L’innovazione in oncologia: e-Health, telemedicina, gestione informatizzata dei dati sono le aree sulle quali investire maggiormente

La grande rivoluzione

23 Aprile 2021 – L’obiettivo del piano dell’Unione Europea per sconfiggere il cancro è affrontare

l’intero percorso della malattia, attorno a 4 aree di azione chiave in cui l’Unione può aggiungere il

massimo valore: prevenzione, diagnosi precoce, diagnosi e trattamento, qualità della vita dei malati

di cancro e sopravvissuti. Nei prossimi anni si concentrerà sulla ricerca e sull’innovazione, sfruttando

il potenziale che la digitalizzazione e le nuove tecnologie offrono e mobilitano strumenti finanziari a

sostegno degli Stati membri. Il nuovo programma insieme ad altri strumenti UE forniranno un sostegno

finanziario di 4 miliardi euro agli Stati membri, per rendere i loro sistemi sanitari più robusti e più capaci

di affrontare la malattia. In questa grande rivoluzione del “mondo cancro” fondamentale sarà sfruttare al

massimo il potenziale dei dati e della digitalizzazione e creare un Centro di conoscenza sul cancro

per facilitare il coordinamento delle attività scientifiche relative al cancro a livello dell’UE (entro 2021),

lanciare un’iniziativa europea per l’imaging del cancro per supportare lo sviluppo di nuovi strumenti

computerizzati per migliorare la medicina personalizzata e soluzioni innovative (2022); consentire ai

malati di cancro di accedere in modo sicuro e condividere cartelle cliniche elettroniche per la

prevenzione e il trattamento transfrontaliero attraverso lo Spazio europeo dei dati sulla salute

(2021-2025), espandere il sistema europeo di informazione sul cancro (2021-2022), lanciare i

partenariati di Orizzonte Europa per tradurre la conoscenza scientifica in innovazioni (2021).

Per fare il punto, Motore Sanità ha organizzato, in collaborazione con Periplo, un nuovo incontro

ONCOnnection LA RETE ONCOLOGICA STRUMENTO DI GOVERNO E DI PROGRAMMAZIONE

DELLE RISORSE NECESSARIE; un webinar incentrato sul mondo dell’oncologia e realizzato grazie

al contributo incondizionato di Pfizer, Amgen, Boston Scientific, Nestlé Health Science, Takeda,

Kite a Gilead Company, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson Kyowa Kirin.

Un esempio dei grandi passi avanti fatti in oncologia sono le Car-T, la terapia personalizzata e, ultima

novità, riguarda il carcinoma della mammella: presto saranno attivati i centri dove utilizzare il genoma,

come ha spiegato Maria Grazia Laganà, Direttore Direzione generale della programmazione sanitaria –

Qualità, rischio clinico e programmazione ospedaliera Ministero della Salute.

Per quanto riguarda il carcinoma della mammella abbiamo lavorato sulla parte genomica che prevedeva

la legge di bilancio del 30 dicembre 2020quindi ben presto saranno attivati i centri dove utilizzare il

genoma e questa è una importante novità. Abbiamo fatto tutto quasi in un mese di tempo. Dobbiamo

puntare a un ammodernamento dell’organizzazione in oncologia perché la ricerca scientifica va avanti e

dobbiamo stare al passo e non possiamo restare indietro”.

 

“Lo scenario a cui andiamo incontro è quello di una innovazione in ambito di diagnostica e in ambito di

terapia molto diversa rispetto a quella del passatoè necessario avere dei modelli di calcolo del

fabbisogno che tengano conto di queste nuove caratteristiche dell’innovazione che poi andrà ad

impattare sul corso generale del percorso di gestione del paziente – è stato l’appello di Giuseppe

Turchetti, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Scuola Superiore Sant’Anna,

Pisa -. Il tema delle risorse è un tema da affrontare senza evitarlo altrimenti il rischio è che nel prossimo

futuro ci troveremo nella condizione assai negativa di dover razionare rispetto ad alcune innovazioni che

arriveranno. Dobbiamo assolutamente prepararci”.

 

L’e-Health, la telemedicina, la gestione informatizzata dei dati sono le aree sulle quali investire maggiormente.

C’è necessità di disporre di dati veri, reali, fruibili: non si può pensare di governare una rete se non abbiamo

a disposizione questo strumento – ha rimarcato ha spiegato Gianni Amunni, Associazione Periplo – Direttore

Generale ISPRO, Regione Toscana -, c’è bisogno di finanziamenti”.

 

Gli investimenti in queste tecnologie – ha aggiunto il professor Turchetti – possono veramente consentire un

miglior coordinamento fra i diversi snodi di una rete oncologica e una maggiore velocità di intervenire, e ricordo

che in ambito oncologico il fattore tempo è preziosissimo”.

ONCOnnection “Le reti oncologiche sono fondamentali per la massima efficacia ed efficienza dei percorsi di cura”

Blockchain e AI

22 aprile 2021 – Sono 270 mila le persone colpite dal cancro in Italia ogni anno, di questi,

fortunatamente, una metà vince la battaglia e l’aspettativa di vita in generale si è allungata.

Per affrontare però i problemi che esistono, è imprescindibile sia attivare reti oncologiche

regionali per rendere omogeneo l’accesso alle cure ai pazienti su tutto il territorio nazionale

sia accelerare l’uso della tecnologia, realizzando piattaforme digitali utilizzabili in tempo reale

dagli specialisti. Per fare il punto, Motore Sanità ha organizzato, in collaborazione con Periplo,

un nuovo incontro ‘ONCOnnection LA RETE ONCOLOGICA STRUMENTO DI GOVERNO E DI

PROGRAMMAZIONE DELLE RISORSE NECESSARIE’; un webinar incentrato sul mondo

dell’oncologia e realizzato grazie al contributo incondizionato di Pfizer, Amgen, Boston Scientific,

Nestlé Health Science, Takeda, Kite a Gilead Company, Janssen Pharmaceutical Companies of

Johnson & Johnson e Kyowa Kirin.

 

“Ritengo di estrema importanza l’attivazione delle reti oncologiche regionali per rendere equo l’accesso 

alle cure. Inoltre, esse rappresentano lo strumento per erogare prestazioni in appropriatezza attraverso

percorsi diagnostici-terapeutici efficaci. Si auspica che tutto venga monitorato attraverso piattaforme

digitali intercomunicanti, affinché si possa sempre rilevare, attraverso gli indicatori, l’efficienza del sistema.

Per fare tutto questo è necessario rivedere le risorse umane ed accedere immediatamente all’innovazione

tecnologica”, ha dichiarato Livio Blasi, Presidente CIPOMO

 

“Il modello a rete consente più di altri di garantire prossimità, equità, omogeneità e diritto governato

all’innovazione. La rete come organismo di coordinamento dell’intero sistema oncologico, garantisce

processi di semplificazione e di appropriatezza nella programmazione in questo settore: dagli investimenti

su tecnologie pesanti all’individuazione dei centri di riferimento, dall’equilibrio tra prevenzione ricerca e cura,

all’interlocuzione con il mondo dell’Industria, dalla opportunità di una maggiore integrazione tra ospedale e

territorio, al monitoraggio dell’efficacia e dell’efficienza dei percorsi di cura”, ha detto Gianni Amunni,

Associazione Periplo – Direttore Generale ISPRO, Regione Toscana

 

“Le Reti Oncologiche Regionali rappresentano uno strumento oggi sempre più indispensabile per garantire

da una parte equità nell’accesso dei pazienti a cure appropriate e di qualità, e dall’altro per razionalizzare e

programmare le risorse economiche, tecnologiche e professionali necessarie nell’ambito dei territori.

Il governo realizzato dalla rete può permettere di articolare l’offerta sanitaria in modo da tener conto dei

volumi, delle caratteristiche e delle prestazioni richieste e degli esiti attesi, della logistica, delle

professionalità/tecnologie e delle risorse disponibili, in un ambito di integrazione multidisciplinare e di una

nuova continuità ospedale-territorio. La progettualità e la necessità di interrelazione in rete riguardano tutte 

le fasi della malattia oncologica dalla prevenzione e dai programmi di screening (per i tumori della mammella,

cervice uterina e colon-retto), ai percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA), alle cure palliative, alla

riabilitazione fisica e psico-sociale fino alla fase terminale ultima di malattia. La programmazione dell’attività si

rapporta e risponde così a diverse condizioni e “bisogni” quali le molteplicità e le diversità delle singole patologie

oncologiche, le differenze degli interventi assistenziali richiesti, l’impatto della malattia sulle condizioni psico-sociali

del paziente, e oggi sempre di più a quanto richiesto dalla “cronicizzazione” della malattia e dall’incremento dei

pazienti cosiddetti “survivors” e guariti. La Rete Oncologica Regionale diventa quindi lo strumento centrale per il

governo della “complessità” della malattia oncologica”, ha spiegato Carmine Pinto, Direttore della Struttura

Complessa di Oncologia dell’IRCCS Santa Maria Nuova, Reggio Emilia

Cancro e Covid: come uscire dall’emergenza?

Velocizzare il piano vaccinale

Il dramma della pandemia: diminuzione di circa il 30% dell’attività di screening

e degli interventi chirurgici per tumore, che varia dal 20% al 24% al 30%.

