Digitalizzazione e umanizzazione in home care, ecco i modelli italiani per far fronte alla pandemia delle malattie croniche

La grande rivoluzione

Gli specialisti: «Gli applicativi gestionali devono semplificare il lavoro del medico di medicina generale abbattendo i carichi burocratici e semplificandogli il lavoro».

 

9 Aprile 2021 – Il periodo emergenziale che il mondo sta vivendo ha evidenziato la necessità che il Servizio sanitario nazionale e regionale abbia una rete vera che sia in grado di mettere a sistema l’interdisciplinarietà fra tutti gli attori che intervengono nel percorso di cura e di prevenzione del malato cronico, ciò al fine di predisporre un equilibrato rapporto tra medico, strutture sanitarie ed ospedali che abbia come obiettivo la salute del paziente e cittadino.  Il futuro del Sistema sanitario nazionale passa dall’home care quale diritto costituzionale del cittadino, che va oltre l’assistenza domiciliare integrata e deve fornire terapie complesse e una attività di medicina di iniziativaDigitalizzazione e  umanizzazione si coniugano all’interno di un modello organizzativo basato sui principi di ‘flessibilità’ e di ‘prossimità’, in grado di sfruttare a pieno le potenzialità della tecnologia per assicurare l’assistenza alle persone anche a distanza, in una relazione costante tra operatore sanitario e paziente.

In una regione come la Puglia, che conta 1 milione e 600mila malati cronici (il 40% degli assistiti) e un consumo procapite/annuo di 1.500 euro (l’80% delle risorse sanitarie) per un totale di euro 2.549.260.471), sono nati modelli di lotta alla cronicità che durante la pandemia sono stati in grado di restare accanto al paziente cronico e non lasciarlo solo. Questi i temi del quinto appuntamento dell’Academy di alta formazione di MOTORE SANITÀ TECH realizzato grazie al contributo di ENGINEERING, dal titolo ‘HOME CARE. Modelli socio-sanitari di resilienza territoriale, l’innovazione cambia il rapporto sanità-paziente: piattaforme tecnologiche, IA e Blockchain’.

Il progetto Diomedee dell’ASL di Foggia è una applicazione non “chiusa” ma una componente applicativa di un sistema informatico complesso incardinato su un Clinical data repository standard, in cui i blocchi funzionali del sistema informativo e gli operatori che li utilizzano sono distribuiti nello spazio. “I suoi obiettivi – spiega Tommaso Petrosillo, Dirigente Responsabile Sistemi Informativi e TLC – sono offrire un percorso assistenziale razionale e aderente alle linee guida nazionali e locali; favorire l’aderenza al followup da parte del paziente cronico rendendo i servizi assistenziali più facilmente fruibili nel territorio di residenza, evitare la mobilità dei pazienti cronici e il ricorso al ricovero ospedaliero inappropriato. Il sistema progettato associa l’utilizzo di app e strumenti digitali di uso comune e gratuiti, come Skype e WhatsApp, a quello di una cartella clinica informatizzata, con la quale gli operatori possono monitorare e condividere tutti i parametri clinici del paziente, compresa la terapia farmacologica in atto, rilevati da apparecchiature elettromedicali in uso al paziente. Gli ulteriori sviluppi riguarderanno il monitoraggio a distanze dei pazienti oncologici e dei pazienti in carico al dipartimento di salute mentale, il monitoraggio a distanza delle pazienti nel percorso nascita e l’APP Mo’Mamma, il monitoraggio distanza dei pazienti in carico al servizio di diabetologia ed endocrinologia”. A seguito della pandemia la ASL Foggia ha accelerato il processo di digitalizzazione e ha rimodulato il “Progetto Diomedee” ampliandolo e adattandolo alle sopraggiunte esigenze collegate all’emergenza Covid-19, rispondendo così alla necessità di monitorare a distanza i pazienti positivi, asintomatici, in isolamento domiciliare in casa o presso le strutture residenziali territoriali.

Il progetto Care Puglia 3.0 è il modello regionale per la presa in carico delle cronicità. “E’ una proposta di presa in carico del paziente cronico in termini di valutazione del bisogno di ciascun assistito e relativa offerta dei servizi, e una modalità attraverso la quale viene data attuazione dei percorsi terapeutici (PDTA) con un’alta attenzione sull’individuo affetto da patologia cronica attraverso la possibilità di personalizzare i PDTA di riferimento in Piano di assistenza individuale (PAI) – ha spiegato Pierluigi De Paolis, Medico di Medicina Generale -. L’implementazione di modelli di presa in carico si impernia sui medici di assistenza primaria nelle loro forme organizzative, nonché sulla riorganizzazione della rete dei servizi territoriali. Gli obiettivi di questo modello sono: assicurare continuità nella zona di cura delle malattie croniche, programmazione del percorso, la presa in carico proattiva ed empowerment del paziente; interventi di prevenzione primaria (modifica degli stili di vita insalubri) e secondaria (diagnostica precoce); obiettivi di cura del Piano Nazionale cronicità quali miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, minimizzazione della sintomatologia, prevenzione della disabilità, miglioramento della qualità della vita”.

Ma non solo. Secondo Pier Camillo Pavesi, Medico Cardiologo, “bisogna pensare ad applicativi gestionali in cui la telemedicina sia parte integrante, che siano finalizzati a semplificare il lavoro del medico di medicina generale abbattendo i carichi burocratici e semplificandogli il lavoro, per esempio attraverso l’integrazione con i CUP. I nuovi applicativi di gestione del paziente nel post Covid non potranno prescindere da una parte di telemedicina ma soprattutto devono avere dei sistemi di usabilità e di ergonomia integrati con la comunicazione a distanza con il paziente”.

Digitalizzazione però vuol dire porre maggiore attenzione al valore del dato clinico del paziente. L’utilizzazione delle nuove tecnologie dovranno rispondere a questo e altri principi. “Prima di tutto scegliere con accuratezza il fornitore è fondamentale, e il fornitore deve fornire una valutazione del rischio sul sistema informatico che si va a implementare – ha spiegato Simona Custer, Avvocato, Senior Associate A&A Studio Legale -. Anche la formazione è fondamentale rispetto a coloro che troveranno a maneggiare i nuovi sistemi poiché devono sapere come funzionano e quali sono le cautele da tenere in considerazione; i sistemi peraltro devono essere strutturati in modo da consentire l’accesso ai dati ai soli soggetti autorizzati a farlo, quindi sarà importante individuare chi sono i medici o gli infermieri, per esempio. La formazione del personale è fondamentale dunque circa l’uso dei software e della strumentazione sui principi di protezione del dato e della sua conservazione. Tutte queste informazioni devono anche essere rese note agli interessati: i pazienti prima del trattamento devono essere informati con un linguaggio semplice e chiaro sul trattamento e sui sistemi coinvolti. Invece, rispetto alle misure di sicurezza da adottare per garantire la tutela del dato, c’è al momento un vuoto normativo. Il consiglio – conclude l’avvocato – è prendere spunto e visionare le linee guida sul fascicolo sanitario elettronico che fornisce le misure di sicurezza utili, sperando che prima o poi si faccia chiarezza e ci siano sempre più indicazioni per poter gestire al meglio tutti i processi del trattamento dei dati”.

