La lettera-appello di Diabete Italia Onlus al Presidente del Consiglio Draghi: «Vaccinazione prioritaria per le persone con diabete contro il Coronavirus».

organopatia

30 aprile 2021 – “Le persone con diabete non possono aspettare, la vaccinazione è una priorità”. Nella lettera-appello del Presidente di DIABETE ITALIA Onlus Stefano Nervo, indirizzata al Governo è racchiuso un profondo senso di preoccupazione per la salute di coloro che hanno il diabete e che sono in attesa di essere vaccinati. Ma ostacoli si sono posti tra questi malati e la necessità di ottenere il vaccino, come ritardi, addirittura inapplicabilità del piano vaccinale in molte realtà regionali, inapplicabilità delle disposizioni contenute nel piano, modifiche dei criteri di fragilità, cancellazione dalle liste dei pazienti con diabete.
Il Presidente Nervo si rivolge al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, al Ministro della Salute Roberto Speranza, al Ministro degli Affari Regionali e Autonomie Mariastella Gelmini e al Commissario Straordinario, il Generale Francesco Paolo Figliuolo.

“Il piano vaccinazioni così come da Voi redatto risulta inapplicato in molte realtà regionali – scrive nella missiva il Presidente Nervo -. Urge inoltre segnalare che alcune regioni non stanno applicando le disposizioni contenute nel citato documento, mentre altre stanno cominciando solo ora a vaccinare le categorie dei pazienti fragili anteponendo altre priorità. In particolare, vogliamo portare alla Vostra attenzione una situazione intollerabile. La regione Sardegna ha addirittura modificato arbitrariamente i criteri relativi alle fragilità eliminando ufficialmente (con riferimenti riportati anche sui siti e documenti istituzionali) tutte le persone con diabete dalle liste motivando tale decisione con una singolare interpretazione circa la necessità di riscontrare un “danno d’organo” preesistente che limiterebbe il diritto alla vaccinazione a pochi casi. Questo, oltre a non rispettare le definizioni indicate esplicitamente in tabella 1, pagina 8 del Piano, pone a serio rischio la salute di tutte le persone con diabete che si vedono escluse dalla possibilità di accedere alla vaccinazione. Vi chiediamo di intervenire prontamente – è l’appello di Stefano Nervo – per evitare che questa scelta, che non trova alcuna giustificazione clinica, possa costituire un grave precedente seguito da altre regioni”. 

DIABETE ITALIA Onlus, che raggruppa Società scientifiche e le Associazioni dei pazienti sul territorio nazionale, ritiene inaccettabile che l’applicazione dei criteri disposti dal piano vaccinale non sia equa sul territorio e perciò inviata a sollecitare un immediato riallineamento alle regioni che non rispettano le disposizioni nazionali.
“Anche dalle realtà virtuose riceviamo quotidianamente segnalazioni di persone che, nonostante rientrino palesemente nelle definizioni delle fragilità, sfuggono alle liste vedendosi impossibilitate ad esservi inserite con motivazioni spesso ignote se non palesemente dissonanti dalle definizioni – prosegue Stefano Nervo -. Vi chiediamo quindi di sollecitare le regioni affinché attivino dei canali (numeri verdi, email o altro) per la segnalazione di tali casi, in modo da permetterne una pronta soluzione. Le persone che vi ricadono sono, il più delle volte, persone che oltre alla fragilità relativa alla propria salute, presentano fragilità anche relative alla situazione familiare o al contesto sociale in cui vivono e sono quindi le persone di cui dobbiamo maggiormente farci carico come società civile”.

Cancro al tempo del Covid-19: ‘Troppi ritardi, ridare massima attenzione a cura, diagnosi e prevenzione’

organopatia

30 aprile 2021 – La cura dei tumori ha subito un rallentamento a causa della pandemia Covid-19, molti interventi chirurgici sono stati rimandati e alcuni pazienti non sono andati negli ospedali per la chemioterapia per paura del virus e le liste d’attesa sono notevolmente aumentate a causa del carico di lavoro delle strutture ospedaliere. L’attenzione ai tumori deve tornare al centro dell’Agenda di Governo, dal momento che anche gli ultimi dati vedono per i prossimi anni  un aumento del 20% della mortalità dei pazienti colpiti da tumore a causa della pandemia. Per riportare l’attenzione sulla cura, diagnosi e prevenzione dei tumori, Mondosanità, in collaborazione con CIPOMO, ha organizzato il Talk Web ‘Cancro & Covid L’emergenza nell’emergenza’ con la partecipazione di tutti gli attori della Sanità: Istituzioni, medici specialisti e associazioni pazienti.

“Dall’inizio della pandemia il 70 per cento circa delle oncologie in Italia non ha avuto una effettiva riduzione di attività, se non in minima parte, e ciò dimostra lo straordinario impegno messo in campo da quanti operano in questo comparto medico strategico. Il 20 % dei pazienti oncologici hanno rinunciato di loro spontanea volontà a recarsi in ospedale per visite o terapie, disdicendo trattamenti o appuntamenti già fissati. La fiducia dei pazienti spesso è stata erosa dal clima generalizzato di una informazione gridata, troppe volte sensazionalistica, attorno al Coronavirus, ed ha messo in profondo disagio medici, personale sanitario, pazienti. La scienza e la coscienza medico-scientifica ogni giorno spostano le frontiere della guarigione e negli anni a venire dobbiamo riprendere questo cammino, rilanciare la spirale virtuosa tra ricerca, studi, profilassi e partecipazione attiva: la medicina, l’arte medica, l’assistenza socio-sanitaria non devono mai essere vittime degli effetti collaterali del Covid”, ha spiegato Roberto Ciambetti, Presidente Consiglio Regionale del Veneto

