Gli esperti a confronto: “Indispensabile vaccinare i pazienti diabetici ancor più in questo periodo di pandemia!”

Diabete e vaccini

21 Gennaio 2021 – I pazienti affetti da diabete presentano un’aumentata mortalità rispetto alla popolazione generale, a causa di problemi correlati all’aumentato rischio di malattie cardiovascolari e cancro, ma anche alla maggiore incidenza di complicanze infettive che contribuiscono in maniera decisiva alla ridotta aspettativa di vita.

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Tumore del polmone NSCLC ALK +: “Necessario disporre di nuove opzioni terapeutiche per gli oltre 2.500 pazienti l’anno in Italia”

tumore polmone

19 gennaio 2021 – In Italia ogni anno circa 270 mila cittadini sono colpiti dal cancro. Attualmente, il 50% dei malati riesce a guarire, buona parte dell’altro 50% si cronicizza, riuscendo a vivere più o meno a lungo. Tra i cosiddetti big killer il tumore polmone rappresenta oggi la prima causa di morte per neoplasia negli uomini e la terza nelle donne.

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TRIALS CLINICI: “Nei prossimi anni condividere progetti tra i professionisti delle diverse specialità indispensabile per definire protocolli per risposte sempre più precise”

Trials clinici

12 Gennaio 2021 – Il termine trial clinico definisce uno studio clinico farmacologico, biomedico o salute-correlato, progettato secondo regole condivise e protocolli predefiniti per rispondere a precisi quesiti riguardanti l’effetto sui soggetti umani in termini di efficacia e sicurezza. Senza i trials clinici, il progresso nella lotta contro le malattie  sarebbe bloccato, ma perché sia ben fatto, bisogna costruire un disegno di studio preciso, individuando con cura sia la domanda a cui si vuole dare risposta (endpoint primario) sia la popolazione di pazienti arruolati nello studio (target), assicurandosi che tutto possa dare significatività statistica ai risultati. Nel caso di trials clinici sui farmaci, devono essere esaminati attentamente e approvati da Comitati Etico-Scientifici di esperti multidisciplinari. Per approfondire il tema, con il coinvolgimento di tecnici esperti, utilizzando come esempio la patologia oncologica renale e prostatica, MOTORE SANITÀ ha organizzato 3 appuntamenti dal titolo “Trials clinici: analisi e interpretazione la farmacia incontra l’oncologia”, in Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana, realizzati grazie al contributo incondizionato di IPSEN.

“Il Farmacista Ospedaliero ha un ruolo sempre più centrale, sia di collaborazione alla sperimentazione controllata di nuovi trattamenti sia nella fase di monitoraggio dell’impiego degli stessi una volta disponibili per la pratica clinica. La conoscenza delle più recenti regole per la valutazione della quantità e della qualità delle evidenze della ricerca è quindi oltremodo utile (e necessaria). In particolare, il Sistema GRADE è assunto a standard riconosciuto per la valutazione delle Prove e per la produzione delle Linee Guida per la pratica clinica. Nello specifico, il metodo GRADE propone una valutazione della qualità delle prove più ampia e articolata di quella proposta da tutti gli altri sistemi di Grading. Le principali caratteristiche del metodo consistono nel passaggio da una valutazione “studio specifica” a una valutazione “outcome specifica” per giudicare la qualità delle prove, cui concorre non solo la tipologia dello studio ma numerose altre variabili che nei metodi precedenti erano considerate in modo implicito e/o incompleto. La forza delle raccomandazioni fornite dal metodo GRADE è tenuta distinta dalla qualità delle prove e tiene conto del bilancio complessivo dei benefici e degli effetti indesiderati dei trattamenti, dei valori e preferenze dei pazienti, e dell’impiego di risorse necessarie all’implementazione delle raccomandazioni”, ha affermato Giovanni Pappagallo, Epidemiologo Clinico, Silea TV

“Oggi è sempre più rilevante l’acquisizione e la diffusione di strumenti interpretativi per l’analisi degli studi clinici. Quest’incontro ha cercato proprio di stimolare la discussione tra Oncologi, Farmacisti Ospedalieri e Metodologici in quest’ambito partendo dagli studi di terapia nei tumori urologici. Questa inter-relazione faciliterà sempre di più nei prossimi anni la collaborazione e la condivisione di progetti tra i professionisti delle diverse specialità”, ha spiegato Carmine Pinto, Direttore Struttura Complessa di Oncologia, Azienda USL IRCCS, Reggio Emilia

“Il trial clinico è un’opportunità per il clinico di sperimentare nuove procedure e per il paziente che in genere anticipa un trattamento innovativo. Una rete oncologica deve poter disporre di una infrastruttura dedicata che consenta di lavorare con casistica regionale secondo criteri di qualità e di equità. Occorre tuttavia non solo saper fare trials ma anche e soprattutto saperli leggere sapendo che, tra studi registrati e Real word, esistono differenze da interpretare e inserire nelle nostre scelte cliniche. Occorre anche superare ritardi burocratici e applicativi. il rapido trasferimento della ricerca alla clinica è un valore aggiunto per un sistema di qualità”, ha dichiarato Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO), Regione Toscana

Le recenti acquisizioni di conoscenze in ambito oncologico portano alla necessità di saper governare la mole di informazioni che si rendono disponibili dalla letteratura. Diventa quindi indispensabile la capacità di una corretta analisi degli studi clinici e l’acquisizione di competenze trasversali tra i diversi operatori coinvolti. La collaborazione tra clinici e farmacisti deve essere sempre più integrata in un percorso multidisciplinare fino ad ipotizzare un farmacista clinico al fianco del medico sia nella parte assistenziale che nel disegno di futuri studi di ricerca. Questa iniziativa assume pertanto una rilevanza nel percorso di formazione e di crescita di tutti coloro che sono coinvolti nell’attività oncologica”, ha detto Giordano Beretta, Responsabile Unità Operativa Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni, Bergamo e Presidente Nazionale AIOM

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Gli effetti a breve e lungo termine del Covid-19: dolore, alterazione del sonno, ansia, paura Il ruolo del follow up e della riabilitazione dopo la dimissione del paziente dalla terapia intensiva

Gli effetti

23 Dicembre 2020 – Una delle preoccupanti considerazioni derivate dalla pandemia da SARS-COV-2 è stata che il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad  una insufficienza respiratoria talora mortale, ma attacca tutti gli organi causando alcuni effetti che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.

