il paziente deve recarsi in ospedale in media 39,5 volte all’anno; per ogni trasfusione, che avviene in media ogni 18,6 giorni, deve accedere alla struttura ospedaliera fino a 3 volte; la permanenza media in una struttura ospedaliera è di 5 ore per trasfusione; quasi la metà dei pazienti (46%) è accompagnata da un caregiver, per lo più in età lavorativa (il 73%), con un impatto negativo sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata. E ancora: il costo diretto medio per paziente con TDBT è stato stimato in 39.383 euro all’anno: il 12% relativo alla raccolta del sangue, il 43% alla terapia trasfusionale e il 45% alla terapia di chelazione del ferro. Nella fase di terapia trasfusionale, il costo più elevato è stato associato alle unità di RBC, pari a 571 euro per trasfusione, corrispondenti a 11.258 euro per paziente all’anno (PPPY). Il secondo costo diretto più rilevante è stato quello del trasporto del paziente, con un costo per trasfusione di 76 euro e un PPPY di 1.504 euro, a causa dei frequenti accessi in ospedale. I costi indiretti della raccolta del sangue hanno rappresentato circa il 9,5% dei costi totali; nella fase di raccolta del sangue, i costi indiretti sono stati pari a 1.297 euro PPPY e sono stati associati al tempo perso nel processo di donazione e nel trasporto dei donatori; nella fase di terapia trasfusionale, i costi indiretti sono stati pari a 2.453 PPPY e si riferivano al tempo perso dal paziente e dal personale di assistenza.

Daniele Marchetti, Vicepresidente della IV Commissione Politiche per la salute e Politiche sociali ha sottolineato quindi quanto sia importante in questo campo investire in innovazione. “Oggi abbiamo una possibilità straordinaria che è il PNRR, vale a dire risorse che arrivano ai territori e che bisogna assolutamente intercettare e utilizzare al meglio. In un momento di difficoltà come quello attuale, in cui i servizi sanitari regionali per eredità di questi ultimi due anni stanno vivendo forti difficoltà a livello economico, l’innovazione nelle terapie potrebbe rappresentare un vantaggio; magari un investimento su nuove tecnologie potrà avere un impatto maggiore nella fase inziale – ed è per questo che è importante intercettare le risorse del PNRR – ma sul lungo periodo potrebbe portare a dei risparmi che non significano tagli su spese mediche e terapie, ma ridurre l’ospedalizzazione o il richiamo del paziente per la terapia specifica del caso. Quindi è importante cercare di fare i conti con le difficoltà economiche mettendo in campo azioni efficaci che possano garantire cure adeguate ai nostri cittadini, e l’unico modo per farlo è puntare sull’innovazione”.

È d’accordo Antonella Grotti, Sub-commissario Sanitario Azienda Ospedaliera Universitaria Ferrara. “Sicuramente le innovazioni e il PNRR potranno supportarci sia nell’ambito dell’attività clinico-assistenziale sia nell’ambito delle innovazioni organizzative per migliorare i team multiprofessionali che al momento seguono i pazienti, così come anche tutto l’ambito della digitalizzazione, a tutto vantaggio dei clinici per migliorare la gestione del paziente, a vantaggio degli stessi pazienti che potranno non dovere più girare con materiale cartaceo. Nello stesso tempo ritengo sia un importante beneficio anche per chi si occupa di ricerca, nello specifico i data manager, che sicuramente potranno migliorare i loro livelli qualitativi”.

Luca Pinto, Principal RWS presso IQVIA, che ha presentato il tortuoso percorso del paziente talassemico, ha aggiunto: “Un sistema sanitario moderno permette l’accesso all’innovazione efficientando i propri processi assistenziali e re-investendo i benefici nelle nuove tecnologie. Questo approccio è fondamentale anche per il percorso assistenziale del paziente talassemico, caratterizzato da un alto numero di accessi alla struttura ospedaliera che impattano sulla qualità di vita dei pazienti e dei caregiver. Un’analisi condotta a livello nazionale da IQVIA Italia ha permesso di proporre un modello organizzativo per la beta-talassemia caratterizzato da 8 pilastri che consentono di individuare aree di efficienza e innovazione”.

Il modello organizzativo è stato applicato presso l’AOU di Ferrara, che è il centro HUB della rete delle talassemie dell’Emilia Romagna, con circa 200 pazienti in carico. “Dall’analisi svolta si evidenzia l’opportunità di sviluppare il case management – ha approfondito Luca Pinto -. Il case management si collega sia al DM 77 e alla Missione 6 del PNRR, sia al tema della centralità della presa in carico, sempre più presente negli atti governativi. Il case management deve essere sempre più supportato dall’efficienza dei processi e da investimenti specifici in organizzazione e competenze. Altre opportunità evidenziate dall’applicazione del modello presso l’AOU di Ferrara riguardano l’implementazione di soluzioni digitali a supporto del personale e dei pazienti e il rafforzamento di un network regionale che coinvolga strutturalmente l’associazione pazienti. Queste riflessioni pratiche potrebbero essere adottate dalle direzioni strategiche per rendere più efficienti i processi assistenziali e alimentare la sostenibilità delle innovazioni terapeutiche”.

Sulle nuove cure ha parlato, infine, Filomena Longo, Direttore Day hospital della Talassemia e delle Emoglobinopatie dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara – Nuovo Ospedale S. Anna, Sede di Cona. “Negli ultimi anni si sta assistendo all’accelerazione degli studi sperimentali di terapia genica per la talassemia, e si auspica che nel giro di qualche anno possano aprirsi nuovi orizzonti di cura per queste patologie. Da poco si è reso disponibile nella pratica clinica un farmaco per la modulazione delle eritropoiesi che permetterà ai pazienti trasfusione-dipendenti una riduzione significativa dell’apporto trasfusionali con ripercussioni positive rispetto all’accumulo di ferro, la riduzione degli accessi trasfusionali e di conseguenza un miglioramento e della qualità di vita”. Poi la professoressa Longo ha sottolineato l’importanza di condividere esperienze e di fare rete. “L’esperienza dei centri di riferimento come Ferrara, che hanno partecipato attivamente ai trials registrativi, così come in tutti gli altri campi che riguardano le terapie per queste patologie, deve essere messa a disposizione, in quanto centro di riferimento anche per i centri periferici che hanno in carico questo tipo di pazienti. È molto importante fare rete e l’Emilia Romagna rappresenta un modello Hub & Spoke, unico in Italia per queste patologie, che può ottimizzare la collaborazione tra centri allo scopo di applicare protocolli di cura omogenei e condividere l’esperienza pluriennale nel campo delle talassemie e delle emoglobinopatie. È dunque importante valorizzare i centri di riferimento come Ferrara e continuare a supportare l’adeguatezza numerica del team, gli spazi e l’organizzazione”. 

I NUMERI DELLA BETA-TALASSEMIA E DELLE MIELODISPLASIE

La talassemia, anche chiamata “anemia mediterranea”, fa parte di un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da un difetto di produzione delle catene proteiche (globine) che formano l’emoglobina. La forma di talassemia più diffusa in Italia è la β-talassemia, nella quale si ha un difetto della produzione delle catene beta, geneticamente trasmesso come carattere autosomico recessivo.

In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500; i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutto il resto della penisola.

Le mielodisplasie, causate da un difetto della cellula staminale del midollo osseo che produce globuli rossi, bianchi e piastrine, ogni anno fanno segnare un’incidenza di 3.000 nuovi casi in Italia. I sintomi compaiono già nei primi mesi di vita e se non si interviene con adeguate terapie le conseguenze possono essere deformazioni ossee, ingrossamento di milza e fegato, problemi di crescita, complicazioni epatiche, endocrine e cardiovascolari. Fino a 50 anni fa l’aspettativa di vita era di 10-15 anni, ma grazie ai risultati della ricerca questa è nettamente migliorata. In entrambe le patologie la sopravvivenza dei pazienti oggi prevede, oltre a regimi dietetici particolari, trasfusioni ogni 2-3 settimane e assunzione quotidiana di terapia ferrochelante, che eviti i danni da accumulo/intossicazione di ferro in organi vitali (cuore, fegato e pancreas).

Le patologie che comportano anemia severa e trasfusione-dipendenza, come la beta-talassemia e le mielodisplasie, oltre a condizionare pesantemente la qualità della vita dei pazienti che ne sono affetti, hanno purtroppo un impatto rilevante anche sulla loro aspettativa di vita.

