L’innovazione dirompente in medicina è in atto

innovazione dirompente

Ricerca traslazionale, tecnologie innovative e medicina di precisione: il futuro della sanità parte da qui, ma è importante garantire equità di accesso alle cure e sostenibilità del Sistema sanitario

16 Marzo 2021 – Nell’Opinione su “Disruptive innovations” o innovazione dirompente, l’Expert Panel on investing in health della Commissione Europea (EXPH), ha definito “l’innovazione dirompente nel settore sanitario” come un tipo di innovazione che crea nuove reti e nuove organizzazioni sulla base di una nuova serie di valori, coinvolgendo nuovi attori, che consente di migliorare la salute e di raggiungere altri obiettivi preziosi, come equità ed efficienza. Oltre alla definizione “europea” di innovazione dirompente il Panel ha elaborato anche una nuova tassonomia delle innovazioni dirompenti basata sui “campi di applicazione” e sulle loro categorie tecnologica (tecnologie a bassa ed alta complessità), organizzativa (modelli, strutture, processi), prodotti e servizi e risorse umane (personale sanitario, pazienti, cittadini e comunità).

In area tecnologica, numerosi dispositivi saranno disponibili nel prossimo biennio. 

Le proposte interesseranno la sensoristica, i micro/macro infusori, l’apparato cardiocircolatorio in termini di controllo di patologie aritmiche, coronariche e di deficit muscolare cardiaco.

La teragnostica implementerà i prodotti a disposizione, così come la radioterapia e la radiologia, tecnologie innovative che permetteranno di vedere gli organi come strutture trasparenti, gli xenobots (piccoli robot) che introdotti nell’apparato vascolare permetteranno di ripulire le arterie e veicolare  farmaci, le CAR  che amplieranno la propria copertura terapeutica, la medicina di precisione che si avvarrà di strumenti digitali di implementazione, super computer per analisi di big data per accelerare la scoperta farmacologica e la possibile applicazione clinica, e non ultima l’intelligenza artificiale che migliorerà le performance in tutti gli ambiti terapeutici e diagnostici a supporto dell’attività specialistica. L’home care sarà inoltre una possibilità di espansione della tecnologia medica a partire dalla telemedicina, fino a dispositivi di monitoraggio e cura. Non vanno dimenticati i prodotti misti  farmaco/dispositivo, non  ultimi  quelli  per  migliorare  l’aderenza  terapeutica  o  sistemi  di  impianto o esterni con delivery di sostanze.

Di tutto questo si è parlato durante il webinar intitolato “TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021”, organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

Alcuni campi di innovazione dirompente in medicina sono la ricerca traslazionale, le tecnologie innovative, la medicina di precisione. L’Unione Europea sta già finanziando alcuni progetti per esplorare questo problema in numerosi Stati membri spingendo a valutare i costi e i benefici delle attività di diagnostica molecolare per identificare le persone che potrebbero beneficiare di particolari attività di prevenzione e per identificare alcuni gruppi che dovrebbero ricevere o meno un trattamento particolare, e attività di identificazione di gruppi di pazienti che potrebbero trarre beneficio da un particolare tipo di trattamento specifico per quel sottogruppo.

Nei prossimi anni ci sarà uno sviluppo importante dell’immunoterapia – ha spiegato Paolo Ascierto, Direttore reparto di oncologia, melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative IRCCS Fondazione Pascale di Napoli –. Uno dei trattamenti che probabilmente avrà un futuro importante è quello dei TILs, lifociti intratumorali che vengono estratti dal tumore attraverso una proceduta complessa, vengono messi in cultura, si fanno di queste delle sacche e poi vengono re-infusi nel paziente Il dato interessante che sta emergendo da alcuni clinical trials come questo è che nei  pazienti che hanno fallito l’immunoterapia con checkpoint inhibitors, che si trovano cioè nella black area, possono avere circa 40% di risposte da questo trattamento. C’è poi un altro approccio molto interessante che è quello del recettore T solubile, una sorta di surrogato delle Car-T cell: è un approccio abbastanza innovativo che sta facendo parlare di se nei tumori solidi sia nel trattamento del melanoma uveale; questo approccio è interessante perché potrebbe avere un seguito importante in quei tumori in cui l’immunoterapia ha dimostrato di avere dei limiti. Per quanto riguarda invece le CAR-T per i tumori solidi ci sono dei limiti dovuti alla loro tipologia rispetto ai tumori ematologici e dovuti al target che a volte non è specifico del tumore. E poi c’è tutta una serie di sviluppi, che purtroppo il Covid ha fermato e che ci hanno visto coinvolti, e mi riferisco al progetto CARMA sul quale abbiamo lavorato fino a febbraio dello scorso anno. In un breve futuro sentiremo parlare anche di CAR NK, il CAR Macrophage-CAR Ms, CAR-Trucks”.

La terapia genica e il genome editing nella cura delle malattie ematologiche è stato il tema affrontato da Franco Locatelli, Direttore Dipartimento Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma e Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

I prodotti di terapia genica avanzata rappresentano l’avanguardia della medicina personalizzata e di precisione, e nei prossimi anni questi approcci terapeutici cambieranno la storia naturale di molte malattie ematologiche sia ereditarie sia acquisite. Le grandi sfide sono come implementare collaborazioni fruttuose tra istituzioni accademiche e industrie anche in Italia, come presentare nella maniera più corretta il rapporto benefici-rischi collegati a queste terapie e come meglio definire il loro posizionamento nella strategia più globale di trattamento di un paziente e, infine, il tema del costo di queste terapie e della loro sostenibilità, soprattutto per un paese come il nostro che ha la fortuna di poter contare su un sistema sanitario solidaristico”.

La medicina molecolare è diventata la medicina per tutte le patologie, per questo esige razionalizzazione e condivisione delle risorse.

Ci vuole una attenta valutazione e programmazione che si basa su quanto è stato fatto fino ad ora, ma che permetta una raccolta di dati sulla medicina molecolare al fine di una programmazione accurata delle risorse che devono essere inserite per mantenere attivo il percorso, altrimenti i costi diventano eccessivi e non sono più sostenibili, considerando che oramai la medicina molecolare è una medicina per tutte le patologie e non più una medicina di nicchia – ha spiegato Anna Sapino, Direttore Scientifico IRCCS Candiolo (TO)-. Quindi è necessario un percorso programmatico adeguato che garantisca la qualità di questo tipo di diagnosi e cura e l’applicabilità e la sostenibilità utilizzando tutte quelle che sono già le esperienze maturate fino ad ora. La rete, infine, è fondamentale anche nella medicina molecolare: ci sono diversi tipi di rete ma devono poi confluire tutte nel medesimo intento, quello di permettere che i farmaci nuovi possono essere utilizzati, quindi razionalizzazione e condivisione delle risorse”.

Il Disruptive innovations nel prossimo futuro chiede un cambio culturale di approccio da parte di tutti gli attori del sistema salute.

Siamo all’inizio di una rivoluzione che ricade sia sulle aziende sia sui singoli professionisti e sulla loro capacità di accettare questo tipo di nuova organizzazione e di nuovo supporto, che è inevitabile, in cui ci dovrà essere un regista e una serie di attori che danno una  mano – ha spiegato Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza (VA) -. Il Disruptive nel prossimo futuro spiega proprio questo, che la conoscenza in medicina nel prossimo futuro non sarà più dominio di una unica persona ma ci sarà bisogno della conoscenza di team di specialisti in varie discipline, che dovranno operare insieme ed in sequenza con tempi coordinati. La Car-T ci ha già mostrato questo scenario e la necessità di nuovi modelli decisionali differenti”.

Così ha spiegato Francesco S. Mennini, Presidente SIHTA. “La Disruptive innovations in sanità richiede valutazioni corrette e seguire approcci economici rigorosi che consentano di effettuare una vera e propria valorizzazione dell’innovazione in senso lato; richiede di valutare una innovazione che è in grado di creare nuovi mercati per introdurre il concetto di concorrenza e richiede nuovi ruoli professionali e nuove competenze, fondamentali per consentire anche il raggiungimento degli obiettivi in termini di outcome in maniera migliore” ha spiegato Francesco S. Mennini, Presidente SIHTA.

