#L’ictus non resta a casa!

L'ictus

Azzerate le prescrizioni dei nuovi anticoagulanti e accesso in ospedale più difficile per i pazienti durante la prima ondata.

L’appello dei medici: «Identificare le persone a rischio e mettere in atto programmi specifici che semplifichino l’accesso alle cure». 

Nuove strategie: realizzare piattaforme digitali di condivisione dati tra gli stakeholder del settore e “pacchetti di screening” per i pazienti a maggior rischio

27 novembre 2020. La malattia vascolare è stata messa in un angolo durante la pandemia da Covid-19 e i pazienti hanno avuto meno possibilità di accedere ai centri di cura con una conseguente diminuzione degli accessi in ospedale. Un dato che misura quanto l’emergenza sanitaria abbia profondamente sconvolto il percorso di cura e di assistenza per i pazienti colpiti da ictus cerebrale è che nella prima ondata è stata azzerata la prescrizione di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti ed è stato più difficolto per questi pazienti andare in ospedale dove il timore del contagio ha avuto un forte impatto sulla decisione del paziente a chiedere aiuto. Questo è il quadro emerso durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Ogni anno in Italia si registrano almeno 100.000 nuovi ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, circa un terzo delle persone colpite  non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità: il numero di persone che attualmente vive in Italia con gli esiti invalidanti di un ictus ha raggiunto la cifra record di quasi un milione (Rapporto 2018 Ictus). Una ricerca basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione, condotta dalla World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia, ha messo in evidenza che esiste una maggiore sensibilizzazione verso il tema della prevenzione in paesi come Olanda e Inghilterra mentre in Italia esiste un grosso gap tra l’implementazione delle linee guida per la prevenzione dell’ictus e ciò che in realtà viene fatto.

“Sulla prevenzione dell’ictus, le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti – ha spiegato Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare-Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organization e  dell’Osservatorio Ictus Italia: sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare  correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. Poi: potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario; promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. Sono convinta che finché non esiste un accesso equo alla terapia non si può implementare in maniera corretta la terapia prescritta. E, infine, sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

L’emergenza Covid-19 come ha reso difficoltoso l’accesso alle cure ai pazienti, ha anche fornito la possibilità di guardare a nuove opportunità. “L’ictus non rimane a casa, il paziente deve venire in ospedale ed essere trattato – si appella Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, Istituto Superiore di Sanità -. Un dato allarmante è stato registrato nei mesi di marzo, aprile e maggio e cioè che le prescrizioni di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti si sono azzerati. Inoltre l’accesso in ospedale a pazienti con malattie diverse dal Covid-19 è stato molto ridotto e decine di migliaia di visite ambulatoriali per malattie croniche sono state cancellate. Se veramente vogliano trarre un insegnamento da questa fase epidemica dobbiamo essere bravi a identificare le persone a rischio e mettere in atto dei programmi specifici che semplificano l’accesso alle cure, un esempio potrebbe essere l’impiego delle tele-visite”. “Gli smartphone, anche già in tempi pre Covid, sono venuti incontro ai pazienti – conclude Caso -. Credo che sia importante andare verso una cura più territoriale”.

“Abbiamo la necessità assoluta di governare l’emergenza ma non dimentichiamo le emergenze passate – ha dichiarato l’Onorevole Nicola Provenza, Componente Commissione XII (Affari Sociali) Camera dei Deputati –. Dobbiamo non soltanto intervenire sulla prevenzione, potenziandola, e intervenire con efficacia e prontezza per un riequilibrio tra ospedale e territorio. Non dobbiamo scordare che da febbrai a ottobre 18 milioni di prestazioni sono saltate”.

Quali altri strategie? Concordi le associazioni e federazioni di pazienti (FEDER-A.I.P.A. OdV, Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati, Federazione A.L.I.Ce. Italia ODV – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) a istituire tavoli di lavoro e piattaforme digitali per rilevare, sondare i dati e confrontarli tra i stakeholder del settore al fine di elaborare le migliori strategie per rendere migliore la vita del paziente con ictus e migliorare le cure, e a costituire “pacchetti di screening per la prevenzione dell’ictus” rivolti a pazienti a maggior rischio, in una logica di educazione alla salute e alla prevenzione appunto.

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Carcinoma mammario metastatico: “L’importanza della diagnostica di accompagnamento per una diagnosi precoce a disposizione delle pazienti per il successo della terapia”