Impatto significativo sul numero di nuove diagnosi e trattamenti, oltre che

sulle richieste di visite specialistiche ed esami. Gli oncologi visitano 25-30

pazienti in meno la settimana.

 

17 Aprile 2021 – Secondo una recente analisi delle attività svolta da AGENAS in tempo di

pandemia, emerge nel 2020 la diminuzione di circa il 30% dei volumi dei tre screening

(cervicale pari a -32,20%, mammografico, -30,32% e colon rettale, pari a -34,70%) e

una diminuzione dei volumi di attività degli interventi chirurgici per tumore che varia

dal 20% al 24% al 30%: per tumore alla mammella -22,05%, per tumore alla prostata -24,02%

, per tumore al colon -32,64%, per tumore al retto -13,86%, per tumore al polmone -18,25%,

per tumore all’utero -13,84%, per melanoma -21,47%, per tumore alla tiroide – 31,23%.

Dall’indagine IQVIA durante il 2020 il Covid 19 ha avuto un impatto significativo sul

numero di nuove diagnosi e trattamenti, oltre che sulle richieste di visite

specialistiche ed esami: -613.000 nuove diagnosi (-13%), -35.000 nuovi trattamenti (-10%),

-2.230.000 invii allo specialista (-31%), -2.860.000 richieste di esami (-23%). Questo si è

riflettuto soprattutto in ambito ospedaliero ad una drastica riduzione nel consumo di

farmaci. Inoltre emerge che a tutt’oggi gli oncologi visitano molti meno pazienti che

nel periodo antecedente la pandemia: 30% in meno da aprile 2020 a febbraio 2021, che

significa che in media vengono visitati circa 25-30 pazienti in meno la settimana.

La drammatica situazione emergenziale ha messo a dura prova il Sistema sanitario

nazionale ma ha anche permesso di mettere in luce punti di forza e di debolezza sui

quali è necessario intervenire per dare un nuovo volto all’oncologia italiana. Tutto

questo è stato affrontato nel corso del webinar organizzato da Motore Sanità in

collaborazione con FAVO – Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato

in Oncologia, dal titolo “CANCRO E COVID L’EMERGENZA NELL’EMERGENZA.

L’ONCOLOGIA NELL’ERA INTRA E POST PANDEMICA”.

 

Serve un piano di investimenti sulla sanità pubblica molto rilevante – ha spiegato

Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna – che tenga conto di

questi aspetti: strutture anche ospedaliere che siano sempre più moderne, digitalizzate

e al servizio delle necessità e delle richieste delle persone, una medicina sempre più di

territorio, perché più strutture nel territorio si hanno, più è facile convincere le persone

ad andare a fare test o diagnosi. Credo che il Governo debba investire molto su questo.

E poi c’è l’assistenza domiciliare: da un lato che c’è bisogno di sistemi sanitari pubblici

all’altezza e dall’altro c’è necessità di avere un rapporto anche con la domiciliarità che

diventi in percentuale quello che già alcuni Paesi occidentali hanno, il 9-10% di cittadini

complessivi. Oggi in Italia è solo il 4%. Le prospettive sono di salire al 6% ma sarebbe

ancora troppo poco”.

 

Sono convinta che i finanziamenti debbano essere strutturali e non una tantum

per l’emergenza – ha sottolineato Manuela Lanzarin, Assessore alla Sanità e al

Sociale della Regione del Veneto – perché altrimenti è difficile creare dei percorsi

effettivi e risolutivi rispetto alle richieste dei pazienti. Quindi le grandi sfide sono un

rafforzamento dei sistemi e un lavoro di rete sempre più efficace tra i diversi luoghi di

cura proprio nell’ottica di dare risposte ai cittadini, di avere una maggiore qualità della

presa in carico degli assistiti e di una maggiore appropriatezza che vuol dire una cura

più mirata. Ci sarà ancora molto su cui lavorare”.

 

Nuova dimensione territoriale per una nuova vicinanza al paziente oncologico è un’altra

sfida, ma non bisogna dimenticare che mancano le risorse umane e che bisogna

ripensare il tema dell’equità nel riparto delle risorse. Questo è il commento di Pier Luigi

Lopalco, Assessore alla Sanità e benessere animale – Regione Puglia. “Non possiamo

fare solo affidamento sulle risorse, che speriamo che arriveranno, ma bisogna rendere

efficiente il sistema investendo in innovazione e potenziando le risorse umane perché

mancano i medici. Per la medicina territoriale investire in innovazione significa migliorarne

l’efficienza garantendo al paziente una “medicina a km 0”. Però dobbiamo anche ripensare

il tema dell’equità: nel riparto delle risorse il Sud è penalizzato, la mobilità passiva è un cane

che si mangia la coda, che impoverisce le sanità meridionale: sarà necessario ristabilire

l’equità delle risorse”.

 

A causa della pandemia il Piemonte ha perso il 19% di ricoveri ordinari di pazienti

oncologici e ha visto una riduzione di attività di ricoveri chirurgici oncologi del 15%

– ha spiegato Alessandro Stecco, Presidente Commissione Sanità Regione Piemonte -.

Ma altre attività sono andate avanti come i trapianti di cellule staminali e la somministrazione

della terapia Car-T. Ci sono stati anche dei rilanci: siamo state tra le prime regioni italiane a

fare la delibera per sbloccare la telemedicina a livello regionale. A febbraio 2021 abbiamo

normato il Molecular Tumor Board regionale che sta per essere avviato e prossimamente

saranno identificati i centri di riferimento e i centri prescrittori. Stiamo riprogettando la

sanità territoriale per costruire insieme alla Rete oncologica la cosiddetta oncologia

di prossimità. Infine, grazie alla riforma dei medici di medicina generale metteremo in rete

la medicina di famiglia e le Case della salute con le 40 oncologie del Piemonte che fanno

parte dell’ossatura della Rete oncologica regionale. Proprio sul concetto di rete porteremo

avanti le nostre nuove sfide in campo oncologico”.

 

Per il rilancio dell’attività oncologica credo che prima di un Piano oncologico nazionale

di un Piano della prevenzione nazionale ci deve essere un Piano sanitario nazionale –

ha spiegato Domenico Mantoan, Direttore Generale Agenas – che vada a definire

finalmente qual è il modello della medicina del territorio, qual è il modello organizzativo

dell’integrazione ospedale-territorio da cui poi ne derivano anche i modelli organizzativi

e i fabbisogni sanitari e di personale. La grande occasione per fare questo, e che non

possiamo sprecare, è il Recovery fund, ma per evitare che questi soldi siano diffusi in

mille rivoli, credo che ci sia la necessità di andare a definire, insieme ad un Piano

oncologico nazionale, un livello di HTA nazionale che vada a precisare meglio quali

sono le tecnologie che il nostro Paese deve avere sia in termini di chirurgia oncologica

sia in termini di radioterapia, e dare le possibilità a tutte le regioni di avere lo stesso

livello di tecnologia. Ricordo che l’UE sta costruendo le reti degli ospedali di

accreditamento, la nostra oncologia in questa rete di centri di alta eccellenza

accreditati ci deve essere, altrimenti saremo una sanità di serie B”.

Cancro e Covid: il grido d’allarme dei pazienti e delle loro Associazioni Contro l’emergenza oncologica serve subito un nuovo Piano Nazionale

Recovery Fund

L’appello di FAVO al Governo: «Bisogna garantire la sicurezza ai malati oncologici,

tra le persone più fragili, l’immediato ricorso alla vaccinazione e percorsi

differenziati negli ospedali. Le associazioni dei malati chiedono il diritto ad un

Piano di emergenza per abbattere le liste di attesa in chirurgia oncologica».

 

«L’Italia resterà fanalino di coda se non si attiverà un piano che preveda il

potenziamento e il finanziamento delle infrastrutture, la formazione del personale

e la regolamentazione dell’accesso alle cure innovative».

 

16 Aprile 2021. «I pazienti oncologici non possono più aspettare, non esiste solo il Covid-19. Il

cancro è diventata una emergenza nell’emergenza. L’Italia deve reagire subito con un Piano

Oncologico Nazionale in linea con il Piano Europeo di lotta contro il cancro, per tutelare la vita

delle persone malate di cancro».

La pandemia di Covid-19 sta mettendo in serio pericolo la vita delle persone colpite da tumore

e ad appellarsi sono le 550 associazioni federate FAVO – Federazione Italiana delle

Associazioni di Volontariato in Oncologia, che chiedono risposte concrete.

Una nuova occasione è stato il webinar organizzato da Motore Sanità in collaborazione con

FAVO – Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, dal titolo

“CANCRO E COVID L’EMERGENZA NELL’EMERGENZA. L’ONCOLOGIA NELL’ERA

INTRA E POST PANDEMICA”, per riportare le Risoluzioni all’attenzione del

Governo e delle Regioni, affinché vengano con estrema urgenza ripristinati in ambito

oncologico i livelli di assistenza precedenti al diffondersi dell’epidemia, e si proceda, con

adeguati finanziamenti, anche attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),

al necessario ammodernamento strutturale e di processo del Servizio Sanitario Nazionale,

anche nell’ottica di delineare un nuovo sistema di offerta, valorizzando il rapporto tra volumi

di attività delle strutture, esiti e sicurezza delle cure. Il punto 1 di entrambe le Risoluzioni

impegna il Governo ad adottare iniziative per provvedere con urgenza all’approvazione di

un nuovo Piano Oncologico nazionale, seguendo l’impostazione del Piano europeo di lotta

contro il cancro, approvato lo scorso febbraio, che insieme alla Mission on Cancer, segna

una nuova era oncologica in Europa, delineando con chiarezza obiettivi strategici, iniziative

faro e azioni di sostegno.