“Durante l’epidemia da SARS-COV 2 si è manifestato una riduzione delle prestazioni per i pazienti affetti da patologia tumorale. La maggiore emergenza è stata evidenziata nei processi di screening del tumore mammario, del tumore del colon-retto e della cervice uterina, con la riduzione se non la sospensione degli stessi in riferimento ai periodi di lockdown e alla regionalità delle prestazioni. Altra emergenza, la patologia oncologica necessaria di intervento chirurgico che ha avuto un arresto, specie durante il primo lockdown e in misura diversa nelle varie regioni d’Italia. Durante l’emergenza Covid-19 siamo riusciti a mantenere costanti, in molte realtà oncologiche, le prestazioni di chemioterapia e di terapie orali. Abbiamo solo rinviato i pazienti del follow-up, recuperandoli successivamente, sempre dopo la valutazione dell’oncologo se il controllo poteva essere differito o eseguito in altra modalità con l’utilizzo della telemedicina”, ha detto Livio Blasi, Presidente CIPOMO

“La pandemia da COVID-19 ha fortemente impattato sulle attività sanitarie, anche se per quanto possibile l’area oncologica  è stata  salvaguardata, così come le prestazioni urgenti e non differibili. Oggi, in base all’evoluzione dell’infezione a livello nazionale e regionale, è comunque fondamentale ripristinare in successione il livello erogativo e mettere in atto programmi per il recupero delle prestazioni”, ha dichiarato Franco Ripa, Dirigente Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio-sanitaria, Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte

 

Women For Oncology – Italy si associa al grido d’allarme delle Associazioni europee Firmata la lettera appello rivolta a tutti i Governi

Women for Oncology Italy
30 aprile 2021 – Il Covid-19 ha avuto un forte impatto su tutti coloro che convivono con il cancro: la pandemia ha creato un’interruzione dei servizi di screening e prevenzione.
Gli ultimi dati riportano che il 2020 ha visto un calo di circa il 40% delle diagnosi di cancro.
Women for Oncology Italy si associa al grido di allarme delle Organizzazioni incentrate sul cancro per affermare che bisogna fare qualcosa e bisogna farlo immediatamente.
Proprio per questo motivo con convinzione firma la lettera appello per sostenere i Governi nello sforzo di aiutare i malati di cancro a livello globale.
Tutti noi impegnati nella lotta contro il Cancro crediamo che i Governi dovrebbero:
1) Garantire che i pazienti possano accedere alla diagnosi e al trattamento in modo sicuro
2) Identificare l’impatto della pandemia sui servizi contro il cancro e progettare servizi per mitigarlo
3) Fornire servizi per il cancro in modo appropriato e sicuro a lungo termine
“Condividiamo pienamente l’appello e siamo al fianco dei nostri pazienti e dei familiari che si prendono cura di loro nel chiedere con convinzione alle istituzioni politiche di tenere alta l’attenzione sui pazienti oncologici” – sottolinea Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology – Italy  “Dall’inizio della pandemia tutti gli sforzi delle istituzioni politiche sono stati principalmente indirizzati a contrastare l’infezione da COVID19, ma il cancro non si ferma, per cui ci faremo promotrici di queste importante richieste con i decisori politici a livello nazionale e regionale”.
Oggi vogliamo che tutti i governi facciano la differenza dicendo: “Mi impegno e investirò nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nel trattamento del cancro”. Perché ciò avvenga, e avvenga in tempi rapidi, Women For Oncology – Italy si mette a disposizione con le sue competenze e la sua volontà di impegnarsi quotidianamente nella lotta contro il cancro. Prendendo spunto dalla pandemia occorre rafforzare il nostro SSN. Solo in questo modo potremo evitare che in caso di nuove pandemie o situazioni altamente critiche il sistema non imploda e nessun paziente venga lasciato solo.
In allegato il comunicato stampa e riportiamo qui di seguito il link per scaricare la “Joint letter on COVID19 and cancer
Confidando in una tua cortese pubblicazione e rimanendo a disposizione, inviamo i migliori saluti

 

Ufficio stampa Motore Sanità

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Liliana Carbone – Cell. 347 2642114

Marco Biondi – Cell. 327 8920962

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Anticorpi monoclonali contro il Covid: tra due mesi i pazienti potranno essere curati a casa

Velocizzare il piano vaccinale

29 aprile 2021 – Gli anticorpi monoclonali se somministrati all’insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5 giorni, permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave. Sono concordi su questo gli infettivologi che questa mattina hanno fornito il quadro generale dell’uso dei monoclonali nelle diverse realtà regionali durante l’instant webinar organizzato da Motore Sanità dal titolo “ANTICORPI MONOCLONALI ANTI COVID” al fine di aprire un franco scambio di idee non basate sulla ricerca di visibilità ma sui dati scientifici disponibili sino ad ora e sulle prospettive future. Se in Liguria l’impiego degli anticorpi monoclonali sta procedendo a passo spedito grazie alla collaborazione tra ospedale e territorio, dalla Toscana la notizia è quella che entro luglio potrebbero essere messi a disposizione anticorpi monoclonali più potenti e potranno evitare ai pazienti Covid positivi di essere curati in ospedale.