“Bisogna superare il concetto di evidenza paretiana”

Abbiamo imparato – ha concluso Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità – che dalla innovazione dirompente ognuno riesce finalmente a parlare della salute a 360 gradi, partendo  dalla innovazione tecnologica diagnostica alla organizzazione ai diritti del cittadino e a quelli del paziente, fino alla giusta equità di accesso alle cure. Come Motore Sanità proseguiremo organizzando nuovi incontri sull’argomento perché questo è il tema del futuro”.

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Aderenza e appropriatezza terapeutica ai tempi del COVID 19: ‘Quali migliori strategie terapeutiche usare? Parola agli esperti’

Aderenza e appropriatezza terapeutica

17 marzo 2021 – Facilitare la diffusione di buone pratiche organizzative finalizzate a favorire l’aderenza terapeutica. Attraverso un confronto tra i professionisti che si dedicano alla cura delle patologie più diffuse ad esempio medici specialisti, farmacisti, medici di medicina generale, economisti sanitari. Con lo scopo di stimolare un confronto sull’utilizzo delle strategie terapeutiche disponibili, sull’impatto che la pandemia in corso potrebbe lasciare sul sistema, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘FOCUS NORD OVEST. ADERENZA E APPROPRIATEZZA TERAPEUTICA, realizzato grazie al contributo non condizionato di Daiichi-Sankyo.

“L’aderenza terapeutica è innanzitutto una sfida! Perché? perché è estremamente difficile ottenerla e solo una stretta alleanza tra medici e pazienti potrò riuscire nell’intento. È stato oramai ampiamente dimostrato che lo scarso successo nel raggiungimento dei target terapeutici nelle principali patologie (ipertensione scompenso dislipidemie diabete) in buona parte è proprio dovuto ad una insufficiente aderenza terapeutica: dimenticanza di assumere farmaco, non ritenere così importante la patologia che uno ha, il continuo cambiamento di strategie terapeutiche ne sono la principale causa. Indubbiamente l’avvento di terapie di associazione prefissate dove in un’unica pastiglia possono essere contenuti più composti della medesima area terapeutica o di diverse ha in alcuni campi migliorato l’aderenza stessa. Ad esempio, per l’ipertensione arteriosa si è passati negli ultimi 10 anni da un’aderenza del 40% ca a più del 60%, ecco questa è una strada pratica da continuare a seguire però con un’avvertenza: non possiamo prescindere da un sempre più maggiore coinvolgimento dei pazienti. Solo uniti si può vincere”, ha spiegato Stefano Carugo, Direttore e Professore Cardiologia Policlinico, Milano

“Il tema della continuità delle cure, in particolare per quanto riguarda le malattie long-term, non può prescindere da una corretta aderenza ed appropriatezza terapeutica, non solo relativa ai farmaci ma anche alla diagnostica. Spesso i professionisti,  a qualsiasi livello del contesto sanitario, che sia esso Ospedaliero o Territoriale, danno per scontato che il paziente assuma correttamente le terapie a lui prescritte, ma sovente si osserva, tramite verifiche o – ancora peggio – per recidive della patologia (forse anche indotte da un’informazione sempre meno orientata al singolo cittadino ma tendente ad un processo di globalizzazione), che alcuni pazienti si scompensano e ricorrono frequentemente alle cure dei sanitari. A tal proposito ritengo che sia necessario avviare con i pazienti delle attività di informazione e counselling relativamente alla patologia di cui sono portatori e che sia necessario condividere con loro anche un cambiamento degli stili di vita. Un percorso virtuoso potrebbe essere, a mio avviso, quello di inserire i pazienti in percorsi specifici di sanità di iniziativa e follow-up che prevedono controlli periodici, counselling e incontri relativi a stili di vita, educazione terapeutica e, soprattutto, alla gestione delle terapie. Queste poche ma fondamentali misure dovranno essere adeguate alle necessità cliniche e culturali dei pazienti, affinché si perfezioni sempre di più il concetto di appropriatezza, non solo in termini economici”, ha dichiarato Lorenzo Angelone, Direttore Sanitario AOU Città della salute e della Scienza, Torino

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Innovazione del SSN e la salute dei cittadini nel 2021: “Quale medicina lascerà nel nostro futuro la pandemia COVID-19?”

Innovazione del SSN

16 marzo 2021Sensoristica, micro/macro infusori, patologie aritmiche, coronariche e deficit muscolare cardiaco, teragnostica, radioterapia, radiologia, Xenobots (robot fatti di cellule viventi che introdotti nell’apparato vascolare permetteranno di ripulire le arterie e veicolare farmaci), CAR, medicina di precisione, analisi di Big Data e intelligenza artificiale. Questi alcuni delle novità che saranno disponibili nel prossimo biennio e che saranno tra gli argomenti chiave della prossima Winter School di MOTORE SANITÀ. Con l’obiettivo di esaminare potenzialità e ricadute dell’innovazione breakthrough sul SSN e sulla salute dei cittadini, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021’ che si è svolto nell’arco di 2 giornate, realizzate grazie al contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

“Tra le tanti dolorose lezioni impartite da COVID-19 c’è anche l’incremento significativo del rischio di infezioni da opportunismo microbico all’interno delle aree di terapia intensiva dedicate. Le motivazioni che guidano tale aumento di incidenza sono molteplici, il sovraffollamento nelle terapie intensive, la necessità di impiegare infermieri senza un adeguato training, la necessità di misure comportamentali finalizzate a proteggere gli operatori sanitari hanno giocoforza ridotto l’attenzione sulla protezione dei pazienti, il ricorso a pressioni negative, normalmente non utilizzate in tale setting, l’utilizzo di farmaci immunosoppressori, una minore attenzione ai principi dell’antimicrobial stewardship. Tutto ciò ha generato più infezioni e maggiore circolazione di microrganismi resistenti, riproponendo con forza la grande necessità di farmaci innovativi. Rispetto a questi ultimi il mondo scientifico e gli Enti regolatori si trovano di fronte ad un dilemma di difficile soluzione: da un lato una necessità sempre più stringente, dall’altro una relativa carenza di evidenze, correlata alla estrema difficoltà a condurre trial clinici su casistiche di grandi dimensioni  in grado di arruolare pazienti in condizioni di estrema criticità e complessità. Appare quindi fortemente necessario aprire una nuova stagione di confronto tra clinici ed Enti regolatori al fine di identificare nuovi strumenti di valutazione dell’innovazione in terapia antimicrobica e di aumentare il livello di responsabilizzazione dei prescrittori”, ha detto Pierluigi Viale, Direttore unità Operativa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna

“Innovazione dirompente si coniuga attraverso processi differenti ma con una matrice comune: pensare e progettare out of the box qualunque sia il settore di appartenenza. Che sia farmaco, o dispositivo medico,  o alta tecnologia o organizzazione, è dirompente ciò che muta completamente o trasforma la realtà attuale. La pandemia lascia macerie ma anche insegnamenti e capacità sino a prima impensabili basti pensare alla creazione di decine di vaccini in circa 12 mesi! La rincorsa della scienza ha aperto nuovi scenari impensabili con nuove terapie e nuove possibilità diagnostiche. Il Webinar analizzerà l’innovazione breakthrough del SSN del 2021 e degli anni a seguire”, ha spiegato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità

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La prossima pandemia riguarderà le malattie neuro-degenerative

malattie neuro degenerative

Nel 2050 in Europa si prevedono quasi 14 milioni di pazienti.

Ecco le nuove strategie terapeutiche che cambieranno l’approccio della cura nei prossimi anni. Ma l’Italia non è pronta.

16 Marzo 2021 – Sarà una nuova strategia terapeutica a cambiare lo scenario in neurologia: si tratta di nuovi farmaci che potrebbero essere disponibili già nei prossimi anni, ma l’Italia non sarebbe ancora pronta ad accogliere questa grande rivoluzione, a causa di un inadeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, di pet e poi non tutti i centri possono fare l’esame del liquor cerebrospinale.

Quella che prevedono i neurologi sarà una vera e propria pandemia che interesserà nei prossimi decenni le patologie neurodegenerative. Negli Stati Uniti come in Europa si assisterà ad una triplicazione dei casi di malattia di malattia di Alzheimer, quasi 14 milioni nel 2050, e ancora di più in quei paesi emergenti dove l’aspettativa di vita sta rapidamente crescendo.