5° APPUNTAMENTO ACADEMY MOTORE SANITÀ TECH: “Sviluppare modelli sanitari innovativi e tecnologici a tutela del paziente, l’esperienza della ASL di Foggia”

digitalizzazione sanità

8 aprile 2021 – Innovazione, integrazione e resilienza nell’assistenza territoriale:

l‘esperienza della ASL di Foggia nella gestione organizzativa, nell’operatività della

telemedicina e nel ruolo del medico di base nella presa in carico digitale. Questi i

temi del quinto appuntamento dell’Academy di alta formazione di MOTORE SANITÀ

TECH realizzato grazie al contributo di ENGINEERING, dal titolo HOME CARE.

Modelli socio-sanitari di resilienza territoriale, l’innovazione cambia il rapporto

sanità-paziente: piattaforme tecnologiche, IA e Blockchain’.

 

“La sfida del Servizio Sanitario, oggi, è riuscire a porre i due elementi cardine della

rivoluzione sanitaria, la sanità digitale e l’umanizzazione delle cure, al servizio della

relazione paziente/operatore sanitario in modo da dare una risposta efficace ed

efficiente ai bisogni sanitari e sociosanitari delle comunità locali. Digitalizzazione e

umanizzazione si coniugano all’interno di un modello organizzativo basato sui principi

di ‘flessibilità’ e di ‘prossimità’. Un modello in grado di sfruttare a pieno le potenzialità

della tecnologia per assicurare l’assistenza alle persone anche a distanza, in una

relazione costante tra operatore sanitario e paziente. Il COVID ci ha dimostrato

quanto questo modello assistenziale sia efficace: in un momento di profonda crisi

sanitaria e sociale, mentre il virus impone il lockdown, la sanità digitale supera i

blocchi fisici e consente agli operatori sanitari di mantenere la relazione assistenziale

con le persone assistite, anche a domicilio”, ha spiegato Vito Piazzolla, Direttore

Generale ASL Foggia.

 

In questo particolare momento storico, il Sistema Salute tutto è proteso verso il

rafforzamento della medicina territoriale e di prossimità; di conseguenza, anche noi

dirigiamo i nostri investimenti verso la progettazione di soluzioni che siano in grado

di rendere diffusi gli interventi sanitari ed in grado di raggiungere la persona nella

comunità. Le nostre nuove soluzioni di telemedicina sono un contributo concreto

alla trasformazione digitale della medicina territoriale e di prossimità. Esse, infatti,

non si limitano ad essere lo strumento per mettere in contatto a distanza il paziente

e la pluralità di professionisti sanitari, ma in particolare, assicurano la piena

integrazione con i sistemi informativi della sanità, garantiscono la massima sicurezza

nel trattamento dei dati personali, puntano ad un’esperienza d’uso che “faccia sentire

vicini, pur se a distanza” – con l’impiego esteso di quelle tecnologie di frontiera che

sono in grado di conferire “umanità” al digitale. Questa nuova generazione di soluzioni

di telemedicina che portiamo al Sistema Salute è il nostro apporto alla trasformazione

digitale ed al rafforzamento della medicina territoriale e di prossimità”, ha dichiarato

Natalia Pianesi, Public Administration and Healthcare Consulting Director, Engineering.

 

Per approfondimenti sul tema della Telemedicina: Instant Paper Telehealth di Engineering

PROGETTO SAMIRA: “Garantire ai cittadini europei elevati standard di sicurezza nella lotta ai tumori, con la teragnostica è possibile selezionare i pazienti non risponder, definendo terapie successive e follow-up”

PDTA condivisi

7 aprile 2021 – A febbraio la Commissione Europea ha rinnovato le strategiche per la

lotta al cancro, ribadendo l’impegno in prevenzione, trattamento e cura delle patologie

tumorali e identificando nuove sfide e opportunità, come le scienze radiologiche e la

medicina nucleare, pubblicando le nuove linee guida sul EU Action Plan for Medical

Application of Radiology and Nuclear Technology. Il SAMIRA Action Plan (Strategic

Agenda for Medical Ionising Radiation Applications) garantirà ai cittadini europei i più

elevati standard di sicurezza nell’accesso alle tecnologie radiologiche e nucleari con

la teragnostica che permette, sin dalla fase diagnostica, di migliorare la stadiazione

della patologia, selezionare i pazienti non risponder, definire le terapie successive ed

il follow-up. I recenti progressi della ricerca hanno portato all’approvazione della prima

terapia radio recettoriale per la presa in carico dei pazienti affetti da tumori neuroendocrini.

Per fare il punto sul Progetto SAMIRA, Motore Sanità ha organizzato il Webinar

MEDICINA NUCLEARE E ONCOLOGIA: SIAMO PRONTI AD ACCOGLIERE LE OPPORTUNITÀ

EUROPEE?’, grazie al contributo incondizionato di Advanced Accelerator Applications

 

“La pandemia COVID-19 ha avuto gravi ripercussioni sulle cure oncologiche, poiché ha determinato

una diminuzione della prevenzione, ritardando le diagnosi e i trattamenti. Quando si parla di

oncologia dobbiamo avere bene a mente che ci riferiamo a una ampissima casistica che è in

progressivo aumento. I numeri ci esortano ad agire subito per supportare tutte le politiche, a livello

nazionale e internazionale, volte a migliorare e salvare le vite dei pazienti. In quest’ottica è stato per

me molto importante depositare una mozione alla Camera dei deputati che mira, tra gli altri impegni,

a sostenere le aree di intervento del ‘Piano europeo di lotta contro il cancro’, ad adottare un nuovo

Piano oncologico nazionale e ad avviare l’istituzione della Rete Nazionale dei registri tumori,

consentendo l’adozione di strumenti informatici adeguati al compito. Screening, test diagnostici

molecolari, ricerca, telemedicina, adozione di un approccio multidisciplinare sono tutti asset strategici

da integrare nel nostro sistema per rispondere in maniera sempre più appropriata al modello di salute

globale”, ha dichiarato Fabiola Bologna, Componente XII Commissione, Camera dei Deputati

 

“Il comitato speciale sulla strategia europea contro il cancro è una opportunità incredibile per rendere

l’Europa il faro nella lotta al cancro nel mondo e ridurre grandemente l’incidenza negativa del cancro,

sia economica che umana, sul nostro continente. Il documento della Commissione è stato

particolarmente dettagliato sulle azioni di prevenzione e di screening, ma non molto esauriente sulle

nuove tecnologie e terapie per la lotta al cancro e sulla questione della qualità di vita del paziente.