Recentemente una pubblicazione della Rockfeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza. Altre alterazioni: riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad attacco ischemico transitorio nell’immediato ma anche nel medio-periodo legati all’alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve e/o moderata. Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante.

Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati.

Oggi c’è un farmaco che modula gli effetti della tempesta citochimica e potrebbe avere influenza anche su manifestazioni croniche.

“La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alzaha spiegato  Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.

Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze.

“Si registra una condizione di elevato impatto emotivo – ha spiegato Giancarlo Bosio, Direttore  Pneumologia Ospedale di Cremona -: la paura di infettarsi è stata elevata ma comunque minore della paura di infettare i familiari; il livello di benessere soggettivo è drasticamente diminuito e anche nella fase successiva post emergenziale non è tornata ai livelli precedenti: l’impatto emotivo è stato generalizzato e sono presenti per alcuni operatori manifestazioni persistenti degli eventi critici associate a difficoltà nel sonno e ad ansia; quasi due operatori su 3 accetta un supporto o sostegno emotivo”.

Quello che già si sta osservando negli ambulatori è una recidiva dei pazienti che hanno una sindrome dell’intestino irritabile, che hanno avuto un’infezione da Covid, l’elemento trigger che riaccende i sintomi funzionali.

Ma ci sono dei pazienti che non hanno mai avuto sintomi funzionali, hanno fatto l’infezione da Covid e sviluppano una sindrome tipica della sindrome dell’intestino irritabile, e non è una cosa nuova – ha ammesso Franco Radaelli, Direttore UOC Gastroenterologia Ospedale Valduce di Como -. Sappiamo che dopo una infezione del tratto gastroenterico circa un 10% dei pazienti sviluppa una sindrome dell’intestino irritabile post-infettiva. Il danno citopatico diretto del virus dà un’alterazione della permeabilità intestinale che dà una attivazione del sistema immunitario enterico che porta un’alterata motilità, una iperalgesia viscerale, a una disbiosi intestinale (i tre meccanismi fisiopatologici principali dei disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico). Inoltre, la sindrome post Covid è caratterizzata da un’alterazione dello stato psichico (ansia, depressione), che nel doppio legame che c’è nell’asse cervello-intestino influenza negativamente la percezione di tutti i sintomi gastrointestinali. Ci aspetteremo nel prossimo futuro proprio un aumento dei pazienti nelle cliniche dei disturbi funzionali che hanno avuto infezione da Covid”.

C’è una relazione importante tra le malattie cardiovascolari e il Covid.

Sia perché che le malattie cardiovascolari preesistenti, in qualche modo, influenzano la prognosi e la  storia clinica del paziente Covid, sia perché il Covid di per sé determina malattie cardiovascolari – ha spiegato Claudio Bilato, Direttore UO Cardiologia Ospedale “Cazzavillan” Arzignano -. Sicuramente c’è una persistenza di sintomi post Covid che sembrerebbe non riguardare almeno in gran parte la patologia cardiovascolare, ma sicuramente i danni miocardici e polmonari accusati durante l’infezione da Covid possono determinare delle sequele importanti non solo in termini di scompenso ma, per esempio, se si pensa ad una fibrosi polmonare, può determinare una ipertensione polmonare cronica, malattia che sicuramente oltre a rappresentare una prognosi compromessa peggiora anche drasticamente la qualità di vita”.

Quando parliamo di qualità di vita post Covid si devono considerare le caratteristiche cliniche dei  pazienti trattati. “Ipertesi nel 64,5% dei casi, problematiche cardiache quasi nel 29% dei casi, diabetici nel 21%, obesi nel 18,8%, con dislipidemia nel 17,7% dei casi, con problemi oncologici nel 16,7% e con problematiche neurologiche legate alla senescenza nel 50% dei casi e con terapie molto complesse nel 67% – ha snocciolato i dati Sebastiano Marra, Direttore Dipartimento Cardiologia Villa Pia Hospital Torino che, a 60 giorni dal ricovero acuto, nel programma di riabilitazione, ha registrato un buon recupero di questi pazienti “sia sui parametri oggettivi sia su quelli clinici di recupero di soggettività e di normalizzazione della vita”.

Presso l’IRCCS San Martino di Genova è stato creato un follow up a brevissimo termine per monitorare il paziente dimesso dalla terapia intensiva e sottoporlo ad un vero e proprio programma di riabilitazione intenso in cui la fisioterapia ha un ruolo fondamentale.

I pazienti vengono mantenuti dai 3 ai 10 ai 15 giorni perché almeno il 30%-35% di loro presentano ulteriori problematiche che necessitano di essere trattate in maniera molto rapida – ha spiegato Paolo Pelosi, Professore Ordinario in Anestesiologia e Rianimazione, Direttore UOC Anestesia e Terapia Intensiva IRCCS San Martino Genova -. E’ estremamente importante il monitoraggio continuo della saturazione e della fatica respiratoria e l’intubazione precoce nei pazienti con grave difficoltà respiratoria”.

E’ necessario un controllo prolungato nel tempo dei pazienti e i sistemi di telemonitoraggio, teleconsulto, teleriabilitazione possono svolgere un ruolo estremamente importante per affrontare in modo concreto questi problemi che si prolungano dopo la dimissione, considerando che non tutti i pazienti possono essere seguiti in modo ambulatoriale tradizionale –  ha spiegato Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Ovviamente è fondamentale un follow up costante che dirà, nel lungo periodo, su quali ulteriori problematiche dovremo concentrare la nostra attenzione dal punto di vista riabilitativo per restituire pienamente questi pazienti alla loro vita pre Covid”.