Mentre per altre terapie contro tumori, malattie cardiache, ictus o l’Hiv sono state trovate terapie che hanno drasticamente ridotto la mortalità, per quanto riguarda l’Alzheimer la mortalità è in continua crescita perché i farmaci disponibili attualmente non vanno ad incidere o a bloccare l’evoluzione delle patologie. Per le patologie neurodegenerative in generale non si sono trovate terapie adeguate perché alla base c’è una morte progressiva di cellule.

Quale sarà il nuovo scenario in Neurologia e quale sarà l’impatto dei nuovi farmaci sulla salute delle persone e sui sistemi sanitari è stato il tema affrontato nel webinar intitolato TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021” organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

Per la malattia di Alzheimer l’ultimo ventennio ha visto una grossa mole di scoperte in ambito neurobiologico che hanno dimostrato che alla base della malattia c’è l’accumulo di una proteina chiamata betamiloide che si forma da una proteina più grossa che tende a cumularsi progressivamente nel cervello, fino a dare quel quadro già descritto nel secolo scorso di Alzheimer “placche senili”. Questa proteina a sua volta porta ad alterazione di altre proteine.

Le ricerche degli ultimi anni hanno inoltre dimostrato che questi accumuli si verificano anche vent’anni prima dall’esordio della malattia.

In particolare nel quadro intermedio di declino cognitivo lieve (MCI), che precede la demenza e in cui si evidenziano i primi disturbi di memoria neuropsicologici, grazie ai biomarcatori potremmo dimostrare la patologia nel cervello e quindi intervenire con l’aiuto di nuovi farmaci che bloccano l’accumulo di beta-amiloide, oppure con anticorpi monoclonali (vaccinazione) che rimuovono questa proteina dal cervello, oppure, a cascata, con altre molecole che agiscono sulla Tau e su altri meccanismi innescati dall’accumulo di amiloide – spiega Carlo Ferrarese, Direttore Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza -. Ci sono molti studi che sono arrivati in fase tre e che si sono anche conclusi. Potremmo anche prevedere che il prossimo anno questi farmaci possano essere disponibili per quei pazienti in fase preliminare, non già dementi”.

È stato calcolato l’impatto sui sistemi sanitari di queste nuove terapie biologiche che potrebbero essere disponibili nei prossimi anni. “Lo studio condotto dall’agenzia americana Rand Corporation, che ha calcolato l’impatto negli Stati Uniti e nei paesi europei, ha dimostrato che in Italia su 20,6 milioni di persone con età superiore ai 55 anni nel 2019, 16,4 milioni potrebbero richiedere uno screening presso uno studio medico richiedendo quei test che possono prevedere il rischio di demenza; dei 2,9 milioni che risultano positivi allo screening per MCI, 1,4 milioni potrebbero cercare uno specialista per una valutazione, 1,3 milioni potrebbero essere indirizzati per il test del biomarker, 0,6 milioni potrebbero risultare positivi ai biomarker e tornare dallo specialista per conoscere il trattamento, 0,5 milioni potrebbero essere raccomandati per la terapia infusionale”.

Se l’Italia sarà pronta ad accogliere queste terapie è un grande punto interrogativo.

Non siamo ancora pronti perché non abbiamo un adeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, non ci sono pet a sufficienza, non tutti i centri possono fare il liquor cerebrospinale – ha rimarcato il Dottor Ferrarese -. Proprio per queste previsioni abbastanza catastrofiche, l’Aifa ha finanziato, circa due anni fa, lo studio Interceptor che ha già concluso l’arruolamento di 400 pazienti con un quadro di declino cognitivo lieve per studiarli nell’arco di tre anni con un insieme di biomarcatori per poter predire quali sono i soggetti più candidabili a queste terapie quando saranno disponibili. L’altra strategia riguarda l’investimento che si sta facendo in sanità a causa del Covid, che può aiutare a sostenere il progetto di mettere in rete i CDCD affinché siano in grado di affrontare la grande sfida delle nuove terapie”.

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La grande rivoluzione digitale in sanità

La grande rivoluzione

Dalla Blockchain, che trasforma il paziente in ‘proprietario dei suoi dati’, all’intelligenza artificiale che predice l’evoluzione di una malattia e come si dovrà organizzare un ospedale.

12 Marzo 2021 – È possibile sapere entro quanto tempo un paziente con nefropatia in stadio G4 entrerà in dialisi? E quante postazioni di dialisi deve prevedere entro 6 mesi un ospedale?

Gli algoritmi dell’intelligenza artificiale, in campo sanitario, sono in grado di offrire le informazioni che possono impattare non solo la parte clinica e della cura del paziente, ma anche l’organizzazione logistica ospedaliera. Un’altra grande rivoluzione è la stessa Blockchain che racchiude concetti come riservatezza e verificabilità delle informazioni, valore legale, tracciabilità e semplificazione dei processi, nonché restituisce al paziente la proprietà dei suoi dati sanitari facendolo diventare protagonista del suo percorso di salute.

E’ sempre più forte, prorompente ed evidente l’accelerazione della sanità che può essere applicata tramite la leva digitale e le tecnologie emergenti. Attivare la leva digitale significacreare nuove soluzioni orchestrando gli ecosistemi tecnologici: IoT, Big Data, Intelligenza artificiale, Blockchain, Higt performance Computing, Cybersecurity.

Di questo si è parlato durante l’Academy di Motore Sanità Tech, intitolato “Blockchain & AIe con il contributo incondizionato di ALMAVIVA.

Si delinea una società in cui è sempre più necessaria una competenza tecnologica profonda da parte degli utilizzatori e una solida esperienza e una nuova sensibilità digitale che devono nascere dal connubio dell’utilizzo dei dati e le tecnologie – ha spiegato Andrea De Angelis, Head of Solution Architecture of Emerging Technologies Practice at Almaviva-. La sfida dell’Health care è di sviluppare nuovi servizi basandosi sull’uso  dei dati  e sulla creazione di modelli digitali a partire dai dati: anche qui si affaccia il cosiddetto digital twin, il gemello virtuale  di un oggetto visivo che ci consente di modellare sia il sistema sanitario (processi, risorse, relazioni) sia il paziente. Nell’ambo sanitario  l’applicazione del digital twin è su un paziente  per esempio con la realizzazione di un modello digitale del suo cuore che sfrutta i dati di risonanza magnetica, Ecg e pressione arteriosa, svolgendo un  ruolo decisivo nel prevedere l’esito di un intervento, consentendo ai cardiologi di determinare con precisione il posizionamento degli elettrocateteri di risincronizzazione, sperimentando virtualmente diverse ipotesi di posizionamento, il tutto ancora prima che inizi un vero e proprio intervento chirurgico  (un esempio è quello della società Dassault che ha sviluppato Living Heart, il primo modello virtuale realistico di un cuore umano). Si può applicare anche al sistema sanitario per misurare e gestire gli effetti dell’introduzione di regole legate al distanziamento “.

L’intelligenza artificiale consente di sviluppare una gamma di soluzioni predittive a supporto del personale medico e ospedaliero nella gestione dei processi di ordine sociosanitario.

“L’intelligenza artificiale è in grado di valorizzare il patrimonio informativo della sanità mediante algoritmi e modelli predittivi a supporto di sistemi decisionali” ha spiegato Hernan Polo Friz, Coordinatore URC Cardiometabolica Reparto Medicina Interna e Responsabile Ambulatorio Ipertensione Arteriosa e Rischio Cardiovascolare ASST Vimercate.

I modelli si basano su diverse fonti informative, come esami ematici, esami fisici, comorbidità, ricoveri, accessi al pronto soccorso, farmacoterapia, immagini, dati di sensori – ha spiegato Antonio Cerqua, Head of Artificial Intelligence & GIS, Data Practice at AlmavivA -. I macro temi legati all’intelligenza artificiale sono classificazione delle malattie croniche (come il diabete), predizione di andamenti e/o delle complicanze specifiche di malattie croniche (dialisi e scompenso cardiaco), ottimizzazione dei processi di logistica.  I prossimi passi riguardano il tema della tossicità oncologica, per predire l’insorgenza di complicazioni del trattamento oncologico sulla base dei dati della cartella clinica elettronica oncologica, e la logistica ospedaliera, per la predizione dei tempi di attesa al pronto soccorso in funzione di parametri diagnostici e personale presenti”. 