L’EMA, AIFA ed altre istituzioni internazionali e nazionali (NIH) si sono espresse sull’utilità dell’uso degli anticorpi monoclonali contro l’infezione da SARS COV 2 che ha già provocato oltre 120mila morti. Attualmente le linee guida e i trial in corso sdoganano l’impiego dei medesimi più come profilassi che come terapia nei pazienti con malattia grave e conclamata. Così come gli antivirali, gli anticorpi monoclonali sono indicati in pazienti positivi entro 10 giorni dall’esordio dei sintomi e non in pazienti che necessitano di elevati volumi di ossigeno.
Gli anticorpi monoclonali non sono stati ancora completamente studiati e non hanno ricevuto l’approvazione definitiva dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ma un parere scientifico positivo all’uso da parte degli enti regolatori dei vari paesi europei, in conseguenza degli studi sino ad ora presentati in pazienti con le caratteristiche definiti nella slide precedente. Sono stati oggetto di autorizzazione temporanea AIFA l’anticorpo monoclonale bamlanivimab e l’associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab, prodotti dall’azienda farmaceutica Eli Lilly, nonché l’associazione di anticorpi monoclonali casirivimab-imdevimab dell’azienda farmaceutica Regeneron/Roche.

“Gli anticorpi monoclonali se somministrati all’insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5 giorni permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave. In Liguria circa 200 persone sono state trattate così senza nessun decesso. Si tratta di una “cura efficace” contro il virus. Peccato che in Italia non sia ancora sfruttata al massimo in tutte le regioni. Occorre che si intraprendano ovunque protocolli di collaborazione tra ospedale e territorio per consentire il loro utilizzo nelle prime fasi dell’infezione”, ha detto Matteo Bassetti, Presidente SITA e Direttore UO Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico “San Martino”, Genova.
La Regione Liguria grazie al virtuoso progetto di collaborazione tra territorio e ospedale incominciato a gennaio 2021 ha ottenuto importanti risultati su questo fronte terapico.
“La nostra regione ha organizzando il Dipartimento regionale di malattie infettive a cui fanno capo tutte le divisioni di malattie  infettive della Liguria e ha stabilito che dovesse esserci un rapporto tra l’ospedale e il territorio, ovvero che ogni azienda sanitaria dovesse instillare protocolli di collaborazione tra ospedale e medicina generale e questo è stato fatto nella provincia di Genova dallo scorso ottobre: oggi sono stati gestiti circa 600 pazienti Covid positivi – ha proseguito il dottor Bassetti -. Per quanto riguarda i dati della Liguria, che conta 1,5 milione di abitanti, siamo arrivati a somministrare 126 dosi di anticorpi monoclonali per milione di abitanti, il doppio rispetto a quello che avviene mediamente in altre regioni. Tutto questo è il frutto di questa collaborazione che fa sì che i medici di medicina generale intercettino i casi Covid positivi molto precocemente e li portino all’attenzione degli ospedali. I risultati preliminari sono molto incoraggianti”.
E poi ha aggiunto l’infettivologo: “I medici di medicina generale devono essere le “civette sul territorio” che intercettano la malattia e, in questo modo, insieme all’ospedale si potranno gestire anche altri nuovi monoclonali e le altre terapie. Tanto maggiore è la capacità di fare squadra con il territorio tanto maggiore è il successo delle terapie con i monoclonali. Chi non ha fatto squadra con il territorio i monoclonali non li sta utilizzando o non li ha utilizzati. I monoclonali sono la cartina di tornasole dell’organizzazione ospedale-territorio della gestione del Covid”. 

Presso la Toscana Life Sciences Sviluppo di Siena sono stati sviluppati anticorpi monoclonali umani per il trattamento del Covid molto potenti e in grado di contrastare anche le varianti.
“Sta proseguendo la sperimentazione scientifica su monoclonali di seconda generazione quindi più potenti, somministrabili per via intramuscolo quindi al domicilio del paziente – ha spiegato Rino Rappuoli, Coordinatore scientifico Monoclonal Antibody Discovery (MAD) Lab, di Toscana Life Sciences. “Stiamo pensando di entrare nella fase clinica 2 e 3 e speriamo di potere mettere a disposizione queste terapie entro luglio”. 
L’obiettivo dei ricercatori è quello di “avere dei monoclonali che siano disponibili a pazienti non solo ad altissimo rischio infettivo ma anche per quelli che vogliono guarire velocemente, e che siano a prezzi accessibili e usabili sul territorio”. È diventato molto importante non tanto avere un cocktail di monoclonali ma avere il monoclonale giusto e più sensibile alle varianti – ha proseguito Rappuoli -: il nostro anticorpo monoclonale risponde a questi requisiti. Proveremo ad utilizzarlo anche dove altri monoclonali hanno fallito, che sono i casi di pazienti gravi”. 

“Certamente l’elemento della tempestività è fondamentale come lo è il punto di raccordo e di coordinamento tra la medicina generale e l’ospedale: bisogna essere tempestivi – ha spiegato Pierluigi Russo, Dirigente Ufficio Registri di Monitoraggio AIFA -. I dati dei trattamenti che noi monitoriamo sono assolutamente insufficienti e decisamente troppo pochi e coprono meno dell’1% dei pazienti contagiati. Capisco gli aspetti legati alle limitazioni previste dalla CTS nell’uso di questi medicinali che sono stati autorizzati con “autorizzazione in emergenza”, ma il punto fondamentale è che questa percentuale mi sembra troppo poco per riferire questa numerosità esclusivamente ai limiti previsti dalla Cts. Il registro di monitoraggio evidenzia una crescita lenta dell’uso dei monoclonali rispetto alla velocità del Sars Cvo 2 e questo è un punto negativo sicuramente, ma la possibilità di avere dei prodotti che stanno in fase di valutazione e di ulteriore autorizzazione ci aiutano ad avere una consapevolezza più estesa rispetto ai prossimi passi”. 

ANTICORPI MONOCLONALI e COVID-19: “Fondamentale il loro utilizzo in pazienti con i primi sintomi dell’infezione”

Tumori e Covid

29 aprile 2021 – Ad oggi, i dati disponibili sugli anticorpi monoclonali, confermati sia da EMA

che da AIFA, confermerebbero l’importanza del loro utilizzo in pazienti positivi entro 10 giorni

dall’esordio dei sintomi e non in pazienti con malattia grave, come avviene già per gli antivirali.