Invece, per affrontare le positività persistenti in pazienti e operatori sanitari, nei laboratori di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova sono stati messi a punto degli esami molecolari ulteriori per poter dare degli aiuti ulteriori ai clinici.

Il nostro obiettivo è verificare se queste bassissime positività persistenti sono legate ad un virus che è ancora in fase replicativa oppure se sono solo una scia in cui il virus non è più infettante – ha spiegato Lucia Rossi, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova -. In questi mesi, in parallelo abbiamo fatto sia le colture cellulari sia la ricerca del mRNA subgenomico – ha aggiunto Elisa Franchin, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova  -. Stiamo adottando questi tipi criteri di ricerca del campione del virus per la gestione dei pazienti  e del personale che deve rientrare al lavoro”.

A fronte di un numero importante di ricoveri negli ospedali e di ricoveri in terapie intensive, quindi di un  importante numero di pazienti che dovranno essere presi in carico dopo le dimissioni, le istituzioni devono pensare di favorire lo sviluppo di percorsi appropriati di salute nell’ambito di queste patologie – ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio Sanitari Regione Piemonte – ovvero modelli che devono partire da linee guida, che devono essere tradotti dal punto di vista organizzativo e soprattutto valutati”.

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Covid 19 e cervello: sintomi, complicanze e ripercussioni sulla gestione delle malattie neurologiche

Covid-19 e cervello

Lo studio multicentrico NeuroCOVID della Società Italiana di Neurologia sta raccogliendo informazioni sui pazienti che sono o sono stati affetti da Covid-19 per valutare possibili implicazioni a lungo termine sul cervello ed il sistema nervoso

23 Dicembre 2020 – Il Covid 19, come può colpire organi come polmoni, cuore, rene, può anche colpire il cervello e con due implicazioni nelle malattie neurologiche, manifestazioni neurologiche direttamente indotte dall’infezione e grosse ripercussioni sulla gestione delle malattie neurologiche legate all’emergenza come dimostra uno studio recentemente pubblicato che ha evidenziato gli effetti comportamentali e psicologici della quarantena nei pazienti con demenza: peggioramento di sintomi comportamentali e psicologici della demenza come apatia (34,5%), depressione (25%), ansia (29%), disturbi del sonno (24%), irritabilità (40,2%), agitazione (30,7%) e un nuovo inizio di sintomi comportamentali e psicologici della demenza quali disturbi del sonno (21,3%), irritabilità (20,6%), apatia ( 17%) e aggressività (13%).

E’ quanto è emerso durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

Sono molteplici i quadri neurologici che possono insorgere nelle varie fasi dell’infezione: sintomi a livello del sistema nervoso centrale come cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti da infezione diretta del virus o su base autoimmune, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi, spesso legati a ictus ischemici o emorragici; sintomi a livello del sistema nervoso periferico come la perdita o distorsione del senso dell’olfatto, del gusto, sofferenza diretta o su base immuno-mediata dei nervi periferici (neuralgie, sindrome di Guillan-Barrè), nonché sintomi da danno muscolare scheletrico, che si manifestano con mialgie intense, spesso correlate a rialzo di enzimi liberati dal muscolo (CPK), espressione di danno muscolare diretto.

Ma, come è stato segnalato per altri organi, si possono manifestare complicanze neurologiche post Covid: in circa il 30% dei soggetti trattati presso gli ambulatori post Covid, oltre ad astenia, che è il sintomo più comune, si è osservata difficoltà di concentrazione o veri e propri disturbi di memoria, e ora i neurologi stanno cercando di documentare quali sono le aree cerebrali che posso maggiormente essere colpite, con valutazioni neuropsicologiche o con la risonanza o con esami di imaging.

Si possono inoltre manifestare patologie neurologiche legate ad alterazioni delle pareti vasali, alterazioni della coagulazione, liberazione delle citochine pro-infiammatorie, infiammazione della parete dei vasi e la produzione di autoanticorpi.

Proprio per il rischio importante di complicanze durante l’infezione e di conseguenze anche dopo l’infezione, la Società Italiana di Neurologia (SIN) ha promosso lo studio multicentrico NeuroCOVID sulle manifestazioni neurologiche durante l’infezione con l’obiettivo di raccogliere informazioni sui pazienti che sono o sono stati affetti da Covid-19 relative alla specifica sintomatologia clinica neurologica manifestata, ad esami eventualmente eseguiti per evidenziare un interessamento del cervello e sul decorso della sintomatologia allo scopo di valutare possibili implicazioni a lungo termine sul sistema nervoso.

Lo studio è partito a marzo con l’esplosione della pandemia e il reclutamento si protrarrà fino al giugno 2021 con un follow-up che dovrebbe protrarsi fino alla fine dell’anno prossimo. Allo studio hanno già aderito 48 unità di neurologia nel territorio italiano e altre stanno chiedendo l’adesione.

Si osserva un legame della proteina Spike del virus ai recettori ACE2 e Neuropilina1, presenti sia in cellule epiteliali, che vascolari, che nervose – ha spiegato il Professor Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza -. L’ingresso del virus al cervello può essere ematogena ma soprattutto guidato dal nervo olfattorio e dal nervo vago, che innerva polmoni e l’intestino, e giunto al cervello può rapidamente diffondersi tra le varie cellule nervose, negli astrociti, e negli studi autoptici che sono stati fatti in soggetti deceduti con infezione, è stato osservato proprio il virus nelle cellule cerebrali”.

Le patologie che vengono osservate, come ad esempio le encefaliti, hanno spesso una base autoimmune. “In alcuni casi – ha proseguito il Ferraresesono legate al danno del virus, ma in molti casi si sono risolte con massicce dosi di steroidi seguite da plasmaferesi oppure da somministrazione di immunoglobuline, come accade nella malattia di Guillan-Barrè, i cui casi si manifestano a volte già all’esordio della sintomatologia Covid, a volte a distanza di tempo, quindi è come se la risposta immunitaria favorisse proprio queste patologie sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico”.