“Per un adeguato sviluppo di modelli di intelligenza artificiale nel campo della ricerca clinica – ha aggiunto Hernan Polo Frizè fondamentale il coinvolgimento sin dall’inizio del progetto di un team multidisciplinare composto di clinici ingegneri statistici sanitari, chiara definizione degli endpoint, delle variabili, dei metodi, validazione delle performance del modello su un set di dati tenuto da parte per il test, confronto delle performance predittive con metodi standard in campo clinico”.

La Blockchain restituisce l’ownership del dato al paziente offrendo modelli innovativi di gestione, accesso e condivisione dei dati medici.

La Blockchain ha aperto il campo ad una medicina più trasparente, garantisce un nuovo approccio più completo, dinamico e interconnesso in cui il paziente riveste un ruolo attivo ed è in grado di tracciare, gestire e partecipare alle proprie cure individuali – ha spiegato Caterina Ferrara, Blockchain Business Consultant, at AlmavivA -. Oggi sono soprattutto i pazienti a generare i dati attraverso i loro device mobili (smartphone, sensori) e che in diretta già possono essere processati dagli stessi dispositivi e inviati addirittura dal paziente in tempo reale al suo medico curante. La tecnologia oggi ci aiuta a restituire dignità al paziente perché per lungo tempo in medicina c’è stata una sorta di asimmetria informativa, si è temuto cioè di consegnare il dato ai pazienti perché si temeva che questo potesse confonderli. Oggi invece sappiamo che un paziente informato è un paziente consapevole e responsabile. Oggi grazie alla Blockchain passiamo da ‘unpatient’ (impaziente) a paziente cittadino ‘dataowner’ (proprietario dei dati)”.

Anche in questa emergenza sanitaria la Blockchain può dare un importante contributo.

“In campo vaccinale e in particolare nell’ambito dell’erogazione delle dosi vaccinali – aggiunge Ferrara -, la Blockchain permette di certificare l’avvenuta somministrazione del vaccino e gestire la fase del consenso della somministrazione vaccinale”.

Le innovazioni portate dalle blockchain nel mondo delle Information technology riguardano algoritmi verificabili, contratti intelligenti (possibilità di formalizzare degli accordi di cui ci si possa fidare) e beni digitali – ha aggiunto Giuseppe Bertone, Head of Blockchain & Distributed Ledger Technology, AlmavivA -. Le caratteristiche del web 3.0 di maggiore interesse per la sanità sono riservatezza e verificabilità delle informazioni, il valore legale, la tracciabilità e semplificazione dei processi, reportistica riservata, equa ripartizione dei costi, identità univoca su tutto l’ecosistema, accordi certificati e automazione, trasparenza e controllo, interoperabilità massima e piattaforme collaborative e inclusive. Blockchain e intelligenza artificiale in sanità rappresentano un tema di frontiera ma molto promettente”.

Secondo Massimiliano Nicotra, Avvocato senior Qubit Law Firm S.t.a., Milano le opportunità della Blockchain in sanità sono diverse “Dalla certificazione di stati e attività in un determinato momento, notarizzazione di documenti, monitoraggio di strumenti e macchinari, identità digitale”.

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Blockchain e AI al servizio della sanità

Blockchain e AI

L’Academy Tech di Motore Sanità per sviluppare modelli sanitari digitali e tecnologici a supporto del paziente.

12 marzo 2021Il periodo emergenziale che il mondo sta vivendo ha evidenziato la necessità che il servizio sanitario nazionale e regionale abbia una rete in grado di mettere a sistema l’interdisciplinarietà fra tutti gli attori che intervengono nel percorso di cura e di prevenzione.  Si è tenuto il quarto appuntamento dell’Academy di alta formazione di MOTORE SANITÀ TECH: “BLOCKCHAIN & AI”, realizzata grazie al contributo incondizionato di ALMAVIVA, dove si è parlato di “Blockchain”, analizzando i casi d’uso e la sua applicazione nel mondo della sanità e di “AI”, esaminando con gli esperti gli impatti e i modelli dell’Intelligenza Artificiale nell’ambito sanitario.

“Le Blockchain vedono una progressiva applicazione in numerosi campi, da quello industriale a quello alimentare, ed interessante anche nel campo della salute. Le nuove tecnologie rappresentano una realtà odierna e futura imprescindibile. Se pensiamo all’intelligenza artificiale ed al suo progressivo impiego, ad esempio, nella diagnostica e nello scouting della ricerca, ci rendiamo conto quanto muteranno le possibilità della nostra vita ed il conseguente mondo del lavoro anche in sanità. Per non trovarci impreparati l’Academy Tech di Motore Sanità ha lo scopo di trasmettere le conoscenze principali agli operatori della salute al fine di affrontare con competenza le trasformazioni in corso”, ha spiegato Claudio Zanon, Direttore scientifico MOTORE SANITÀ

“Tecnologie informatiche e progetti di digitalizzazione dei processi sanitari sono sempre stati finalizzati a supportare l’attività dei professionisti nel percorso di diagnosi e cura. L’emergenza sanitaria ha reso più evidente come le tecnologie innovative possano essere utilmente impiegate per l’adozione di nuovi modelli di organizzazione sanitaria e per assicurare la continuità delle cure nel nuovo scenario epidemico con i necessari criteri di sicurezza per gli operatori e per gli assistiti. In particolare, si sta assistendo ad un enorme cambiamento dell’organizzazione sanitaria e dei relativi servizi con passaggio da un modello ad “accesso diretto” ai servizi ad un modello ad “accesso programmato”.

Le tecnologie di Blockchain e di Big Data Analytics rappresentano importanti opportunità per supportare il cambiamento dell’organizzazione sanitaria e del modello di erogazione dei servizi. Ritengo che la valorizzazione dei patrimoni informativi e la capacità delle organizzazioni di assumere decisioni sulla base di analisi dati, soprattutto in modalità predittiva, rappresenti la sfida per la sostenibilità dei servizi sanitari e per l’attuazione di nuovi e più efficaci modelli organizzativi. L’iniziativa condotta dall’Academy Motore Sanità è uno stimolo a cogliere le opportunità di cambiamento che l’emergenza sanitaria ci obbliga ad attuare e contribuisce a diffondere conoscenza sulle più promettenti tecnologie disponibili attraverso la presentazione di esperienze concrete che possono essere un esempio per la prosecuzione di un difficile ma inevitabile cambiamento”, ha dichiarato Giovanni Delgrossi, Direttore UOC Sistemi Informativi Aziendali, ASST Brianza

“Nel prossimo futuro, nell’Health Care sarà naturale fare riferimento a una rappresentazione digitale del paziente aggiornata in tempo reale e costantemente monitorata per individuare possibili problematiche o verificare i risultati di terapie, come oggi già facciamo nel monitoraggio delle performance sportive.  In un contesto dove reale e digitale dialogano virtuosamente, dove sempre più si affermerà un contesto cyberfisico con processi automatici e azioni prese con l’aiuto dei Big Data, sono necessarie tecnologie in grado di tracciare, certificare e regolare sé stesse secondo aspetti legali, etici, culturali specifici del contesto in cui operano. Tutto questo richiede un’interoperabilità integrata e automatizzata su larga scala di dati e servizi, che sia sicura, affidabile e verificabile, in cui siano garantite contemporaneamente la trasparenza dei processi e la privacy del dato”, ha detto Alessandro Mantelli, Chief Technology Officer & Practice Leader at AlmavivA & AlmavivA Digitaltec

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Velocizzare il piano vaccinale, vaccinarsi e continuare a mantenere le misure di contenimento per contrastare le varianti del virus Sars-Cov-2

Velocizzare il piano vaccinale

«Bisogna cominciare a pensare a scenari alternativi e rispondere in maniera preparata»

11 Marzo 2021 – Le varianti del virus Sars-Cov-2 stanno cambiando il quadro epidemiologico della pandemia mettendo in discussione il criterio dei colori regionali con le rispettive decisioni di intensità delle restrizioni (per esempio, l’RT il cui limite di 1 è il riferimento di mutazione del colore regionale, con la variante inglese muterà l’attuale significato essendo stimato l’impatto aggiuntivo del 0,4-0,7). 

Non a caso nell’ultimo Dpcm l’incidenza diventa fattore decisionale per le chiusure delle scuole a discrezione delle regioni, e tale parametro potrebbe essere utilizzato anche per le altre eventuali misure senza che tali decisioni vengano impugnate dai vari TAR. 