Con l’obiettivo di fare il punto sui dati scientifici disponibili sino ad ora e sulle prospettive

future, Motore Sanità ha organizzato l’instant Webinar ‘ANTICORPI MONOCLONALI ANTI COVID’.

 

Gli anticorpi monoclonali se somministrati all’insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5

giorni permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave.

In Liguria  circa 200 persone sono state trattate così senza nessun decesso. Si tratta di una “cura

efficace” contro il virus. Peccato che in Italia non sia ancora sfruttata al massimo in tutte le regioni.

Occorre che si intraprendano ovunque protocolli di collaborazione tra ospedale e territorio per

consentire il loro utilizzo nelle prime fasi dell’infezione”, ha detto Matteo Bassetti, Presidente SITA

e Direttore UO Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico “San Martino”, Genova

 

“Nella battaglia contro il covid tutti gli strumenti a disposizione sono fondamentali e vanno utilizzati

nella maniera più efficace: innanzitutto occorre che la campagna vaccinale vada avanti con celerità

e che i cittadini continuino a mantenere i comportamenti adeguati contro il contagio. Gli anticorpi

monoclonali sono un altro strumento fondamentale e devono essere utilizzati in maniera tempestiva

ed appropriata. La somministrazione precoce, come sappiamo, è la chiave fondamentale e per

questo è importante il ruolo dei medici di famiglia che, lavorando a stretto contatto con le strutture

ospedaliere, possono ottimizzare la gestione di questa cura. Tuttavia, come ha mostrato il

monitoraggio dell’Aifa nei giorni scorsi, ci sono enormi differenze nella somministrazione degli

anticorpi monoclonali tra le varie realtà del paese e anche all’interno della stessa area territoriale.

È un problema che va con urgenza superato, perché l’accesso alle cure – in questo caso innovative

– deve essere omogeneo e funzionale ai bisogni delle persone”, ha dichiarato Antonio Gaudioso,

Presidente Cittadinanzattiva

 

“Considerati la terapia di precisione del COVID-19, gli anticorpi monoclonali rappresentano

un’opzione per tentare di bloccare l’infezione da SARS-CoV2 nelle prime fasi ed impedirne la

progressione a malattia che richieda la necessità di ricovero in particolare nei soggetti a rischio

di sviluppare un COVID-19 grave. Purtroppo, i monoclonali approvati recentemente da AIFA

sono stati messi a punto diversi mesi fa quando la circolazione prevalente del virus era di tipo

diverso da quella attuale. Questo ritardo si riflette purtroppo in una minore efficacia od addirittura

nella inefficacia di questi cocktail nei confronti delle varianti ora prevalenti in Italia, in particolare

quella brasiliana che in centro Italia incide sino al 30%. È quindi di particolare importanza lo

sviluppo clinico di monoclonali di seconda generazione che posseggano invece un’adeguata

attività contro le varianti. Una adeguata ed armonica continuità assistenziale tra medicina del

territorio ed ambulatorio ospedaliero per la somministrazione dei monoclonali è il requisito

indispensabile per garantire la precocità della diagnosi e dell’intervento terapeutico che,

altrimenti, perde la sua potenziale efficacia”, ha spiegato Francesco Menichetti, Direttore

UO Malattie infettive AOU Pisana e Presidente GISA

 

Un ictus su 4 è causato dalla fibrillazione atriale. La prevenzione dei fattori di rischio è fondamentale per evitare le conseguenze drammatiche della malattia

Aderenza e appropriatezza terapeutica

Secondo quanto riporta il Ministero della Salute, in Italia, ogni anno, si verificherebbero 120.000 casi di

ictus di cui l’80% sono nuovi episodi e il restante 20% ricadute, cioè pazienti che hanno già sofferto di

ictus in passato. Il rischio di incorrere in un ictus non è uguale in tutti i soggetti e aumenta con l’età

avanzata, la presenza di diabete mellito, ipertensione arteriosa, riduzione della funzione di pompa del

cuore, malattia delle arterie o in coloro che hanno già presentato una ischemia cerebrale. Un ictus su

4 è causato dalla fibrillazione atriale (nel 20% dei casi), aritmia cardiaca nonché disturbo cronico del

ritmo cardiaco più frequente, che ha come principale bersaglio il cervello e affligge circa 900.000

individui in Italia (il 2,04% è il tasso di prevalenza nella popolazione italiana). Tra le persone di età

maggiore di 40 anni, una su quattro potrà presentare nel corso della restante vita un episodio di

fibrillazione striale. Se si dovessero elencare i fattori di rischio dell’ictus e per ciascuno indicare il livello

di consapevolezza e conoscenza del pubblicoper quanto riguarda la fibrillazione atriale la

percentuale è del 43%, contro il 57% rispetto all’ipertensione, il 55% al diabete, il 53% per gli stili di vita

e il 45% per il consumo di alcol.

Le caratteristiche della fibrillazione atriale variano da individuo a individuo. Alcune persone non

manifestano alcun sintomo, spesso per anni, mentre per altre i sintomi cambiano di giorno in giorno,

ragione per cui il trattamento congiunto dei sintomi e della fibrillazione atriale si rivela tutt’altro che semplice.

A volte la fibrillazione atriale rimane l’unico evento, mentre in altri casi l’aritmia tende a ricorrere. Da qui

l’appello forte e chiaro delle Associazioni dei pazienti: “La fibrillazione atriale viene frequentemente

diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cerebrovascolare, c’è necessità urgente di una maggiore

sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente

la popolazione”.

L’attenzione sulla prevenzione dei fattori di rischio dell’ictus è molto alta ed è stata messa in luce in un

webinar organizzato da Motore Sanità, dal titolo Screening e prevenzione dell’ictus cerebrale.