Grazie alla disponibilità di cure appropriate, negli ultimi decenni, l’aspettativa di vita dei pazienti è significativamente aumentata fino a superare i 50 anni. Grazie ai programmi di prevenzione è possibile inoltre identificare le coppie di portatori sani a rischio di trasmettere la talassemia ai figli e offrire la possibilità di effettuare la diagnostica prenatale. L’unica terapia curativa per la beta talassemia approvata ad oggi è il trapianto di cellule staminali, che però è riservato ad una minoranza di pazienti che dispongono di donatore compatibile.

Legge Gelli-Bianco, servono decreti attuativi per definire responsabilità e ruoli degli attori del sistema sanitario

Torino, 11 ottobre 2022 ACOP – Associazione Coordinamento Ospedalità Privata mette attorno ad un tavolo le istituzioni e il mondo assicurativo per sciogliere i nodi della responsabilità professionale in campo sanitario. Presso la sede del Consiglio della Regione Piemonte si è tenuto il convegno organizzato da ACOP in collaborazione con Motore Sanità, dal titolo “La Legge Gelli- Bianco: il ruolo e le responsabilità nell’ambito dell’ospedalità privata in Piemonte” per discutere su cosa è e sta cambiando con la Legge Gelli-Bianco e quale siano le responsabilità e le azioni in obbligo anche alle strutture private.

Uno studio condotto dall’Ordine dei medici di Roma ha evidenziato come il 78% dei medici italiani ritiene di ricorrere un rischio di procedimenti giudiziari e pertanto di subire una pressione indebita nella propria attività quotidiana; il 53% dichiara di prescrivere farmaci per ragioni di medicina difensiva e mediamente il 13% delle prescrizioni di tutte le prescrizioni farmaceutiche sono legate alla medicina difensiva, come lo sono il 21% delle prestazioni specialistiche, delle visite ambulatoriali, il 21% degli esami di laboratorio e l’11% dei ricoveri. Altro dato. Dall’ultima rilevazione fatta da Agenas emerge che nel 2020 l’indice di sinistrosità – sinistri per 10.000 ricoveri – in Piemonte è del 12,3 a fronte di una media nazionale del 19,6. La variabilità regionale è elevata andando da 39,2 per il Molise all’8,2 della Regione Liguria. Le denunce sono abbastanza costanti dal 2016 al 2021: erano 736 nel 2016, 731 nel 2017, 666 nel 2018, 594 nel 2019, 649 nel 2020 e 732 nel 2021. “La Regione Piemonte paga oltre 24 milioni di premio all’anno per le sue strutture sanitarie. È una cifra importantissima. Un decreto attuativo che definisca correttamente responsabilità e ruoli è oggi quanto mai necessario dopo l’esperienza Covid che ha visto esplodere questi fenomeni, altrimenti si sviluppano dei malfunzionamenti quali la medicina difensiva da parte dei medici e anche l’incremento delle polizze assicurative – ha spiegato Luigi Genesio Icardi, Assessore alla Sanità Regione Piemonte -. La legge Gelli-Bianco ha avuto il grandissimo vantaggio di creare uno strumento normativo chiaro che ha ridefinito in modo puntuale e preciso le responsabilità dei vari soggetti, da una parte quella extracontrattuale del medico, dall’altra quella contrattuale della struttura che oggi paga il prezzo più pesante”.

Michele Vietti, Presidente di ACOP (Associazione Coordinamento Ospedalità Privata) con queste parole ha messo nero su bianco cosa c’è da fare. “Quando si verifica un evento avverso è necessario da un lato mettere in sicurezza i professionisti e dall’altro tutelare i pazienti, garantendo il ristoro delle sofferenze patite, siano queste dirette o indirette. Ciò può senz’altro avvenire attraverso la copertura assicurativa del rischio oppure in autogestione. Non è giusto, però, scaricare sulla struttura sanitaria responsabilità proporzionate al rischio reale e assicurabile”. Secondo il Presidente Vietti, “la legge Gelli Bianco del 2017 segna un punto di riordino dell’intero sistema della responsabilità medica, razionalizzando una giurisprudenza troppo altalenante ma occorre tener presente nel bilanciamento degli interessi anche quello dell’ospedalità. A distanza di più di cinque anni dalla legge, è arrivato l’attesissimo decreto attuativo, che resta però sospeso dal Consiglio di Stato. Nella sostanza tale decreto impone, tra l’altro, l’obbligo assicurativo per le strutture sanitarie, prendendo atto della crescente diffusione delle “analoghe misure” alternative alla polizza assicurativa, cui viene conferita una regolamentazione più rigorosa, per evitarne gli abusi finora utilizzati. Per rendere il sistema virtuoso, è necessario però uno sforzo sinergico di gestione del rischio, per dare reale sostenibilità ad una sanità responsabile”.

La Legge n. 24 del 2017 – è intervenuto Amedeo Bianco, già Senatore XVII Legislatura Senato della Repubblica – conclude l’iter di un provvedimento legislativo, di iniziativa parlamentare, apertosi alla Camera nel 2013. Un processo lungo e travagliato in ragione degli ambiziosi obiettivi che si era posto il disegno riformatore. Non si trattava infatti di aggiungere un nuovo pezzo al mosaico in tema di rischio clinico, sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria così come fatto da plurimi interventi legislativi precedenti, ma di mettere “a sistema” un impianto ordinamentale che, fermo restando la tutela della salute individuale e collettiva desse risposte concrete e praticabili a punti di crisi quale l’aumento del contenzioso sanitario, le pratiche professionali difensive, la fuga delle assicurazioni, la frammentazione delle culture dei modelli di rilevazione e gestione del rischio specifico ramo di attività, la frammentazione delle culture e dei modelli di gestione del rischio clinico, l’ondivaga interpretazione giurisprudenziale delle norme civili e penali, infine l’esorbitante costo economico che esplodeva la cosiddetta malasanità. Questo insieme di fattori costituiva allora come oggi una complessità forse non superabile ma certamente da poter e dover governare meglio riposizionando diritti e tutele, doveri e opportunità, culture e prassi di tutti gli attori del sistema. La Legge qualifica la sicurezza delle cure quale “parte costitutiva del diritto alla tutela della salute…” e individua misure che intervengono in modo sistemico su tutti i determinanti del complesso fenomeno”.

“In Piemonte i costi dei premi Rc dei soli ospedali pubblici sono di circa 24 milioni di euro, cui si aggiungono i costi dei risarcimenti liquidati, un valore altissimo, risorse tolte alla cura dei pazienti. Doverosi sono i risarcimenti per gli effettivi danni da malpratica medica, ma invece le migliaia di richieste di piccoli risarcimenti del tutto ingiustificati comportano un gravissimo danno all’economia della sanità piemontese, sia pubblica sia privata. Ma esiste una sanità privata? No, se non in piccolissima parte, perché la sanità è pubblica: con capitale pubblico nel caso degli ospedali e a capitale privato nel caso delle strutture accreditate. Le strutture sanitarie private non erogano prestazioni ai ricchi come pensano erroneamente alcuni, ma a tutti e anche alle persone decisamente non abbienti” ha spiegato Letizia Baracchi, Presidente ACOP Piemonte (Associazione Coordinamento Ospedalità Privata).

“La riforma Gelli-Bianco è andata a ridisegnare considerevolmente molti aspetti in tema di responsabilità medico professionali – ha spiegato Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità di Regione Piemonte -. Con questa legge viene stabilito che l’esercente professione sanitaria non sarà ritenuto penalmente responsabile per imperizia se dimostra di aver seguito le raccomandazioni previste dalle linee guida, o in mancanza di queste, le buone pratiche clinico- assistenziali. Un passo importante per la pubblica amministrazione a fronte di un passato in cui troppi medici, per tutelarsi, erano costretti a fare enorme ricorso alla medicina difensiva, impattando sul paziente, che vedeva allungati i tempi di cura, sia della sanità, che doveva sopportare una spesa notevole”.

“La legge 24/2017 ha rappresentato sicuramente una tappa fondamentale nei sistemi di gestione del rischio sanitario – ha concluso Franco Ripa, Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio Sanitaria e Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte -. Uno degli elementi caratterizzante disciplina è il rilievo attribuito alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle linee guida, il rispetto delle quali diviene fondamentale sotto vari punti di vista e assume un peso specifico nella definizione delle responsabilità del personale sanitario. In tale ambito è peraltro opportuno arricchire ulteriormente i contenuti applicativi della Legge, in quanto l’elevata complessità delle problematiche sottese all’assicurazione in ambito sanitario da un lato e la scelta di far coesistere quest’ultima con le misure alternative alla stessa richiedono azioni attentamente congegnate. Peraltro è anche fondamentale che il sistema non perda di vista il miglioramento continuo della qualità clinica ed assistenziale, finalità prioritaria per ogni organizzazione sanitaria in ambito pubblico e privato”.