A tale proposito “l’esercizio di per sé ha un effetto terapeutico perché ha effetti di neuromodulazione e di modulazione anche della risposta immunitaria in funzione dell’intensità di esercizio – spiega Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Altro elemento da non sottovalutare in questi pazienti è la risposta del sistema vegetativo all’esercizio che è spesso alterata e che probabilmente è implicata nella sindrome da fatica cronica che stiamo osservando in questi pazienti. Questi due elementi andrebbero visti in modo molto approfonditi nel lungo periodo”.

Infine, la pandemia ha avuto una enorme ripercussione sulla gestione delle malattie neurologiche. “La chiusura degli ambulatori, soprattutto nella prima fase, la difficoltà stessa di pazienti che hanno avuto ansia a recarsi al pronto soccorso per le loro patologie e quindi non sono stati seguiti, e lo stesso lockdown che ha costretto a casa pazienti con la demenza hanno fatto registrare un netto peggioramento del quadro dei disturbi comportamentali o addirittura la comparsa di nuovi disturbi comportamentali in soggetti affetti da demenza, come testimonia uno studio recentemente pubblicato – ha concluso il Professor Ferrarese -. Stiamo cercando di attrezzarci con la telemedicina, con collegamenti via internet e telefonici, seppur non è la stessa cosa che seguire direttamente questi pazienti. Le patologie neurologiche hanno avuto un grosso impatto da questa pandemia, stiamo cercando di monitorarle e vedremo anche a distanza di tempo quale sarà lo scenario”.

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ORGANOPATIA DA SARS COV-2

organopatia

Consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire da diagnosi precoce, terapia rapida e follow-up

22 dicembre 2020 – È ormai appurato che il virus da SARS COV-2 non aggredisce solo i polmoni portando ad un’insufficienza respiratoria spesso mortale, ma attacca praticamente tutti gli organi causando in alcuni deficit che permangono a lungo e con conseguenze importanti. È il caso dei cosiddetti long-haulers, cioè persone che dopo un’infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire completamente, perché il virus persiste in piccole quantità in alcuni organi del corpo, dando origine non a una tempesta citochimica ma ad una pioggia citochimica con infiammazione permanente e se si giunge ad immunodepressione anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante. Per approfondire al meglio il tema, MOTORE SANITÀ ha organizzato il webinar ‘Organopatia da Covid-19: diagnosi, terapia e follow-up’.

Come affermato dagli esperti, in primis dal Prof. Fauci, il Coronavirus colpisce non solo le vie aree ma talora si diffonde a tutti gli organi con conseguenze che si prolungano a lungo. Sintomi come la fatica, dolori muscolari ed ossei, dispnea, diarrea e sintomi cardiaci e neurologici sono presenti soprattutto nei pazienti con alta carica virale o sottoposti a terapie ad alta intensità per vincere il contagio da SARS COV-2. In alcuni pazienti, come riportato in letteratura, il virus si occulta in alcuni organi non scatenando una tempesta citochinica ma una pioggia citochinica con uno stato infiammatorio permanente che talora riattiva la malattia prima superata a domicilio con necessità di ricovero in ospedale. D qui la necessità di analizzare le conseguenze del contagio in termini epidemiologici e assistenziali per indurre i centri e le regioni a programmare un follow up di  questi pazienti per capirne la prevalenza e l’impatto in termini di salute e sociali”, ha dichiarato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Osservatorio Motore Sanità

“Elevazione degli enzimi epatici sono comuni in corso di COVID-19, potendo essere riscontratifino al 76% dei casi. Elevati livelli di alanina aminotransferasi (ALT) e soprattutto di aspartato aminotransferasi (AST) sono le anomalie più comuni, anche se solo nei pazienti più gravi si osservano valori maggiori di 3 volte quelli normali; incremento dei livelli di γ-glutamil transferasi (GGT) possono essere riscontrati fino al 50% e della bilirubina nel 10% dei casi. La fosfatasi alcalina (ALP) è tipicamente normale nonostante il recettore ACE2 sia espresso sul 58% delle cellule dei dotti biliari. L’insufficienza epatica acuta su cronica (ACLF) segnalata già per il virus dell’influenza, è stata anche riportato nel 12% e nel 28% dei pazienti con cirrosi compensata con incremento della mortalità. I meccanismi con cui SARS-CoV-2 colpisce il fegato non sono ben definiti. Il recettore ACE2 è espresso solo nel 2,6% degli epatociti e un effetto citopatico diretto, descritto per i virus della SARS e della MERS non è stato documentato per SARS-CoV-2 anche se ci sono riscontri aneddotici alla microscopia elettronica della tipica struttura spike nel citoplasma degli epatociti. Secondo la World Gastroenterology Organization (WGO) le procedure interventistiche come l’endoscopia e la colangiopancreatografia retrograda endoscopica dovrebbero essere eseguite solo in casi di emergenza o quando sono considerate strettamente necessarie come in varici ad alto rischio o colangite. La sorveglianza del cancro epatocellulare potrebbe essere posticipata di 2 o 3 mesi. Il trapianto di fegato dovrebbe essere limitato ai pazienti con punteggi MELD elevati, insufficienza epatica acuta ed epatocellulare cancro entro i criteri di Milano. Donatori e riceventi dovrebbero essere testati per SARS-CoV-2 e se trovato positivo il donatore dovrebbe essere escluso e il trapianto di fegato posticipato fino alla guarigione dall’infezione”, ha spiegato Antonio Cascio, Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico P. Giaccone, Palermo

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Rivoluzione CAR-T in Emilia-Romagna

Rivoluzione CAR

Al Policlinico Sant’Orsola-Malpighi l’anno si chiuderà con 20 pazienti oncologici trattati. Il Covid non ferma l’attività.