Focus Veneto’, incontro patrocinato da A.L.I.Ce. Italia O.D.V. Associazione per la Lotta all’Ictus

Cerebrale, Feder A.I.P.A. ODV Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati, F.C.S.A.

Federazione Centri per la Diagnosi della Trombosi e la Sorveglianza delle Terapie Antitrombotiche

e FIMMG Sezione di Padova. Il webinar ha visto coinvolte le principali Associazioni impegnate nella

prevenzione dell’ictus che hanno portato i bisogni e le istanze dei pazienti e hanno formulato le proposte

per raggiungere l’obiettivo così importante quanto strategico della prevenzione.

 

FEDER-A.I.P.A. Odv, la federazione che rappresenta i pazienti anticoagulati e le associazioni presenti

sul territorio, arrivano i bisogni insoddisfatti dei pazienti che i volontari cercano di tramutare in risposte.

L’appello del suo presidente Nicola Merlin è forte.

C’è necessità di un cambiamento da parte delle associazioni e di sviluppare un forte interesse nella

prevenzione dei rischi collegati alla fibrillazione atriale, in questa fase di pandemia non è semplice,

perciò serve la collaborazione di tutti”.

 

Abbiamo bisogno dell’aiuto dei nostri associati e l’aiuto a livello nazionale e regionale” ha aggiunto

Marino Mancini, Coordinatore Regione Veneto di FEDER-A.I.P.A. Odv, associazione nata nel 2019

che cerca di elevare la qualità di vita dei pazienti, fa formazione e programma iniziative di valenza nazionale.

 

Perché c’è un dato importante che fa riflettere: durante gli screening organizzati in questi anni dalle

associazioni dei pazienti in cui le persone si  sottoponevano alla misurazione e rilevazione della pressione

arteriosa e del ritmo cardiaco si è riscontrato in circa il 2% dei casi la presenza di fibrillazione atriale.

Voglio ricordare che una fibrillazione atriale inconsapevole può determinare un ictus” ha rimarcato Merlin.

Il nostro compito è quindi promuovere la formazione e l’educazione del paziente e per fare questo abbiamo

realizzato un vademecum che abbiamo pubblicato sul nostro sito https://www.federaipa.com ed è anche

disponibile in versione cartacea, che dà le risposte sulla gestione della terapia anticoagulante”.

 

ALICE Italia Odv, Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, porta avanti il messaggio della prevenzione

nonostante i risvolti drammatici della pandemia.

Il Covid non ci ha aiutato perché le nostre campagne di sensibilizzazione hanno avuto minore possibilità

di essere svolte, è venuta meno la possibilità di fare screening in piazza o con la formula degli “ospedali a

porte aperte” ma non ha fermato la nostra mission” ha spiegato Nicoletta Reale, Presidente A.L.I.Ce. Italia

Odv. “Ci auguriamo di essere presto nuovamente in piazza per incontrare personalmente i nostri pazienti e

fornire loro tutte le informazioni perché mettano in campo una prevenzione contro l’ictus. Ancora oggi i

cittadini non hanno la piena consapevolezza dei suoi fattori di rischio, quindi la formazione e

l’educazione sono necessarie. E’ necessario inoltre che la popolazione modifichi il proprio stile di vita,

che vuol dire mettere in atto una prevenzione attiva. Sono fermamente convinta che sono necessarie delle

strategie per evitare che questa patologia e in particolare le conseguenze abbiano risvolti drammatici”.

 

Bisogna essere non solo tempestivi e presenti durante l’evento ma anche durante e dopo” è stato l’appello

alle istituzioni di Paola Regazzo, Referente A.L.I.Ce. Veneto Odv. “Dobbiamo avere una rete continua che

già è molto attiva nel Veneto, ma bisogna fare di più. Dateci più possibilità di mettere in rete la filiera che

va dal cittadino al paziente che si trova in una situazione critica, al post. E’ giusto che tutti possano

avere una componente attiva, lavorare con una telemedicina efficace sul territorio, che libera gli ospedali

da persone che arrivano in situazioni critiche che hanno aspettato troppo e che permetta ai pazienti di non

soggiornare in ospedale per lunghi percorsi di riabilitazione, e magari riuscire ad avere percorsi di

riabilitazione facilitati a livello domiciliare piuttosto che con strutture diversamente convenzionate che

aiutano le persone ad avere risposte da casa”.

 

Anche secondo la medicina generale si deve lavorare di più sulla prevenzione e si deve guardare ad un

nuovo futuro del territorio.

Fimmg si sta impegnando molto negli ultimi anni, tanto che nell’ultimo anno Fimmg Padova ha portato

avanti un progetto di sperimentazione sull’utilizzo di Ecg e di Ecg older all’interno degli ambulatori della

medicina generale – ha spiegato Mariateresa Gallea, Medico Medicina Generale -: questa possibilità di

utilizzare strumenti di diagnostica di primo livello in autonomia o in alcuni casi in telemedicina ha visto

importanti risultati: sono state eseguite oltre 2.000 prestazioni. Ma tutto questo non può essere lasciato

alla singola iniziativa del medico o alla singola organizzazione. Su questo da anni stiamo lavorando, per

potenziare le forme organizzative della medicina generale intese come gruppo di medici che

condividono personale infermieristico e amministrativonell’ottica di una migliore e più efficace

gestione dei pazienti cronici, riducendo gli accessi impropri in pronto soccorso e di secondo livello”.