Psoriasi: i pazienti chiedono a gran voce equità di accesso alle terapie

“Tra le maggiori criticità, in primis, l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento, nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative”.

7 ottobre 2022 – La psoriasi è una malattia infiammatoria della pelle, non contagiosa, autoimmune, genetica e recidiva. Solo in Italia – secondo le più recenti stime del CliCon Economics & Outcomes Research – ne soffrono 1,4 milioni di pazienti, dei quali circa 34mila in cura con farmaci biologici (il 4%).

Si è parlato di questo, e di molti altri aspetti ancora, nel corso dell’evento “PSORIASI – IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE? – Lombardia”, promosso da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di UCB Pharma.

Così Valeria Corazza, Presidente APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza): “A peggiorare ulteriormente un quadro che – da paziente – non esito a definire devastante (anche in considerazione del vissuto emotivo di chi soffre di psoriasi, una dimensione troppo spesso sottovalutata, quando non del tutto ignorata), concorrono altri due elementi connaturati alla patologia: la cronicità e la multifattorialità. In quanto malattia cronica, la psoriasi richiede un’assistenza continua e permanente, una condizione che evidentemente deteriora la qualità della vita di chi ne soffre; in quanto malattia multifattoriale è spesso accompagnata da comorbidità, ossia dalla presenza contemporanea di altre patologie, e segnatamente: 1 nel 33% dei pazienti psoriasici, 2 nel 19%, 3 nell’8%. È chiaro che il paziente deve avere, da subito, una presa in carico multidisciplinare. Curare, prontamente, le comorbidità significa potere avere una buona Qol e risparmiare sui costi a lungo termine. Eppure, è proprio su questa opportunità che si registrano le maggiori criticità, in primis l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative: si può parlare di Pasi 90/100, posizioni e argomenti che Motore Sanità pone meritoriamente al centro del dibattito”.

PASI 100 è il vero obiettivo attuale da portare ai nostri pazienti”, conferma Antonio Costanzo, Professore Ordinario Dermatologia, Direttore della Scuola di Specializzazione di Dermatologia, Direttore del Laboratorio di Patologia Cutanea presso Humanitas University, Membro del Consiglio European Dermatology Forum, Responsabile Unità Operativa IRCCS Humanitas, Milano: “In questo momento però iniziamo ad avere armi e conoscenze in grado di andare anche oltre questo punto, cioè modificare la storia naturale della malattia portando il sistema immunitario a “dimenticarsi” della malattia stessa. Cioè curare la malattia e garantire un’assenza di sintomi anche anni dopo aver concluso la terapia”.

Le aspettative dei nostri pazienti sono molto alte, ma oggi siamo in grado di dare una risposta concreta a queste aspettative, grazie ai nuovi farmaci innovativi”, ha detto Piergiorgio Malagoli,

Dermatologo e Direttore Psocare Unit Gruppo San Donato, Milano. “Inoltre l’approccio al paziente con psoriasi è sempre più personalizzata”.

Quanto ai costi Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza sottolinea che: “È evidente che stiamo vivendo un momento di innovazione; quindi per riuscire a prevedere con precisione la spesa futura bisogna tenere conto anche dell’evoluzione farmacologica futura. Perché quando compriamo farmaci non stiamo comprando delle scatolette, ma stiamo comprando degli outcome del paziente, quindi non si può semplicemente comprare il farmaco meno costoso sul mercato”.

La psoriasi è una patologia rilevante dal punto di vista clinico, sociale e sanitario e, nonostante questa rilevanza, ci sono dei passi in avanti che bisogna fare in termini di politica Italia”, evidenzia Tonino Aceti, Presidente di Salutequità, Roma. “Oggi abbiamo un atto che è molto importante, il piano nazionale della cronicità che deve essere ammodernato alla luce della pandemia Covid, del PNRR e di tutte le novità avvenute dal 2016 in avanti e alla luce delle patologie specifiche che saranno oggetto del modello. Chiediamo pertanto l’inserimento della psoriasi nel piano nazionale della cronicità, che il piano stesso venga finanziato, si chiede altresì un suo ammodernamento generale e la sua attuazione su tutto il territorio nazionale in attesa che il PNRR sviluppi tutti i suoi effetti e ci vorranno anni. Accanto a questo è importante ragionare anche sull’aggiornamento delle linee guida della psoriasi, lavorare a un percorso diagnostico terapeutico assistenziale e garantire equità accesso alle terapie che sappiamo essere terapie molto importanti. Il tema delle terapie, come il tema della diagnosi e della presa in carico si scontra nel nostro Paese con il tema dell’equità di accesso e quindi anche questo è sicuramente un elemento importante sul quale dovremmo tutti impegnarci”.

Questa tipologia di patologia deve vedere una risposta del SSR in termini di rete” chiosa Marco Fumagalli, Componente III Commissione Sanità Regione Lombardia. “Questa malattia, che si può e si deve curare specialmente sul territorio e non negli ospedali, richiede una forte e strutturata medicina territoriale. Con il PNRR sono previste nuove strutture per il territorio; bisognerà però trasformare questi luoghi anche in luoghi dove fare cultura, informazione e prevenzione con un supporto psicologico in grado di accompagnare il decorso della patologia del paziente; tutto questo però dovrà essere ben integrato con la medicina specialistica e ospedaliera”.

Siamo una regione all’avanguardia, non ci vogliamo fermare e vogliamo fare sempre meglio, cercando di portare il meglio sul territorio nazionale”, afferma Franco Lucente, Componente III Commissione Sanità Regione Lombardia.

Giovanni Ceccarelli, Dirigente Medico I livello ASST GOM Niguarda – Project Manager PDTA presso Direzione Generale Welfare U.O Polo Ospedaliero, ha parlato dei PDTA con queste parole: “La Regione ha già fatto molto per questa patologia attraverso la delibera regionale dell’ottobre 2019. Questa delibera è stata naturalmente il primo passo, ora stiamo lavorando su un’azione correttiva volta a creare e attivare una rete specifica di patologia e produrre e implementare un PDTA regionale”.

Nel corso dell’evento Federica Pieri, Responsabile Unità Operativa Farmacia Ospedaliera Gruppo San Donato, è intervenuta a proposito della multi professionalità dell’approccio terapeutico come aspetto fondamentale, approccio in cui anche il farmacista ha un ruolo. “Noi farmacisti siamo contenti quando alcuni farmaci vengono distribuiti in maniera diretta, ma il rapporto con il farmacista deve essere mantenuto per il suo ruolo in farmacovigilanza e nel

rapporto con il paziente per l’aderenza”, ha chiosato. “Si dovrebbe quindi pensare anche a un rapporto di telefarmacia: con il farmaco che viene distribuito in maniera diretta, ma si porta a domicilio anche il rapporto con il farmacista”.

La distribuzione dei farmaci è un aspetto fondamentale. Stiamo affrontando un deficit di personale all’interno delle unità operative molto importante, quindi non servono solo nuovi spazi dove fare prevenzione e presa in carico, ma servono anche le figure professionali necessarie a tutto questo”, conclude Davide Strippoli, Delegato Regionale ADOI Regione Lombardia (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani e della Sanità Pubblica). “Il sistema HUB & Spoke è molto importante per canalizzare i pazienti più gravi e gestire le loro comorbilità, quindi anche in un sistema territoriale potenziato bisognerà mantenere e integrare il sistema attuale basato sui centri di cura”.

MitraClip, la tecnologia mininvasiva che cura l’insufficienza mitralica grave riducendo mortalità e ricoveri

“Regione Lombardia continua ad investire per creare strumenti che possano migliorare ancora di più il nostro ambito sanitario, questa è la vera forza della nostra regione. Una regione che ha qualità straordinarie grazie ai lombardi e al dna lombardo e un capitale umano straordinario che riesce sempre a guardare al futuro indipendentemente dai problemi emergenziali che la situazione attuale sta facendo emergere”.

Con queste parole Alessandro Fermi, Presidente del Consiglio Regionale di Regione Lombardia, ha aperto i lavori nell’ambito dell’evento “MitraClip, PRESENTE E FUTURO DI UNA TERAPIA MINI-INVASIVA PER L’INSUFFICIENZA MITRALICA” organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di ABBOTT. “Questo convegno – ha detto il Presidente Fermi – pone l’attenzione su una terapia mininvasiva che ha avuto una serie di valutazioni positive e che mostrano numeri importanti dal punto di vista della casistica e in termini di incidenza per quanto riguarda la mortalità. La capacità di questa regione è saper guardare sempre avanti”.