Tra le sfide future il potenziamento delle CAR-T cell Team

Le CAR-T sono cure all’avanguardia, che possono dare una speranza in più ai pazienti oncologici. Cure che, per la complessità che richiedono, devono essere organizzate da centri selezionati e di altissima competenza. Queste CAR-T innovative sono arrivate in Regione Emilia Romagna nel 2019 dopo l’approvazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e la Regione da subito ha messo a disposizione l’esperienza, la qualità e la professionalità del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi – Unità Operativa Complessa di Ematologia per eseguire queste immunoterapie cellulari, che possono dare risposte di lunga durata, in alcuni casi anche la guarigione, in pazienti nei quali la malattia non è più curabile con le terapie convenzionali.

Motore Sanità ha organizzato, in Emilia-Romagna, il Webinar ‘BEST PRACTICE ORGANIZZATIVE IN TEMPO DI COVID: IL PERCORSO DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A CAR-T’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD e Kite.

Il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi è il centro Hub per l’Emilia-Romagna nell’utilizzo delle terapie avanzate CAR-T. È uno dei primi centri italiani che sono stati selezionati per condurre studi clinici sperimentali per le indicazioni approvate e per quelle future (mieloma multiplo). L’AIFA già dallo scorso settembre ha approvato i criteri per l’individuazione dei centri ospedalieri idonei alla somministrazione di queste terapie, non più in modalità sperimentale ma ordinaria. In base all’evoluzione delle cure e della numerosità dei pazienti da trattare, la Giunta regionale valuterà successivamente l’eventuale individuazione di altri centri regionali abilitati all’utilizzo delle terapie CAR-T.  L’anno 2020 si chiuderà con un totale di 20 pazienti a cui CAR-T sono state infuse (alcuni da studio clinico). Durante la prima ondata della pandemia si è registrato purtroppo un rallentamento negli arruolamenti; ma da settembre sono state schedulate 3 aferesi al mese, dal secondo trimestre 2021 saranno 4 al mese, andando a coprire i fabbisogni previsti dalla programmazione regionale. Tra le sfide future: fondamentale è il potenziamento delle CAR-T cell Team nell’organizzazione all’interno del centro Hub.

Il modello di base è quello dell’organizzazione a rete. Con la delibera è stato assegnato al centro Hub l’obiettivo di definire un protocollo di selezione e presa in carico dei pazienti candidati alle terapie avanzate ed è stata istituita un’apposita Commissione di esperti, con il compito di valutare la casistica e la qualità del percorso delle procedure CAR-T eseguite, anche per l’assunzione di eventuali provvedimenti aggiuntivi, nonché di definire la gestione dei tempi di attesa sia per i pazienti residenti in Regione sia per i pazienti provenienti da altre regioni (con il supporto prezioso di Casa Ail). Il processo è facilitato da uno strumento gestionale di tipo informatico che ha collegato i centri Spoke, otto sedi ematologiche in totale sul territorio regionale, al centro Hub, rendendo questa attività possibile online in ogni momento al fine di condividere l’eleggibilità al trattamento.

Per il paziente è stato creato un vero e proprio percorso: presa in carico e responsabilità, comunicazione delle interfacce, ambiti applicativi e standard of care, identificazione degli steps a maggior rischio, controllo (verifica) del processo.

Durante la pandemia è stato istituito un percorso ad hoc Covid-free per i pazienti sottoposti a terapia CAR-T. Il Covid ha influenzato certamente l’attività delle CAR-T ma ha permesso di costruire lo scheletro dell’organizzazione regionale che permetterà anche a regime di rispondere in maniera esaustiva alla domanda regionale e anche extra regionale. La Regione Emilia Romagna, dall’inizio della fase 1, ha individuato delle indicazioni per la gestione delle terapie e dei trapianti indifferibili nei pazienti ematologici. Insieme alla comunità professionale, a metà marzo, sono state emesse indicazioni per garantire la conservazione dei trattamenti trapiantologici come salvavita, sia autologi sia allogenici e anche di CAR-T, ritenuti indifferibili, in relazione ad una valutazione del rapporto rischio-beneficio, e anche degli elementi correlati all’immunodepressione. Questa condivisione di indicazioni ha permesso di arrivare ad approcciare il tema dei trapianti e delle CAR-T in maniera condivisa e omogenea anche nelle fasi successive.

Se i CAR-T diventeranno, come speriamo, una risorsa terapeutica in grado di cambiare  radicalmente la storia di quei pazienti che attualmente non hanno alternative terapeutiche, probabilmente solo il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi potrebbe non essere sufficiente a soddisfare i bisogni dell’intera regione e quindi potremmo essere un secondo centro se ce ne sarà bisogno. Questo lo valuteremo nel tempo insieme al centro e alla Regione” ha spiegato Giuseppe Longo, Direttore SC Medicina Oncologica Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena e Coordinatore clinico Gruppo Regionale Farmaci Oncologici di Regione Emilia-Romagna.

“A volte ci troviamo di fronte a scelte difficili e a situazioni mai viste prima – ha concluso  Francesca Bonifazi, Dirigente Ematologia Policlinico S. Orsola Malpighi – Istituto di Ematologia L. e A. Seragnoli Bologna – ma certamente la collaborazione con gli altri colleghi e poi l’intuito clinico, la continua ricerca scientifica e le relazioni umane sono fondamentali per affrontare questa grande e nuova sfida”.

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Il diabete non può aspettare

Il diabete

Esperti a confronto: “Usare al meglio le tecnologie e rafforzare il rapporto ospedale-territorio e medici famiglie, per una migliore presa in carico del piccolo paziente”

18 Dicembre 2020 – La diabetologia pediatrica ha compiuto in questi anni passi giganteschi nell’approccio e nella gestione del paziente: tecnologia online, seppur adottate a macchia di leopardo (dal teleconsulto alla televisita) a supporto dell’assistenza, e nuove formulazioni terapeutiche e nuovi strumenti di gestione (infusori per la somministrazione continua di insulina e sensori per il monitoraggio continuo della glicemia) che consentono oggi di ottimizzare queste due operazioni e di offrire un controllo del diabete sempre più efficace.