 

Abbiamo creato a Verona come a Padova una alleanza molto forte con l’ospedale per affrontare la

drammaticità della pandemia che ci ha riguardato tutti, da questo credo che si debba partire per

rinsaldare la conoscenza e i contatti con tutta la rete ospedaliera perché questo è il futuro che ci spetta

ha spiegato Giulio Rigon, Medico Medicina Generale. “L’integrazione tra ospedale e territorio sarà

possibile se facciamo crescere la medicina generale dotandola di personale infermieristico per

agevolare l’assistenza a domicilio al paziente e dotandola delle importanti tecnologie. Ricordiamo che

i pazienti colpiti da ictus hanno bisogno di cure, di supporto e di terapia fisica che spesso non trovano

sul territorio o trovano con difficoltà”.

 

Ha infine commentato così Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e

Vascolare, Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organisation e dell’Osservatorio Ictus

Italia. “Secondo il report europeo sulla fibrillazione atriale è necessario promuovere l’implementazione

delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus aumentando la comunicazione sulle best practice

evidenziando gli interventi chiave come la gestione della fibrillazione atriale e altre azioni preventive e

assicurando l’accesso alle terapie preventive anche innovative. C’è necessità di un maggiore 

potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario e penso all’istituzione dell’infermiere di

famiglia e all’impegno per i medici di medicina generale. Altro aspetto importantissimo è il sostegno

per le tecnologie digitali garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti,

da un lato con maggiori investimenti dall’altro con modalità di utilizzo definite. Insomma dobbiamo

creare una alleanza globale per l’approccio olistico dei nostri pazienti”.  

La continuità di cura ha bisogno di dati condivisi tra ospedale e territorio. Fascicolo sanitario e cartella clinica elettronici, ecco le esperienze virtuose

innovazione dirompente

 

28 aprile 2021 – L’eHealth o “sanità elettronica” ha aperto a nuovi scenari che intrecciano medicina informatica,

sanità (pubblica e privata) e imprese con soluzioni applicabili all’intera gamma di funzioni del sistema sanitario

e alle nuove tecniche di interazione medico-paziente. Per una migliore gestione della salute del paziente sono

necessarie una riduzione del rischio clinico associato l’errore umano e una completa digitalizzazione dei

processi clinici per avere un formato unico e uniforme condivisibile tra i professionisti e le varie strutture.

Le soluzioni che lo consentono sono la digitalizzazione dei processi clinico ospedalieri (continuità

assistenziale, gestione della farmacoterapia e gestione dei processi di laboratorio) la configurazione della

cartella clinica elettronica (smart care system, assistenza domiciliare integrata, cure palliative) e progetti

per favorire lo scambio distanza di informazioni tra gli operatori sanitari.

Due esperienze sul territorio nazionale dimostrano come grazie all’introduzione del fascicolo sanitario

elettronico (FSE) in Emilia Romagna e della nuova cartella clinica elettronica presso il Policlinico

Universitario Campus Bio-Medico di Roma sia notevolmente cambiato il modo di erogare le prestazioni

sanitarie ai cittadini e di garantire la continuità di cura al paziente. I risultati sono entusiasmanti e potrebbero

essere replicati in altre regioni.

Di questo si è parlato in un nuovo incontro dell’Academy di alta formazione di Motore Sanità Tech dal titolo

I dati in Sanità e la Cartella Clinica Elettronica’ realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Lutech.

 

La best practice in Emilia Romagna è rappresentato dal Fascicolo sanitario elettronico. E i dati lo confermano.

Si è passati da avere pochi utenti a molti utenti, pari a 20 milioni di utenti SPID (un terzo degli utenti italiani).

Nell’ultimo trimestre, grazie a SPID, gli accessi al fascicolo sanitario elettronico sono stati 7,5 milioni da

circa 650mila utenti (mentre sono 2,5 milioni gli accessi in app da circa 250mila utenti). Per quanto riguarda gli

utenti che accedono attraverso sistemi di autenticazioni precedenti (che dovranno smettere di funzionare a

settembre 2021) sono stati 14milioni. Le donne accedono di più al fascicolo sanitario elettronico rispetto agli

uomini; il range di età è del 6% per la fascia entro i 24 anni, del 13% per la fascia 25-34 anni, del 19% per la

fascia 35-44 anni, del 25% per la fascia 45-54 anni, per poi riscendere nella fascia 55-64 anni al 19% e al 18 fra

gli over 65. Il provider Lepida sta crescendo di 50mila utenze al mesedalle 10mila alle 15mila a settimana.

Il fascicolo sanitario elettronico inoltre contiene referti di laboratori, di radiologia, di specialistica e di pronto

soccorso; le lettere di dimissioni post ricovero, il bilancio di salute, la parte del certificato vaccinale, il certificato

medico sportivo agonistico, la parte delle prescrizioni specialistiche e delle prescrizioni farmaceutiche. Inoltre

contiene i piani terapeutici, i referti di percorsi interni ospedalieri, la parte del tesserino sanitario e delle

autocertificazioni, nonché comunicazioni mirate al cittadino per l’attivazione di alcuni percorsi (di screening),

lettere solleciti e buoni celiachia. E ancora: sono 800milioni i documenti indicizzatile prenotazioni sono

cresciute enormemente: nell’ultimo periodo ne sono state registrate quasi 60milaL’app Speed only

registra circa mezzo milione di download e accessi mensili pari a 2,5 milioni e 250mila utenti.

Abbiamo usato il fascicolo sanitario elettronico come strumento per le prenotazioni vaccinali contro il Covid

i dati emersi sono interessanti – ha snocciolato altri dati Gianluca Mazzini, Direttore Generale Lepida -:

con la campagna over 70, escludendo le farmacie come Hub di prenotazione, l’online ha battuto la somma fra

le prenotazioni telefoniche e quelle fatte tramite sportello. La campagna vaccinale over 65 ha confermato il

dato e ha mostrato un ulteriore aumento del 30-40%. Oggi stiamo ragionando se il fascicolo deve rimanere

solo sanitario o può diventare anche socio-sanitario”.