Le varianti del virus stanno mettendo in evidenza che l’infezione facilmente si sposta e ha fluttuazioni molto legate alla realtà locale, che è strategico, e lo sarà anche in futuro, mantenere le misure di contenimento (dall’uso delle mascherine a garantire i distanziamenti sociali) e che vaccinarsi resta l’unica arma per spegnere l’epidemia nel più breve tempo possibile e tenere sotto controllo più facilmente le varianti.

L’esperienza che è stata fatta sul campo nelle altre nazioni, come Israele, testimonia quanto sia importante in questo momento fare una vaccinazione con qualunque vaccino disponibile nel più breve tempo possibile raggiungendo quanto prima i soggetti più suscettibili, sia per salvare vite sia per evitare gli effetti devastanti che ha l’infezione nel lungo periodo.

Per discutere di tali problemi, Mondosanità ha organizzato il talk webinar Buona Salute dal titolo Varianti Covid e dintorni” in collaborazione con Motore Sanità ed Eurocomunicazione.

Al 10 marzo 2021 secondo il report che elaboro ogni giorno, le prime cinque province più colpite nell’ultima settimana sono Bologna Brescia, Rimini, Forlì-Cesena, Udine, non c’è neanche una provincia veneta mentre anche solo un paio di mesi fa erano soprattutto queste province ad essere maggiormente dilaniate dal virus. Questo testimonia che l’infezione facilmente si sposta alle regioni vicine e ha fluttuazioni molto legate alla realtà locale – ha spiegato Roberto Buzzetti, Epidemiologo clinico di Bergamo -. Da questi dati non è possibile fare delle inferenze su quanto stiano pesanti le varianti, possiamo solo seguire la curva epidemica e cercare di notare se ci sono dei rialzi o delle accelerazioni particolari. Il quadro generale mette in evidenza che la marca del vaccino non sembra influire molto sul numero finale di casi; che è molto importante continuare a mantenere le misure di contenimento (mascherine, distanziamenti sociali) sia che non si vaccini, sia che si vaccini poco, sia che si vaccini tanto; che è molto importante avere la massima velocità nel vaccinare per spegnere l’epidemia nel più breve tempo possibile e per tenere sotto controllo più facilmente le varianti”.

Rispetto alla variante inglese gli anticorpi dei vaccini disponibili funzionano e possiamo stare abbastanza tranquilli – ha rassicurato Antonio Cascio, Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico “P. Giaccone”, Palermo – restano importantissimi i tracciamenti e i sequenziamenti ed evitare che le altre varianti possano prendere piede. Se rallentiamo la vaccinazione però rendiamo più probabile che il virus muti e che non sia più suscettibile ai vaccini, perché tanto è maggiore la presenza del virus che circola e tanto sarà più facile che possano emergere delle varianti e che queste possano essere resistenti agli anticorpi del vaccino, pertanto è giusto vaccinarsi nel più breve tempo possibile. Auspico che a settembre saremo tutti vaccinati e che in autunno si parlerà di un vaccino che comprenderà le diverse varianti. Sono fiducioso che la battaglia la vinciamo e sono favorevole al patentino vaccinale non solo per i vaccinati ma anche per coloro che hanno avuto naturalmente la malattia”.

Come comunità di igienisti stiano cercando di dare il nostro contributo alla campagna vaccinale per organizzarla nel miglior modo possibile e per raggiungere quanto più rapidamente possibile l’obiettivo dell’immunità di gregge, ammesso che si riesca a farlo in tempi brevi – ha aggiunto Alberto Fedele, Componente Giunta Esecutiva SITI, Direttore UOC ASL Lecce, Servizio d’Igiene Sanità Pubblica -: infatti abbiamo elaborato un decalogo per il piano vaccinale antiCovid che dà una serie di contributi per poter raggiungere al più presto l’obiettivo. Il nostro invito alle regioni che hanno avuto un maggiore quantitativo di vaccino ma che sono più indietro è di attuare delle strategie organizzative che proprio con il nostro decalogo possono essere utili per cercare di utilizzare al più presto le dosi; l’altro invito è quello di ridistribuire le dosi in ragione della popolazione per evitare il problema della disomogeneità  nell’assegnazione delle dosi”.

La vaccinazione è strategica per evitare le conseguenze devastanti del Covid.

Studi scientifici infatti dimostrano che dei 26 sintomi che possono avere i soggetti Covid durante la malattia due terzi vengono conservati a tre mesi, come astemia e stanchezza – ha ribadito l’importanza della vaccinazione Onofrio Resta, Direttore UO Malattie Apparato respiratorio, AOU Consorziale Policlinico di Bari -. La malattia purtroppo lascia in eredità problematiche che interessano il cervello, il cuore e i polmoni. Abbiamo perso molto tempo nell’organizzazione della campagna vaccinale e della fornitura dei vaccini che è ancora ridotta. Dobbiamo sbrigarci per salvaguardare la salute di tutti”.

La pandemia mette di fronte ad un dato che non si può sottovalutare. “La storia naturale del Coronavirus potrebbe avere espressioni future che non conosciamo, è probabile che arriveranno tantissime altre varianti, per questo bisogna cominciare a pensare a scenari alternativi ai quali rispondere in maniera preparata – ha ammesso Stefano Vella, Adjunct Professor Global Health, Catholic University of Rome -. Ribadisco che oggi è importante vaccinarsi e il più presto possibile e che l’efficacia dei vaccini è sicura”.

Concetti che ha ribadito in chiusura Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità.

La pandemia in atto sta confermando la necessità di mantenere i sistemi di distanziamento e continuare a indossare le mascherine, perché la prevenzione è fondamentale. L’appello è fare i vaccini il più velocemente possibile perché ritardare la vaccinazione può aumentare le varianti e aumentare le varianti significa andare incontro ad una situazione in cui la scienza porrà rimedio sicuramente, ma sarà uno scenario più complesso che causerebbe un aumento di contagiosità e di morti inevitabilmente. Gli esperti hanno ribadito che tutti i vaccini sono validi e lo hanno dimostrato paesi come Israele e altre nazioni. La vaccinazione che salverà vite deve essere uniforme nelle varie regioni. È importante che l’Europa si affretti affinché arrivino le dosi promesse”. 

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Women for Oncology Italy: Le donne dell’oncologia italiana ogni giorno si impegnano contro il gender gap

Women for Oncology Italy

Proprio nella giornata dell’8 marzo, l’Associazione Women for Oncology-Italy vuole puntare i riflettori sul problema del gender gap in medicina.

Women for Oncology Italy, il network a sostegno delle professioniste dell’oncologia italiana, istituito 5 anni fa come spin-off della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), è da sempre in prima fila con iniziative concrete per combattere questa battaglia quanto mai attuale. Da un’indagine promossa da Women for Oncology Italy emergono dati sconfortanti: quasi 7 intervistati su 10 ritengono che esista un gender gap delle donne rispetto agli uomini nella crescita professionale in oncologia.

Si tratta di un problema particolarmente sentito dalle donne (80%) contro una minoranza del 35% tra gli uomini. Il 72% degli intervistati riporta commenti di natura sessista o discriminatoria. Nell’64% dei casi erano riferiti solo o prevalentemente alle donne. Praticamente nessun commento era rivolto solo agli uomini.

Il gender gap emerge anche nella ricerca scientifica.

Una ricerca di W4O presentata all’ESMO 2019 mostra che le donne oncologhe solo nel 38% dei casi sono tra i primi autori nei lavori scientifici, a fronte del 62% di autori uomini.

In Italia” – sottolinea Marina Chiara Garassino, past President di W4O – “esiste una forte discriminazione di genere nelle carriere. I numeri parlano molto chiaro e sono stati presentati più volte, per cui non ci si può più nascondere. Purtroppo per le donne in Italia non è sufficiente essere brave. Esistono stereotipi culturali che impediscono loro di realizzarsi pienamente e non esiste nessuna strategia da parte delle istituzioni perché i nostri figli vedano un mondo con meno disparità.  D’altro canto le donne, oltre a mantenere alti i loro livello di competenza, devono vincere il loro senso di colpa per avere un lavoro soddisfacente e iniziare a pensare che si possa avere una famiglia ed essere realizzate professionalmente. Il mio capo qui a Chicago è una donna con quattro figli e un curriculum stellare e io ho due meravigliose figlie con me in America”.