Ma la diagnosi tempestiva resta l’arma più importante per affrontare le diverse forme del diabete. Come il diabete di tipo 1, in lenta ma continua crescita, che oggi interessa maggiormente la fascia dell’età prescolare e necessita della somministrazione di insulina più volte al giorno e di un controllo costante della glicemia. Registra una incidenza di circa 8 bambini su 100 mila con maggiore frequenza nelle bambine (rapporto di 1 a 5).

Secondo i dati emersi dall’incontro webinar “Crescere con il diabete. Bambini, ragazzi e giovani adulti: dalla scoperta alla gestione del percorso assistenziale”, organizzato da Diabete Italia Onlus e Mondosanità e con il contributo incondizionato di SANOFI, circa 1.700 pazienti (7-10%) che ogni anno vengono diagnosticati con diabete in età pediatrica arrivano da popolazioni in via di sviluppo e questo comporta dei grossi problemi di accesso in ospedale e di colloquio e rapporto con il medico. Inoltre ancora oggi circa il 30% dei bambini arrivano con una situazione di chetoacidosi, un’emergenza medica che se non prontamente diagnosticata e trattata in modo adeguato è purtroppo tutt’ora causa di mortalità.

Gli esperti si appellano affinché vengano impiegate al meglio le tecnologie e perché venga rafforzato il rapporto ospedale-territorio e medici-famiglie, per una migliore presa in carico del piccolo paziente.

La diagnosi precoce è sicuramente importante per prevenire complicanze come la chetoacidosi diabetica.

I dati nazionali stimano una percentuale che va dal 30% al 40%, in Europa ci sono valori più bassi nei paesi dove l’incidenza di diabete è più alta, come la Finlandia in cui tutti conoscono meglio il diabete, mentre purtroppo ci sono valori peggiori nelle nazioni in cui il sistema sanitario e meno efficace – ha spiegato Stefano Zucchini, Dirigente Medico Policlinico Sant’Orsola-Malpighi Bologna -. Durante la pandemia in cui i pazienti avevano paura a venire in ospedale abbiamo avuto purtroppo a Bologna 30 nuove diagnosi di cui 10 in chetoacidodi, che abbiamo ben curato e gestito, seppur con qualche ora di ritardo, grazie al network tra i pediatri che hanno utilizzato video o telefonate”.

Chi ha un buon controllo della malattia soprattutto nei primi cinque anni rischia meno dal punto di vista cardiovascolare nel futuro. “Da uno studio coordinato dal gruppo del professor Claudio Maffeis dell’Università degli studi di Verona e condotto su 2.000 pazienti sul rischio di obesità, ipertensione ed ipercolesterolemia, abbiamo scoperto che il 30% di loro presentava almeno già un fattore di rischio, e proprio su questi aspetti bisogna che i nostri centri siano preparati ad essere proattivi – ha spiegato Barbara Predieri, Professore Associato, Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e Adulto Università Unimore Modena e Reggio Emilia –. Il diabete è una malattia cronica, non è guaribile e la speranza dei pazienti e delle associazioni è che presto possa arrivare una cura, ma è ben curabile quindi è importantissimo al termine del ricovero per esordio seguire regolarmente i nostri bambini e i nostri adolescenti. In questo contesto è importante avere  a livello nazionale e regionale dei Pdta specifici che ci indicano anche come procedere e come seguire questi ragazzi”.

E’ cambiata drasticamente la gestione della terapia nel bambino, in particolare con lo sviluppo dei nuovi farmaci, sia tutti gli analoghi dell’insulina e di recente anche l’immissione in commercio del glucagone in somministrazione nasale che ha risolto la paura dell’ipoglicemia che condizionava molto spesso la vita dei genitori soprattutto durante le fasi notturne, e soprattutto con lo sviluppo della tecnologia (sensori e microninfusori) che ormai ci ha portato ad avere quasi a disposizione di ogni singola famiglia una sorta di piccolo pancreas artificiale – ha spiegato Franco Cerutti, Direttore S.C Endocrinologia e Diabetologia, Primario di Pediatria, Diabetologia e Malattie del ricambio, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino e Professore Associato di Pediatria, Università degli Studi, Torino -. Questo condiziona un miglior compenso, una facilitazione del monitoraggio glicemico in modo continuo anche in remoto offrendoci la possibilità di seguire il bambino anche quando va a scuola, con un effetto positivo sulla qualità della vita dei genitori, su quella del bambino forse sarebbe interessante fare qualche studio in più. Queste novità hanno una forte richiesta di utilizzo ma ancora rimangono aperte alcune questioni legate al costo elevato degli strumenti, la necessità di personalizzare la loro scelta e personalizzarne la gestione, anche perché questi strumenti hanno un costo e come medici dobbiamo essere responsabili dell’appropriatezza, dell’accettabilità e soprattutto della sostenibilità nel tempo”.

La comunicazione tra medico e genitori ha un ruolo importante. “Il primo problema che una famiglia  necessita di risolvere dopo l’accertamento di un esordio di diabete è l’istruzione e la formazione sulla malattia, affinché possa tornare a casa con la consapevolezza di saperla gestire in quanto il diabete è una malattia che deve essere autogestita – spiega il professor Fabiano Marra, Vice Presidente AGD -. Quindi i genitori devono essere formati su come devono mangiare i propri figli, sulla corretta gestione della glicemia, come devono modulare la somministrazione dell’insulina rispetto all’attività dei propri figli e poi devono ricevere supporto psicologico. Questa malattia stravolge la vita sia dei piccolo paziente sia della famiglia”.