Carcinoma mammario metastatico

27 novembre 2020 – Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequente tra le donne ed è potenzialmente mortale se non è individuata e curata per tempo. Se il tumore viene identificato in fase molto precoce la sopravvivenza a 5 anni nelle donne trattate è pari al 98%. Nel cancro metastatico purtroppo la sopravvivenza è molto minore, dipende dalle caratteristiche della paziente, dall’aggressività della patologia, dalle opzioni terapeutiche a disposizione e dallo stadio in cui la malattia viene diagnosticata. Ma nel caso del Carcinoma Mammario Triplo-Negativo, che ha un peso epidemiologico del 15-20% tra le neoplasie della mammella e che, in fase avanzata o metastatica, conta circa 1.500 pazienti in Italia, si aprono importanti prospettive di cura grazie alla immunoterapia anti-PD-L1 di Atezolizumab, anticorpo monoclonale studiato per legarsi alla proteina PD-L1 espressa sulle cellule tumorali e sulle cellule immunitarie infiltranti il tumore, in grado di riattivare l’azione dei linfociti T. Per il successo di questa terapia è fondamentale valutare nelle pazienti l’espressione del PD-L1 (Programmed Death Ligand 1) attraverso l’utilizzo di un test di accompagnamento per il cui uso mancano linee guida nazionali che consentano un rapido e appropriato accesso alle pazienti con queste precise caratteristiche cliniche. Con l’obiettivo di discutere su come velocizzare, modernizzare e implementare i progressi della diagnostica MOTORE SANITA’ ha organizzato il webinar ‘Immunoterapia ed efficienza organizzativa: un nuovo modello di governance nel trattamento dei tumori della mammella’, progetto sponsorizzato da Roche.

“Il focus è sulle pazienti portatrici di carcinoma della mammella noto come “triplo negativo”. Poiché questo tumore non esprime i classici bersagli terapeutici per specifica terapia ormonale o molecolare, fino ad ora l’unico trattamento appropriato e rimborsabile è stata la chemioterapia. Basandosi sui dati ottenuti dallo studio registrativo IMpassion130, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con Determina del 14 luglio 2020, e successiva Determina della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (n. 188 del 28-7-2020) hanno dato il via libera alla rimborsabilità per un farmaco immunoterapico (atezolizumab) associato a chemioterapia (nab-paclitaxel) in prima linea per la terapia di pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo non resecabile localmente avanzato o metastatico, i cui tumori presentano un’espressione di PD-L1 ≥1%. La scheda AIFA prevede che per l’eleggibilità al trattamento con atezolizumab i tumori siano testati con saggio immunoistochimico Ventana PD-L1 SP142, lo stesso usato nello studio registrativo. Il test, marcato CE-IVD, richiede specifiche modalità di lettura dei risultati e personale formato a tale scopo. Paradossalmente, al momento, la rimborsabilità del “compagno diagnostico”, ossia di PD-L1 SP142, non è prevista nei Livelli Essenziali di Assistenza. Questo sottintende che un’analisi a priori della governance è fondamentale così come la necessità di coinvolgimento di tutte le figure professionali che partecipano dalla diagnosi alla cura dei pazienti, anche nella stesura di documenti che devono garantire una logica di accessibilità ai farmaci sostenibile appropriata ed equa”, ha spiegato Anna Sapino, Direttore Scientifico IRCCS FPO Candiolo (TO).

“Si fa riferimento ad una opportunità di terapia che può derivare da una analisi biomolecolare. Perché questo si possa realizzare è necessario la condivisione dei professionisti, l’aggiornamento del PDTA e l’accessibilità alla specifica indagine biomolecolare. Le reti sono la sede  naturale in cui si possono raggiungere più facilmente questi obiettivi”, ha detto Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) Regione Toscana.

“Siamo estremamente felici di supportare questo evento che promuove un confronto tra i vari attori del Sistema Sanitario Nazionale sulla necessità di rendere accessibili le tecnologie sanitarie innovative. Soprattutto in ambito oncologico, la diagnostica di accompagnamento costituisce uno degli approcci più all’avanguardia per indirizzare il paziente alla terapia più indicata e quindi più efficace (personalizzazione della terapia) e contestualmente per contribuire alla sostenibilità economica dell’intero Ecosistema Salute grazie all’appropriatezza prescrittiva. In quest’ottica, Roche vuole essere un partner etico del Sistema Sanitario, favorendo la discussione, lo scambio di idee e la condivisione delle conoscenze”, ha dichiarato Guido Bartalena, PhD Head of Healthcare & Market Development Roche Diagnostics SpA.

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ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA: “Collaborazione e comunicazione per garantire innovazione e sostenibilità al servizio del paziente”

ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA

26 novembre 2020 – L’attuale pandemia Covid-19 ha fatto comprendere come il sistema salute negli ultimi anni sia stato continuamente depauperato di mezzi e risorse, volendo mantenere il paziente al centro del sistema, tutto deve essere volto per garantirgli un beneficio in termini di salute e di vita. Tra le innumerevoli innovazioni terapeutiche in oncologia e oncoematologia durante gli ultimi anni si è arrivati ad individuare il BCMA e la sua azione nello sviluppo del mieloma multiplo, svolta decisiva nel trattamento dei pazienti refrattari: l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA), infatti, si è rivelato un bersaglio ideale per l’immunoterapia target del mieloma multiplo. Ma le speranze nell’innovazione devono conciliarsi con la sostenibilità dei sistemi sanitari che in tutto il mondo vedono diminuire gli investimenti nella salute. Per fare il punto sullo stato dell’arte in Regione Emilia-Romagna, Motore Sanità ha organizzato il secondo di tre webinar dal titolo “FOCUS GOVERNANCE DELL’INNOVAZIONE IN ONCOLOGIA E ONCOEMATOLOGIA”, che ha visto confrontarsi pazienti, clinici, industria e istituzioni, realizzato grazie al  contributo incondizionato di GLAXOSMITHKLINE e DAIICHI SANKYO.