 

La pandemia di Covid-19 ha avuto forti ripercussioni negative sulla cura del cancro,

interrompendo azioni di prevenzione, trattamenti e follow up, ritardando diagnosi e

vaccinazioni e incidendo sull’accesso ai farmaci e provocando decessi. Dall’inizio della

pandemia le ferite sono profonde. I programmi di screening per i tumori al colon retto, alla

mammella e alla cervice sono stati temporaneamente sospesi in molte regioni italiane e in

particolare nella prima ondata, sia perché il personale sanitario è stato dirottato verso

l’assistenza ai malati Covid-19 sia perché la volontà di ridurre il rischio di contagio ha

prevalso sulla necessità di eseguire visite ed esami diagnostici.

 

«Nelle ondate successive, nonostante un parziale miglioramento, continuiamo a registrare

numeri preoccupanti – spiega la Dottoressa Antonella Levante, Vicepresidente IQVIA -.

Da indagini IQVIA su dati reali di prescrizione, aggiornati a Dicembre 2020, si registrano

ancora -17% nelle mammografie, -13% nelle TAC polmonari e -13% sulle colonscopie.

In aggiunta, dati stabili o addirittura in peggioramento nel periodo ottobre-dicembre 2020

rispetto alla prima ondata, su nuove diagnosi (-14%), interventi chirurgici (-24%) e minori

ricoveri (-37%), rispettivamente a -15% , -20% e 16% nel periodo febbraio-giugno 2020.

Infine, il dato che più preoccupa, è che alla quarta wave (febbraio 2021) gli oncologi italiani

dichiarano di visitare ancora in media il 30% di pazienti in meno rispetto al periodo

pre-pandemia».

 

«FAVO, non a caso, ha definito il Covid-19 uno tsunami per i malati di cancro – spiega il

Professor Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO – Federazione Italiana delle

Associazioni di Volontariato in Oncologia –. Il grido d’allarme lanciato da FAVO alla

Commissione Affari Sociali della Camera è stato pienamente recepito prima

dall’Onorevole Carnevali e successivamente dalla Senatrice Binetti, con due risoluzioni

approvate all’unanimità in 20 giorni e con il parere favorevole del Governo. Questo

webinar intende condividere con tutta la comunità oncologica il risultato eccezionale

che il Parlamento ha dimostrato di voler conseguire per rilanciare gli aspetti che più

preoccupano i malati di cancro, sollecitando il Governo ad attuare quanto previsto

dalle risoluzioni, attraverso un nuovo Piano Oncologico Nazionale che, in linea con

quello europeo, definisca una progettualità complessiva da inserire nel Recovery Plan».

«Il nuovo Piano – ha rimarcato De Lorenzo – dovrà prevedere una regia centrale, un

monitoraggio delle previsioni di attività, una chiara identificazione dei ruoli, il

potenziamento e il finanziamento delle infrastrutture, la formazione del personale e la

regolamentazione anche dell’accesso alle cure innovative. Il Piano, inoltre, deve

porre al centro della programmazione le Reti oncologiche regionali, tenendo conto del

documento sulle ‘Revisione delle Linee Guida organizzative e delle raccomandazioni

per la Rete Oncologica’. Solo così l’Oncologia italiana potrà accedere al

finanziamento europeo e quindi potrà assicurare a tutti i malati diagnosi più

tempestive e cure innovative che spettano loro per diritto».

 

«Il Covid ha creato una situazione di “allarme-tumori” che va affrontata con misure

urgenti  poiché il blocco di esami e visite oncologiche, la riduzione degli screening

da inizio pandemia, a cui è  seguita la paura dei pazienti ad accedere agli ospedali

in corrispondenza delle diverse ondate, hanno creato le premesse per una incidenza

maggiorare  di tumori nei prossimi anni – ha spiegato l’Onorevole Elena Carnevali,

Componente XII Commissione (Affari Sociali), Camera dei Deputati -. A partire dagli

impegni contenuti nella risoluzione a mia prima firma, approvata all’unanimità nel

novembre scorso, è necessario  un cambio di passo, in tempi davvero rapidi, che ci

porti all’approvazione di un nuovo Piano Oncologico Nazionale in linea con le

direttive europee, per poter riprendere ad effettuare screening oncologici, favorire la

presa in carico dei pazienti, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale,

garantendo l’accesso agli esami diagnostici e alle terapie antitumorali».

 

«Il Senato ha appena approvato un Ordine del giorno unitario con cui si chiedeva

con insistenza al Governo di approvare al più presto il Nuovo Piano Nazionale per

l’Oncologia e il Governo, scusandosi,  si è impegnato a farlo entro il prossimo mese

di giugno – ha spiegato la Senatrice Paola Binetti, Componente 12ª Commissione

Igiene e Sanità, Senato della Repubblica -. E’ una buona notizia per tutti i malati di

tumore,  per le loro famiglie, ma anche per tutte associazioni che li rappresentano,

a cominciare dalla FAVO.  I malati oncologici ai tempi della Pandemia sono stati

lasciati fin troppo soli con una grave compromissione della loro salute fisica, emotiva

e psicologica. L’OdG appena approvato segna una svolta decisa e coraggiosa, un

impegno reale a ripartire stando al loro fianco con tutti i mezzi che scienza e tecnica

ci offrono, ma anche con un calore umano che metta fine allo stato di solitudine, a

volte perfino di abbandono, di cui si sono sentiti vittime».

 

«In un momento drammatico quale la pandemia che ci troviamo a fronteggiare, la

Commissione Europea ha fornito una risposta importante per sostenere il burden

del cancro, finanziando la “Mission” sul cancro, il cui obiettivo è salvare tre milioni

di vite entro il 2030 – ha spiegato il Professor Walter Ricciardi, Presidente Mission

on Cancer -. Per raggiungere questo scopo sono state individuate cinque aree di

intervento: comprendere, prevenire ciò che si può prevenire, ottimizzare la diagnostica

e il trattamento, sostenere la qualità della vita, garantire un accesso equo. La “Mission”

rappresenta una importante opportunità per l’Italia, per consentire la creazione di una

sinergia tra le eccellenze del nostro Paese in ricerca e assistenza per giungere a

concrete collaborazioni tra le diverse competenze nell’ambito oncologico. Vengono

proposte 13 raccomandazioni, rivolte a interventi specifici, focalizzate sui bisogni della

popolazione e che necessitano di una grande cooperazione tra cittadini, ricercatori,

istituzioni e Paesi».

Ancora troppo bassi i livelli di aderenza terapeutica. Le conseguenze sono drammatiche: decessi e costi altissimi per il SSN

Aderenza e appropriatezza terapeutica

Cittadinanzattiva: «Serve più tempo da dedicare ai pazienti, formazione a personale sanitario, caregiver familiare e professionale e attuare il Piano della Cronicità su tutto il territorio».

Il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende i farmaci entro 3 mesi, oltre il 70% entro 6 mesi; solo il 13,4% dei pazienti è risultato aderente ai trattamenti con i farmaci per le sindromi ostruttive delle vie respiratorie.

I pazienti che hanno una bassa aderenza (inferiore al 50%) al trattamento farmacologico prescritto mostrano un rischio aumentato di mortalità per cardiopatia ischemica, emorragie cerebrali, ictus cerebrale rispetto ai pazienti che avevano una buona aderenza; nell’ipertensione non aderire gli antipertensivi aumenta di circa il 30% il rischio di infarto o ictus; e di 7-8 anni è la riduzione di aspettativa di vita nella persona con diabete non in controllo glicemico.

Un sondaggio USA: l’8% dei partecipanti è disposto a rinunciare a due anni di vita pur di evitare medicine da assumere ogni giorno, il 13% pur di evitarle accetterebbe anche un minimo rischio di mortalità, il 21% pagherebbe 1.000 dollari pur di evitare la pillola quotidiana-