La pandemia ha avuto ripercussioni anche sul gender gap. Durante il lockdown molte donne si sono trovate a dover gestire un maggior carico in termini di impegni casalinghi e familiari. Questo ha avuto un forte impatto in termini di scarsità di pubblicazioni e progetti di ricerca avviati rispetto ai propri colleghi uomini.

Cosa farà Women for Oncology Italy con il nuovo direttivo per superare questa criticità?

L’obiettivo che ci poniamo con W4O” – sottolinea la Presidente Rossana Berardi – “è di dare alle colleghe una consapevolezza più forte del proprio valore professionale e del proprio ruolo, sia in corsia che nella ricerca e aiutarle a trasmetterlo alla collettività. Da un lato, infatti, è evidente l’eredità culturale che penalizza le donne; dall’altro spesso non ci si sente adeguate, c’è quel tendere alla perfezione che dilata e sposta in avanti ogni traguardo. In altre parole, al gender gap si somma il confidence gap. È quindi necessario recuperare la coscienza di sé e W4O può aiutare in questo con una logica di rete. Procedere insieme accresce il concetto di sé, perché il mio problema, la mia difficoltà diventa quella di tutte. E si supera.

Women for Oncology chiede alle Istituzioni che si impegnino affinché venga istituito in tempi rapidi un tavolo di lavoro interministeriale per analizzare e risolvere il problema. Diventa poi quanto mai utile realizzare progetti di sensibilizzazione in collaborazione con gli assessorati alle pari opportunità e alla sanità nelle diverse regioni italiane.

Cambio al vertice dell’associazione Women for Oncology-Italy, a Marina Chiara Garassino succede Rossana Berardi. Questo il nuovo consiglio direttivo di W4O per i prossimi tre anni:

Presidente: Rossana Berardi

Vice Presidente: Ketta Lorusso

Segretaria: Fabiana Cecere

Tesoriera: Nicla La Verde

Deleghe:

Ketta Lorusso: delegata alla formazione e ai percorsi di coaching

Erika Martinelli: delegate alla formazione universitaria pre-lauream

Valentina Guarneri: delegate alla formazione universitaria post-lauream

Nicla La Verde: delegate al management sanitario e rapporti con le istituzioni

Laura Locati: delegata alla ricerca

Rita Chiari: delegata ai rapporti intersocietari e con le associazioni di volontari

Marina Garassino: Presidente onorario con delega all’internazionalizzazione e ai percorsi

di mentoring

MARINA CHIARA GARASSINO – PAST PRESIDENT

Marina Chiara Garassino si è laureata e specializzata all’Università degli Studi di Milano con il massimo dei voti con Lode. La sua vita è stata caratterizzata da due cose fondamentali, l’incondizionato amore per la ricerca e i suoi pazienti e la sua capacità di aggregare le persone. È stata fondatrice della sezione giovanile dell- Associazione Italiana Oncologia Medica AIOM e recentemente di Women for Oncology. Si è sempre impegnata per la promozione delle carriere dei giovani e delle donne. La sua carriera annota una lunga permanenza all’ Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico dove in collaborazione all’ Istituto farmacologico Mario Negri ha fatto la sua prima famosa sperimentazione clinica che le ha aperto le porte a una brillante carriera nella cura e nella ricerca sui tumori del polmone. Nel 2011 si è trasferita all’ Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove ha creato una Unità di oncologia toracica in cui sono state fatte numerosissime sperimentazioni cliniche, tra cui quelle che hanno consacrato il ruolo dell’immunoterapia nei tumori del polmone. In questo ultimo anno è riuscita ad aggregare 220 centri in tutto il mondo raccogliendo dati su pazienti affetti da neoplasie toraciche e COVID che ha permesso di ridisegnare i percorsi di cura per questi malati. La sua visibilità a livello globale è stata tale, che l’Università di Chicago, tra le più prestigiose al mondo, la quarta per numero di premi Nobel, le ha dato la posizione di Full professor of Medicine e capo del Thoracic program. Il suo sogno nel cassetto, continuare a lavorare per la cura delle neoplasie toraciche e aiutare le donne a sviluppare le loro carriere.

ROSSANA BERARDI – PRESIDENTE

È professore ordinario di Oncologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica presso l’Università Politecnica delle Marche. È direttrice della Clinica Oncologica e del Centro di riferimento regionale di Genetica Oncologica, nonché Coordinatrice della Breast Unit e del Nucleo per gli studi clinici di fase I presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona. E’ coordinatrice per la regione Marche dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Vincitrice di numerosi premi nazionali e internazionali, tra cui il “BPW (International Federation of Business and professional woman) Power to make the difference award” per “excellent professional leader” 2017, proprio per la sua capacità di far rete e sostenere le donne professioniste. È co-fondatrice di Women For Oncology – Italy, coordina la Marcangola, la rete di associazioni che operano in ambito oncologico Marchigiano ed è particolarmente attiva in progetti di miglioramento delle cure e del benessere dei pazienti oncologici.

Fabiana Letizia Cecere – Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma

È dirigente medico di I livello presso la struttura Complessa di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze e dal 2010 svolge attività di tutoring clinico ai medici specializzandi della scuola di specializzazione in oncologia dell’Università degli Studi di Firenze. Attualmente i suoi interessi scientifici sono maggiormente rivolti alla cura delle neoplasie del polmone e del tratto genitourinario.

Rita Chiari – Azienda Ospedaliera di Perugia

È direttore della Unità Operativa Complessa di Oncologia degli Ospedali Riuniti di Padova Sud “Madre Teresa di Calcutta”. Ha insegnato Oncologia Medica nel Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia e “Approfondimenti in oncologia e cure palliative” per il corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche.

Valentina Guarneri – Università degli Studi di Padova, IOV IRCCS

È Responsabile della Struttura Semplice per la Ricerca Traslazionale e le Terapie Innovative presso l’Istituto Oncologico Veneto IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) nonché Professore Ordinario di Oncologia Medica. È membro del comitato giovani oncologi della Società Europea di Oncologia ESMO (European Society of Medical Oncology). Il suo interesse si concentra principalmente sulla ricerca clinica e traslazionale per i pazienti con carcinoma mammario.

Nicla La Verde – ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano

È Direttore della Unità Operativa Complessa di oncologia dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano – Polo Universitario. Nella sua carriera l’attività clinica è stata sempre integrata dalla ricerca e attualmente è consigliere del direttivo regionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica. Il suo sogno è che ogni paziente trovi risposta al proprio bisogno di cura.

Laura Locati – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano

È Dirigente Medico di I livello presso la Struttura di Oncologia Medica dei Tumori Testa e collo, all’interno della quale è referente senior. È coordinatrice delle linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) per i tumori della tiroide e segretaria dell’Endocrine Group dell’EORTC (Organizzazione Europea per la Ricerca e la Cura del Cancro). È membro della Società Europea di Oncologia ESMO (European Society of Medical Oncology) e dell’American Thyroid Association (ATA).

Domenica (Ketta) Lorusso – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano

È professore associato e Responsabile UO programmazione ricerca clinica, Direzione scientifica e ginecologia oncologica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma Esperta di oncologia ginecologica, poter curare le donne è per lei un privilegio.

Erika Martinelli – Università della Campania Luigi Vanvitelli, Napoli

È professore associato di Oncologia medica presso il Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli a Napoli e membro attivo della Società Europea di Oncologia ESMO (European Society of Medical Oncology). Lavorare in università è per lei un traguardo professionale che le permette di svolgere attività clinica e di ricerca con i pazienti, nonché attività di docenza con gli studenti per motivarli e farli appassionare all’oncologia.

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Cirrosi epatica: Aderenza alle terapie, prevenzione e presa in carico per migliorare qualità di vita del paziente e sostenibilità del SSN

Cirrosi epatica

5 marzo 2021 – Migliorare l’aderenza alla terapia, prevenire complicanze gravi come encefalopatia epatica e ascite, potenziare l’assistenza domiciliare, formare il paziente e il caregiver, rendere sostenibili le cure e aumentare la qualità e l’aspettativa di vita.

 

Questi gli argomenti discussi, con i principali interlocutori della Regione Lazio, durante il Webinar: “Focus Lazio.