Da più di 10 anni è disponibile una procedura mini-invasiva innovativa, il sistema MitraClip (Abbott Vascular, Abbott Park, Illinois, USA), dispositivo medico che consente la riparazione per via transcatetere della valvola mitrale. MitraClip è una tecnologia basata su un approccio con accesso percutaneo e rappresenta una valida alternativa terapeutica nei pazienti sintomatici con insufficienza mitralica ad alto rischio operatorio in cui la terapia medica tradizionale non è più sufficiente. La procedura consiste nell’inserimento di una “clip” sui lembi della valvola mitrale in
corrispondenza dell’origine del rigurgito attraverso un approccio per via transcatetere, risalendo la vena femorale fino al cuore. Il paziente candidato alla riparazione transcatetere della valvola mitrale
viene preso in carico dall’Heart team della struttura sanitaria di riferimento composto da più specialisti tra cui cardiologo clinico, cardiologo interventista, ecocardiografista, cardiochirurgo,
anestesista e team infermieristico. Le prove di efficacia e sicurezza di MitraClip derivano da più di 1.000 pubblicazioni e più di 150.000 pazienti trattati nel mondo e indicano una riduzione della
mortalità, una riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco e il miglioramento della qualità di vita. Su questa tecnologia, sull’implementazione delle strategie e sulle azioni concrete che il sistema
sanitario lombardo può mettere in campo per garantire ai pazienti un accesso tempestivo e appropriato a questa terapia transcatetere, si sono confrontati i clinici e direttori delle strutture
sanitarie lombarde, le istituzioni regionali e i rappresentanti dei pazienti.

Sui numeri dell’insufficienza mitralica, sulla necessità di migliorare la consapevolezza dei pazienti e anche degli operatori sanitari sulla patologia, e sulle opzioni terapeutiche per curarla, è
intervenuto Fabrizio Giovanni Oliva, Direttore della s.c. Cardiologia 1, Emodinamica Unità di Cure intensive cardiologiche presso il Dipartimento Cardiotoracovascolare “A. De Gasperis” ASST Grande
Ospedale Metropolitano Niguarda Cà Granda di Milano e Presidente designato ANMCO. “L’insufficienza mitralica funzionale è una patologia rilevante soprattutto nel contesto del paziente
con insufficienza cardiaca. I dati italiani dicono che un qualche grado di insufficienza mitralica è presente in circa il 90% dei pazienti con scompenso cardiaco e circa il 10-15% di questi pazienti ha
un’insufficienza mitralica di grado moderato-severo o severo. In questi pazienti abbiamo a disposizione delle terapie mediche e quando indicata una risincronizzazione cardiaca, ma in molti
pazienti persiste un quadro di insufficienza mitralica severa. Spesso l’insufficienza mitralica viene accettata in maniera passiva e non si pensa che ci sono delle terapie che possono migliorare la
salute di questi pazienti. La MitraClip è una opzione per questi pazienti che ha dimostrato di essere in grado di ridurre i sintomi, di iniziare il reverse ventricular remodeling e abbiamo dati più recenti
sulla possibilità in alcuni pazienti non troppo avanzati di ridurre le ospedalizzazioni. Quindi è un’opzione importante a cui bisogna pensare, è anche necessaria un’organizzazione dal punto di
vista sanitario, un accesso di questi pazienti ad ambulatori scompenso dove ci siano delle persone adeguate a valutarle ed eventualmente arrivare a delle strutture che hanno Heart team e
emodinamiche strutturali che possono arrivare ad impiantare il dispositivo”.

È stato dimostrato che la riparazione con MitraClip è costo-efficace soprattutto grazie alla riduzione delle re-ospedalizzazioni. CERGAS Bocconi, dopo aver pubblicato la prima analisi di costo-efficacia
su Mitraclip – basata su dati real world italiani nel 2016 – ha di recente adattato un modello di budget impact e ha sviluppato un esercizio di value-based planning relativo sia al contesto italiano, che al
regionale lombardo, dimostrando l’impatto economico favorevole per il sistema sanitario generato da una maggiore diffusione della procedura transcatetere con MitraClip nella popolazione target.
“La Mitraclip ha ormai una lunga storia di evidenze, è una tecnologia in grado di generare valore e questo per un sistema regionale significa fare un buon investimento – ha spiegato Patrizio Armeni,
responsabile Area Ricerca HTA CERGAS/SDA Bocconi -. Si è capito che la tecnologia funziona dal punto di vista clinico, sia in quanto aumenta di molto la sopravvivenza sia nella riduzione delle
ospedalizzazioni. Quello che mancava fino ad oggi è uno studio che mettesse un sistema regionale in grado di comprendere se valesse effettivamente la pena estendere ancora l’accesso. Quello che
sappiamo dai tanti studi epidemiologici è che ad oggi la copertura rispetto al bisogno non è ancora al 100%, in Lombardia siamo intorno al 22-25% del bisogno. Abbiamo compreso, grazie a questo
studio, che raddoppiando l’attuale copertura, possiamo in 10 anni eliminare almeno 850 morti e aggiungere 3.200 anni di vita in buona salute su tutta la regione. Abbiamo compreso dunque che
investendo delle risorse in più per portare questa cifra a coprire una fetta più grande di questo bisogno i costi a cui andiamo incontro sono più bassi rispetto al valore dei benefici che generiamo”.

Gli obiettivi che bisogna perseguire e che hanno un impatto straordinario sia sul singolo paziente sia sulla riduzione degli accessi e dei costi ospedalieri sono – secondo Francesco Bedogni, Direttore
delle Unità di Cardiologia clinica, interventistica e di UTIC del Policlinico San Donato di Milano, “ottenere una riparazione adeguata della valvola mitralica e migliorare la prognosi e la qualità di
vita del paziente riducendo l’ospedalizzazione in particolare in pazienti che hanno una insufficienza mitralica severa e anche una cattiva prognosi. Gli outcome attesi principali sono questi”.

Sulla presa in carico del paziente e sulla formazione si è speso Francesco Maisano, Direttore dell’Heart Valve Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, Professore ordinario di
Cardiochirurgia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “La presa in carico del paziente è il punto cruciale in una medicina che è cambiata moltissimo in quindici anni: le offerte
sono molto diversificate, ogni paziente deve ottenere il trattamento giusto, al momento giusto, dalle persone giuste. Credo che la prima cosa in assoluto sia quella di trovare la struttura ideale dove il
paziente possa avere nel più breve tempo possibile la risposta corretta al suo problema, quindi mettere intorno al tavolo le competenze importanti per prendere una decisione definitiva e per
pianificare un piano di cura a lungo termine”. E ancora: “In un mondo che è cambiato rapidamente e che ha introdotto nuove terapie e nuove soluzioni e sta trattando dei pazienti che prima non
venivano trattati, siamo cambiati sotto molti aspetti – ha aggiunto il professor Maisano -: gli ospedali si sono ammodernati, sono state create delle unità operative multidisciplinari, ci sono delle sale
ibride, è cambiata la diagnostica, sono state portate innovazioni un po’ in tutti i campi, l’unica cosa in cui non si sta innovando è nel modo in cui insegniamo alle generazioni future. Per rispondere
alle domande del futuro è importante sin da ora intervenire sulla formazione: abbiamo bisogno di persone che siano formate alla innovazione, che abbiano conoscenza di quello che avverrà fra 10-
15 anni, fin da oggi, quindi dobbiamo modificare veramente l’approccio alla formazione portando l’innovazione ai primi anni della formazione in modo che chi sta partendo ora veda già il futuro con
gli occhi propri”.

Sanità che va verso ospedali polispecialistici dove lavorano in team alte figure professionali, la comunicazione con il territorio e integrazione tra pubblico e privato: ne ha parlato Roberto
Crugnola
, Amministratore delegato IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio Gruppo San Donato. “La sanità sta andando verso centri di alta specialità, dove l’attività è focalizzata su delle eccellenze
e dove l’avanguardia è orientata alla gestione del personale e nell’investimento dei devices ha spiegato -. L’importanza del territorio è sempre più rilevante per questo chi dirige gli ospedali non
deve rimanere nelle quattro mura ma deve uscire sul territorio per svolgere attività di pre-intervento e post-intervento. Questo mette in evidenza quanto sia cruciale l’integrazione tra pubblico e privato,
un valore aggiunto per la nostra sanità regionale”.