15 aprile 2021 – Dalle analisi contenute nel Rapporto OsMed di AIFA, è evidenziato che è aderente alle terapie il 55,1% dei pazienti con ipertensioneil 52-55% dei pazienti con osteoporosiil 60% dei pazienti con artrite reumatoideil 40-45% dei pazienti con diabete di tipo II, il 36-40% dei pazienti con insufficienza cardiacail 13-18% dei pazienti con asma e BPCO, e il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende il trattamento entro 3 mesi ed oltre il 70% entro 6 mesi. Altro dato: solo il 13,4% dei pazienti è risultato aderente ai trattamenti con i farmaci per le sindromi ostruttive delle vie respiratorie nel 2016, evidenziando un trend sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente (13,6%). In un sondaggio dell’American Heart Association, l’8% dei partecipanti si è detto disposto a rinunciare a due anni di vita pur di evitare medicine da assumere giornalmente, il 13% dei soggetti ha dichiarato che pur di evitarle accetterebbe anche un minimo rischio di mortalità, il 21% pagherebbe più che volentieri 1.000 dollari o anche di più se questo consentisse di evitare la pillola quotidiana. È allarme: sono ancora troppo bassi i livelli di aderenza alle terapie e i rischi sono altissimi: morti per complicanze della malattia e costi altissimi per il SSN. Quello della non aderenza terapeutica è un tema che continua a persistere con conseguenze importanti sulla salute dei pazienti con malattie croniche soprattutto (colpiscono il 40% della popolazione italiana, pari a circa 24 milioni di persone e più della metà di loro, 12,6 milioni, ha due o più patologie croniche) e per il Sistema sanitario Nazionale. Basti pensare che in Europa si stimano 194.500 decessi e 125 miliardi di euro l’anno per i costi dei ricoveri dovuti a questo problema. In USA si stima che su 25 miliardi di dollari spesi all’anno per gli inalatori, 5-7 miliardi siano sprecati a causa del loro uso scorretto. L’innovazione in aderenza, raggiungendo una percentuale pari all’80%, farebbe risparmiare a livello pro capite una media annua di € 462 pro-capite per l’ipertensione, di € 659 per la dislipidemia e di € 572 per insufficienza cardiaca. Le cause della mancata o della scarsa aderenza ai trattamenti sono di varia natura e comprendono tra gli esempi più comuni la complessità del trattamento, l’inconsapevolezza della malattia, il follow-up inadeguatotimore di potenziali reazioni avverse, il decadimento cognitivo e la depressione, la scarsa informazione in merito alla rilevanza delle terapie, il tempo mancante all’operatore sanitario spesso oberato da pratiche burocratiche che sottraggono spazio fondamentale al confronto con il paziente. Tutti aspetti che si complicano in base all’età del paziente e alla concomitanza di poli-patologie. L’impatto della aderenza è particolarmente evidente, come detto, nelle terapie croniche: dopo un infarto cardiaco, rispettare le indicazioni di assunzione riduce del 75% la probabilità di recidive, mentre nell’ipertensione non aderire gli antipertensivi aumenta di circa il 30% il rischio di infarto o ictus; e di 7-8 anni è la riduzione di aspettativa di vita nella persona con diabete non in controllo glicemico. Uno studio condotto su 7.337 pazienti Covid-19 ricoverati di cui 952 aveva un diabete di tipo 2 preesistente ha dimostrato che nei malati di diabete la probabilità di essere sottoposti a ossigenoterapia con ventilazione non invasiva è del 10,2% vs 3,9% o invasiva del 3,6% vs 0,7%. Un migliore controllo glicemico sembra essere associato a significative e molto evidenti riduzioni degli esiti gravi e della morte. Questo spiega che la terapia clinica rallenta il progresso delle malattie croniche e salva vite, mentre la scarsa aderenza è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche. Durante la recente pandemia si è compreso come sia importante l’implementazione di strumenti utili a sostenere e semplificare l’aderenza, come l’utilizzo di polipillole, interventi educativi rivolti ai pazienti e al personale sanitario, il coinvolgimento delle farmacie e del personale sanitario e sistemi di monitoraggio dell’aderenza (devices e telemedicina). Per fare il punto in Toscana Emilia-RomagnaMotore Sanità ha organizzato il Webinar IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’. Secondo di 5 appuntamenti, il road show, realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Servier in Italia, Sanofi, Iqvia e Intercept, coinvolgerà sul tema dell’aderenza alle cure i principali interlocutori a livello locale: clinici, istituzioni, cittadini e pazienti.

“Il tema dell’aderenza diventa un problema quando il paziente diventa fragile – ha rimarcato Anna Baldini, Segretario Regionale Cittadinanzattiva Emilia Romagna -. Abbiamo a cuore la risoluzione di questo problema perché attraverso l’aderenza terapeutica passa un sistema sanitario efficace”. Le proposte di Cittadinanzattiva per migliorare la situazione sono otto: è necessario attuare il Piano Nazionale della Cronicità su tutto il territorio nazionale; rendere il cittadino protagonista del proprio percorso di cura poiché il suo coinvolgimento migliora la cura e porta risultati più soddisfacenti, allontanando il rischio della non aderenza; misurare l’aderenza terapeutica; semplificare e ridurre la burocrazie inutile; dare fiducia e stabilità nel rapporto équipe di cura e cittadino; garantire l’aderenza per garantire più sicurezza; fare formazione a personale sanitario, caregiver familiare e professionale; valorizzare tutte le professionalità. “Per rimarcare ulteriormente questi punti, il 28 aprile apriremo un tavolo nazionale per lanciare una call e coinvolgere tutte le regioni e con esse il personale sanitario, le associazioni di pazienti e le istituzioni per poter arrivare ad una aderenza terapeutica che auspichiamo potrà essere gestita da tutti gli attori coinvolti nel sistema salute”.

Migliorare la continuità ed aderenza terapeutica in Medicina generale è un passo importante. “È necessario focalizzare l’attenzione nel periodo immediatamente successivo all’inizio di una nuova terapia o alla sua modifica, i primi 30-90 giorni sono cruciali – ha spiegato Elisabetta Alti, MMG Vice Segretario FIMMG Provinciale Firenze –. Perciò è importante spiegare bene perché si prende quel farmaco, il dosaggio quanto e quando (scrivere!), quando ci si aspetta che inizi l’effetto e come si misura, le reazioni avverse più comuni e cosa fare se compaiono, domandare sempre se tutto è chiaro e se ci sono domande, rivalutare insieme lo schema terapeutico periodicamente. Voglio ricordare che nel diabete mellito l’adesione al trattamento orale antidiabetico (metformina e altri ipoglicemizzanti orali) è compresa tra il 36% e il 93%; che l’aderenza alla terapia insulinica oscilla tra il 20 e l’80%; che l’adesione alle raccomandazioni dietetiche è circa 65%; l’autocontrollo della glicemia è attuato nel 50% dei pazienti e l’attività fisica è praticata da meno del 30% dei pazienti”.

La non aderenza e la non persistenza comportano un danno importante della salute dei cittadini e all’erario dello Stato, anche con l’emergenza sanitaria in corso devono continuare gli impegni su questi fronti – ha spiegato Mauro Ruggeri, Medico di Medicina Generale Responsabile Sede Nazionale SIMG -. Ci vuole l’impegno del cittadino e bisogna mettere nelle condizioni gli stessi pazienti di essere aderenti e persistenti alla terapia. La Medicina Generale si è impegnata da tempo nel monitoraggio e nella valutazione con strumenti informativi, come la cartella clinica informatizzata, per avere un cruscotto aggiornato dei pazienti e delle terapie in uso. È vero che ci sono una serie di indicatori di esito che ci permettono di valutare le terapie e l’aderenza, ma i dati dicono che c’è ancora molto da fare. Bisogna avere degli strumenti che possano facilitare il lavoro del medico, vale a dire infrastrutture informatiche che ci possano guidare nella prescrizione, chiarire quanto il paziente sia aderente e c’è bisogno di confrontare i dati”.

Secondo Giancarlo CasoloDirettore SC Cardiologia Nuovo Ospedale Versilia, Lido di Camaiore (LU). Presidente Regionale ANMCO “si può migliorare l’aderenza terapeutica con educazione al paziente e più tempo da dedicargli, puntando sulla qualità dei farmaci (minori effetti collaterali) sul numero dei farmaci (polipyll), nonché prediligere blister e contenitori disegnati ad hoc e inviando promemoria attraverso sms e l’impiego di APPs dedicate, e infine incrociando i dati personali con flussi di spesa e impiegando nuove tecnologie a supporto. È importante garantire l’aderenza terapeutica perché riduce la mortalità e migliora la qualità della vita dei pazienti, riduce i ricoveri ospedalieri e le recidive, comporta risparmi per il SSN e risponde a criteri di appropriatezza clinica e allocazione risorse”.

“In uno scenario in cui l’incidenza di nuove cronicità per età rimane costante e auspicabilmente aumenta l’aspettativa di vita alla diagnosi, la prevalenza di malati cronici nella popolazione è destinata ad aumentare – ha spiegato Francesco Profili, Responsabile P.O.  Epidemiologia per la Sanità Pubblica e i Se Socio Sanitari, ARS Regione Toscana –. Al momento non sono noti gli effetti del Covid-19 della riduzione dell’assistenza territoriale sull’insorgenza di nuove cronicità e il peggioramento di quelle già in essere ma prudentemente dobbiamo attenderci effetti negativi in termini di sostenibilità e di salute individuale pubblica. C’è bisogno di assicurare l’aderenza e PDTA e la prevenzione primaria va considerata una componente essenziale del percorso di presa in carico di una patologia. Dobbiamo incidere sulla prevenzione e lavorare sui fattori di rischio se non vogliamo che questa popolazione aumenti in maniera vertiginosa e i servizi vadano in difficoltà rischiando così di non operare adeguatamente sull’aderenza e di generare ingenti costi per il sistema sanitario”.

La mancata aderenza alla terapia rappresenta sia un problema economico rilevante per lo spreco delle risorse sia un problema sanitario per l’effetto prognostico negativo dovuto alla sospensione intempestiva di farmaci fondamentali – ha spiegato Gabriele Guardigli, Direttore UO Cardiologia AOU S. Anna di Ferrara – Presidente ANMCO Emilia-Romagna -. Sono necessari interventi multidirezionali che vanno dalla sensibilizzazione del sistema sanitario, per esempio counseling e semplificazione burocratica, alla preparazione del personale sanitario in termini di comunicazione al coinvolgimento diretto dei pazienti con campagne informative mirate”.