“Gli straordinari progressi della medicina di precisione, che comprende terapie a bersaglio molecolare,  immunoterapie e terapie geniche e cellulari hanno un impatto fortemente positivo sulla cura dei pazienti che soffrono di neoplasie ematologiche, tra cui il mieloma multiplo. Non vi è dubbio, tuttavia, che le nuove frontiere della medicina di precisione in ematologia oncologica ci obbligano ad aiutare paziente e famiglia a comprendere e gestire l’impatto psico-sociale delle decisioni di trattamento. Questo richiede l’implementazione di Ambulatori di Cure Palliative/Supportive Precoci, che si affianchino agli Ambulatori Tradizionali Ematologici, per costruire un  Modello Nuovo di Assistenza Integrata, ancora negletto nel nostro Paese, che si realizza all’ interno dell’Ospedale, ed è offerta ai pazienti ed al loro «caregiver», in una fase molto precoce del percorso di cura. Le Cure Palliative/Supportive Precoci permettono di costruire in modo anticipato, una relazione di comunicazione medico-paziente e «caregiver» di lunga durata e profonda, in cui sono discusse e rivalutate, durante la traiettoria di malattia, la diagnosi di malattia avanzata, durante le fasi di cura e successiva ricaduta, la prognosi, la possibilità di ricorrere a successive linee di terapie «standard» o sperimentali oppure di astenersi dalle terapie attive e potere, viceversa, ricevere terapie palliative e di supporto, capaci di ridurre ed eliminare il dolore, i sintomi fisici e psicologici,  la sofferenza e di allungare una periodo di vita di qualità,  con consapevolezza”, ha detto Mario Luppi, Direttore SC Ematologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, Past President Società Italiana di Ematologia  Sperimentale

“Negli ultimi decenni si è posto in maniera sempre più preponderante il governo dell’innovazione in ambito oncologico  ed ematologico. Ciò è dovuto da un lato ai bisogni largamente insoddisfatti in diverse condizioni e setting di patologie onco ematologiche e dall’altro alla possibilità di avere sempre più precocemente farmaci con dati scientifici non definitivi pur tuttavia seppur preliminari, molto promettenti. Il progressivo sviluppo conoscitivo delle caratteristiche clinico-biologiche dei vari tumori ha prodotto e produrrà, sempre di più in futuro, entità tumorali tra il raro ed il molto raro. Ciò comporterà l’impossibilità di avere studi clinici scientificamente e metodologicamente di qualità alta al momento della disponibilità del farmaco o della sua immissione in commercio. Per cui il SSN e i SSR dovranno attrezzarsi a far sì che la Real life possa trasformarsi in uno studio osservazionale prospettico al fine di completare il resto di sviluppo di questi farmaci per poter attribuire loro il reale valore terapeutico ed economico. Affinché la Real life diventi un’attività assistenziale non solo finalizzata alla cura del malato ma anche al progressivo aumento delle conoscenze è necessario ed indispensabile che i professionisti dei vari centri oncologici ed ematologici facciano parte di una rete integrata costituita da supporti (informatizzazione comune) condividendo raccomandazioni, linee guida e le attività di ricerca Clinica”, ha spiegato Giuseppe Longo, Direttore SC Medicina Oncologica Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena,  Coordinatore clinico Gruppo Regionale Farmaci Oncologici, Regione Emilia-Romagna

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Ictus: “Indispensabile prevenzione primaria dei fattori di rischio quanto tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate”

Ictus

27 novembre 2020 – La Stroke Alliance for Europe (SAFE) ha stimato come, già nel 2017, l’impatto economico dell’ictus nell’Unione europea ammontasse a 60 miliardi di euro, con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione, e potrebbe arrivare a 86 miliardi di euro nel 2040. In Italia l’ictus è oggi la prima causa di disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative ed assistenza con un carico economico gravoso sui pazienti ed i propri familiari. La combinazione di questi fattori rende indispensabile un’azione decisa verso la prevenzione dell’insorgenza dell’ictus, che intervenga tanto sui fattori di rischio quanto sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus. Di tutto questo si parlerà durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer e che si terrà oggi, venerdì 27 novembre 2020 alle ore 11.00.

Queste le parole di Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare – Stroke Unit, Membro del  Direttivo della World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia “L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza  causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei  superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. Inoltre, il costante invecchiamento demografico potrebbe inoltre alimentare un incremento dell’incidenza del 30% tra il 2015 ed il 2035 per cui è importante investire sull’implementazione delle cure e la prevenzione anche per evitare che il sistema non regga. Informare sull’impatto economico dell’ictus (nell’UE 45 miliardi di euro nel 2016), con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione. Il  carico economico risulta inoltre particolarmente gravoso anche sui pazienti e i propri familiari: in Italia l’ictus è oggi la prima causa di  disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative e assistenza.  Importante intervenire sulla prevenzione primaria dei fattori di rischio e sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus, come ricorda il report pubblicato dall’Economist Intelligence Unit, una ricerca sulle politiche e gli investimenti nella prevenzione dell’ictus, comprese le risorse per le campagne di sensibilizzazione, educazione della popolazione e di screening. Per comprendere meglio le differenze organizzative a livello europeo, la ricerca è stata condotta in cinque paesi: Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito. La ricerca è basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione. Il report è stato revisionato a livello italiano da me. Le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti: 1 – sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. 2 – potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario, (istituzione dell’infermiere di famiglia, impegno per i medici di medicina generale). 3 – promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. 4 – sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