È fondamentale riconoscere un ruolo primario alle nuove terapie, per ridurre la mortalità e aumentare

la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari, utilizzando metodologie meno invasive e più focalizzate.

Personalmente, io mi impegno non solo a rendere queste nuove tecnologie usufruibili ai pazienti europei,

ma anche a portare fondi per la ricerca e a spingere per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la gestione

scientifica e terapeutica dei dati Europei”, ha spiegato l’Onorevole Pietro Fiocchi, Europarlamentare –

Commissione Speciale per la Lotta contro il cancro

Diabete: un grande aiuto dalla tecnologia

Ero malato di diabete

1 Aprile 2021  Il diabete è una patologia cronica a gestione complessa la cui mancata assistenza ai pazienti potrebbe avere un impatto molto pericoloso. diabetico su 2 non misura regolarmente la glicemia e la mancanza di monitoraggio impatta fortemente sulla salute, creando rischi di iperglicemie o ipoglicemie, che possono portare a complicanze gravi. Le innovazioni tecnologiche hanno fornito strumenti in grado di cambiare l’evoluzione e il controllo della malattia, restituendo una qualità di vita semplificata per i malati che ne hanno avuto accesso e la possibilità di migliorare significativamente gli outcome sanitari e ottenere importanti risparmi per i sistemi sanitari regionali nonché facilitare l’implementazione di telemedicina e nuovi modelli di presa in carico. Per approfondire il tema, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘DIABETE, INNOVAZIONE TECNOLOGICA: RWE come importanza delle misure di valore’, grazie al contributo incondizionato di ABBOTT.

 

“Il connubio diabete e innovazione tecnologica, coniugato in maniera appropriata, diventa strumento per migliorare l’assistenza e la qualità di vita delle persone con diabete. Il monitoraggio glicemico in continuo (CGM), in rapida evoluzione sia nella accuratezza dei sensori che nelle piattaforme di condivisone dati da remoto, permette di raggiungere tutte le tipologie di pazienti che effettuano terapia insulinica intensiva e necessitano di uno stringente controllo metabolico anche e, soprattutto, durante la pandemia da Covid 19. Il CGM in associazione al microinfusore, che nelle sue declinazioni più avanzate permette l’automazione dell’infusione insulinica (AP), hanno rivoluzionato la cura delle persone con diabete grazie alla possibilità di una terapia ritagliata sui bisogni e le necessità di giovani e adulti e capace di prevenire i maggiori disagi legati alla malattia (ad esempio le ipoglicemie severe), determinando un miglioramento dello stato clinico e della qualità di vita. La possibilità di condividere dati in remoto tramite le piattaforme Web-Based e le app collegate ai sensori o ai sistemi integrati, anche in tempo reale, giunge particolarmente utile nell’attuale contesto di “emergenza”, per garantire le dovute cure e la sicurezza dei pazienti e degli operatori e supportare il processo educativo. Per un utilizzo efficace di tutti i dispositivi tecnologici che oggi abbiamo a disposizione, dalle pompe di infusione ai sensori della glicemia, o ai sistemi integrati, il dialogo e la condivisione di esperienze fra noi medici e i nostri pazienti rappresenta un prerequisito essenziale nel percorso di reciproca collaborazione che ha come fine il controllo della malattia e il benessere di ogni persona con diabete”, ha dichiarato Katherine Esposito, Professore Ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate Direttore U.P. di  Diabetologia A.O.U. Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli

“La rivoluzione tecnologica ha comportato la progressiva sostituzione dei sistemi tradizionali di monitoraggio della glicemia con l’adozione di sensori sottocutanei per il rilevamento del glucosio capaci di monitorare la glicemia in continuo o mediante il rilevamento “flash”. Tali strumenti hanno permesso di ottenere parametri metabolici fino ad ora impensabili e molto utili per il monitoraggio della terapia quali la determinazione del “tempo in target” (percentuale di valori nell’ambito di un range predefinito), la determinazione del tempo in ipoglicemia ed in iperglicemia e, infine, il calcolo della cosiddetta “emoglobina glicosilata presunta” cioè la sua determinazione sulla base del valore medio di glicemia raggiunto. Tale rivoluzione copernicana della diabetologia è coincisa, fortuitamente, con il periodo di “lockdown” durante il quale, per opportunità e sicurezza, si consigliava ai pazienti di non andare in ospedale o presso i centri diabetologici ad eseguire i prelievi di sangue. I Diabetologi campani, quindi, hanno dovuto-potuto trasformare, in tempo record, i loro ambulatori in “ambulatori di telemedicina-telesalute” riconosciuti anche dal punto di vista formale dai funzionari della sanità campana. Attraverso lo scarico dati dei sensori si potevano seguire i profili glicemici dei pazienti e consigliare gli “aggiustamenti” terapeutici quasi in tempo reale. Inoltre, l’adozione di strumenti dotati di allarmi per le ipo/iperglicemie permetteva di migliorare non solo il controllo metabolico dei pazienti ma anche la sicurezza degli stessi. Infine, molti di questi strumenti permettono di “trasmettere in diretta” le glicemie rilevate a distanza sul cellulare del paziente, delle famiglie e di eventuali “caregiver” ha spiegato Dario Iafusco, Vice Presidente Diabete Italia e Responsabile del Centro regionale di Diabetologia Pediatrica “G. Stoppoloni” AOU “Luigi Vanvitelli”

Covid-19, utilità dei test sierologici per il piano vaccinale: molte ancora le domande a cui dare risposta

Covid-19: I test

Il piano vaccinale deve essere accompagnato da una serie di follow up per verificare quanto duri la copertura, per quanto tempo permangono gli anticorpi prodotti, in quali cluster di soggetti resista di più, in quali di meno e da che cosa dipenda (farmaci, patologie pregresse, età, luogo di residenza). Esiste tuttavia ancora una mancanza di allineamento e programmazione tra le disposizioni del Ministero della Salute e le amministrazioni regionali. Per fare il punto sul tema, all’interno della due giorni della Winter School CALL TO ACTION PER UN SSN INNOVATIVO E RESILIENTE…  SE CORRETTAMENTE FINANZIATOMondosanità, in collaborazione con Motore Sanità, ha organizzato il webinar “Vaccinazione e test sierologici: una conferma della protezione”.