 

La nuova cartella clinica elettronica del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma è una

concreta testimonianza sull’implementazione di un progetto di digitalizzazione del dato ospedaliero, che

ha portato ad un miglioramento della qualità della documentazione clinicariduzione del rischio,

integrazione dei processi clinici con quelli amministrativi incremento del volume di

dematerializzazione. L’architettura applicativa alla base del nuovo sistema è basata su un approccio

modulare best-of-breed che prevede la presenza di un enterprise service bus centrale per le integrazioni

tra i diversi moduli.

L’introduzione della nuova Cartella clinica elettronica è avvenuta ad ottobre 2020 e nell’ambito di un più

ampio e complesso percorso di evoluzione del Sistema informativo ospedaliero del Policlinico Universitario

Campus Bio-Medico, partito circa 6 anni fa – ha spiegato Marco Venditti, Responsabile Gestione Operativa

– Area Sistemi Informativi Policlinico Universitario Campus Bio-medico, Roma -. L’implementazione della

nuova Cartella ha rappresentato una importante opportunità per l’evoluzione dei processi in ambito clinico e

dei processi assistenziali e ha permesso di ottenere importanti risultati in sette mesi: una documentazione

clinica omogenea e conforme agli standard qualitativi JCI, grazie anche all’adozione di minimum data set

stabiliti dalla direzione clinica; la registrazione dei dati contestuale agli eventi clinici e più immediata

accessibilità ai dati clinici da parte di tutto il personale sanitario; nonché l’adozione pervasiva della firma

digitale ovvero tracciabilità completa della documentazione clinica; per il paziente, che ha disponibile tutta

la documentazione ambulatoriale tramite il portale paziente my-hospital; l’implementazione di un efficace

sistema di alert che fornisce indicazioni agli operatori sanitari sia sullo stato di compilazione della cartella

che sullo stato di salute del paziente con conseguente riduzione del rischio clinico e la corretta integrazione

tra CCE e gli altri moduli ha permesso di potenziare sia i processi clinici che quelli amministrativi”.

I prossimi passi riguarderanno l’implementazione del modulo di gestione della terapia e dei parametri

vitali e contestuale introduzione di un sistema di supporto alle decisioni cliniche; l’introduzione di un

modulo di raccolta e gestione di dati anonimizzati da utilizzare per la ricerca e i trial clinici. “I vantaggi

che ci si aspetta nel medio periodo riguardano il miglioramento nell’appropriatezza della documentazione

clinica di ricovero e dell’aderenza agli standard di qualità, il miglioramento nell’efficienza dei processi di

refertazione grazie alla più ampia disponibilità di dati storici strutturati e richiamabili e il miglioramento

generale della qualità delle cure anche grazie ad un uso strutturato di tecnologie a supporto delle

decisioni cliniche”.

Ictus Cerebrale: “Investire sull’implementazione digitale delle cure per facilitare l’accesso ai pazienti e garantire la sostenibilità del sistema sanitario”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

28 aprile 2021 – In Italia, ogni anno, si verificano 120.000 casi di ictus, l’80% sono nuovi

episodi e il restante 20% ricadute di eventi del passato. 1 ictus su 4 è causato dalla

Fibrillazione Atriale, che affligge circa 900.000 individui in Italia, il cui rischio aumenta

con l’avanzare dell’età, con la presenza di diabete, l’ipertensione arteriose e le malattie

delle arterie. La fibrillazione atriale, che colpisce dopo i 40 anni, spesso tende a

interrompersi spontaneamente, senza manifestare alcun sintomo, altre volte i sintomi

cambiano di giorno in giorno, e trattarlo diventa difficile. Per approfondire la tematica

Motore Sanità, ha organizzato il webinar ‘Screening e prevenzione dell’ictus cerebrale.

Focus Veneto’, incontro patrocinato da A.L.I.Ce. Italia O.D.V. Associazione per la Lotta

all’Ictus Cerebrale, Feder A.I.P.A. ODV Federazione Associazioni Italiane Pazienti

Anticoagulati, F.C.S.A. Federazione Centri per la Diagnosi della Trombosi e la

Sorveglianza delle Terapie Antitrombotiche e FIMMG Sezione di Padova.

 

“L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie

cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 120.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà

dei sopravvissuti rimane con gravi esiti. Inoltre, il costante invecchiamento demografico

potrebbe inoltre alimentare un incremento dell’incidenza del 30% tra il 2015 ed il 2035 per

cui è importante investire sull’implementazione delle cure e la prevenzione anche per evitare

che il sistema non regga. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono

circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo

all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. Infatti, la fibrillazione atriale è una

patologia intermittente e spesso asintomatica. Questo rende la sua diagnosi insidiosa,

perché per diagnosticarla, il paziente deve presentare la fibrillazione atriale nel momento in

cui viene sottoposto ad un elettrocardiogramma. I metodi di screening della FA che

sembrerebbero garantire i migliori risultati in termini di costo-efficacia hanno utilizzato le

moderne tecnologie che permettono di ottenere un elettrocardiogramma ad una sola 

derivazione da dispositivi portatili. Il sostegno delle tecnologie digitali potrebbe facilitare

l’accesso alle cure da parte dei pazienti. L’implementazione delle tecnologie digitali

richiede una collaborazione dei diversi stakeholder includendo le società scientifiche,

associazioni dei pazienti, industria farmaceutica e politica”, ha spiegato Valeria Caso,

Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare – Stroke Unit, Membro

del Direttivo della World Stroke Organisation e dell’Osservatorio Ictus Italia

 