“Da oltre 20 anni la nostra Associazione A.L.I.Ce. Italia è impegnata nella lotta contro l’ictus cerebrale, patologia che, nel nostro Paese, determina un pesante carico di morbilità, mortalità e disabilità, ma che è evitabile, grazie ad una attenta prevenzione e alla conoscenza dei fattori di rischio modificabili, e curabile, grazie ad un tempestivo riconoscimento dei sintomi e al ricorso al 112 per essere trasportati nelle Unità idonee al Trattamento Neuro vascolare (Stroke Unit). Le nostre campagne di informazione e sensibilizzazione sono rivolte  alla popolazione perché possa effettuare scelte sempre più consapevoli in materia di salute e, con l’empowerment e il coinvolgimento dei cittadini e di tutta la comunità, siano adottati stili di vita sani, con elevato standard di qualità, di recupero e di produttività (laddove possibile), in modo che la malattia non costituisca più un ostacolo al benessere e allo sviluppo socioeconomico di chi ne è colpito e del suo nucleo familiare/caregiver. La nostra attività di awareness è focalizzata, oltre che su post-ictus e fase di riabilitazione, anche e soprattutto a trasmettere ai cittadini quelle poche e semplici indicazioni che sono fondamentali per la prevenzione dell’ictus cerebrale: modificare il proprio stile di vita, curando alcune patologie che ne possono essere causa, significa mettere in atto una prevenzione attiva alla portata di tutti, realizzando tutte le strategie necessarie per evitare questa patologia e le sue conseguenze spesso drammatiche. Sebbene la peggior prognosi delle malattie non trasmissibili (e croniche), quali l’ictus, si verifichi nelle fasce di età più elevate, l’esposizione ai fattori di rischio ha inizio fin dall’infanzia e continua per l’intera esistenza. Appare quindi evidente e più che opportuno, per ridurre il carico assistenziale, sociosanitario ed economico che ne deriva, mettere in atto, a vari livelli e in multi-cooperazione, interventi di promozione della salute, misure legislative e regolatorie, equo accesso a servizi, farmaci e dispositivi, formazione, monitoraggio, valutazione e ricerca che coinvolgano tutti gli stakeholders istituzionali, scientifici e no, appartenenti a tutti i settori, compreso il mondo del welfare”, ha detto Nicoletta Reale, Presidente Federazione ALICe Onlus ODV – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale

“L’emergenza COVID-19 ci ha insegnato quanto sia importante prendersi cura delle malattie croniche e quanto queste impattino sulla prognosi dei pazienti con questa malattia. Circa ¾ dei deceduti COVID-19 avevano 3 o più malattie croniche e tra queste molto comuni erano le malattie cardiovascolari come fibrillazione atriale (presente in circa il 25% dei deceduti), presenza di ictus pregresso (circa 10% dei deceduti) e pressione arteriosa (oltre il 60% dei deceduti). Prevenire e ottimizzare il trattamento di queste malattie è fondamentale al fine di ridurre l’impatto dell’ondata epidemica. L’epidemia ci ha insegnato che è fondamentale ripensare e semplificare l’accesso alle cure per malattie croniche. Nella fase di picco epidemico a marzo-aprile, l’accesso in ospedale a pazienti con malattie diverse dal COVID-19 è stato molto ridotto e decine di migliaia di visite ambulatoriali per malattie croniche sono state cancellate. Le soluzioni tecnologiche (per es. televisita) sono fondamentali per favorire un accesso a cure semplificate, soprattutto nella popolazione con maggiori difficoltà e maggior rischio per malattie croniche (ictus) come gli anziani”, Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, Istituto Superiore di Sanità

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Causa Covid rallentamento degli screening oncologici programmati e degli esami diagnostici: nei prossimi 5 anni previsti 3-4mila morti in più per cancro

Causa Covid

Secondo l’Osservatorio nazionale di screening 1 milione e 400mila esami sono stati annullati a causa del Covid e dovranno essere riprogrammati.

L’appello degli oncologi: «C’è il tempo per recuperare ed è un impegno che dobbiamo prendere tutti nelle nostre Regioni attraverso le Reti, le iniziative e il confronto costante».

Il Covid è una minaccia per l’assistenza ai pazienti oncologici. Gli esperti non escludono la possibilità che ci siano danni futuri per quanto riguarda la perdita di chance di cura a causa del rallentamento degli screening avvenuto a livello globale. Secondo l’Osservatorio nazionale di screening un milione e 400mila esami di screening sono stati annullati e dovranno essere riprogrammati, mentre la rivista scientifica The Lancet riporta una fosca previsione degli epidemiologi, che nei prossimi 5 anni ci siano 3-4 mila morti in più per cancro. Di fronte a questo scenario, il paziente oncologico continua le cure, l’innovazione in oncologia cavalca anche questa seconda ondata pandemica garantendo nuovi farmaci e tecnologia all’avanguardia e il Covid insegna che anche il futuro dell’oncologia, come per le altre specialità, non sarà più come prima per quanto riguarda l’approccio del paziente, il follow up e la giustizia distributiva dei farmaci, implicando la necessità di un coordinamento nazionale dei punti fondamentali di offerta dell’assistenza al malato oncologico. Sull’attività di screening e le possibili strategie per recuperare in oncologia il tempo perduto a causa della pandemia si sono confrontati durante l’incontro “Talk webinar. Reti Oncologiche” organizzato da Mondosanità, organizzato con il contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb già partner del progetto ONCORETE appena conclusosi, di cui questo Talk webinar era il momento finale di condivisione con il pubblico, tre esperti in campo oncologico, Paolo Pronzato, Coordinatore DIAR di Oncoematologia della Regione Liguria, Vincenzo Adamo, Direttore Oncologia Medica AO Papardo-Messina, Coordinatore della Rete Oncologica Siciliana (Re.O.S.) e Rossana Berardi, Direttore della Clinica Oncologica UNIVPM-AOU Ospedali Riuniti di Ancona.