 

“Nel nostro Ospedale stiamo vaccinando più di 4.000 soggetti con uno studio di sorveglianza quantitativo per vedere la presenza di proteina spike” – ha raccontato Daniela Campisi, Dirigente Biologo per la disciplina di Microbiologia e Virologia, Ospedale Niguarda Milano. “Dalle prime osservazioni si evince come, dopo 15 giorni dalla seconda somministrazione, la risposta sia positiva nel 90% dei casi e molto robusta in più del 60%, mentre solo 4 soggetti immunodepressi non hanno risposto. Per capire quanto dura la protezione del vaccino rifaremo il test sierologico a tutto il nostro personale dopo tre mesi, sei mesi e un anno. Ci interessa anche capire se, dopo un declino degli anticorpi, la memoria rimarrà e quindi un individuo sarà protetto e per quanto tempo. In altre parole, i test ci aiuteranno a stabilire quanto è il titolo anticorpale che ci dà la protezione”.

 

Maria Capobianchi, Direttore della UOC Laboratorio di Virologia, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive (INMI) “L. Spallanzani” spiega che: “Il livello di anticorpi è importante, ma quello che misuriamo è una presenza; non prediciamo la durata della protezione. Gli anticorpi che impediscono al virus di infettare si misurano attraverso un test biologico, mentre i test a disposizione misurano la quantità di risposta immunitaria. È importante misurare gli anticorpi che neutralizzano il virus. Quando parliamo di protezione dall’infezione, gli anticorpi sono una componente, ma ci sono altri fattori come le cellule T. Oggi è prematuro predire il grado di protezione misurando gli anticorpi senza tenere conto della loro capacità neutralizzante. Il vaccino ha confermato di generare una risposta praticamente in ogni soggetto che ha ricevuto la dose. Non credo quindi che sia utile testare tutti i soggetti vaccinati, ma sarebbe importante verificare la risposta anticorpale nei soggetti immunodepressi, nei malati oncologici ed ematologici o con l’HIV”. 

 

Non sempre la quantità di anticorpi definisce la qualità della protezione, sottolinea Anna Falanga, Direttore della UOC SIMT ASST Papa Giovanni XXIII Bergamo. “Una persona potrebbe avere un numero di anticorpi inferiore a un’altra ma più neutralizzanti. Per questo abbiamo bisogno dei test sierologici, l’unico modo per raccogliere dati e fare verifiche perché non si possono dare risposte affrettate e senza certezze. La scienza ha i suoi tempi e le persone hanno bisogno di chiarezza. Anche i test vanno standardizzati perché oggi può accadere che due laboratori diano risultati diversi semplicemente perché usano misure diverse”.

 

“È impossibile predire con i test la capacità di copertura vaccinale delle singole persone” ha aggiunto Stefano Menzo, Direttore f.f. SOD Virologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Ancona. “Noi studiamo popolazioni molto definite e controllate, come gli operatori sanitari, che ci permetteranno di sapere quando gli anticorpi decadranno, oltre a una serie di variabili che oggi non conosciamo. I vari test a disposizione hanno adottato una standardizzazione che tende a definire un’assimilazione tra tutti; notiamo che tutti i test commerciali sono molto omogenei ma non ci sono ancora sistemi di comparazione precisi: non è matematica. Si possono riscontrare titoli diversi di anticorpi: può essere 100 o 10000 ma solo perché misurati con sistemi diversi. Resta possibile distinguere anticorpi prodotti da infezione naturale (anti N) rispetto a quelli prodotti a seguito di risposta vaccinale (solo anti S-RBD, con i vaccini attuali)”

 

“Oggi ci sono vari test per misurare gli anticorpi, – spiega Maurizio Ferrari, CMO Synlab Italia – test che sono stati standardizzati dall’OMS, ma che sono spesso difficili da valutare e confrontare: è chiaro che quando valuti un test e delle cinetiche, si dovrebbe usare sempre lo stesso sistema, per non rischiare maggiori incertezze.” Siamo in una fase di apprendimento e abbiamo più dubbi che certezze” – ammette il dottor Ferrari sottolineando però il ruolo importante dei test che ci aiutano a capire meglio come funzionano i vaccini. “Ci sono ancora molte questioni aperte e i laboratori contribuiranno a risolvere confermando il ruolo importante che hanno avuto e stanno avendo”.

Salute come volano della crescita economica. Decalogo di Motore Sanità per ripartire. Sanità e Salute nuovo fulcro della crescita economica

Università di Parma

Le indicazioni della Winter School di Motore SanitàZanon: spesa sanitaria sia sganciata dal PIL Un decalogo per ripartire

 

Torino, 30 marzo 2021 – L’edizione 2021 della Winter School di Motore Sanità Call to Action per un SSN innovativo e resiliente… se correttamente finanziato, organizzata con il contributo incondizionato di Becton Dickinson, Shionogi, Astellas, Gilead, Teva, Abbott, Angelini Pharma e Siemens healthineers, ha dettato i nuovi parametri di quella che deve essere la futura gestione della spesa sanitaria.

L’intenso programma di lavori ha prodotto una radicale riflessione sui cambiamenti da apportare alla Sanità, processo che deve partire dalle modalità più opportune per rinforzare i finanziamenti al SSN, passa per l’impiego degli stanziamenti che arriveranno dal Recovery Fund e arriva alla distribuzione paritaria dei fondi tra le varie regioni.

 

Più risorse economiche, più risorse umane, tecnologie innovative e una riorganizzazione complessiva per una Sanità più forte, flessibile, efficiente ed efficace. La salute non può più essere pensata come un puro costo che grava sulle spalle degli della collettività: va metabolizzato il concetto che senza salute l’economia è destinata ad affondare, viceversa una governance della Sanità al passo coi tempi produce crescita.

Si è trovato un consenso tra tutti i relatori nel puntare a rendere la spesa sanitaria indipendente dal PIL, perché il settore sanitario deve poter assicurare il diritto costituzionalmente sancito della salute pubblica in maniera appropriata e costante a tutti i cittadini indipendentemente dalle fluttuazioni di stato. Pertanto la spesa deve essere quella necessaria e non può più essere legata a parametri di sostenibilità.

La Winter School di Motore Sanità ha visto confrontarsi alcuni tra i più rilevanti stakeholder, protagonisti delle scelte di politica sanitaria, e della clinica, mettendo a nudo la necessità di ridefinire dalle fondamenta il finanziamento della sanità complessiva, non solo pubblica ma anche e soprattutto mettendo a fuoco il ruolo della compartecipazione dei privati, cittadini, imprese, industria del farmaco e dei dispositivi, start-up e player nei comparti innovativi, anche in considerazione del ruolo chiave dei finanziamenti, leggi Recovery Fund, Next Generation EU. Finora il fondo sanitario nazionale ha stanziato per il 2021, con altre integrazioni, 121,3 miliardi rispetto ai 115,4 miliardi che erano stati stanziati per l’anno pre pandemico 2019, e ai 112,7 miliardi per il 2018. Dal 2000 al 2008 il fondo sanitario è aumentato del 3% l’anno, più del PIL quindi. Ma i fondi vanno anche opportunamente gestiti e impiegati, ed è questo il punto.