A chiudere il tavolo di lavoro sono state, infine, le forze politiche, che si sono espresse sul ruolo della regione Lombardia per un accesso rapido e appropriato all’innovazione.
Emanuele Monti, Presidente III Commissione Sanità ha spiegato che “oggi dobbiamo cogliere l’occasione di mettere a terra dei fondi stabiliti dal PNRR e dalla legge regionale di riforma sanitaria,
la legge 22 del 2021, e poi servono indicazioni chiare da parte del governo affinché nessuna regione venga lasciata sola o resti indietro”.
Così Carlo Borghetti, Vice Presidente del Consiglio regionale e Componente III Commissione Permanente Sanità e Politiche Sociali Regione Lombardia: “L’innovazione in sanità è fondamentale,
non è una spesa sanitaria, è un investimento, quindi serve che le regioni programmino di più e meglio interventi di questo tipo, e questo vale anche per la Lombardia. Inoltre dobbiamo aumentare il
budget in sanità nell’interesse dei pazienti”.
Infine, Franco Lucente, Componente III Commissione Permanente Sanità e Politiche Sociali Regione Lombardia: “Investire nel rapporto ospedale-territorio è fondamentale e la legge 22 va in questa
direzione”.

I NUMERI DELL’INSUFFICIENZA MITRALICA

L’insufficienza mitralica o rigurgito mitralico, è la valvulopatia più comune nei paesi occidentali e la sua prevalenza cresce fortemente con l’età. Infatti si stima che oggi circa il 10% delle persone di età
superiore a 75 anni sia affetta da insufficienza mitralica almeno moderata che, se non trattata, può portare allo scompenso cardiaco con conseguente diminuzione della sopravvivenza.
Numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti con insufficienza mitralica moderata severa presentano una mortalità statisticamente più elevata rispetto ai quelli con grado lieve, un’incidenza
di re-ospedalizzazione dell’80% superiore rispetto a pazienti con gradi minori di insufficienza mitralica nonché una riduzione della qualità della vita.
Le linee guida sia delle società americane ACC/AHA, sia europee ESC raccomandano sia il trattamento cardio-chirurgico per i pazienti con forme severe di insufficienza mitralica sia il
trattamento percutaneo. Ma nonostante tali indicazioni, circa il 50% dei pazienti sintomatici sofferenti di insufficienza mitralica severa non viene sottoposta ad intervento.

Antibiotico resistenza: vera pandemia e prima causa di morte nel 2050

L’OMS: fondamentale tornare a concentrare gli investimenti pubblici e privati sullo sviluppo di antibiotici efficaci che, utilizzati appropriata-mente, possano invertire le attuali preoccupanti previsioni.

28 settembre 2022 – L’antimicrobico-resistenza (AMR) non è una malattia, ma un insuccesso terapeutico e diagnostico il cui impatto sulla società è paragonabile a quello di influenza, tubercolosi e HIV/AIDS insieme. Quando si affronta questo problema molto spesso si parla prevalentemente di programmi di prevenzione, senz’altro aspetto chiave dell’AMR. Ma Epicentro, portale di epidemio-logia per la sanità pubblica a cura del Nostro Istituto Superiore di Sanità, sulla base di varie pubblicazioni, da tempo evidenzia come solo il 30-50% delle infezioni sia prevenibile attraverso buone pratiche preventive. Se a questo livello la strada per una buona efficienza del sistema è molto battuta ma ancora lunga, ancor più lunga è però quella della ricerca di nuove terapie che riescano ad arginare e limitare questo fenomeno.
Dopo le proiezioni drammatiche che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha fatto sull’impatto futuro dell’AMR indicandola come prima causa di morte nel 2050 (10 milioni di Morti/anno) e le conseguenti allarmanti analisi della Banca mondiale dell’economia (impatto sui costi sanitari con aumenti globali entro il 2050 tra $300 miliardi a oltre $1 trilione all’anno), sono cresciute molte preoccupazioni su questo futuro scenario. A seguito di ciò i vertici dell’OMS hanno indicato come sia fondamentale tornare a concentrare gli investimenti pubblici e privati sullo sviluppo di antibiotici efficaci che, utilizzati appropriatamente, possano invertire le attuali preoccupanti previsioni. Al-cune aziende di settore con senso di responsabilità, hanno dato seguito a questi appelli, ricercando e producendo nuovi antibiotici estremamente efficaci per sostenere questa sfida.
Ma ora la nuova sfida sarà: come ottenerne un uso appropriato a livello di singolo Territorio? Con l’intento di aprire un dialogo tra tecnici e dirigenti Ospedalieri su questo aspetto cruciale per il successo di queste terapie innovative, Motore Sanità ha promosso l’evento NUOVI MODELLI DI GOV-ERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI “DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO – LOMBARDIA”, con il contributo non condizionante di Menarini.

Così Marco Bosio, Direttore Generale ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda: “La tematica dell’antibiotico resistenza è diventata negli ultimi anni un problema emergente che necessita una sinergia tra Ente regolatori, Regioni, strutture sanitarie e industria. L’effetto di questo fenomeno in ambito ospedaliero è rilevante, in termini di allungamento di degenza e di costi relativi all’utilizzo di più linee terapeutiche e di farmaci di ultima generazione. Ritengo che l’argomento debba comportare una riflessione generale che inizia dalla informazione e sensibilizzazione degli operatori sanitari nell’utilizzo corretto del farmaco idoneo per l’esigenza specifica del paziente, riservando la possibilità di utilizzare farmaci più recenti e onerosi per problematiche specifiche. L’inserimento di
nuove molecole che possono dare veramente un valore aggiunto per la risoluzione o il miglioramento del quadro clinico deve essere preceduto da una valutazione attenta e puntuale non sol sugli aspetti tecnici ma anche di impatto, consentendo la diffusione di tali molecole, in maniera controllata, con un’attenzione alla sostenibilità dell’operazione. Per fare questo la compartecipazione delle Aziende in questo percorso è fondamentale, anche per dare fiducia alla ricerca e premiare quella che fornisce risultati significativi”.


E poi c’è il tema del ruolo delle vaccinazioni come presidio indispensabile per la diminuzione della mortalità per malattie infettive, che la recente pandemia COVID-19 ha portato all’attenzione di tutti.

Ne ha parlato Massimo Puoti, Direttore SC Malattie Infettive ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda: “La disponibilità in tempi brevissimi di vaccini efficaci nel ridurre la mortalità per la malattia
ne ha modificato il decorso e fino ad ora ha cambiato la patogenesi della malattia, determinando una migliore capacità di difesa dell’ospite e un’evoluzione del virus verso forme molto meno
patogene rispetto alla variante wild type responsabile dei primi tragici mesi di epidemia. Nei soggetti con deficit della risposta immunitaria indotto da farmaci immunosoppressivi, quali quelli impiegati
in alcune persone con malattie reumatiche, si è potuto osservare che una somministrazione di più dosi di vaccino ad intervalli maggiori di 6 mesi o la somministrazione di anticorpi monoclonali in
presenza di una scarsa risposta, anche solo potenziale al vaccino, riesce a pareggiare il conto con la protezione indotta nei soggetti senza immunodeficienza dalle dosi vaccinali standard. Pertanto l’invito
per questi pazienti è di effettuare una quarta dose di vaccino possibilmente con mRNA codificante anche per la proteina spike di omicron, 1 se non hanno presentato Covid-19 asintomatico o
asintomatico da marzo dello scorso anno. Chi ha avuto un’infezione a partire da marzo può attendere almeno 6 mesi prima di ripetere ulteriori dosi di vaccino. Nulla osta alla somministrazione contemporanea con la vaccinazione antinfluenzale e pneumococcica, le vaccinazioni classicamente consigliate ai soggetti con malattia autoimmuni. Molto importante anche la disponibilità gratuita della
vaccinazione anti Herpes zoster, che può prevenire una complicanza estremamente fastidiosa di molte terapie immunosoppressive”.

L’iperplasia prostatica benigna e le terapie innovative disponibili per le patologie invalidanti della vescica

Nel corso dell’evento organizzato da Motore Sanità si è fatto il punto sullo stato dell’IPB in Italia e sulle terapie disponibili

Roma, 28 settembre 2022 – “I rappresentanti dei pazienti auspicano che il nuovo governo e il Ministro della Salute prendano a cuore anche le problematiche del cancro alla vescica e dell’Iperplasia Prostatica Benigna. Queste patologie sono fortemente invalidanti e pertanto le Istituzioni dovrebbero farsene carico. L’associazione FINCOPP – Federazione Italiana Incontinenti e Disfunzioni del Pavimento Pelvico chiederà audizione al prossimo Presidente del Consiglio e Ministro della Salute per sensibilizzarli su questo argomento”. È con questo messaggio politicamente rilevante che esordisce Francesco Diomede, Presidente FINCOPP (Federazione Italiana Incontinenti e Disfunzioni del Pavimento Pelvico), nel corso dell’evento “Lo stato dell’IPB in Italia e le terapie innovative disponibili” organizzato da Motore Sanità.