Non sempre e ovunque c’è una facilità di comunicazione tra i centri di riferimento regionali e il territorio. “Su questo stiamo tendando di lavorare da tempo e il fatto anche che le associazioni spesso creino un legame aiuta – ha spiegato Michele Mencacci, Vice Segretario Regionale Umbria Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) -. Credo che la nostra cooperazione possa avere anche in futuro, e sempre di più mi auguro, quel ruolo di vera integrazione territorio-ospedale e ospedale-territorio. La sorveglianza di tutti gli aspetti legati alla qualità della vita del bambino, del suo inserimento scolastico e legati alla sua salute psicofisica in generale, anche con il sostegno delle figure di riferimento degli psicologi e attraverso dei monitoraggi, che credo debbano essere più qualificati, come per esempio il questionario sulla qualità di vita, sono aspetti sui quali possiamo essere di aiuto e che potrebbero dare una mano anche agli specialisti di riferimento, che garantiscono la massima qualità delle cure e la massima tecnologia attuale disponibile”.

E la telemedicina è di grande supporto, laddove è presente. “Sono convinto che la telemedicina ha dato un grosso passo in avanti alla gestione della malattia anche se sicuramente avere un rapporto diretto con il paziente è nettamente meglio. La telemedicina infatti non si deve fermare solo esclusivamente alla messaggino per email o per whatsApp – ha spiegato Fortunato Lombardo, Professore Associato Pediatria UOC Clinica Pediatrica Policlinico, Università di Messina –. Durante la pandemia a noi diabetologi pediatri è servita tantissimo ed è utile tutt’ora, perché senza la telemedicina e soprattutto la possibilità di vedere gli andamenti delle glicemie dei nostri pazienti non siamo riusciti ad arrivare dove veramente siamo arrivati”.

“Stiamo utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per fare in modo che i nostri piccoli ammalati tornino a vivere al meglio la loro vita e per questo l’appello è a chi gli strumenti li ha di metterli a disposizione: non perdiamo di vista l’importanza di continuare a seguire anche a distanza i nostri bambini che sono diventati giovani adulti e che dovranno avere una vecchiaia il più possibile serena” ha spiegato Pietro Buono, Direttore Attività Consultoriali e Assistenza Materno Infantile Referente Telemedicina della Regione Campania -. Durante la pandemia abbiamo attivato il sistema di televisita che pediatri di libera scelta e medici di medicina general possono richiedere ai due centri di riferimento attraverso una ricetta dematerializzata”.

Una delle cose importanti che si è realizzato grazie a questo lungo percorso con Motore Sanità e Diabete Italia – ha concluso Rita Lidia Stara, Presidente Fe.D.ER Federazione Diabete Emilia-Romagna – è che si è discusso spesso di diabete pediatrico affrontando quelle tematiche che anche durante la giornata mondiale del diabete spesso vengono schiacciate dalle tematiche del diabete dell’adulto. E’ un grande risultato e porteremo avanti questo bellissimo e virtuoso progetto”.

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Tumori neuroendocrini: “Teragnostica la nuova arma a difesa dei pazienti”

Tumori neuroendocrini

In Italia, i tumori neuroendocrini registrano 4/5 nuovi casi ogni 100.000 persone, ma i pazienti vengono diagnosticati in fase avanzata e ci convivono per molti anni.

Puglia, 17 dicembre 2020 – Approccio multidisciplinare, accesso uniforme alle terapie innovative e loro uso appropriato e personalizzato alle caratteristiche del paziente, per stabilire la necessità per le strutture ospedaliere e per il servizio sanitario regionale di introdurre la teragnostica nella pratica clinica.

Questo l’obiettivo del webinar “TERAGNOSTICA SFIDE DI OGGI E PROSPETTIVE FUTURE”, organizzato da MOTORE SANITÀ grazie al contributo incondizionato di Advanced Accelerator Applications, che ha visto la partecipazione dei massimi esperti del panorama sanitario italiano. Questo approccio permette, sin dalla fase diagnostica, di migliorare la stadiazione della patologia, selezionare i pazienti non risponder, definire le terapie successive ed il follow-up. I recenti progressi della ricerca hanno portato all’approvazione della prima terapia radio recettoriale per la presa in carico dei pazienti affetti da tumori neuroendocrini.

 

“I tumori neuroendocrini costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie che interessano numerosi organi e apparati, e fra essi primariamente il tratto gastroenteropancreatico e quello broncopolmonare. Un tempo considerati rari, i tumori neuroendocrini costituiscono oggi la seconda neoplasia del tratto digerente in termini di prevalenza. Il panorama terapeutico di questi tumori si è notevolmente ampliato nell’arco delle ultime due decadi, con il riconoscimento dell’attività antitumorale e anti secretoria degli analoghi della somatostatina, la dimostrazione dell’efficacia degli agenti biologici everolimus e sunitinib, la conferma dell’attività della chemioterapia in precisi subsets di malattia. Recenti evidenze di ricerca clinica hanno inoltre dimostrato come la terapia con analoghi “caldi” della somatostatina, ovvero analoghi radio marcati con il radionuclide Lutezio 177, fornisca risultati senza precedenti nel trattamento di pazienti affetti da tumori neuroendocrini del tratto gastroenteropancreatico, determinando un significativo beneficio in termini di sopravvivenza. La disponibilità di metodiche di imaging in grado di caratterizzare l’espressione dei recettori della somatostatina (ovvero il bersaglio di questi analoghi radio marcati) sulla superficie delle cellule tumorali consente inoltre la preselezione dei pazienti da arruolare a questa forma di trattamento, in un’ottica di medicina di precisione. Uno degli elementi chiave per il successo di questa forma di terapia è chiaramente rappresentato dalla sinergia fra specialisti con competenze diverse, e un network multidisciplinare è attualmente in fase avanzata di implementazione nell’ambito del territorio regionale pugliese”, ha spiegato Mauro Cives, Ricercatore Dipartimento Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università degli Studi di Bari

 