È emerso inoltre come vada urgentemente riorganizzato il Servizio Sanitario Nazionale sia nell’ambito ospedaliero che nell’ambito territoriale, nella sua funzione di prevenzione oltre che di diagnosi e cura anche per poter affrontare al meglio quelle che saranno le prossime sfide, comprese le eventuali nuove pandemie. La sanità del futuro sarà legata alla riorganizzazione della medicina territoriale partendo dal principio che le cure domiciliari anche complesse sono un diritto del cittadino, così come l’accesso al pronto soccorso e il ricovero in ospedale. La medicina territoriale deve diventare un diritto costituzionale del cittadino. Occorre effettuare in tempi rapidi una riorganizzazione, permettendo agli ospedali di avere una riserva di posti letto e soprattutto una dotazione organica maggiore di quella che hanno, anche perché se si dovesse andare incontro a qualche recrudescenza pandemica, non possiamo più pensare di interrompere la cura delle altre patologie, come purtroppo troppe volte è avvenuto in questo ultimo anno.

Altro concetto messo a fuoco è stato quello della sanità green: la necessità di ripensare la sanità in termini ambientali. Questo perché la sanità può essere energivora. Non dimentichiamoci poi che il cambiamento climatico è una concausa delle infezioni, delle pandemie e dell’aumento di mortalità a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Evolvere verso una economia più green aiuterà ad avere meno pandemie.

 

IL DECALOGO DELLA WINTER SCHOOL 2021 DI MOTORE SANITÀ

Il SSN negli ultimi anni non ha avuto finanziamenti adeguati ai bisogni. È necessario quindi rifinanziare correttamente, secondo un principio non solo legato al PIL, utilizzando il Recovery Fund e rendendo l’aumento del finanziamento sostenibile con stanziamenti adeguati nei prossimi anni. Questo il decalogo scaturito dal confronto tra gli esperti

 

1. La ripartizione del fondo nazionale tra le Regioni va rivisto. Occorre assicurare la copertura dei LEA con il concetto dei costi standard con quota procapite derivata dalla media delle 3 regioni più virtuose. Il resto dovrebbe essere una quota variabile legata al raggiungimento di obiettivi concordati tra Stato Centrale e Conferenza Stato/Regioni. Ma centrale dovrà essere considerato il percorso di cura e non le prestazioni come attualmente avviene nel Ns sistema remunerativo a SILOS.

2. Fondamentale raccogliere dati di REAL WORLD oggi difformi in tutto il territorio Nazionale, poiché misurati diversamente nelle varie realtà regionali, attraverso registri e metodologie da rivedere. Questo per consentire a chi deve effettuare programmazione e rendicontazione di avere indicatori efficaci, confrontabili e misurabili.

3. Si impone il rilancio della Medicina Territoriale, partendo dal concetto che l’assistenza domiciliare anche complessa è un diritto costituzionale del cittadino. Vanno potenziati: i team dell’assistenza domiciliare, la gestione della presa in carico territoriale coordinata dal distretto Socio Sanitario e il coordinamento tra Ospedale e Territorio utilizzando le nuove tecnologie digitali della sanità.

4. La riorganizzazione della Rete Ospedaliera deve superare il DM 70 e dotare gli ospedali di una riserva emergenziale di posti letto e di una adeguata implementazione di risorse umane, con un’organizzazione flessibile sia per gli spazi che per il personale.

5. Gestire al di fuori degli ospedali tutte le situazioni croniche per quanto possibile, a partire dagli screening, dalla rapida presa in carico iniziale, dai follow up, per finire alle terapie di supporto e terapie palliative. La telemedicina e gli ospedali virtuali (di cui esistono esempi efficaci realizzati all’estero) ne possono coadiuvare l’azione.

6. Prevedere concreti piani nazionali e regionali di prevenzione per affrontare le attuali e future pandemie, che consentano anche di evitare il procrastinare delle diagnosi e cure delle altre patologie chirurgiche e mediche.

7. È necessario impiegare una parte sostanziale del Recovery Fund nella ricerca delle scienze biomediche per implementare la diagnosi e la terapia per una medicina di precisione con l’ausilio della genetica molecolare.

8. Occorre riprendere l’azione diagnostica e terapeutica per le patologie croniche facendo emergere il sommerso, come nel diabete o nell’HCV, per curare la popolazione che non è cosciente di essere ammalata, che sottovaluta le possibili complicanze della malattia o non rispetta l’aderenza ai piani di cure. Gli obiettivi “HCV zero” e accesso semplificato alle cure innovative delle patologie croniche non sono procrastinabili.

9. È necessario sburocratizzare il SSN semplificando i percorsi, pensando prima all’utente e poi alla tutela del SSN. A partire dal concetto di ruoli e funzioni (chi fa che cosa per i MMG, per le Farmacie dei Servizi, per nuovi team di cura come le USCA) iniziando da alcune cose semplici come l’affidamento di alcune terapie diffuse anche alla medicina territoriale (NAO, antidiabetici glifozinici e incretinici, etc.). Il percorso che il malato dovrà fare deve essere codificato dall’inizio alla fine riscrivendo i PDTA con ruoli chiari e budget di presa in carico correttamente distribuiti in base al percorso studiato (percorso e non prestazioni come nel sistema remunerativo a SILOS).

10. È necessario agire anche attraverso il SSN alla lotta contro il cambiamento climatico con soluzioni che non solo aggiungono nuove pratiche green, ma che tolgono anche pratiche nocive. Azioni da intraprendere subito sono: diminuire la fame di energia ed il consumo di materiale ad alto impatto ambientale nelle strutture di cura, richiedere un certificato green per le aziende nei capitolati d’appalto, una movimentazione sostenibile e una presa in carico trasversale del paziente con utilizzo di strumenti innovativi come la telemedicina, la ricetta elettronica, la consegna a domicilio dei farmaci e progetti quali l’ospedale virtuale

Interstiziopatie polmonari: “Al via la Road Map per valutare i modelli organizzativi regionali e garantire uniforme accesso a livello nazionale’

tumore polmone

30 marzo 2021 – Le interstiziopatie polmonari sono malattie rare dell’apparato respiratorio, a complessa gestione. La prevalenza della sola Fibrosi Polmonare  Idiopatica (IPF) in Italia è di circa 15.000 pazienti. I centri dedicati alla cura di questa patologia in Italia sono 107, di cui 30 segue circa il 70% dei pazienti, con carico di lavoro oneroso e gravoso. L’approccio alla gestione di questi pazienti da parte delle Regioni è sempre più quello a rete regionale con sistemi ‘Hub & Spoke’. I Centri regionali sono gravati spesso da liste d’attesa di 6-8 mesi e per questo sarebbe necessario un ammodernamento del modello organizzativo a gestione multidisciplinare. Oggi, alcune di queste patologie sono state riconosciute nei LEA, ed è importante che sia garantita uniformità di accesso alle cure sul territorio Nazionale a tutti i pazienti. Con l’obiettivo di far confrontare tutti gli stakeholders a livello regionale impegnati nella cura di questa patologia, per implementare modelli gestionali e organizzativi, con al centro il paziente, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘INTERSTIZIOPATIE POLMONARI: FOCUS EMILIA-ROMAGNA’, primo di 9 appuntamenti a livello regionale, realizzati grazie al contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim.