“Nell’ultima decade nella popolazione italiana il livello di aderenza terapeutica è stato stimato principalmente mediante l’uso di dati amministrativi. L’eterogeneità rispetto alle stime di aderenza terapeutica rafforza la necessità di un approccio condiviso e specifico per setting di cura e trattamento al fine di fornire dati solidi e confrontabili” ha spiegato Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e invecchiamento, Istituto Superiore di Sanità.

Incentivare le politiche tesi ad aumentare l’aderenza dei pazienti dovrebbe essere una delle priorità della sanità pubblica sia per gli effetti ottenibili sulla salute sia per il potenziale risparmio economico per il sistema sanitario nazionale – ha spiegato Barbara Polistena, Professore Università degli studi di Roma Tor Vergata, Collaboratrice di CREA Sanità (Centro per la ricerca Economica Applicata in Sanità) –. L’inserimento della promozione della aderenza fra i Lea è necessaria per incentivarne il perseguimento e altresì importante è la costruzione di un indicatore del livello di aderenza nelle popolazioni regionali che sia un semplice e standardizzato”.

Anche in Oncologia l’attenzione è alta perché sono cambiate le esigenze dei pazienti. “I cambiamenti in Oncologia riguardano le caratteristiche dei pazienti oncologici (invecchiamento, multimorbilità, composizione delle famiglie e il reddito), l’impatto dell’innovazione e delle nuove terapie, il miglioramento della sopravvivenza, la cronicizzazione della malattia e la durata delle cure attive, i survivors e i guariti, che comportano strategie di controllo, continuità assistenziale e integrazione multiprofessionale – ha spiegato Carmine Pinto, Direttore Dipartimento Oncologico e Tecnologie Avanzate, IRCCS Istituto in Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia, Reggio Emilia -. L’esigenza di controllo non riguarda solo la possibilità di recidiva ma occorre considerare le nuove tossicità, le tossicità tardive dei trattamenti, il rischio di seconde neoplasie, le comorbidità e gli stili di vita, la riabilitazione e l’impatto psico-sociale. L’aderenza terapeutica passa anche attraverso modelli organizzativi e l’ottimizzazione delle risorse, quindi dalle aree vaste alle reti oncologiche regionali, continuità ospedale-territorio, definizione di territorio, garanzia di accesso, qualità, compliance e appropriatezza e diversità amministrative, coordinamento e direzione unitaria, razionalizzazione delle risorse e digitalizzazione”.

Il tema dell’aderenza sta dentro il tema del ridisegno dell’organizzazione oncologica, secondo Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) Regione Toscana. “In oncologia abbiamo sempre più cure in grado di migliorare la prognosi, abbiamo cure più semplici che hanno profondamente modificato l’organizzazione, abbiamo cure per cronici e cure per anziani e per soggetti che non hanno caregiver e che utilizzano anche altri farmaci e poi abbiamo cure ad alto costo. Il tema dell’aderenza in oncologia è un tema nuovo perché il controllo dell’aderenza, per anni, era ospedaliero, oggi l’obiettivo è presidiare anche il territorio con un governo unico del percorso e con nuovi strumenti di controllo. Dobbiamo quindi sempre più pensare ad una cartella clinica trasversale “alimentata” da tutti, medici di medicina generale, caregiver, specialista territoriale e specialista ospedaliero; dobbiamo rafforzare l’infrastruttura telematica perché diventi efficace ed efficiente e di uso quotidiano, e dobbiamo pensare al caregiver, quale figura centrale, sostenuta dal mondo associazionistico, che deve stare a pieno titolo nel dipartimento oncologico e che quando necessario non può essere facoltativo. Il Covid ci porterà ad un aumento della domanda oncologica sia qualitativa che quantitativa soprattutto. Il tema della oncologia territoriale è centrale in questa nuova organizzazione in cui rientra il tema stesso dell’aderenza terapeutica”.

 

Scarsa o mancata aderenza terapeutica: “Quali conseguenze cliniche e economiche per il SSN? La situazione della Regione Toscana e Emilia-Romagna”

Farmaci equivalenti

14 aprile 2021 – 7 milioni di persone in Italia sono colpite da malattie croniche, si stima però che solo la metà assuma i farmaci in modo corretto e fra gli anziani le percentuali superano il 70%. Le cause di mancata o scarsa aderenza ai trattamenti sono molteplici: complessità del trattamento, inconsapevolezza della malattia, follow-up inadeguato, timore di reazioni avverse, decadimento cognitivo e depressione. Tutti aspetti acuiti dall’avanzare dell’età e dalla concomitanza di altre patologie. Per fare il punto in Toscana e Emilia-Romagna, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’. Secondo di 5 appuntamenti, il road show, realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Servier in Italia, Sanofi, Iqvia e Intercept, coinvolgerà sul tema dell’aderenza alle cure i principali interlocutori a livello locale: clinici, istituzioni, cittadini e pazienti.

La Toscana, al Censimento 2019, è risultata composta da 4.133.000 individui, con una popolazione di ultra 65enni (23%) che la pone al terzo posto in Italia. In media un cittadino toscano anziano assume un po’ più di una dose di farmaco al giorno, in particolare per l’apparato cardiocircolatorio, seguiti dai farmaci per l’apparato gastrointestinale e metabolismo. L’aderenza alle terapie croniche è però insoddisfacente: inferiore al 60% nell’ipertensione, al 40% nell’osteoporosi, al 25% nella depressione, al 20% nelle malattie respiratorie. In Emilia-Romagna risiedono oltre 4.470.000 persone (dati al 2019), con una popolazione che continua a invecchiare: gli over 65 rappresentano il 25% (1.127.146) e gli over 75 il 12,8% (571.319). La maggior parte dei pazienti cronici residenti in Emilia-Romagna riferisce di essere affetto da una sola malattia (42%), mentre un quinto (18%) soffre di più patologie croniche: in particolare il 21% presenta 2 patologie e il 3% ne riferisce 3 o più. Le patologie croniche più diffuse sono le malattie cardiovascolari (ipertensione e malattie del cuore 22%), le respiratorie (6%), seguite dal diabete (5%).  

“Tutti sappiamo quanto sia fondamentale l’aderenza terapeutica nel trattamento dei pazienti.  Oggi è particolarmente importante l’educazione sanitaria dei pazienti affinché ci sia una corretta aderenza terapeutica. Bisogna però riflettere sul fatto che oggi in molti casi ci troviamo di fronte ad una medicina multispecialistica, per cui i pazienti spesso vanno incontro a terapie farmacologiche multiple: parlare di aderenza vuol dire anche parlare di conciliazione farmacologica”, ha dichiarato Mauro Maccari, Responsabile Organizzazione delle Cure e Percorsi Cronicità Direzione Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale, Regione Toscana

“Il tema dell’aderenza alla terapia farmacologica è un aspetto trasversale dell’assistenza sanitaria. La regione Emilia-Romagna sta sperimentando azioni che la promuovano, in particolare nell’ambito della cronicità nel quale l’aderenza alla terapia assume la sua dimensione più significativa. Riteniamo che sia necessario coinvolgere maggiormente il paziente affinché diventi sempre più parte attiva nel proprio percorso di cura. Per raggiungere questo obiettivo occorre disegnare percorsi a sostegno alla presa in carico assistenziale che comprendano soluzioni atte a favorire una maggiore consapevolezza da parte del paziente sul ruolo dei medicinali prescritti e la condivisione al progetto di cura a lui assegnato. E’ in questo senso che la Regione Emilia-Romagna ha sviluppato diversi progetti che hanno coinvolto – definendone un preciso ruolo – in particolare i farmacisti, sia ospedalieri sia convenzionati, affinché nelle fasi di erogazione del farmaco si attui, con particolare attenzione ai pazienti che assumono più terapie (più di 5 farmaci) o ai pazienti affetti da determinate patologie (esempio BPCO) interventi attivi mirati a promuovere l’aderenza alla terapia o a intercettare fattori che la riducano. È di rilievo che questi interventi siano inclusi in un disegno di sistema nel quale il farmacista sia di supporto al ruolo svolto dai medici e dagli infermieri delle cure primarie, in quanto è proprio negli snodi, nei punti di transizione del paziente, che l’informazione deve giungere affinché gli interventi e gli sforzi messi in atto siano efficaci e quindi non vani. L’aderenza alla terapia richiede pertanto interventi proattivi, approcci multidimensionali e interprofessionali. Ad oggi gli strumenti per misurare l’aderenza non sono ancora robusti e quelli più utili nell’intercettare il reale bisogno del paziente si basano sulla realizzazione di interviste mirate. Sicuramente nel prossimo futuro la nascita del Dossier terapeutico – quale parte specifica del FSE – sarà un valido supporto alle analisi sui profili di utilizzazione dei farmaci che ad oggi possono essere condotte solo attraverso progetti mirati o studi delle prescrizioni ripetute nei flussi della farmaceutica”, ha detto Fabia Franchi, Servizio Assistenza territoriale Direzione generale cura della persona, salute e Welfare, Regione Emilia Romagna