L’oncologia durante l’emergenza sanitaria mostra uno scenario diversificato da regione a regione, a seconda dell’incidenza dell’epidemia. La maggior parte dei centri ha continuato con le terapie farmacologiche, seppur quantitativamente inferiori, buona parte degli interventi chirurgici oncologici sono stati procastinati se non urgenti, i follow up sono stati per lo più effettuati tramite consulto e le tecnologie più utilizzate sono state telefonate e WhatApp al di là delle rendicontazioni delle prestazioni, l’attività di screening programmato e quella diagnostica ha risentito di pesanti rallentamenti in alcune regioni, in altre ha cercato di mantenere i suoi ritmi nonostante le difficoltà organizzative.

In Liguria, un terzo dei posti letto sono occupati da pazienti Covid e, come in altre regioni, gran parte delle risorse del sistema sono dedicate a questi pazienti sottraendole ad altre funzioni come quella dell’assistenza ai pazienti oncologici. “Per quanto riguarda l’oncologia – dichiara il dottor Paolo Pronzato – per fortuna il sistema ha tenuto per l’avvio e la prosecuzione di terapie mediche e oncologiche ma, come è accaduto in tutto il mondo, c’è stato un rallentamento sia degli screening programmati, e può essere accaduto perché l’offerta diminuiva o perché le persone avevano paura di recarsi presso le strutture dedicate, sia della diagnostica, per cui si riscontra una riduzione del numero degli interventi per tumore primitivo. Seppur nei mesi estivi abbiamo recuperato parte dell’attività arretrata della primavera, è chiaro che è stato perso del tempo ed è necessario recuperarlo e fare in modo che lo screening prosegua anche ora”.

A titolo di esempio, tre azioni sono state messe in campo per le pazienti con cancro metastatico: garanzia di accesso alle cure intensive in caso di infezione e malattia da Covid, la protezione della sperimentazione clinica e l’organizzazione di percorsi particolari e aree di ricovero dedicate a pazienti oncologiche risultate asintomatiche o paucisintomatiche per Covid.

Nelle Marche nella prima ondata pandemica le oncologie non si sono mai fermate per le terapie salvavita, ma nel 93,5% dei casi hanno dovuto riorganizzare la loro attività. “Oggi la situazione è migliore rispetto alla scorsa primavera e questo ci permette di mantenere tutte le attività, come gli interventi chirurgici e le procedure diagnostiche – spiega la dottoressa Rossana Berardi -. Lo screening ci permette di fare diagnosi precoci e ha un impatto sulla vita delle persone, per cui è auspicabile che tutto ciò che è stato perso possa essere rapidamente riprogrammato e che le Regioni non si fermino in questa attività importantissima”.

Anche una parte della ricerca clinica mondiale è andata in sofferenza. “Nei mesi passati – aggiunge Berardi – c’è stata la difficoltà a portare avanti protocolli di ricerca e penso al Progetto europeo sul mesotelioma e l’immunoterapia che ha avuto attualmente un blocco per l’impossibilità dei pazienti di raggiungere la sede di Rotterdam che era una parte integrante al percorso di cura. Abbiamo bisogno di fare rete con le istituzioni per garantire anche questa parte”.

In Sicilia lo screening ha risentito di un rallentamento perché le persone hanno rifiutato di andare in ospedale per sottoporsi ai controlli. “Questo problema è stato tamponato grazie ad una serie di iniziative di prevenzione che sono nate spontaneamente nei maggiori ospedali della regione – spiega il dottor Vincenzo Adamo -, mentre per quanto riguarda le cure non c’è stato nessun rallentamento e anche sull’aspetto della chirurgia primaria gli interventi sono andati avanti. Sono convinto che c’è il tempo per recuperare il tempo perduto: in sei mesi certi tipi di tumore, che possono essere sfuggiti ad uno screening, sono recuperabili. Questo è un impegno che dobbiamo prendere tutti nelle nostre Regioni, attraverso le reti, le iniziative e confrontandoci con i colleghi impegnati nell’attività di screening”.