La realtà italiana della cirrosi epatica in epoca pandemica tra terapie e impatto socio economico”, organizzato da Motore Sanità grazie alla sponsorizzazione non condizionante di  Alfasigma S.p.A.

Particolare attenzione è stata data alla necessità di prevenire l’encefalopatia epatica dato che è la più invalidante complicanza della cirrosi, causa di ripetuti ricoveri, di problemi per tutto il contesto familiare del paziente e di un aggravio dei costi per il SSN.

“Il paziente con cirrosi epatica necessita di stretta sinergia tra specialista e il medico di base, avendo bisogno di regolari controlli del suo stato di salute.

In questo periodo di pandemia ci sono stati non pochi impedimenti a causa delle difficoltà all’interno delle strutture ospedaliere e si è capito come sia indispensabile da parte del medico di base individuare al meglio già a casa i sintomi ed eventuali complicanze che possano svilupparsi così da limitare al minimo i passaggi nei nosocomi.

Protocolli diagnostico-terapeutici innovativi e disponibilità di farmaci efficaci per il trattamento della cirrosi possono sicuramente migliorare il decorso della malattia, ma è importante monitorare un paziente quando ad esempio è affetto da obesità, diabete o ipertensione, perché anche se all’inizio non ha sintomi ad un certo punto può sviluppare complicanze in ritardo per intervenire”, ha detto Antonio Gasbarrini, Direttore Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche Policlinico Gemelli, Roma.

“Appare sempre più chiaro che il fegato è un organo non soltanto digestivo ma fondamentalmente coinvolto come in numerosi processi metabolici.

Non a caso la epatosteatosi rappresenta un percentuale sempre in crescita fra le malattie del fegato con un rischio collegato di trasformazione in cirrosi.

Spesso la steatosi epatica complica diabete, obesità, dislipidemie, disordini alimentari, oltre che notoriamente, l’abuso di alcool, e quindi a queste malattie e problematiche cliniche va dedicata molta attenzione, con cure adeguate e programmi di prevenzione. Grande è il ruolo dei clinici, in particolare gli internisti, che accolgono nei reparti di Medicina Interna quasi il 50% dei pazienti con cirrosi che ogni anno vengono ricoverati.

Il dramma della pandemia COVID-19 attraversa globalmente tutto il panorama delle malattie. Le epatopatie al pari di altre sono state meno trattate e studiate, e i pazienti sono stati meno seguiti.

Secondo una recente survey dell’AISF Associazione studio fegato, nell’anno appena trascorso è stata osservata ‘una contrazione delle attività ambulatoriali non urgenti nei pazienti con malattie croniche di fegato.

In particolar modo, nei pazienti con epatite cronica non cirrotica le visite di controllo  ambulatoriali sono state ridotte nel 12.43% dei centri, sospese nel 27.81%, e gestite da remoto via e- mail e/o telefono nel 40.24%.

Risultati analoghi sono stati osservati per le visite di controllo dei pazienti con cirrosi compensata (riduzione nel 22.49%, sospensione nel 13.61%, gestione da remoto nel 44.38%).

Una importante contrazione delle visite è stata documentata anche nei pazienti a più elevata intensità di cura ovvero con cirrosi epatica scompensata (riduzione nel 27.22%, sospensione nel 13.61%, gestione da remoto nel 17.16%).

In corso di pandemia le epatopatie sono apparse un fattore di rischio molto frequentemente associata al COVID con rischio di esito fatale. Secondo i dati ISS, una epatopatia cronica è presente nel 4,1 % delle donne con Covid e nel 5,1% degli uomini.

I cirrotici risultano fra i pazienti ‘estremamente vulnerabili’ inseriti nella lista di priorità vaccinale”, ha raccontato Dario Manfellotto, Direttore dipartimento medicina interna Fatebenefratelli Roma e Presidente FADOI Ivan Gardini, Presidente EpaC Onlus ha raccontato, “considerato l’incremento attuale dei contagi del virus SarsCov-2 siamo molto preoccupati per i pazienti con cirrosi epatica perché dovrebbero effettuare controlli e procedure sanitarie a cadenza periodica e molto spesso questi esami si svolgono in ambito ospedaliero.

Sono oltre 100.000 i pazienti con cirrosi e malattia avanzata già curati dall’epatite C ma ancora a rischio di sviluppare un tumore del fegato, inoltre, ci sono almeno altri 100.000 casi correlati ad altre patologie come alcol, obesità, epatite B, ecc.

La preoccupazione vale anche per anche per tutti i pazienti con malattia avanzata che devono iniziare una qualunque terapia, ad esempio per l’eradicazione del virus dell’epatite C.

Un recente studio (Kondili LA, Marcellusi A, Ryder S, Craxì A. Will the COVID-19 pandemic affect HCV disease burden?

Digestive and Liver Disease, 2020 52(9). https://doi.org/10.1016/j.dld.2020.05.040) ha stimato che ritardare l’inizio delle cure di 12 mesi, decuplica le complicanze e i decessi nei 5 anni successivi.

È quindi indispensabile indicare quali sono le prestazioni differibili da quelle indifferibili in questi pazienti ad alto rischio di complicanze.

Le cure e il monitoraggio dei malati cronici a rischio dovrebbero continuare attraverso approcci innovativi come il telemonitoraggio e la telemedicina oppure decentralizzando esami e prestazioni spostandoli dall’ospedale al territorio per evitare di esporre i pazienti fragili a rischi inutili.

Sarebbe anche di grande aiuto semplificare gli atti burocratici come rinnovare automaticamente i piani terapeutici, consentire il ritiro dei farmaci ospedalieri presso la farmacia di fiducia o consegnarli direttamente a casa, incrementare le confezioni erogabili e tutte le altre modifiche di natura amministrativa che possono incidere positivamente sulla qualità di vita di pazienti cronici che devono restare sempre più protetti e monitorati come raccomandato da tutti gli esperti”.

Alfasigma, tra i principali player dell’industria farmaceutica italiana, è un’azienda focalizzata su specialità da prescrizione medica, prodotti di automedicazione e prodotti nutraceutici.

Nata nel 2015 dall’aggregazione dei gruppi Alfa Wassermann e Sigma-Tau – due tra le storiche realtà farmaceutiche italiane – oggi è presente con filiali e distributori in/ circa 90 paesi nel mondo.

L’azienda impiega oltre 3000 dipendenti, di cui più della metà in Italia suddivisi in 5 sedi: a Bologna il centro direzionale e a Milano la sede della divisione internazionale, mentre a Pomezia (RM), Alanno (PE) e a Sermoneta (LT) sono localizzati i siti produttivi. Bologna e Pomezia ospitano anche laboratori di Ricerca e Sviluppo.

In Italia Alfasigma è leader nel mercato dei prodotti da prescrizione dove è presente in molte aree terapeutiche primary care (cardio, orto-reuma, gastro, pneumo, vascolare, diabete) oltre a commercializzare prodotti di automedicazione di grande notorietà, come Biochetasi, Neo-Borocillina, Dicloreum e Yovis. Sito web www.alfasigma.it 

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Ictus: “Indispensabile prevenzione primaria dei fattori di rischio quanto tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate”

1° marzo 2021 – La Stroke Alliance for Europe (SAFE) ha stimato come, già nel 2017, l’impatto economico dell’ictus nell’Unione europea ammontasse a 60 miliardi di euro, con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione, e potrebbe arrivare a 86 miliardi di euro nel 2040.

In Italia l’ictus è oggi la prima causa di disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative ed assistenza con un carico economico gravoso sui pazienti ed i propri familiari.

La combinazione di questi fattori rende indispensabile un’azione decisa verso la prevenzione dell’insorgenza dell’ictus, che intervenga tanto sui fattori di rischio quanto sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus.

Di questo si è parlato durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana.

FOCUS: CENTRO’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Queste le parole di Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare – Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organisation e dell’Osservatorio Ictus Italia: “L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie.

Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave.

Inoltre, il costante invecchiamento demografico potrebbe inoltre alimentare un incremento dell’incidenza del 30% tra il 2015 ed il 2035 per cui è importante investire sull’implementazione delle cure e la prevenzione anche per evitare che il sistema non regga.

Informare sull’impatto economico dell’ictus (nell’UE 45 miliardi di euro nel 2016), con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione.