Antonio Magi, Presidente del Comitato Scientifico di Senior Italia Federanziani, Presidente Provinciale OMCeO Roma afferma che “Oggi i pazienti trovano sempre più difficoltà nel fare prevenzione per l’Iperplasia prostatica benigna per la difficoltà a trovare, nei poliambulatori pubblici, specialisti in urologia in grado di fare la visita e successivamente seguirli nel percorso dell’eventuale patologia; ma anche per le lunghe liste d’attesa che riguardano la diagnostica ecografica, sia per l’ecografia soprapubica, che endorettale per poter monitorare e fare la diagnosi dell’ Iperplasia prostatica benigna». E aggiunge: «Il paziente dunque se da un lato non ha qualcuno che lo possa seguire in maniera precisa per questo tipo di patologia, dall’altro ha la necessità della presa in carico continua con riferimento, se possibile, dello stesso urologo e la possibilità di fare, quando è necessario, tutti i controlli e i follow up diagnostici”.

Antonio Rizzotto, Presidente della Società Italiana di Urologia (SIU), afferma che è fondamentale comprendere quando si esaurisce la possibilità di cura della terapia medica e si pone l’indicazione all’intervento chirurgico. “Un momento peculiare, in cui si presenta la necessità di passare dalla terapia medica a quella chirurgica. Per poter fare ciò, gli urologi valutano il grado di ostruzione, ovvero quanto l’ipertrofia prostatica ostacola il corretto svuotamento della vescica. E quando la terapia medica non è più in grado di assicurare un miglioramento o una stabilizzazione del paziente, allora si deve procedere nel consigliare al paziente una terapia chirurgica. L’obiettivo è quello di intervenire eliminando l’ostruzione del canale uretrale, per preservare la vescica. Se interveniamo troppo tardi, rischiamo di avere una vescica ipofunzionante”.

Paolo Gontero, Professore Ordinario di Urologia presso l’Università degli Studi di Torino e Direttore della Clinica Urologica dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino illustra la sperimentazione della tecnica “Rezum” proponibile ai pazienti con Ipertrofia prostatica benigna. “Una tecnica interessante e innovativa che utilizza il vapore acqueo che viene somministrato per via endoscopica grazie a un sistema monouso dotato di un ago che esegue punture all’interno della prostata. Ciascuna di queste determina l’immediata distruzione di un paio di centimetri di tessuto prostatico”. La caratteristica di questa tecnica è proprio l’estrema mininvasività. “L’intervento è molto rapido, dura di norma 15-20 minuti e non richiede anestesia generale o spinale”. In termini sintomatologici, i risultati si ottengono dopo un po’di tempo: “Il massimo del beneficio lo si raggiunge dopo due o tre mesi dall’intervento, anche se miglioramenti significativi si vedono già dopo un paio di settimane. Un accorgimento utile a evitare sintomi irritativi post operatori è quello di mantenere per alcuni giorni un catetere”. I risultati, poi, sono duraturi. Negli USA sono da poco stati resi noti i risultati a cinque anni di follow up dopo l’utilizzo di “Rezum”: solo il 4 per cento dei pazienti ha avuto bisogno di un nuovo intervento. “Un’altra peculiarità di questa tecnica è il completo risparmio funzionale: oltre al mantenimento dell’erezione, anche quello di una normale eiaculazione, spesso danneggiata dalle tecniche più tradizionali. Una volta i pazienti si accontentavano di non perdere l’erezione e di conservare la continenza urinaria, oggi richiedono giustamente anche il mantenimento dell’eiaculazione”, specifica il professor Gontero.

Sebbene questa terapia sia il metodo più appropriato per garantire ai pazienti il mantenimento di alti standard di vita, al momento è purtroppo sottoutilizzata perchè non adeguatamente rimborsata. Tale circostanza ne limita l’utilizzo in numerosi centri pubblici, impedendo dunque ai cittadini pari opportunità di accesso alle cure e non garantendo l’uniformità di trattamento sanitario sul territorio italiano.

Anche Pasquale Ditonno, Professore del Dipartimento Emergenza e Trapianti di Organi DETO AOU Consorziale Policlinico di Bari, ha esposto il suo resoconto: “Lo stato dell’arte nella terapia all’IPB consiste in due capisaldi: terapia farmacologica e terapia chirurgica. In tutte le patologie funzionali vale un criterio di progressione del trattamento, da quelle più conservative a quelle più invasive”. E, il Prof. Ditonno continua, “sono state recentemente proposte nel trattamento dell’IPB due procedure microinvasive, la TPLA (Trans Perineal Laser Ablation), che consiste nel posizionare fibre laser nella prostata in anestesia locale attraverso il perineo, e la WVTT (Water Vapour Thermal Therapy), con cui vengono iniettati nella prostata piccoli quantitativi di vapore acqueo”. L’Unità Operativa di Urologia Universitaria 2 del Policlinico di Bari è parte attiva nella produzione dell’evidenza scientifica, realizzando un video di standardizzazione della tecnica di esecuzione della TPLA e uno studio urodinamico sulla sua efficacia di disostruzione. Il Professor Ditonno conclude: “Queste metodiche riescono a produrre un sollievo dei sintomi e un miglioramento del flusso minzionale superiore alle più efficaci associazioni farmacologiche, ma inferiore rispetto alla terapia chirurgica. Tuttavia, hanno il significativo punto di forza di non interferire con l’attività sessuale, l’eiaculazione e la continenza. Hanno il potenziale, quindi, di interporsi fra le terapie mediche e le terapie
chirurgiche nella pratica clinica, ovvero potrebbero addirittura soppiantare in molti pazienti la terapia farmacologica come prima linea di trattamento”.
Eventi come questo sono fondamentali per sensibilizzare su patologie così invalidanti, che colpiscono un altissimo numero di cittadini. “Lo stato dell’IPB in Italia e le terapie innovative disponibili” si è tenuto a Roma presso l’hotel Nazionale di Piazza Monte Citorio ed è stato realizzato con il contributo incondizionato di Boston Scientific.

La diagnosi precoce può migliorare la vita dei pazienti

Napoli, 28 settembre 2022 – L’Alfa-mannosidosi è una malattia ereditaria rara che, in bambini e adulti, può causare gravissimi danni alla salute. Ad oggi, le persone che ricevono una diagnosi di alfa-mannosidosi hanno la possibilità di accedere a una terapia enzimatica specifica in cui viene reintegrato l’enzima mancante, con l’obiettivo di ridurre il dannoso accumulo di sostanze che si osserva a livello lisosomiale. Attualmente, sono disponibili diverse evidenze circa il vantaggio di una terapia precoce nell’alfa-mannosidosi; mostrando una correlazione positiva tra la precocità della terapia e misure come la sopravvivenza e la qualità della vita.

Delle possibilità attuali e future di diagnosi e cura per questa patologia se ne è parlato a Napoli, presso l’Aula Multimediale Centro Ricerche Cardiologiche dell’Ospedale Monaldi-AORN dei Colli nel corso dell’evento “Focus On: Alfa-Mannosidosi” realizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Chiesi GRD.

Esperti specialisti, governance sanitaria, istituzioni regionali e associazioni dei pazienti hanno insieme delineato lo scenario attuale in Regione Campania e di come l’innovazione terapeutica e tecnologia possano concorrere per garantire una migliore qualità di cura e di vita per i pazienti con questa rara malattia genetica.

Ad aprire i lavori della giornata Antonio Postiglione, Direttore Generale Tutela della Salute Regione Campania “Diamo da tempo molta attenzione alle necessità di chi soffre di malattie rare ma negli ultimi anni siamo riusciti a raggiungere molti traguardi importanti questo non perché sia cambiata la sensibilità da sempre molto attenta su queste tematiche ma dobbiamo ringraziare il centro malattie rare e tutti i suoi operatori che hanno sposato l’intento regionale di dare un’assistenza a tutte le necessità dei pazienti con malattie rare”. La Regione Campania sta creando Percorsi-Diagnostico-Terapeutici-Assistenziali dedicati alle singole patologie rare, come sottolineato da Barbara Morgillo, Referente Malattie Rare Direzione Generale Tutela della Salute Regione Campania “Un grande impegno da parte della Regione sta venendo profuso nel lavoro di stesura dei PDTA dedicati alle singole patologie, attraverso una serie di tavoli divisi per gruppi di patologie stiamo a mano a mano mettendo in atto questi percorsi che garantiranno un sistema omogeneo su tutto il territorio. Un altro aspetto molto importante del nostro lavoro è l’accreditamento per i centri specialistici, presto con una delibera regionale allargheremo la rete di malattie rare della Campania”.