 

“Le interstiziopatie polmonari non sono ormai malattie rare. Complessivamente rappresentano circa il 10% dell’attività ambulatoriale di una Pneumologia non specializzata su queste malattie. Ma le competenze necessarie per poter poi diagnosticare con accuratezza la malattia e saper scegliere la terapia più appropriata richiedono competenze che si costruiscono in anni e con l’apporto di diversi specialisti (Clinici, Radiologi, Anatomopatologi, Chirurghi Toracici). Queste competenze si strutturano e maturano in meeting periodici formalmente strutturati e nella continua attività di ricerca. Altri due elementi importanti perché questi ammalati siano ben seguiti e la ricerca possa avere fonti solide è l’organizzazione che vede Centri esperti collaborare ed essere riferimento per Centri periferici e la creazione di data-base o registri”, ha dichiarato Venerino Poletti, Responsabile Dipartimento Pneumologia AO Forlì

 “Alcune malattie reumatologiche autoimmuni come la sclerodermia e la artrite reumatoide possono colpire il polmone determinando interstiziopatie polmonari. È  importante fare sia una diagnosi precoce, che distinguere le forme evolutive da quelle non evolutive, poiché una terapia corretta è in grado di arrestare l’evoluzione, a volte mortale, del danno polmonare.   Un rafforzamento della collaborazione specialistica, in particolare tra Pneumologo e Reumatologo, e un approccio multidisciplinare sono necessari per garantire al paziente il miglior approccio diagnostico e terapeutico.  Le interstiziopatie polmonari inoltre  rappresentano un carico in aumento per i sistemi di sanità pubblica. È necessaria, pertanto, una maggiore disponibilità di servizi specializzati multidisciplinari al fine di perfezionare la gestione di queste patologie e di applicare protocolli di ricerca allo scopo di migliorare la prevenzione e il trattamento delle interstiziopatie polmonari”, ha spiegato Carlo Salvarani, Direttore Medicina Specialistica Reumatologia AOU Reggio-Emilia

 

“Tutto ciò che fa riferimento a patologie rare e croniche ha comportato una serie di comunicazioni e azioni organizzative per gestire appropriatamente i pazienti con queste situazioni, tra cui c’è anche l’interstiziopatia polmonare, ma tutte le patologie con casistiche cliniche hanno comportato una riflessione da parte della Regione e delle Aziende sanitarie. Per garantire appropriatezza, la Regione si è organizzata a livello regionale con promozione di visite specialistiche e monitoraggi anche a distanza, oltre alla  consegna a domicilio di medicinali grazie al prezioso supporto di strutture di volontariato che hanno facilitato la gestione di pazienti cronici, più fragili e con patologie rare. Presso ambulatori specialistici sono quindi esautorati i rischi di contagio. Nell’ambito dei percorsi dei pazienti affetti da patologie croniche non è emersa una contaminazione maggiore e i contagi possono avvenire anche al di fuori dall’ambulatorio, non legati alla gestione clinica delle patologie croniche”, ha affermato Valentina SolfriniDirezione Generale Cura della Persona Salute e Welfare, Servizio Assistenza Territoriale, Area Farmaci e Dispositivi Medici, Regione Emilia-Romagna

 

Ictus: “Indispensabile prevenzione primaria dei fattori di rischio quanto tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

29 marzo 2021 – La Stroke Alliance for Europe (SAFE) ha stimato come, già nel 2017, l’impatto economico dell’ictus nell’Unione europea ammontasse a 60 miliardi di euro, con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione, e potrebbe arrivare a 86 miliardi di euro nel 2040. In Italia l’ictus è oggi la prima causa di disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative ed assistenza con un carico economico gravoso sui pazienti ed i propri familiari. La combinazione di questi fattori rende indispensabile un’azione decisa verso la prevenzione dell’insorgenza dell’ictus, che intervenga tanto sui fattori di rischio quanto sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus. Di questo si è parlato durante il webinar Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana. Focus Sud, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Queste le parole di Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare – Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organisation e dell’Osservatorio Ictus ItaliaL’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. Inoltre, il costante invecchiamento demografico potrebbe inoltre alimentare un incremento dell’incidenza del 30% tra il 2015 ed il 2035 per cui è importante investire sull’implementazione delle cure e la prevenzione anche per evitare che il sistema non regga. Informare sull’impatto economico dell’ictus (nell’UE 45 miliardi di euro nel 2016), con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione. Il carico economico risulta inoltre particolarmente gravoso anche sui pazienti e i propri familiari: in Italia l’ictus è oggi la prima causa di disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative e assistenza. Importante intervenire sulla prevenzione primaria dei fattori di rischio e sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus, come ricorda il report pubblicato dall’Economist Intelligence Unit, una ricerca sulle politiche e gli investimenti nella prevenzione dell’ictus, comprese le risorse per le campagne di sensibilizzazione, educazione della popolazione e di screening. Per comprendere meglio le differenze organizzative a livello europeo, la ricerca è stata condotta in cinque paesi: Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito. La ricerca è basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione. Il report è stato revisionato a livello italiano da me. Le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti: 1 – sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. 2 – potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario, (istituzione dell’infermiere di famiglia, impegno per i medici di medicina generale). 3 – promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. 4 – sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

“In Italia vi è la necessità di promuovere un programma di prevenzione primaria dell’ictus che adotti una strategia attiva di screening, in modo simile a quanto, ad esempio, è stato fatto nelle patologie oncologiche. A partire dai 40 anni di età ogni singolo individuo dovrebbe poter accedere ad una valutazione del proprio rischio cerebrovascolare (fattori di rischio individuali, familiarità, stili di vita) ed essere sottoposto periodicamente (ogni 1- 3 anni) ad alcuni semplici esami diagnostici: un ecodoppler dei tronchi sopraortici, un ECG, una valutazione dei polsi periferici arteriosi, la rilevazione della pressione arteriosa. Le ricadute sarebbero immediate, individuando subito i soggetti ad alto rischio per TIA o Ictus, ma anche nel favorire una maggior consapevolezza per l’adozione di comportamenti salutari. Il costo dello screening sarebbe sicuramente ripagato dalla possibilità di ridurre l’incidenza di ricoveri per ictus acuto e per le devastanti conseguenze nei pazienti che vi sopravvivono”, ha spiegato Giuseppe Rinaldi, Responsabile Neurologia e Stroke Unit dell’Ospedale Di Venere di Carbonara Bari