Il carico economico risulta inoltre particolarmente gravoso anche sui pazienti e i propri familiari: in Italia l’ictus è oggi la prima causa di disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative e assistenza.

Importante intervenire sulla prevenzione primaria dei fattori di rischio e sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus, come ricorda il report pubblicato dall’Economist Intelligence Unit, una ricerca sulle politiche e gli investimenti nella prevenzione dell’ictus, comprese le risorse per le campagne di sensibilizzazione, educazione della popolazione e di screening.

Per comprendere meglio le differenze organizzative a livello europeo, la ricerca è stata condotta in cinque paesi: Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito.

La ricerca è basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione. Il report è stato revisionato a livello italiano da me.

Le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti: 

1- sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente la popolazione.

Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore.

2 – potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario, (istituzione dell’infermiere di famiglia, impegno per i medici di medicina generale).

3 – promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie.

4 – sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

“Le strategie di “prevenzione” vedono nel medico uno solo dei molteplici interlocutori che possono avere un ruolo determinante.

Si può partire intervenendo sulla CONSAPEVOLEZZA della popolazione, agendo sulle molteplici modalità di informazione che possono arrivare in modo capillare alle persone, sin dall’età scolare.

L’importanza di far conoscere quali sono i fattori di rischio vascolare e l’impatto che può avere un inadeguato controllo dietetico, della glicemia, della pressione arteriosa, e quanto siano importanti per la salute un corretto stile di vita e mantenere l’esercizio fisico, permetterebbe di avere nella popolazione un fondamentale e necessario alleato nella lotta all’ictus
cerebrale.

Dal punto di vista di COMUNICAZIONE, una continua ed adeguata integrazione tra ospedali e territorio (come ad es. il Fascicolo sanitario elettronico, la telemedicina) permetterebbe di favorire il controllo clinico del paziente, evitare esami diagnostici inutili e individuare più facilmente le comorbidità, ottimizzando così le possibili strategie terapeutiche di prevenzione individuali.

D’altro canto, anche una attenzione dell’AMBIENTE può contribuire alla salute pubblica in generale, e alla prevenzione delle patologie cerebrovascolari: l’esercizio fisico nei parchi e lungo i percorsi pedonali così come la possibilità di effettuare attività fisica anche nei luoghi di lavoro, sono da considerarsi un ottimo investimento e dovrebbero essere una prospettiva per le azioni di miglioramento”, ha dichiarato Marina Diomedi, Direttore UOSD Unità di Trattamento Neurovascolare, Fondazione Policlinico Tor Vergata, Roma “Difficoltà, in Umbria, per il trattamento dell’ictus, legato alla carenza di Stroke Unit e quindi di posti letto, ed in particolare per la riabilitazione, problema particolarmente sentito anche prima della pandemia che, soprattutto se si esclude il privato a spese delle famiglie, oggi si è aggravato notevolmente.

Prevenzione, informazione e formazione, a macchia di leopardo, erano in buona parte a carico del volontariato, delle Associazioni specifiche, come ALICe, e non. Le norme anti-Covid hanno colpito enormemente questo settore.

Di quanto si riusciva a fare con incontri informativi anche sui corretti stili di vita rivolti pure alle scuole ed ai genitori, convegni, seminari, corsi di recupero e di mantenimento fisioterapico e logo terapico, trasporti, screening di massa e non, diretti alla popolazione, al mondo della scuola, ai portatori di interesse, oggi è rimasto ben poco, se escludiamo la logoterapia, per afasici e bambini con problemi di linguaggio non in carico alla USL, che alla presenza in sede ed al trattamento domiciliare ha aggiunto il sistema on line.

Sulla informazione, formazione e prevenzione da remoto per problematiche legate all’ictus e sull’aspetto psicologico, stiamo lavorando con il Cesvol Umbria di Perugia per incontri di formazione sulla prevenzione rivolti a scuole e nuclei familiari, ma non è assolutamente facile ed è purtroppo riduttivo poiché escludono screening e riabilitazioni”, ha spiegato Ivonne Fuschiotto, Membro Consiglio Direttivo A.L.I.Ce. Città della Pieve (PG) “Il tema della prevenzione è strategico.

Certamente la prevenzione è in primis una responsabilità individuale basata su stili di vita e su comportamenti corretti.

Sappiamo l’importanza di fare movimento, di alimentarsi in modo equilibrato, di evitare fumo, droghe e alcool, di monitorare il proprio stato di salute e in particolare la pressione arteriosa.

Prevenzione è soprattutto responsabilità delle Istituzioni e della collettività, dalle politiche regionali, alle campagne informative delle AUSL, all’impegno del volontariato. A.L.I.Ce. ER nelle ultime campagne ha posto particolare attenzione alle problematiche dell’Ipertensione Arteriosa e della Fibrillazione Atriale, importanti fattori di rischio di questa terribile malattia.

In alcune sedi territoriali, fino al 2019 (ante Covid) i volontari di A.L.I.Ce, e alcuni medici e personale infermieristico delle U.O. di Neurologia hanno eseguito screening gratuiti alla popolazione e divulgato materiale informativo sui principali fattori di rischio dell’ictus cerebrale.

In sede di valutazione si è provveduto ad una stratificazione del rischio di ictus cerebrale basandosi sul rilievo di diversi parametri definendo un livello basso, medio e alto di rischio.

A seconda dell’inserimento degli utenti in una fascia di rischio piuttosto che in un’altra, gli stessi sono stati poi valutati da un neurologo e per alcuni di loro si è reso necessaria anche l’esecuzione di un ecodoppler dei vasi del collo.

Queste giornate costituiscono una vera Prevenzione Primaria per le malattie cerebro-vascolari rivolta alla popolazione ed aumentano l’attenzione nei confronti della patologia cerebrovascolare per la quale tanto si è fatto ma tanto rimane ancora da fare” ha detto Daniela Toschi, Presidente Regionale A.L.I.Ce. Emilia-Romagna “L’arma vincente contro l’ictus è la prevenzione, più dell’80% dei casi si potrebbero prevenire con semplici controlli e sani stili di vita, ma se l’ictus arriva possiamo sempre curarlo.

È necessaria quindi massima attenzione alla prevenzione primaria e secondaria. Prevenzione primaria: più informazioni dettagliate sui fattori di rischio a tutte le età, da parte dei medici di medicina generale, dei farmacisti.

Soprattutto campagne di comunicazione di massa sulla reale possibilità di prevenire un evento altrimenti frequente, grave, invalidante.

Altrettanto importante la prevenzione secondaria dove sono necessarie informazioni dettagliate e personalizzate sull’importanza fattori di rischio e sul controllo terapeutico con massimo scrupolo su indicazioni, orari, tipo di farmaci, rischi a non assumerli o assumerli in modo errato, importanza dei controlli (ad esempio, misurare la pressione se si è in terapia per ipertensione).

Si parla spesso di medicina di precisione: la prevenzione, in  particolare quella secondaria, rientra in questo ambito.

Ogni paziente è diverso, il medico di riferimento deve essere pronto a chiarire qualsiasi dubbio, a rispondere a tutte le domande su come gestire le terapie e i controlli, sottolineando l’importanza di aderire alle prescrizioni”, ha sottolineato Alessandro Viviani, Presidente Regionale A.L.I.Ce. Toscana.

È dimostrato che l’80% degli ictus possono essere prevenuti, attraverso il controllo dei fattori di  rischio. La prevenzione deve essere mirata ad individui e gruppi specifici di persone, per stimolarli ai comportamenti che possono ridurre il rischio di incidenti cerebro-vascolari.

Per questo l’associazione di pazienti può fare campagne informative, promuovendo l’attività fisica regolare, la dieta sana, il controllo di diabete, ipertensione, e dislipidemia, e per moderare fumo ed assunzione di alcolici.

Ma queste campagne non sarebbero risolutive, poiché l’apprendimento dei comportamenti virtuosi richiede tempo e costanza. Queste campagne andrebbero quindi completate dal Servizio Pubblico.

Riteniamo infatti che i Medici di Famiglia siano gli interlocutori privilegiati per “accompagnare” quanti presentano uno o più fattori di rischio, inclusa la popolazione giovanile, spingendo l’apprendimento dei comportamenti virtuosi e monitorando il prima possibile i fattori di rischio”, ha aggiunto Fabrizio Pennacchi, Presidente Regionale A.L.I.Ce. Lazio.

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