È necessaria una Rete oncologia nazionale delle Reti oncologiche, che garantisca lo scambio di best practice e di dati al fine di una migliore programmazione; per concordare le azioni al fine di assicurare l’innovazione in tempi rapidi; per implementare l’azione sulla medicina territoriale al fine di accompagnare la trasformazione della presa in carico dei pazienti oncologici verso la cronicità, compresa la territorializzazione di alcune terapie; per coordinare al meglio gli studi scientifici; per creare proposte per una implementazione della telemedicina in oncologia; per favorire per alcuni pazienti un follow-up di primo livello a carico del medico di medicina generale e per favorire la territorializzazione della diagnostica di primo livello anche in oncologia a partire dal l’implementazione degli screening. 

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Telemedicine R-evolution: ‘Stop alla tecnologia per pochi eletti, necessario garantire assistenza a tutti i pazienti a livello nazionale’

Telemedicine R-evolution

24 novembre 2020 – In Italia, in epoca Covid, è emerso il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrando la necessità indifferibile di spostare il fulcro dell’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio, necessità che si acuisce in alcune Regioni rispetto ad altre. È arrivato il momento di vedere la telemedicina come investimento per il Sistema Sanitario e non un costo e del suo potenziale impatto sulla società e sulla salute. Per fare in modo che l’adozione della telemedicina nella presa in carico del paziente cronico, e nello specifico della persona con diabete, non sia più appannaggio di pochi eletti, ma una realtà concreta per tutti i pazienti che ne possono trarre beneficio, è nato il progetto Telemedicine R-evolution, avviato lo scorso luglio, voluto da Roche Diabetes Care e realizzato in collaborazione con Mondosanità, di cui si è fatto il punto nel Webinar ‘TELEMEDICINE R-EVOLUTION – TELEMEDICINA E GESTIONE DEL PAZIENTE CRONICO NELL’ERA COVID-19: COME È EVOLUTA LA SITUAZIONE IN QUESTI 6 MESI E COSA CI ATTENDE’.

“Il Servizio Sanitario Nazionale dall’inizio dell’emergenza sanitaria da COVID-19 ha cercato di mettere in atto strategie nuove per riuscire a contenere non solo i danni derivati direttamente dal nuovo coronavirus. Il SSN è chiamato anche al massimo impegno per evitare il più possibile che le misure contenimento del contagio, limitando l’accesso di persona ad alcune prestazioni sanitarie, abbiamo effetti negativi sulla tempestività della diagnosi e sull’andamento della terapia di malattie croniche, oncologiche, malattie rare e disabilità. Sappiamo che i ritardi di erogazione delle necessarie attività sanitarie sono in grado potenzialmente di causare gravi conseguenze sulla salute delle persone. Quindi, Il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato due Rapporti ISS COVID-19 sulla Telemedicina, di cui uno iniziale con indicazioni per rendere rapidamente operativi servizi domiciliari in Telemedicina per l’assistenza primaria ( https://tinyurl.com/yb62nocz  ) e uno più recente dedicato alle modalità per ottimizzare l’uso della Telemedicina in Pediatria (Telepediatria https://tinyurl.com/y6ef8qwj ). Altri Rapporti ISS COVID-19 dello stesso Centro Nazionale sono in fase di elaborazione. In questa serie di pubblicazioni viene posta particolare attenzione alle concrete possibilità assistenziali disponibili in Telemedicina, mostrando quanto sia fondamentale utilizzarle correttamente per garantire il più possibile la continuità di cura nel periodo di emergenza, ma anche successivamente. Le prestazioni e i servizi in Telemedicina non possono però essere improvvisati e vanno forniti prioritariamente attraverso quelle tecnologie digitali e di telecomunicazione computer assistite che siano in grado di offrire le migliori opportunità operative rispetto all’uso delle tecnologie precedenti. Inoltre, affinché i sistemi di Telemedicina funzionino nella pratica quotidiana è fondamentale realizzarli sulla base delle reali necessità individuali dei pazienti e sulle caratteristiche dell’area geografica interessata. Occorre utilizzare in modo coerente su tutto il territorio nazionale modelli e pratiche scientificamente validati, in modo coordinato”, ha dichiarato Francesco Gabbrielli, Direttore Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità

Come è stato evidenziato dal periodo di pandemia da Coronavirus, la stretta collaborazione tra Pubblico e Privato è fondamentale per costruire un Servizio Sanitario Nazionale che sia orientato a garantire universalismo, uguaglianza  ed equità per almeno altri 40 anni, in cui la telemedicina rappresenta uno strumento per innovare in medicina e garantire qualità di assistenza a tutti i cittadini.

“I pazienti fragili e i malati cronici come le persone con diabete e rispettivi caregivers, convivono quotidianamente con una condizione estremamente complessa, sono milioni le persone in Italia che oggi sono fortemente a rischio e chiedono di essere aiutate, anche nella gestione in sicurezza e a distanza, laddove possibile. Per questo abbiamo deciso da una parte di avviare questa attività di sensibilizzazione e dall’altra di investire in innovazione digitale e nello sviluppo di servizi e soluzioni che possano  migliorare la qualità di cura, nonché allungare le aspettative di vita dei pazienti.” ha spiegato Rodrigo Diaz de Vivar, Amministratore Delegato di Roche Diabetes Care Italy S.p.A.

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IL VACCINO MADE IN ITALY SUPERA LA FASE I DI SPERIMENTAZIONE

IL VACCINO MADE IN ITALY

Da quando il Covid-19 è diventato una pandemia globale c’è stata una vera e propria corsa ai vaccini, anche noi con il nostro vaccino Made in Italy.