“Il termine TERAGNOSTICA è stato coniato in medicina nucleare molti anni fa; infatti, quando questo termine ancora non esisteva, la prima sostanza utilizzata (e lo è ancora oggi) per la diagnosi e la cura del tumore della tiroide è stato l’isotopo 131 dello iodio (Terapia radio metabolica del carcinoma tiroideo differenziato). Questa rinnovata disciplina, la TERAGNOSTICA, include in realtà numerose altre sostanze che sia da sole sia in coppie possono essere utilizzate per questo scopo (molecole marcate con isotopi gamma o positrone emittenti per la diagnostica possono essere marcate anche con isotopi alfa o beta- per la terapia). Queste sostanze (radiofarmaci) si legano su recettori presenti nel bersaglio da trattare o sostanze, come lo iodio, che sono internalizzate dal bersaglio tramite processi metabolici. Pertanto, mediante questi meccanismi è possibile sia localizzare con precisione i tessuti patologici (mediante l’imaging diagnostico) sia distruggerli con dosi elevate e mirate di radiazioni”, ha detto Giammarco Surico, Coordinatore Rete Oncologica ROP Regione Puglia

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Nuove terapie, diagnosi tempestiva e efficienti percorsi di cura per combattere il diabete giovanile

Nuove terapie

17 dicembre 2020 – In Italia il diabete di tipo 1 (DT1) ha un’incidenza di circa 8 bambini su 100.000,

con maggior frequenza nelle femmine (rapporto di 1 a 5) e necessita della somministrazione di

insulina più volte al giorno e di costante controllo della glicemia. Nuove terapie e strumenti

(infusori per la somministrazione continua d’insulina e sensori per il monitoraggio continuo

della glicemia) consentono di ottimizzare queste due operazioni, ma resta fondamentale la diagnosi

precoce. È indispensabile che i genitori si rivolgano al pediatra o al medico di base, già ai primi

sintomi della malattia, come aumento della quantità di urine e frequenza delle minzioni (Poliuria),

sete eccessiva con aumento dell’assunzione di liquidi (Polidipsia), fame smisurata con aumento

dell’assunzione di cibo (Polifagia) e dimagrimento. Così, semplicissimi esami consentiranno

rapidamente di escludere o confermare il sospetto di diabete e poterlo trattare con tempestività.

Una buona comunicazione tra pediatri, medici di base e centri specialistici, unita ad una

organizzazione dei percorsi efficiente consente un’ottimale presa in carico che limiti i danni di

questa importante malattia cronica. Con lo scopo di approfondire gli aspetti di innovazione utili ad

implementare gli attuali percorsi di cura, Diabete Italia Onlus e Mondosanità hanno organizzato

il webinar “CRESCERE CON IL DIABETE. Bambini, ragazzi e giovani adulti: dalla scoperta alla

gestione del percorso assistenziale”, realizzato grazie al contributo incondizionato di SANOFI.

“Il muro concettuale secondo il quale il diabete in età pediatrica ha preferibilmente una patogenesi

autoimmune e quello dell’adulto una eziologia di tipo diverso, sta ormai definitivamente crollando. Il

diabete mellito in età infantile non sembra essere così ‘monotematico’ come si credeva che fosse.

Infatti, fino a qualche decennio fa, in Pediatria vigeva l’assioma che in caso di iperglicemia persistente

in età pediatrica, specialmente in presenza di chetoacidosi, l’unica diagnosi possibile fosse quella di

‘diabete mellito tipo 1’ e l’unica terapia ammessa fosse la somministrazione di insulina per tutta la vita.

Oggi, invece, da un lato ci sono stati molti progressi scientifici per capire la patogenesi e la eziologia

delle forme di diabete non autoimmuni, non sempre insulino-trattate, dall’altra, inoltre, l’aumento della

prevalenza della obesità infantile ha fatto anticipare drammaticamente la comparsa del diabete tipo 2,

forma che sembrava essere solo appannaggio delle persone anziane, fino a farlo comparire addirittura

in età adolescenziale. Il congresso, organizzato da Diabete Italia, è, quindi, come al solito particolarmente

sul pezzo in questo momento perché è importante che si faccia un’opera di informazione affinché tutti i

bambini possano praticare all’esordio del diabete il dosaggio degli anticorpi (GAD, IA2,IAA e ZnT8) e,

nel caso fossero negativi, permettere loro di praticare tutti gli approfondimenti utili, compresi quelli genetici,

per capire la eziologia della patologia in modo da scegliere una terapia che sia quanto più è possibile mirata

e ‘sartoriale’”, ha spiegato Dario Iafusco, Responsabile Centro Regionale Diabetologia Pediatrica

“G. Stoppoloni” AOU “Luigi Vanvitelli”, Napoli. Vicepresidente Diabete Italia

“I Pediatri di famiglia hanno un ruolo importante nella diagnosi precoce e nella prevenzione della

chetoacidosi per quanto attiene all’esordio, per il diabete tipo 1. Mentre per il tipo 2, la nostra conoscenza

dei bambini fin dalla nascita, delle loro famiglie, ed i bilanci di salute, possono rappresentare un punto di

osservazione privilegiato nel sospetto di una insulino-resistenza. Dopo l’esordio, la Pediatria del territorio

ha il dovere di sorvegliare il regolare sviluppo psicofisico del bambino, a maggior ragione in occasione di

patologia cronica, verificando, in continuità con i Colleghi dei centri di riferimento, l’adesione ai PDTA, il

corretto inserimento in ambiente scolastico e sorvegliando sulla qualità di vita del bambino e della sua

famiglia. Tutto questo unitamente alla nostra presenza costante nei confronti dei genitori per aiutarli

anche in occasione delle patologie intercorrenti, in modo da inserire il piccolo paziente e tutti i suoi 

caregiver all’interno di un sistema di cure che abbia proprio il bambino come fulcro”, ha detto Michele

Mencacci, Vice Segretario Regionale Umbria FIMP

 

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