Le strategie per migliorare la prevenzione dell’ictus devono prevedere un coinvolgimento dei professionisti specifici del settore (medici, infermieri, farmacisti) che devono supportare, sensibilizzare i politici affinché’ impieghino, in modo mirato ed epidemiologicamente corretto, le risorse economiche per diffondere le corrette pratiche di prevenzione dell’ictus. A tal proposito è auspicabile una sinergia tra professionisti e le associazioni dei pazienti che conferisce maggiore valenza nei rapporti con la politica. Un ulteriore momento, che può radicare nella società la diffusione della cultura della prevenzione, è il coinvolgimento degli alunni nelle scuole con lezioni di

educazione sanitaria programmate a seconda dell’ordine ed il grado”, ha sostenuto Leonardo Barbarini, Direttore f.f. Neurologia Stroke Unit P.O. “V. Fazzi” Lecce

“Tutte le statistiche concordano sul fatto che l’ictus cerebrale rappresenti una delle malattie più frequenti collegata ad un ragguardevole rischio di morte e disabilità. È la seconda causa di morte nei Paesi occidentali e una delle prime cause di disabilità nelle persone adulte. I fattori di rischio lo collocano in stretta relazione con il complesso delle malattie cardiovascolari della parte neurologica. Nel proprio piccolo, A.L.I.Ce. Puglia è impegnata da circa 20 anni nella lotta all’ictus cerebrale con numerose campagne di informazione e sensibilizzazione, screening gratuiti nelle piazze, iniziative rivolte alla popolazione atte a persuadere sulla consapevolezza del rischio. Ben vengano, dunque, iniziative del genere che portano a rendere edotta la popolazione sui reali rischi e consiglino come prevenire le malattie al fine di vivere una vita più sana”, ha detto Michele Bovino, Presidente Regionale A.L.I.Ce. Puglia

Molti casi di ictus cerebrale si potrebbero evitare se si potesse attuare un’adeguata prevenzione e trattamento dei fattori di rischio cardiovascolare. In prevenzione primaria è necessaria una maggior opera di diffusione e conoscenza dei fattori di rischio per l’ictus e del loro trattamento, a partire dalle modifiche dallo stile di vita ( dieta, attività fisica, sospensione del fumo), alla terapia farmacologica ottimale dei principali fattori quali l’ipertensione arteriosa, la fibrillazione atriale, il diabete tipo2, le dislipidemie. A tal proposito il medico di Medicina Generale potrebbe svolgere un importante ruolo. In prevenzione secondaria, per i pazienti già colpiti dalla malattia, l’organizzazione di ambulatori specialistici dedicati all’ictus, sia in strutture pubbliche che private, consentirebbe un controllo clinico globale del paziente da parte dei vari medici specialisti presso la stessa struttura, evitandone visite e talvolta viaggi anche in altre città .Una struttura dedicata potrebbe seguire anche pazienti in prevenzione primaria, fornendo prestazioni sanitarie integrate”, ha dichiarato Pietro Banna, Rappresentante  A.L.I.Ce. Sicilia

L’ictus riconosce diversi fattori di rischio che sono classicamente suddivisi in fattori modificabili e non modificabili. I principali fattori di rischio modificabili sono: l’ipertensione, la fibrillazione atriale, l’aterosclerosi, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, il fumo di sigaretta, l’abuso di alcol e la ridotta attività fisica. Tali fattori di rischio interagiscono in modo fattoriale e il rischio di ictus aumenta più che proporzionalmente al numero di fattori di rischio presenti. È importante conoscere ed agire sui fattori di rischio modificabili: l’ictus è una condizione prevenibile; sicuramente, uno stile di vita sano, senza eccessi, ne riduce il rischio. Pertanto, sarà importante agire in termini di prevenzione, ovvero trattare le eventuali ipertensione arteriosa ed ipercolesterolemia, abolire il fumo di sigaretta, ridurre il consumo di caffeina, abolire l’abuso di alcol, evitare la sedentarietà e praticare attività fisica di grado moderato. L’attività fisica sfrutta l’effetto protettivo che ha nei confronti del nostro organismo, diminuendo in modo significativo il verificarsi di condizioni ed eventi che favoriscono l’insorgenza dell’ictus. Si potrà notare come l’attività fisica agisca positivamente su diversi fattori che riguardano l’ictus da vicino: invecchiamento, pressione arteriosa, patologie croniche, cardiovascolari, migliora le capacità di pompa del cuore, aumento il numero di capillari, aumento del colesterolo HDL, diminuzione dei trigliceridi riduce il sovrappeso, ovvero tutte quelle condizioni favorenti le cause principali della patologia (placche aterosclerotiche, trombi, eventi emorragici)”, ha aggiunto Rosario Sasso, Rappresentante  A.L.I.Ce. Campania

L’infezione da HCV torni protagonista nella salute pubblica: ‘Coordinata in modo incisivo a livello centrale e resa omogenea in tutte le Regioni’

Influenza e infezioni

Stanziati fondi per effettuare lo screening HCV, ma ci sono alcune Regioni virtuose ed altre meno. Per individuare le best practice regionali e proporre spunti di riflessione, all’interno della 2 giorni della Winter School “CALL TO ACTION PER UN SSN INNOVATIVO E RESILIENTE…  SE CORRETTAMENTE FINANZIATO di MOTORE SANITÀ, ha organizzato il Webinar ‘Screening dell’HCV per biennio 2021-2022 e call to action per una sua realizzazione nelle varie Regioni’, con il supporto incondizionato di Gilead.