Le principali aziende farmaceutiche ed i principali istituti di ricerca di tutto il mondo lavorano ormai ininterrottamente alla creazione di un vaccino efficace e sicuro ed anche in Italia c’è chi sta lavorando su un vaccino.

Il vaccino made in Italy si chiama Grad-Cov2 ed è frutto dell’azienda ReiThera. La società di Castel Romano, in provincia di Roma, ha fatto sapere che la sperimentazione sta procedendo secondo le tempistiche previste e che il vaccino ha terminato la fase I di sperimentazione.

Le ricerche condotte in collaborazione con l’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma riguardano un gruppo di 45 volontari sani tra i 18 e i 55 anni è servito per valutare l’efficacia del vaccino a diverse doni.

Le ricerche preliminari hanno dimostrato che il Grad-Cov2 è stato ben tollerato dai pazienti e ha generato, per tutte e tre le dosi testate, anticorpi che si legano alla proteina Spike del virus oltre a linfociti T specifici.

Il prossimo passo dei ricercatori italiani sarà quello di testare le risposte al vaccino su un nuovo gruppo composto da soggetti in buona salute tra i 65 e gli 85 anni. Se anche questa nuova sperimentazione dovesse andare a buon fine i risultati consentirebbero ai ricercatori di selezionale la dose di vaccino ottimale per le sperimentazioni cliniche di Fase 2 e poi 3.

Secondo gli esperti di ReiThera entro la fine di quest’anno saranno disponibili i primi risultati dello studio e verranno rilasciati anche i piani per studi internazionali più ampi.

Nonostante il vaccino sia ancora in fase sperimentale i dati preliminari sono molto incoraggianti ed indicano che questo vaccino è sicuro ed induce una consistente risposta immunitaria.

L’efficacia di questo vaccino ideato, testato e prodotto nel nostro Paese non è soltanto un importante riconoscimento alla ricerca e all’imprenditorialità italiana ma potrebbe sensibilmente ridurre i tempi di accesso ai vaccini per tutti i cittadini.

Riccardo Thomas

Image by sezer ozger

CHI SI VACCINA POTRA’ CONTAGIARE, LE MASCHERINE RESTANO FONDAMENTALI

chi si vaccina

Con un numero sempre maggiore di vaccini che stanno superando le fasi finali di approvazione c’è chi già si immaginava, per chi si vaccina, un futuro senza più mascherine, distanziamento sociale e disinfettante per le mani, ma non sarà così.

La motivazione è molto semplice ed è causata dai vaccini stessi perché se tutti i vaccini che verranno commercializzati impediranno ai sintomi del Covid di manifestarsi esistono ancora pochissimi vaccini che danno immunità sterile, cioè tali che rendono il corpo completamente impermeabile al virus.

E’ molto più probabile che il vaccino a cui verranno sottoposti gli italiani entro pochi mesi, se tutto dovesse andare bene, creerà semplicemente una barriera in grado di proteggere dall’effetto del virus, ovvero la malattia.

Quindi, secondo gli esperti, chi si vaccinerà non potrà ammalarsi, ma potrà in ogni caso infettarsi e trasmettere l’infezione.

Il vaccino non esimerà dall’utilizzo dei DPI soprattutto nelle fasi iniziali della vaccinazione dove solo una piccola parte della popolazione avrà accesso ai farmaci.

Ci vorranno infatti mesi per vaccinare tutta la popolazione e servirà quindi un’organizzazione da parte delle istituzioni.

Chi si vaccina dovrà avere senso di responsabilità collettiva e per proteggere chi non si è ancora potuto immunizzare dovrà continuare con tutte le precauzioni.

Riccardo Thomas

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SPRAY ANTI-COVID PRONTO PER IL PROSSIMO ANNO

Spray anti-covid

Con la seconda ondata di coronavirus che continua a galoppare in tutto il globo i vaccini, tra cui uno spray anti-covid in fase di sviluppo, sembrano l’unica speranza per la ripresa delle normali attività sociali.

Il vaccino non sarà l’unica arma che avremo a disposizione, sono infatti moltissimi i medicinali anti-covid che vengono studiati dai principali istituti di ricerca del mondo. Una delle possibili alternative al vaccino classico potrebbe essere uno spray nasale anti-covid che grazie ad una molecola artificiale riesce ad inibire il Covid-19 sul nascere.

Questa importante scoperta è stata fatta dagli esperiti dell’Università di Pittsburgh negli Stati Uniti e potrebbe essere disponibile già dal prossimo anno.

Questo spray, già in fase di sperimentazione animale, riuscirebbe ad attivare il sistema immunitario dell’organismo grazie ad una molecola artificiale che interagisce con le cellule della cavità nasale.

Nello studio un gruppo di furetti ha ricevuto due dosi di una soluzione spray nasale, secondo i i risultati del team lo spray applicato il giorno prima dell’esposizione al coronavirus ha inibito la replicazione la replicazione del virus nel naso e nella gola del 96%, riducendo quindi il rischio di infezione e le probabilità di trasmissione.