“L’aderenza rappresenta il grado di corrispondenza tra il comportamento del paziente e le prescrizioni terapeutiche ricevute dai sanitari e non riguarda solo i farmaci ma anche la diagnostica e lo stile di vita. La mancata aderenza rappresenta un fenomeno complesso che chiama in causa sia fattori individuali legati al paziente, sia fattori legati al prescrittore sia alla organizzazione del sistema sanitario. In ogni caso la mancata aderenza rappresenta sia un problema economico rilevante per lo spreco delle risorse sia un problema sanitario per l’effetto prognostico negativo dovuto alla sospensione di farmaci fondamentali nell’ambito di patologie importanti come quelle oncologiche o cardiovascolari, ma non soloSono necessari interventi multidirezionali che vanno dalla sensibilizzazione del sistema sanitario – importanza del counseling e del tempo necessario per attuarlo o semplificazione burocratica – alla preparazione del personale sanitario al coinvolgimento dei pazienti con campagne informative adeguate. La categoria più delicata è rappresentata dalla popolazione anziana per le comorbilità che spesso determinano terapie numerose e complesse, difficili da attuare e mantenere nel tempo. A tale riguardo sarebbe auspicabile anche un contributo dell’industria farmaceutica con l’inserimento nel prontuario della polypill, che per alcune patologie semplificherebbe la gestione quotidiana della terapia e garantirebbe una maggiore aderenza”, ha affermato Gabriele Guardigli, Direttore UO Cardiologia AOU S. Anna di Ferrara – Presidente ANMCO Emilia-Romagna

“Negli anni recenti, il problema della mancata aderenza alla terapia delle malattie croniche, è esploso nella sua drammaticità Pertanto, un Sistema Sanitario Regionale dovrebbe ormai aver inserito il problema dell’aderenza tra i vari targets dell’appropriatezza e quindi spendere la sua autorità e autorevolezza nell’implementare una serie di azioni mirate per ridurre la dimensione del problema. Tutto questo, però, non è a costo zero, in quanto un’immediata azione per migliorare l’aderenza sicuramente determinerebbe un aumento della spesa sanitaria mentre i benefici sulla riduzione della mortalità e morbidità si evidenzierebbero negli anni successivi. Quindi tutto questo dovrebbe portare a un ripensamento dell’organizzazione dei Sistemi Sanitari Regionali e soprattutto introdurre la possibilità di poter fare bilanci a lungo termine che tengano conto delle azioni di prevenzione i cui benefici non sono ovviamente immediati”, ha sostenuto Stefano Taddei, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Medicina Interna Università di Pisa

“Il tema dell’aderenza terapeutica in oncologia ha assunto negli ultimi anni particolare rilevanza. Fortunatamente sono sempre di più i malati oncologici ‘cronici’ che devono seguire per lunghi periodi trattamenti complessi e che richiedono un follow-up costante., grazie anche ai progressi della ricerca scientifica e alla disponibilità di opzioni terapeutiche sempre più efficaci. In questo senso quindi la collaborazione del paziente, in termini di aderenza terapeutica, è fondamentale non solo per il risultato clinico del trattamento ma anche per la sostenibilità del nostro SSN. Le lunghe fasi domiciliari del percorso del paziente oncologico rafforzano la necessità di un monitoraggio anche a questo livello e di una corretta esecuzione delle terapie”, ha dichiarato Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) Regione Toscana

In sintesi, l’aderenza ai percorsi diagnostici e terapeutici rappresenta un fattore chiave di successo per la governance del Sistema Sanitario Regionale, per l’efficienza delle cure e la sostenibilità economica. In tale ottica è necessario un impegno di sistema per monitorare e correggere i comportamenti che impattano sulla scarsa aderenza e l’implementazione delle tecnologie che facilitano i pazienti a seguire il percorso di cura. La proposta dell’inserimento di un indicatore sintetico di aderenza nel nuovo sistema di garanzia può rappresentare una opportunità di valore e di indirizzo per tutti gli attori chiave.

Women for Oncology Italy: le protagoniste dell’oncologia presentano i loro nuovi progetti

oncologia

9 Aprile 2021 – Si è tenuto nei giorni scorsi un incontro virtuale, fortemente voluto da Women for Oncology – Italy, che ha visto la partecipazione attiva di oltre 40 oncologhe, collegate da tutta Italia. Sono già cinque anni che Women for Oncology opera attivamente in Italia ed è giunto il momento di fare un importante passo in avanti, costituendo dei gruppi regionali. In questo modo si vuole coinvolgere ancora più capillarmente le donne oncologhe, grazie allo scambio di best practice, analizzando le singole criticità, in modo da poter trovare rapidamente delle soluzioni coinvolgendo le Istituzioni locali e nazionali. Altra novità che prenderà vita nei prossimi mesi, sarà l’istituzione di un gruppo di giovani oncologhe che possano proporre le istanze delle giovani donne che si avvicinano o sono all’inizio della difficile professione di oncologhe. Durante il meeting, grazie alla Presidente onoraria Marina Garassino, è stata riportata l’esperienza dell’Università di Chicago per la lotta al gender gap. Si tratta storicamente di un’Università che da sempre si batte contro il gender gap e che ha costituito Laboratori di genere per fare un ulteriore passo in avanti in questa difficile battaglia. Il lavoro portato avanti in questi anni da Women for Oncology – Italy è sicuramente stato significativo per il mondo delle professioniste dell’oncologia. Durante il meeting, in più occasioni, è stato riconosciuto come partecipare agli incontri periodici che si svolgono sia stato importante per la crescita professionale, anche grazie ai legami che si sono creati. Le novità emerse da questo ultimo incontro, che spaziano dal locale all’internazionale, saranno un’ulteriore spinta per consolidarsi e crescersi per il futuro dell’oncologia femminile italiana.

“La pandemia ha chiaramente dimostrato come vi siano variabilità regionali nell’organizzazione sanitaria e come queste possano ripercuotersi sui professionisti, in particolare sulle donne. Proprio per poter agire più capillarmente sul territorio per poter conoscere e risolvere le criticità presenti è nostra intenzione creare dei gruppi di oncologhe attive a livello regionale.” sottolinea Rossana Berardi – Presidente W4O Italy “Un’altra esigenza particolarmente sentita è quella di formare e favorire relazioni e crescita professionale delle colleghe all’inizio del loro percorso di carriera e per questo creeremo un gruppo di giovani che possano intercettare i bisogni specifici al fine di poterle aiutare”

Pandemia diabete: è emergenza. I pazienti non possono più aspettare

Diabete e vaccini

Le associazioni di pazienti: «Non dimentichiamo le storie degli ammalati e i loro bisogni di cura e diamo al medico di medicina generale la possibilità di prescrivere i farmaci innovativi che ridurrebbero diagnosi tardive e complicazioni».

 

12 Aprile 2021 – La pandemia da Covid-19 non deve fare dimenticare l’esistenza di malattie croniche come il diabete il cui impatto sulla salute del paziente e sul piano sociale è devastante. Il paziente con diabete è un paziente ad altissimo rischio. E i dati parlano chiaro. Ogni 7 minuti una persona con diabete ha un attacco cardiacoogni 30 minuti una persona con diabete ha un ictusogni 90 minuti una persona subisce una mutazione a causa del diabete, ogni 3 ore una persona con diabete entra in dialisiil 15% delle persone con diabete ha coronaropatia, il 38% delle persone con diabete ha insufficienza renale (può portare alla dialisi), il 22% delle persone con diabete ha retinopatia, il 3% delle persone con diabete ha problemi agli arti inferiori e piedi. Altri dati che fanno riflettere. Il 50% di pazienti con diabete di Tipo 2 viene vista quasi esclusivamente dai Centri specialisti, un altro 50% non viene seguito mai dallo specialistaE’ di 7-8 anni la riduzione di aspettativa di vita nella persona con diabete non in controllo glicemico, il 60% almeno della mortalità per malattie cardiovascolari è associata al diabete. Se i farmaci SGLT2, secondo lo studio EMPAREG condotto su 7.020 pazienti ad elevato rischio cardiovascolare con diabete di Tipo 2, ha mostrato una riduzione del 38% della mortalità cardiovascolare, del 32% della mortalità per tutte le cause, del 35% le ospedalizzazioni per scompenso (Repor Arno 2019), a fronte di queste evidenze, al medico di medicina generale non viene data la possibilità di prescrivere queste terapie e anche rapidamente. L’impatto è devastante considerando che la diagnosi  arriva quando ormai il 50% delle batacellule è già danneggiata e che dal momento della diagnosi all’utilizzo delle prime terapie, all’utilizzo delle sulfaniluree e quando il paziente viene inviato allo specialista passano degli anni e la malattia progredisce e subentrano le complicanze.

Per fare il punto sul tema, DIABETE ITALIA ONLUS e MOTORE SANITÀ hanno organizzato il Webinar ‘CURA DEL DIABETE E MMG: un attore chiave del processo di cura con le armi spuntate’, realizzato grazie al contributo incondizionato di AstraZeneca e Boehringer Ingelheim

Il covid-19 ha mostrato la necessità di dare accesso da parte della medicina territoriale all’innovazione terapeutica. Lo scenario attuale però priva la medicina di famiglia di questo diritto creando un disallineamento chiaro rispetto alle evidenze scientifiche e alle indicazioni delle linee guida, nonché provocando un sottoutilizzo dei farmaci SGLT2, DDP4 eGLP1 per il diabete, molti dei quali in commercio da oltre un decennio e oramai prossimi alla scadenza brevettuale. Le conseguenze sono evidenti e drammatiche: un rallentamento nei benefici di salutepotenziale rischio sui pazientiderivante aumento dei costi socio-assistenziali. I benefici di questo cambiamento si traducono in ridotti tempi di adesione alle indicazioni delle linee guida, presa in carico efficace e tempestiva con cure adeguate, inutili e gravosi tour dei pazienti per ottenere le terapie o semplicemente il rinnovo e rendere efficiente il territorio nella gestione della cronicità diabete.