Dell’impatto che il PNRR avrà per i pazienti con malattie rare ha invece parlato Maria Rosaria Romano, Dirigente UOD Assistenza Ospedaliera Regione Campania “Essendo patologie rare c’è il fattore dello scarso numero di pazienti e la dispersione geografica ma grazie al PNRR che ha stanziato 50 milioni che permettono di dare spazio alla presa in carico di questi pazienti sia attraverso l’innovazione anche farmacologia e tecnologica sia attraverso l’investimento in telemedicina che ci permette di fare un opportuno telemonitoraggio. Tutto questo, insieme al fascicolo elettronico, ci permette di sburocratizzare ciò che riguarda questi pazienti”.

Dopo gli interventi dei rappresentanti della governance regionale è intervenuto Giuseppe Fiorentino, Direttore Sanitario AORN dei Colli, che ha inoltre portato i saluti di Anna Iervolino, Direttore Generale AORN dei Colli. “Quando si hanno a disposizione farmaci in grado di rallentare il decorso della malattia, come nel caso della alfa-mannosidosi, è un dovere etico nei confronti dei malati poter riconoscere questa malattia nella fase precoce. Uno dei principali strumenti per riuscire in questo è lo screening neonatale, in grado di identificare molte malattie genetiche; nel caso però non è possibile utilizzare i sistemi di screening neonatale è fondamentale che i medici sappiano riconoscere i sintomi di questa patologia”.

Promotore scientifico dell’evento Giuseppe Limongelli, Direttore Centro di Coordinamento Malattie Rare Regione Campania “Questo evento è di grande importanza perché permette di fare un focus su una malattia considerata ultrarara e con un tasso di incidenza da 1 su 500.000 a 1 su 1.000.000 di persone. Questo focus ci permette di formare ed informare potendo così migliorare la diagnosi precoce per questa patologia. La diagnosi precoce è estremamente importante per malattie come questa, che si può presentare in forma anche molto aggressiva già in età pediatrica. È quindi importante che già in presenza dei primi sintomi scattino nei medici quei campanelli di allarme di sospetta malattia rara ed in questo modo far partire il percorso del paziente verso i centri di riferimento; è molto importante questo passaggio perché solo nei centri di riferimento è possibile trovare quella expertise e quella multidisciplinarietà in grado di portare ad una diagnosi. È inoltre di grande importanza che si riescano a creare il prima possibile dei percorsi diagnostici perché la diagnosi precoce unita ad una veloce presa in carico terapeutica può garantire una maggiore sopravvivenza e una migliore qualità della vita per i pazienti”.

Su quali gli effetti di questa patologia sul paziente è intervenuto Giancarlo Parenti, Professore Ordinario di Pediatria presso l’Università Federico II di Napoli e Responsabile dell’Unità di Malattie Metaboliche Pediatriche presso il Policlinico Universitario Federico II. “L’Alfamannosidosi ha un forte impatto sulla vita dei bambini che ne soffrono e sulle loro famiglie. Come molte malattie metaboliche anche l’Alfa-mannosidosi è una malattia cronica, progressiva, tendono a peggiorare nel tempo e coinvolgono più organi ed apparati. Questa patologia è spesso causa di disabilità intellettiva e fisica”.

Sulla terapia attualmente disponibili è intervenuta Mariella Galdo, UOSD Gestione Clinica del Farmaco, Azienda Ospedaliera “Ospedali dei Colli”, Referente Malattie Rare UOD del Farmaco. “Il trattamento farmacologico dell’Alfa-mannosidosi è estremamente rilevante nell’andamento di questa patologia. La terapia attualmente disponibile è una terapia enzimatica sostitutiva, un farmaco autorizzato dall’AIFA per il trattamento in fase di malattia lieve-moderata e attualmente disponibile in Regione Campania. Rimane però una terapia da monitorare in quanto considerati farmaci innovativi e utilizzati anche a supporto della ricerca. L’unica alternativa a questa terapia è il trapianto di midollo”.

Le malattie rare per complessità e unicità richiedono una formazione specifica per i medici, ma questo risulta un punto dolente in Regione Campania come sottolineato da Gioacchino Scarano, Referente Tavolo Tecnico Regionale permanente di Governance delle attività di Genetica Medica “Un problema che stiamo affrontando è la formazione dei medici, soprattutto per i medici dell’adulto che hanno l’esigenza di formazione perché i pazienti che arrivano dai pediatri sono pazienti che richiedono la loro massima attenzione. I corsi di formazione sono organizzati in maniera specifica ma la grande quantità di malati rari in Italia ed in Campania deve far rivedere gli attuali modelli. I corsi ad oggi organizzati hanno riscontrato, sfortunatamente, una scarsa adesione da parte dei medici degli adulti che denunciano lo scarso tempo disponibile per trattare questi pazienti. Stiamo organizzando nuovi corsi per riuscire a coinvolgere meglio i medici”.

La comunicazione tra specialisti e con la famiglia del paziente è un altro aspetto fondamentale per la corretta presa in carico, a parlarne è Maria Giovanna Russo, Direttore UOC Cardiologia e UTIC Pediatrica Vanvitelli presso Ospedale Monaldi – AORN dei Colli “Per questo genere di patologie è importantissimo che il sistema prenda in carico a 360° il bambino ma è altrettanto importante prendere in carico anche la sua famiglia. Per una corretta presa in carico del paziente con alfa-mannosidosi, che è una patologia multiorgano, è però fondamentale una comunicazione continua tra tutte le figure specialistiche che concorrono alla salute del paziente sia tra di loro che nei confronti della famiglia del bambino”.

Psoriasi: costruire un ponte tra clinici e associazioni per rendere migliore la vita degli ammalati e dire basta a pregiudizi e discriminazioni

C’è la bambina che non vuole più andare a scuola perché la psoriasi le ha colpito la fronte e si vergona a mostrarsi; c’è il professionista della comunicazione che è costretto a lasciare la tastiera del suo computer perché la malattia ha letteralmente mangiato unghie e pelle delle dita ed è costretto a cambiare lavoro. Ma c’è anche chi esce dalla vasca della piscina perché crede che “quella persona con la pelle squamosa può contagiarmi”. La psoriasi porta con sé un carico di disagio sociale e di comorbidità al punto da rovinare drammaticamente la vita della persona che ne è colpita. Più informazione e più comunicazione su questa malattia impattante, combattere lo stigma, ma anche inserire la patologia nel Piano nazionale della cronicità, aggiornamento delle linee guida della malattia, lavorare a un percorso diagnostico terapeutico assistenziale e garantire equità di accesso alle nuove terapie sono i temi che vengono affrontati nella road map “PSORIASI. IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE? – VENETO” organizzata da Motore Sanità con il contributo incondizionato di UCB Pharma, con l’obiettivo di creare tavoli di confronto con clinici, tecnici della programmazione, farmacisti, associazioni di pazienti per condividere le azioni che potrebbero garantire vita nuova per i pazienti, attraverso l’innovazione in arrivo e le “proven practices” organizzative esistenti. La serie di eventi coinvolgeranno tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 Piemonte, Veneto, Lombardia, Lazio, Toscana, Puglia, Campania, Sicilia, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Abruzzo.

La psoriasi è una malattia infiammatoria della pelle, non contagiosa, autoimmune, genetica e recidiva che colpisce 125 milioni di persone nel mondo e circa 2,5 milioni in Italia con una prevalenza del 3-4%. Il quadro di comorbilità che la psoriasi crea, abbinato al peso dei sintomi ed alle implicazioni psicologiche, per dover convivere con una malattia molto visibile e in alcuni casi deturpante, ha un impatto rilevante sulla vita, sulla sua qualità, sugli aspetti sociali dei pazienti e delle loro famiglie. Valeria Corazza, Presidente APIAFCO-Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza lo ha rimarcato: “Di psoriasi, solo in Italia, secondo le più recenti stime del CliCon Economics & Outcomes Research, ne soffrono 1,4 milioni di pazienti dei quali circa 56mila in cura con farmaci biologici (il 4%), ai quali si somma un numero lievemente inferiore di pazienti potenzialmente eleggibili alla terapia biologica (54mila). A peggiorare ulteriormente un quadro che, da paziente, non esito a definire devastante, anche in considerazione del vissuto emotivo di chi soffre di psoriasi, una dimensione troppo spesso sottovalutata, quando non del tutto ignorata, concorrono altri due elementi connaturati alla patologia: la cronicità e la multifattorialità. In quanto malattia cronica, la psoriasi richiede un’assistenza continua e permanente, una condizione che evidentemente deteriora la qualità della vita di chi ne soffre; in quanto malattia multifattoriale è spesso accompagnata da comorbidità, ossia dalla presenza contemporanea di altre patologie, e segnatamente: 1 nel 33% dei pazienti psoriasici, 2 nel 19%, 3 nell’8%. È chiaro che il paziente deve avere, da subito, una presa in carico multidisciplinare. Curare, prontamente, le comorbidità significa potere avere una buona Qol e risparmiare sui costi a lungo termine. Eppure, è proprio su questa opportunità che si registrano le maggiori criticità, in primis l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative: si può parlare di Pasi 90/100, posizioni e argomenti che Motore Sanità pone meritoriamente al centro del dibattito”.