Questa ricerca molto importante potrebbe quindi fornire una formidabile arma contro il contagio, ma non bisogna immaginarsi un futuro in cui tutti gireremo con lo spray anti-covid in tasca poiché se rilasciato sarà comunque un farmaco estremamente potente e che potrà essere somministrato unicamente sotto supervisione medica.

Inoltre a questo studio mancano ancora i test tossicologici e quelli sugli esseri umani per capire se la molecola sia sicura, efficace e non nociva. Se questo farmaco dovesse arrivare alla commercializzazione i primi a poterne avere accesso saranno le persone più fragili ed esposte al contagio e chi per ragioni di salute non si sarà potuto sottoporre ai vaccini anti-covid o per i quali il vaccino non ha avuto effetto.

Riccardo Thomas

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Telemedicine R-evolution: ‘Stop alla tecnologia per pochi eletti, necessario garantire assistenza a tutti i pazienti a livello nazionale’

Telemedicine R-evolution

24 novembre 2020 – In Italia, in epoca Covid, è emerso il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrandola necessità indifferibile di spostare il fulcro dell’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio, necessità che si acuisce in alcune Regioni rispetto ad altre. È arrivato il momento di vedere la telemedicina come investimento per il Sistema Sanitario e non un costo e del suo potenziale impatto sulla società e sulla salute. Per fare in modo che l’adozione della telemedicina nella presa in carico del paziente cronico, e nello specifico della persona con diabete, non sia più appannaggio di pochi eletti, ma una realtà concreta per tutti i pazienti che ne possono trarre beneficio, è nato il progetto Telemedicine R-evolution, avviato lo scorso luglio, voluto da Roche Diabetes Care e realizzato in collaborazione con Mondosanità, di cui si è fatto il punto nel Webinar ‘TELEMEDICINE R-EVOLUTION – TELEMEDICINA E GESTIONE DEL PAZIENTE CRONICO NELL’ERA COVID-19: COME È EVOLUTA LA SITUAZIONE IN QUESTI 6 MESI E COSA CI ATTENDE’.

“Il Servizio Sanitario Nazionale dall’inizio dell’emergenza sanitaria da COVID-19 ha cercato di mettere in atto strategie nuove per riuscire a contenere non solo i danni derivati direttamente dal nuovo coronavirus. Il SSN è chiamato anche al massimo impegno per evitare il più possibile che le misure contenimento del contagio, limitando l’accesso di persona ad alcune prestazioni sanitarie, abbiamo effetti negativi sulla tempestività della diagnosi e sull’andamento della terapia di malattie croniche, oncologiche, malattie rare e disabilità. Sappiamo che i ritardi di erogazione delle necessarie attività sanitarie sono in grado potenzialmente di causare  gravi conseguenze sulla salute delle persone. Quindi, Il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali  dell’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato due Rapporti ISS COVID-19 sulla Telemedicina, di cui uno iniziale con indicazioni per rendere rapidamente operativi servizi domiciliari in Telemedicina per l’assistenza primaria ( https://tinyurl.com/yb62nocz  ) e uno più recente dedicato alle modalità per ottimizzare l’uso della Telemedicina in Pediatria (Telepediatria https://tinyurl.com/y6ef8qwj ). Altri Rapporti ISS COVID-19 dello stesso Centro Nazionale sono in fase di elaborazione. In questa serie di pubblicazioni viene posta  particolare attenzione alle concrete possibilità assistenziali disponibili in Telemedicina, mostrando quanto sia fondamentale utilizzarle correttamente per garantire il più possibile la continuità di cura nel periodo di emergenza, ma anche successivamente. Le prestazioni e i servizi in Telemedicina non possono però essere improvvisati e vanno forniti prioritariamente attraverso quelle tecnologie digitali e  di telecomunicazione computer assistite che siano in grado di offrire le migliori opportunità operative rispetto all’uso delle tecnologie precedenti. Inoltre, affinché i sistemi di Telemedicina funzionino nella pratica quotidiana è fondamentale realizzarli sulla base delle reali necessità individuali dei pazienti e sulle caratteristiche dell’area geografica interessata. Occorre utilizzare in modo coerente su tutto il territorio nazionale modelli e pratiche scientificamente validati, in modo coordinato”, ha dichiarato Francesco Gabbrielli, Direttore Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità.

Come è stato evidenziato dal periodo di pandemia da Coronavirus, la stretta collaborazione tra Pubblico e Privato è fondamentale per costruire un Servizio Sanitario Nazionale che sia orientato a garantire universalismo, uguaglianza  ed equità per almeno altri 40 anni, in cui la telemedicina rappresenta uno strumento per innovare in medicina e garantire qualità di assistenza a tutti i cittadini.

“I pazienti fragili e i malati cronici come le persone con diabete e rispettivi caregivers, convivono quotidianamente con una  condizione estremamente complessa, sono milioni le persone in Italia che oggi sono fortemente a rischio e chiedono di essere aiutate, anche nella gestione in sicurezza e a distanza, laddove possibile. Per questo abbiamo deciso da una parte di avviare questa attività di sensibilizzazione e dall’altra di investire in innovazione digitale e nello sviluppo di servizi e soluzioni che possano migliorare la qualità di cura, nonché allungare le aspettative di vita dei pazienti.” ha spiegato Rodrigo Diaz de Vivar, Amministratore Delegato di Roche Diabetes Care Italy S.p.A.

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