Oggi ci siamo dimenticati che anche il diabete è una pandemia – si è appallata Rita Lidia Stara, Membro del Comitato Direttivo Diabete Italia e Presidente Fe.D.E.R Federazione Diabete Emilia-Romagna -. I numeri del diabete sono stati messi da parte ma sono enormi. Non dobbiamo dimenticarci della storia dei pazienti, dei loro bisogni di cura e di salute e non fanno bene né ai pazienti né al Sistema la contrapposizione che esiste tra il ruolo del medico di medicina generale e dello specialista nel percorso di cura e assistenziale del paziente. Chiediamo che venga dato al medico di medicina generale il diritto di prescrivere i nuovi farmaci e che il paziente sia in grado di accedervi in maniera semplice. Nella vita quotidiana il paziente è penalizzato perché non ha accesso a queste cure se non in maniera parziale. Vogliamo delle risposte ora, subito perché non possiamo più aspettare”.

Il medico di medicina generale deve entrare sempre di più nella gestione di questi pazienti che hanno il diritto di essere seguiti da un team di esperti che possano anche assicurare nel luogo di cura lo screening delle diverse complicanze, ma se poi è trattato in maniera adeguata può essere seguito prevalentemente dal suo medico di medicina generale – ha spiegato Agostino Consoli, Presidente SID Professore ordinario di Endocrinologia, Università ‘G. d’Annunzio’ di Chieti e Responsabile della Uoc Territoriale di Endocrinologia e Malattie Metaboliche della Ausl di Pescara -. Oggi assistiamo ad un fenomeno che è poco virtuoso: il 50% di pazienti con diabete di Tipo 2 viene visto quasi esclusivamente dai Centri specialisti e questo non va bene perché non è un uso razionale delle risorse, un altro 50% non viene seguito mai dallo specialista e questo non va bene perché probabilmente perdono qualcosa del percorso che deve portare a curarsi nella maniera migliore. Questo riguarda l’organizzazione della care che deve essere assolutamente razionalizzata e sulla quale stiamo facendo una serie di discorsi, anche con la diabetologia, che deve essere riformata al suo interno, e la stessa medicina generale con la quale dobbiamo aprire e sviluppare un discorso molto più franco e collaborativo. E’ assurdo in questo scenario che il medico di medicina generale non viene considerato capace di giudicare se un trattamento è efficace o meno perché, a prescindere dal grado di controllo del paziente, è costretto ad inviarlo dallo specialista per avere la vidimazione di un piano terapeutico. E’ fondamentale assicurare alla persone con diabete più anni di vita a livello qualitativo e quantitativo e che contemporaneamente non abbiano effetti collaterali gravi o fastidiosi. Sta per essere conclusa la redazione delle linee guida ISS per la terapia del Diabete di tipo 2”. E ancora.

Le società scientifiche e la stessa SID sostengono che nel momento in cui il paziente ha un rischio cardiovascolare altissimo (70-80%) o se il paziente ha già una patologia cardiovascolare (25%) deve essere trattato con un farmaco della classe innovativo, in caso contrario il MMG commette una violazione della legge. Non è questa la sola cosa che riuscirà a risolvere una necessaria integrazione della Specialistica e la Medicina generale nell’assistenza alla persona con diabete, e c’è tutta la volontà degli specialisti e della medicina generale a farlo. Il CTS dell’AIFA è estremamente disposto a venire incontro a questo, è verosimile che tra il convincimento culturale e la effettiva capacità di deliberare ci sono degli ostacoli nel mezzo e c’è a qualche livello una forma di scarsa competenza. E’ auspicabile la realizzazione di una piattaforma nazionale per il tracciamento protetto dei dati del paziente e della prescrizione dei farmaci, che risulterebbe essere anche una importantissima fonte di cultura scientifica. Abbiamo tutta la tecnologia necessaria per fare questo. Lo stiamo proponendo all’AIFA da un anno e mezzo”.

“L’interlocuzione con AIFA è costante e tentiamo di sollecitarla il più frequentemente possibile per ottenere un riscontro circa l’allargamento della prescrizione dei farmaci per la Medicina generale e, ove possibile, l’abolizione di alcuni piani terapeutici – ha spiegato Paolo Di Bartolo, Presidente AMD -. E’ un tema all’ordine del giorno in ogni riunione ma che sistematicamente la situazione emergenziale sanitaria posticipa per lasciare spazio alla campagna vaccinale. E’ indubbio che ci si deve muovere. Sono molto fiducioso e spero a giugno che si possa iniziare questa nuova avventura. Credo fortemente che la rete di assistenza clinica al paziente con diabete, costituita da nodi quali le Diabetologie, i grandi Centri iperspecialistici, i piccoli Centri e la Medicina generale, deve essere tenuta unita dalla digitalizzazione e dalla possibilità di poter prescrivere e avere pari dignità di prescrizione. Il diabetologo stesso ovviamente darà il suo contributo per prescrivere nel paziente giusto ma anche per aiutare il medico di medicina generale a sviluppare velocemente le competenze e le conoscenze per ben prescrivere”.

Considerare il medico di medicina generale un professionista non competente a prescrivere tali farmaci e considerare che i farmaci costosi sono farmaci il cui costo non dipende dall’efficacia e dal beneficio è il vero limite culturale di quello che sta accadendo. Se non rimoviamo questo limite non potremo neanche parlare di silos e altro – ha sentenziato Claudio Cricelli, Presidente SIMG -. Alcuni processi sono stati avviati da molto tempo, abbiamo perfezionato dei meccanismi software e le nostre cartelle cliniche sono pronte a rendere conto di tutto quello che facciamo. Sono convinto che questa trasformazione di cultura oggi sia pronta. Io spero che questa volta la situazione si risolva perché la nostra pazienza è definitamente conclusa e se non avviene qualcosa oggi dovremo pensare a smuovere questo sistema non soltanto per i farmaci per il diabete, perché ci sono due note che sono in attesa (sui farmaci per la BPCO e altri), ma perché è arrivato il momento di dire che questo gioco è concluso e che lo sostituiamo con un altro gioco, quello della verità scientifica, delle evidenze, del conteggio dei benefici di salute e dei “malefici di salute” cioè della negazione dei benefici di salute che questi atteggiamenti e questi comportamenti stanno determinando”.

Secondo Federico Gelli, Responsabile del rischio in sanità di Federsanità ANCI, Roma “E’ disarmante apprendere che non sia cambiato nulla rispetto al passato, di fatto il problema non è mai stato risolto. La legge Gelli 24 ha aperto culturalmente alcuni principi innovativi e l’attualità della legge 24 è estremamente forte”.

“L’aspetto farmaci e prescrizione è un aspetto fondamentale e riusciremo a risolverlo grazie alle intese tra specialisti e medici di medicina generale già avviate – ha rassicurato Paola Pisanti, Consulente esperto malattie croniche, Ministero della Salute -. Si risolverà facendo attenzione alle esigenze delle persone con diabete, grazie al contributo stesso delle associazioni di pazienti che quotidianamente raccolgono i loro bisogni; grazie al lavoro dei professionisti che non devono creare confusione tra i ruoli e quindi nei confronti del paziente stesso, e grazie all’organizzazione che sicuramente deve adattarsi a questo ruolo di integrazione specialista-ospedale-territorio- strutture intermedie. La gestione integrata del malato deve infatti prevedere l’intervento del medico di medicina generale e dello specialista a seconda della condizione clinica del paziente, in un percorso sempre integrato in cui entra anche un altro attore, il farmacista che può lavorare molto sull’aderenza terapeutica, vale a dire può aiutare il medico di medicina generale e lo specialista nel favorire l’aderenza terapeutica di quelle persone in gestione integrata tra medico di medicina generale-specialista-farmacista. Ricordo che abbiamo avviato in sette regioni italiane una sperimentazione sul ruolo del farmacista di comunità nella gestione della malattia cronica”.

Secondo Paolo Di Bartolo, Presidente AMD “l’assistenza a favore della persona con diabete non è solo prescrizione di farmaco, ma uno degli elementi che maggiormente condizionerà l’esito dell’assistenza è la capacità e la possibilità di portare il paziente al self management, il paziente deve diventare cioè il proprio caregiver, sapere esattamente interpretare e leggere quali bisogni ha in un determinato momento della sua vita, in questo momento però la medicina territoriale non è attrezzata per questo, fino a quando la medicina territoriale nelle aggregazione funzionali territoriali (AFT) non avrà delle figure specifiche che sono educatori specializzati e specialisti in diabetologia, ogni paziente che riceve la diagnosi di diabete deve essere indirizzato, al di là di una corretta diagnosi che può avvenire anche dalla medicina territoriale, alle diabetologie per iniziare il percorso di educazione terapeutica strutturata. Dopodiché si aprono le mille possibilità di spostamento del paziente all’interno della rete di diabetologia a seconda del bisogno e negli anni che seguiranno”.