Luciano Flor, Direttore generale Area Sanità e Sociale della Regione del Veneto ha sottolineato l’importanza della comunicazione e dell’informazione. “Essere capaci di creare canali comunicativi con i pazienti con psoriasi, con gli specialisti e condividere che cosa diciamo ai pazienti e ai non specialisti della materia, in primis i medici di medicina generale, è un aspetto fondamentale che migliora il percorso del paziente e permette di essere in rete”.

Creare un ponte tra i clinici e le associazioni dei pazienti è invece l’invito di Giuseppe Dal Ben, Direttore Generale AOU Padova. “La psoriasi è una malattia devastante, cronica, recidiva che interessa un gran numero di persone per questo è importante il lavoro di squadra e l’integrazione. Il tema della psoriasi deve essere affrontato da clinici e dalle associazioni in modo da creare un ponte che dobbiamo poter sfruttare al meglio. Il mondo del volontariato è un mondo prezioso e noi clinici dobbiamo tenerne conto”.

“La psoriasi è una patologia rilevante dal punto di vista clinico, sociale e sanitario e nonostante questa rilevanza ci sono dei passi in avanti che bisogna fare in termini di politica Italia – ha sottolineato Tonino Aceti, Fondatore e Presidente di Salutequità -. Oggi abbiamo un atto che è molto importante, il piano nazionale della cronicità che deve essere ammodernato alla luce della pandemia Covid, del PNRR e di tutte le novità avvenute dal 2016 in avanti e alla luce delle patologie specifiche che saranno oggetto del modello. Chiediamo pertanto l’inserimento della psoriasi nel piano nazionale della cronicità, che il piano stesso venga finanziato, si chiede altresì un suo ammodernamento generale e la sua attuazione su tutto il territorio nazionale in attesa che il PNRR sviluppi tutti i suoi effetti e ci vorranno anni. Accanto a questo è importante ragionare anche sull’aggiornamento delle linee guida della psoriasi, lavorare a un percorso diagnostico terapeutico assistenziale e garantire equità accesso alle terapie che sappiamo essere terapie molto importanti. Il tema delle terapie, come il tema della diagnosi e della presa in carico si scontra nel nostro Paese con il tema dell’equità di accesso e quindi anche questo è sicuramente un elemento importante sul quale dovremmo tutti impegnarci”.

Innovazione per una malattia come la psoriasi vuol dire puntare non più solo a PASI 75 o 90 bensì a 100, cioè al perfetto controllo della malattia, con una nuova vita per i pazienti. L’innovazione inoltre sta percorrendo nuove strade con lo studio del ruolo chiave giocato da alcune citochine che coordinano la comunicazione tra le cellule immunitarie durante l’infiammazione e sostengono il processo infiammatorio anomalo alla base della patologia. “Ci sono possibilità per migliorare la qualità di vita dei pazienti” è stato il messaggio di Paolo Gisondi, Professore Associato di Dermatologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia presso l’Università degli Studi di Verona. “C’è il beneficio clinico del Pasi 100, il beneficio sulla qualità della vita per il paziente e c’è il beneficio sulla società”. In tema di innovazione il professor Gisondi ha spiegato: Innovazione, flessibilità, resilienza sono dimensioni essenziali per un medico che desidera creare valore e cambiare la storia di un paziente con la psoriasi. C’è innovazione nella disponibilità di nuove terapie, cosiddette “targeted therapies”, c’è innovazione nella modalità di visitare e seguire il paziente nel tempo, grazie alla telemedicina e alla teledermatologia. C’è innovazione nella possibilità di avere nuovi criteri per allocare risorse economiche e saper scegliere terapie a misura del paziente. Ma esistono bisogni insoddisfatti, quello di terapie efficaci, terapie in grado di modificare la storia, l’evoluzione della malattia psoriasica, la possibilità di utilizzare farmaci biologici con criteri medici e non solo di risparmio, ovvero scegliere necessariamente quello che costa di meno. La possibilità di fare teleconsulto all’interno della struttura ospedaliera”.

Lo stigma è il tema che è stato sollevato da Stefano Piaserico, Professore Associato di Dermatologia, Università degli Studi di Padova e Responsabile del Centro di Riferimento regionale per la psoriasi della Regione Veneto: “Lo stigma provoca nel paziente un cumulo di macerie mentali, metaforicamente parlando, sulla voglia di vivere, di conoscere persone, un cumulo che rimane per tutta la vita. Ansia, paure, depressione e comorbilità fisiche accompagnano i pazienti con psoriasi e come gestire tutto questo è una grande sfida. Ci vengono in aiuto le nuove terapie, farmaci biologici, che hanno e stanno cambiando la qualità della vita dei nostri pazienti. Se fossimo in grado di intraprendere una terapia efficace sin dall’inizio della malattia potremmo evitare agli ammalati una condizione di disagio e prevenire la progressione psico-fisica della malattia. Tutti noi dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione”.

Luca Degli Esposti, Amministratore CliCon S.r.l Società Benefit – Health, Economics & Outcomes Research ha, infine, sottolineato che la psoriasi non è solamente farmaci e spesa farmaceutica ma, soprattutto, controllo della patologia e degli esiti ad essa associata. “Tuttavia, mentre il rispetto di precisi vincoli di spesa sui farmaci è formalmente richiamato dalla normativa nazionale, la gestione della patologia non trova un riscontro nel sistema di garanzia e nei livelli assistenziali. Rischiamo, in sostanza, uno sbilanciamento dell’attenzione verso la spesa farmaceutica piuttosto che verso la patologia nel suo complesso”. “La psoriasi – ha aggiunto il professore – conta circa 1,5 milioni di pazienti a livello nazionale di cui circa 55mila in trattamento con farmaci biologici. Se ne stimano altrettanti con i criteri di eleggibilità al biologico (sotto-trattamento) ma, d’altro lato, circa i tre quarti di quelli che iniziato un biologico non hanno precedentemente ottimizzato la terapia con farmaci sistemi come raccomandato dalle raccomandazioni terapeutiche (sovra-trattamento). Serve, quindi, una rifocalizzazione della metrica di valutazione dell’appropriatezza prescrittiva dall’analisi dei semplici consumi, che quasi niente ci dice rispetto al corretto uso dei farmaci, all’analisi dell’aderenza alle raccomandazioni terapeutica che, per definizione, rappresenta la condizione migliorare la gestione della malattia” ha concluso Luca Degli Esposti.

I NUMERI DELLA PSORIASI

La maggior parte delle persone colpite da psoriasi soffre della forma più comune, la psoriasi a placche lieve/moderata, mentre circa il 20% è colpito da una forma grave che si manifesta con placche eritemato-desquamative localizzate su diverse superfici del corpo e che possono apparire in qualsiasi periodo della vita, in entrambe i sessi: dalle pieghe cutanee alle zone palmo plantari, dal cuoio capelluto al volto, dalle unghie alle mucose.

Nel 30% dei pazienti la psoriasi ha carattere familiare e molte evidenze la indicano come malattia sistemica con diverse comorbilità (alterazioni distrofiche delle unghie; artropatie; uveiti; malattie infiammatorie croniche intestinali; malattie metaboliche e cardiovascolari; disordini psichiatrici; apnee notturne; osteoporosi; Parkinson).

Alcuni passaggi chiave che possono incidere sulla progressione della malattia e ridurre l’efficacia delle terapie sono: correggere stile di vita e fattori di rischio (fumo, alcool, sovrappeso, sindrome metabolica, depressione); intervenire rapidamente e con una terapia che mantenga la sua efficacia nel tempo (durability); per misurare la gravità della malattia, monitorarne l’evoluzione nel tempo nonché l’efficacia delle terapie si utilizza un combinato di elementi: l’estensione della patologia, la sede delle lesioni, il grado di infiammazione e i sintomi, la risposta al trattamento, la durata della malattia, l’impatto sulla qualità della vita.