Loreta Kondili, Ricercatore Medico Specialista Istituto Superiore di Sanità, ha affermato come “l’Italia ha avuto il triste primato di essere uno dei paesi con più alta prevalenza dell’infezione da HCV in Europa. Ma oggi si può parlare di un presente diverso dal passato. In Italia le politiche sanitarie che hanno determinato l’accesso ai farmaci ad azione antivirale diretta hanno avuto una rapida e soddisfacente evoluzione. Passando dal criterio “prioritizzato” del trattamento, per i pazienti con un danno avanzato del fegato, ad un accesso “universale”, l’Italia ha segnato il primato Europeo per i numeri dei pazienti trattati con oltre 200 000 pazienti trattati per l’infezione cronica da HCV. Questo traguardo è grazie ad un approccio universalistico e solidale unico al mondo, e politiche sanitarie lungimiranti considerando, oltretutto, il significativo numero dei casi infetti. Si stima che ci siano circa 282.000 pazienti con infezione cronica da HCV, ancora da diagnosticare, di cui circa 146.000 avrebbero contratto l’infezione attraverso l’utilizzo attuale o pregresso di sostanze stupefacenti, circa 81.000 mediante i tatuaggi, piercing o trattamenti estetici a rischio. Queste stime richiamano l’attenzione sull’implementazione di piani di eliminazione non solo a livello nazionale, ma soprattutto a livello regionale. Lo stanziamento di 71.5 milioni di euro per lo screening gratuito di particolari gruppi di popolazione in Italia (tossicodipendenti, individui in carcere e la popolazione nata tra 1969/1989) permetterà di dare una grande prospettive per il conseguimento degli obiettivi indicati dall’OMS per il 2030. La realizzazione di questa campagna attiva di screening gratuito, presente nel piano nazionale di eliminazione, è compito delle Regioni e le Regioni dovranno lavorare in modo omogeneo per metterlo in atto. Investire in prevenzione per eliminare l’infezione da HCV e la malattia ad essa correlata vuol dire investire per lo screening e per la cura dei pazienti diagnosticati. I risultati di costo beneficio, del trattamento dei pazienti diagnosticati grazie allo screening attivo in Italia, hanno mostrato che l’investimento iniziale per la terapia antivirale, verrà recuperato in soli 4/5 anni. Si stima che l’eliminazione del virus nella popolazione oggi “sommersa” genererà in 20 anni, un risparmio di oltre 63 milioni di euro per 1.000 pazienti trattati. Questa è una prova a sostegno di un investimento continuo per la cura dell’infezione da HCV considerando che l’identificazione e il trattamento della popolazione con infezione non diagnosticata è l’unico modo per ottenere l’eliminazione dell’infezione da HCV in Italia. Il finanziamento attuale è un pilota ma che deve proseguire nel tempo. È stato stimato che in Italia il rinvio del trattamento con i DAA di solo 6 mesi a causa della Pandemia da Covid 19 (e ora siamo ben oltre 6 mesi) causerà in 5 anni un aumento dei decessi in oltre 500 pazienti con infezione da HCV. morti evitabili se i test e il trattamento non fossero rinviati. Nel perseguire la strategia di uscita da rigorose misure di blocco per Covid-19, la prescrizione di DAA dovrebbe continuare ad essere una priorità assoluta, per continuare a seguire la strategia di eliminazione dell’HCV. La pandemia non deve costituire un ostacolo, ma uno stimolo; la prevenzione, punto centrale nella gestione del Covid-19, deve tornare protagonista nella salute pubblica anche per l’eliminazione dell’infezione da HCV, coordinata in modo più incisivo a livello centrale e resa omogenea in tutte le Regioni. La cura dell’epatite C deve essere considerato un investimento e non una spesa”.

 

La battaglia contro l’HCV non è conclusa, anche perché le azioni per far emergere il sommerso sono ancora insufficienti. È quindi utile mettere a terra nelle varie Regioni progetti di screening  mirati a partire dalla popolazione a rischio In Italia si stima che circa l’1% della popolazione abbia infezione da HCV.” Ha affermato Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità

 

“Le terapie per l’epatite C sono crollate del 60%, così come i follow up. Noi aspettiamoci un incremento dei tumori del fegato, perché se le persone non fanno i controlli è inevitabile che ci troveremo con formazioni neotumorali avanzate. È quindi indispensabile che le persone a rischio vengano curate e facciano i follow up” ha dichiarato Ivan Gardini, Presidente Associazione EpaC Onlus nnio 2021-2022 e call to action per una sua realizzazione nelle varie Regioni’, con il supporto incondizionato di Gilead.

Ambiente, clima e salute: “Sarà sanità green o ci dobbiamo preparare a nuove terribili pandemie?’

malattie neuro degenerative

27 marzo 2021 – Questo il tema discusso durante il Tavolo di lavoro ‘Salute, pandemia da Covid-19 e cambiamento climatico: è possibile pensare a una Sanità Green?’ durante la Winter School “CALL TO ACTION PER UN SSN INNOVATIVO E RESILIENTE…  SE CORRETTAMENTE FINANZIATO di MOTORE SANITÀ, che ha visto per 2 giorni confrontarsi i massimi esperti della Sanità italiana.

 

Queste le parole di Domenico Scibetta, Presidente Federsanità ANCI Veneto “Ci sono sempre state pandemie nell’umanità con germi e virus che derivavano dagli animali. Negli ultimi 30anni ci sono state malattie emergenti derivate dagli animali. L’OMS ha spiegato il rapporto cambiamenti climatici e la possibilità di sviluppare malattie. La deforestazione ha alterato l’equilibrio tra razza umana e animale, come ad esempio è successo con il pipistrello.  È chiaro che la temperatura e la qualità dell’aria giocano un ruolo determinante nel generare malattie. In Siberia il CNR francese ha trovato virus sepolti da 30 mila anni che hanno una grande complessità genetica, come in Cile e Australia ne sono stati trovati altri. Dovremmo prepararci alle conseguenze delle alterazioni del clima”.

 

“Il sistema sanitario italiano è sicuramente importante ma gli manca la capacità di aprirsi maggiormente alle sfide che ha di fronte, ha bisogno di collaborare anche con l’ecosistema nel quale si colloca. L’Emilia-Romagna ha lavorato su ricerca e innovazione per un settore green, con un occhio alla sostenibilità che è fondamentale. Abbiamo bisogno di trovare soluzioni più compatibili ambientalmente. Lo sforzo Data e Clima è un connubio per noi importantissimo. Abbiamo nella nostra Regione tutto un sistema sulla sicurezza alimentare. Nelle azioni che stiamo sviluppando abbiamo una rete integrata e il tema clima e salute sono per noi importantissimi. Non abbiamo certezza che in futuro questa pandemia non ci sarà ancora ed è quindi fondamentale ci siamo sistemi ambientali sicuri”, ha detto Morena Diazzi, Direttore Generale Direzione generale economia della conoscenza, del lavoro e dell’impresa – Responsabile del Servizio Ricerca, Innovazione, Energia ed Economia Sostenibile Regione Emilia-Romagna

 

“Dall’esperienza Covid abbiamo capito che bisogna agire prima altrimenti è troppo tardi, lo stesso vale per la situazione climatica: ogni giorno perso sarà come per il Covid un morto in più per mancata prevenzione. Bisogna ridurre gli impatti ambientali, con politiche verdi, ridurre le emissioni, l’utilizzo del carbone, del consumo del suolo e la dispersione della plastica negli oceani. Queste sono solo alcune delle azioni da compiere”, ha sostenuto Luca Mercalli, Presidente Associazione Meteorologica Italiana

 

“Ogni struttura può dare il proprio contributo al cambiamento climatico. Bisogna aggiungere misure verdi, avere ospedali e scuole che producano energia da sole. Per non parlare dei danni dati dall’inquinamento atmosferico. Una persona che vive in un ambiente inquinato ha o avrà sempre maggiori problemi di salute nel tempo” ha tenuto a precisare Antonello Pasini, Fisico del Clima, CNR