Diabete e MMG: “Riorganizzare il sistema sanitario e dare accesso all’innovazione alla medicina territoriale, solo così il medico di base riprenderà il ruolo centrale di cura”

Ero malato di diabete

10 aprile 2021 – La pandemia ha messo in evidenza la fragilità della presa in carico territoriale nella cura del diabete: è indispensabile riorganizzare il sistema assistenziale e improrogabile garantire alla medicina territoriale accesso all’innovazione, stanno infatti rallentando i benefici di salute con conseguente aumento dei costi socio-assistenziali. Il MMG deve tornare ad essere prescrittore, bisogna riportare il territorio ad essere centrale nella gestione della cronicità diabete. Non meno importante, sburocratizzare molte procedure che rappresentano un inutile impegno per i pazienti e i familiari e per il medico curante, sottraendolo al controllo clinico e aumentando le liste d’attesa negli ambulatori territoriali. Per fare il punto sul tema, DIABETE ITALIA ONLUS e  MOTORE SANITÀ hanno organizzato il Webinar CURA DEL DIABETE E MMG: un attore chiave del processo di cura con le armi spuntate’, realizzato grazie al contributo incondizionato di AstraZeneca e Boehringer Ingelheim, che ha visto la partecipazione dei massimi esperti italiani.

 

“La pandemia ha contribuito a palesare una criticità già nota a coloro che si occupano quotidianamente di diabete: il Sistema Sanitario italiano, tendenzialmente sbilanciato sulla presa in carico dell’acuto, si trova in difficoltà quando si tratta di organizzare un’assistenza efficiente sul territorio, e ancor più nel mettere a punto una continuità di cura sinergica tra territorio e ospedalità. Un problema nuovo, perché messo in luce dal Covid, ma la questione più annosa per gli ‘addetti ai lavori’. Oggi più che mai, è evidente la necessità di realizzare una vera rete assistenziale integrata che tenga conto del pieno coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale nella presa in carico delle persone con diabete, estendendo, anche a questi ultimi la possibilità di prescrivere i farmaci per la terapia del diabete accompagnando, infine, questa decisione con una non più prorogabile abolizione dei piani terapeutici. Una siffatta riorganizzazione dell’attuale modello di assistenza consentirebbe di realizzare una gestione davvero integrata della persona con diabete ove ogni nodo possa essere connesso grazie ad una capillare digitalizzazione che garantisca una effettiva condivisione del dato (ndr: oggi i sistemi disponibili sono spesso sistemi non interoperabili) e ove la telemedicina possa diventare parte del percorso assistenziale”, ha detto Paolo Di Bartolo, Presidente AMD

“La pandemia da Covid 19 ha acuito ed evidenziato alcuni problemi latenti della sanità italiana. Siamo certi di poter trarre dei benefici da questa situazione pandemica e vogliamo essere concreti nel proporre sfide e miglioramenti per tutto il sistema sanitario nazionale. In primis la cura del diabete ha assoluto bisogno di un coordinamento assai efficiente tra ospedali e territorio. Dobbiamo migliorare l’aderenza alle terapie dei pazienti e contrastare l’inerzia terapeutica, utilizzando a pieno regime ogni farmaco e dispositivo ad oggi a disposizione. Per farlo abbiamo bisogno della professionalità dei medici di medicina generale che devono essere messi nelle condizioni di operare al meglio, con gli strumenti più opportuni per la gestione del paziente diabetico, malato cronico. Non vogliamo medici eroi o pazienti privilegiati, non vogliamo discriminazioni o differenze tra una regione o l’altra: vogliamo un sistema equo che garantisca la massima qualità e le migliori prestazioni a tutti i diabetici nell’intero territorio nazionale”, ha spiegato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia.

“Il diabete mellito tipo 2 è una delle più importanti e complesse delle patologie croniche che devono essere gestite prevalentemente a livello territoriale. Il MMG è fortemente coinvolto nella gestione delle persone con DM2. Il Piano Nazionale per la Malattia Diabetica prevede la presa in carico prevalente da parte dei MMG dei soggetti con malattia stabile e senza complicanze evolutive. Inoltre, i pazienti diabetici allettati in modo permanente o non autosufficienti e con gradi avanzati di disabilità, spesso con pluripatologie, sono necessariamente seguiti a domicilio solo dal loro MMG. Il compito dei MMG è reso assai complicato non soltanto dai carichi di lavoro, dalla complessità della patologia e dai rapidi mutamenti delle conoscenze scientifiche, ma anche dal fatto che per alcuni dei numerosi farmaci ipoglicemizzanti ad oggi disponibili la prescrizione è condizionata dalla compilazione del piano terapeutico da parte dei diabetologi, nonostante il loro ottimo profilo di sicurezza e la dimostrata protezione cardiorenale sostenuta da solide evidenze scientifiche. Per cui succede che proprio la prima linea di difesa territoriale contro le temibili complicanze del diabete si trovi a combattere con armi scarse ed inadeguate. Una situazione oramai insostenibile. Soprattutto in questo periodo in cui alcune malattie croniche costituiscono un potente fattore di rischio per Covid-19. È allora necessario che sia immediatamente consentito anche ai medici di famiglia di poter utilizzare e prescrivere tutte le risorse terapeutiche disponibili per la buona cura del diabete, oggi ancor più rilevanti in quanto fortemente protettive contro il Covid-19”, ha dichiarato Gerardo Medea, Responsabile Nazionale della ricerca SIMG.

 

Malattie autoimmuni del fegato: “Ritardo diagnostico, gestione clinica complessa e assenza di terapie curative, che fare?”

Cirrosi Epatica

8 aprile 2021 – Le malattie autoimmuni del fegato insorgono quando il sistema immunitario aggredisce il fegato provocando un’infiammazione cronica e progressiva. In assenza di adeguato trattamento, questa condizione porta a cirrosi e insufficienza epatica. Se ne distinguono almeno 4 forme, ma la colangite biliare primitiva resta tra le più diffuse, colpendo maggiormente le donne tra i 40 e i 60 anni, con un’aspettativa di vita di circa 10 anni. Organizzare percorsi dedicati per queste malattie è fondamentale per poter avere una rapida diagnosi e presa in carico dei pazienti, ed evitare la progressione della malattia, fino alla cirrosi. Per discutere di nuovi modelli organizzativi per la gestione di questa complessa malattia, MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS LOMBARDIA: FEGATO E AUTOIMMUNITÀ’, realizzato grazie al contributo incondizionato di Intercept.

“Le malattie autoimmuni del fegato (MAF) sono un gruppo di patologie causate da  un’alterazione del sistema immunitario che individua ed aggredisce le proprie cellule del fegato e le cellule dei dotti biliari come elementi esterni all’organismo. Questo processo è seguito da infiammazione cronica e cicatrizzazione con lo sviluppo della cirrosi e le sue complicanze, che in alcuni casi possono richiedere il trapianto di fegato. Le MAF più comuni sono la epatite autoimmune (EAI) in cui il bersaglio sono le cellule del fegato (gli epatociti); e le malattie biliari come la colangite biliare primitiva (CBP) e la colangite sclerosante primitiva (CSP) in cui i bersagli sono le cellule dei piccoli dotti biliari e dei grandi dotti biliari, rispettivamente. Le MAF sono definite malattie rare anche se solamente la CSP è attualmente inclusa nella lista delle malattie rare. In Italia migliaia di individui ne sono affetti e rappresentano una importante indicazione al trapianto di fegato. Il maggior dilemma clinico e assistenziale nelle MAF è rappresentato dal ritardo diagnostico. Inoltre, la gestione clinica è complessa e caratterizzata dall’assenza di terapie curative e di marcatori di malattia. Nella EAI vi sono farmaci immunosoppressori che rallentano la evoluzione della malattia a costo di importanti effetti collaterali. Nella CBP vi sono 2 farmaci registrati con effetti subottimali. Nella CSP non vi sono terapie registrate. Dopo gli enormi passi avanti fatti nel campo della epatite C con l’eliminazione di una delle cause più frequenti di malattia cronica del fegato, le MAF rappresentano la più importante sfida della epatologia nei prossimi anni”, ha spiegato Marco Carbone, Dirigente medico U.O.C. Gastroenterologia Ospedale S. Gerardo, Monza Responsabile Centro malattie autoimmuni del Fegato

“La gran parte delle malattie epatiche croniche ha un andamento evolutivo nel tempo, con progressiva alterazione strutturale dell’organo e riduzione della funzione epatica fino alla cirrosi ed alle sue temibili complicanze: lo scompenso epatico e/o l’epatocarcinoma. Purtroppo, le epatopatie croniche decorrono in maniera asintomatica o paucisintomatica  fino alla fase terminale dell’insufficienza epatica. Per tale ragione è fondamentale diagnosticare il più precocemente possibile tutti i pazienti epatopatici, prestando attenzione ai sintomi e segni di malattia; alle alterazioni biochimiche e ai test di immagine suggestivi di un danno epatico, per poi iniziare il percorso di diagnosi e cura appropriato. I pazienti con  epatopatia cronica autoimmune rappresentano il paradigma di come una gestione multidisciplinare e condivisa – sia con i medici di medicina generale che con gli altri specialisti – sia in grado di: diagnosticare precocemente i pazienti, stratificarli in base al loro rischio di progressione del danno epatico e avviarli ad un trattamento basato sulla risposta capace di modificare significativamente la loro prognosi”, ha detto Mauro Viganò, Dirigente Medico Reparto Epatologia ospedale San Giuseppe, Milano