“Aprile è il mese che A.L.I.Ce. Italia Odv, l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale,

dedica ogni anno alla prevenzione di questa patologia con l’obiettivo di sensibilizzare le

persone sui principali fattori di rischio ictus che possono essere modificati attuando

cambiamenti opportuni e responsabili nel proprio stile di vita e facendo esami di

controllo che rilevino la presenza di eventuali patologie. Tutti devono essere

maggiormente consapevoli che i fattori di rischio da soli e, ancora di più in

combinazione tra loro, aumentano notevolmente il rischio di essere colpiti da ictus, che

si manifesta in modo improvviso, ma può essere prevenuto. Non va inoltre dimenticato

che l’ictus, come tutte le malattie cardiovascolari e i tumori, è una malattia multifattoriale,

dovuta quindi alla concomitante azione di più fattori: ipertensione arteriosa, diabete,

fumo, obesità, sedentarietà e alcune anomalie cardiache e vascolari. Il cuore gioca un

ruolo cruciale nell’insorgenza dell’ictus, essendo la fibrillazione atriale tra le principali

cause di lesioni invalidanti al cervello. Chi ne soffre ha un disturbo cronico del ritmo

cardiaco dovuto a battiti fortemente irregolari, che provoca la formazione di coaguli di

sangue che possono determinare un ictus. Riconoscere e curare la fibrillazione atriale

è tra le più efficaci strategie preventive che possiamo attuare per mettere al sicuro il

cervello dal rischio di avere un ictus. Le terapie della fase acuta dell’ictus cerebrale

(trombolisi e trombectomia meccanica) attualmente disponibili possono evitare del tutto

o migliorare in modo sorprendente gli esiti, ma la loro applicazione rimane tutt’oggi

ancora limitata dalla scarsa consapevolezza dei sintomi da parte della popolazione, dal

conseguente ritardo con cui chiama il 112 e quindi arriva negli ospedali idonei, dal ritardo

intra- ospedaliero e, infine, dalla mancanza di reti ospedaliere appropriatamente

organizzate”, ha dichiarato Nicoletta Reale, Presidente A.L.I.Ce. Italia Odv

Academy Motore Sanità Tech: “Trasformazione digitale dei dati e della cartella elettronica per ridurre il rischio clinico per i pazienti e per rendere più sostenibile il sistema salute”

Blockchain e AI

28 aprile 2021 – Migliorare la qualità dei dati sanitari, ridurre il rischio clinico, integrare i

processi amministrativi, potenziare la digitalizzazione a favore dei pazienti. Questi alcuni

dei temi del nuovo incontro dell’Academy di alta formazione di Motore Sanità Tech dal

titolo ‘I dati in Sanità e la Cartella Clinica Elettronica’ realizzato grazie al contributo

incondizionato del Gruppo Lutech.

 

“Nell’ottica di una sempre più completa e pervasiva digitalizzazione dei processi ospedalieri,

l’introduzione o l’evoluzione di una Cartella Clinica Elettronica, integrata nel più ampio

ecosistema del Sistema Informativo Ospedaliero, rappresenta il fulcro dei processi in ambito

clinico. I benefici attesi possono essere così riassunti: migliorare la qualità della

documentazione sanitaria, grazie ad esempio all’adozione di un minimum data set comune a

tutte le unità operative; ridurre il rischio clinico, grazie alla gestione di alert, reminder,

obbligatorietà; integrare, ove opportuno, i processi amministrativi per garantire correttezza e

puntualità nella gestione dei flussi di rendicontazione; potenziare la digitalizzazione a favore

dei pazienti, grazie all’introduzione della firma digitale pervasiva e la conseguente disponibilità

di referti ed esami su portali paziente e FSE. Prerequisiti affinché si possano raggiungere

risultati soddisfacenti sono una approfondita fase di progettazione, che preveda il coinvolgimento

attivo di tutti gli stakeholders, una accurata mappatura dei processi clinico/amministrativi e infine

la disponibilità di un Sistema Informativo flessibile e aperto, basato su architetture standard”, ha

detto Marco Venditti, Responsabile Gestione Operativa – Sistemi Operativi Policlinico Universitario

Campus Bio-Medico, Roma

 

“La partecipazione a questa Academy di alta formazione rientra perfettamente nel ruolo da

protagonista che Lutech intende giocare nel processo della Digital Transformation, che sta

interessando l’intero settore della sanità, e le consentirà di consolidare il proprio ruolo di

primario partner tecnologico capace di realizzare soluzioni “end-to-end”. Le competenze

digitali e la tecnologia rappresentano sicuramente delle leve strategiche per rendere più

sostenibile il settore socio-sanitario e questa Academy vuole essere uno strumento prezioso

e utile per mettere a disposizione il know-how di Lutech nel mondo digitale a medici e ad

operatori sanitari, che spesso le considerano qualcosa di complesso e lontano dal proprio

ambito professionale. In particolare, riteniamo che la valorizzazione della grande base

informativa costituita dai dati raccolti in ambito clinico all’interno degli ospedali sia il punto di

partenza imprescindibile per poter ottenere il miglioramento delle prestazioni erogate e quindi

una maggiore efficacia delle cure a vantaggio del paziente stesso. La consolidata esperienza

di Lutech nei processi di digitalizzazione della Cartella Clinica Ospedaliera è un esempio

concreto di come raccogliere in formato “nativo digitale” i dati, al fine di aggregarli e renderli

facilmente consultabili e condivisi tra medici e infermieri. Questo porta ad una concreta

riduzione del rischio clinico associato alla cura e ad una maggiore e più efficace condivisione

delle informazioni verso la Medicina del Territorio attraverso i Fascicoli Sanitari”, ha spiegato

Luca Novella, Industry Leader Public Sector & Healthcare del Gruppo Lutech

 

Le reti oncologiche mettono al centro il paziente e razionalizzano le risorse. Ma perché sono ancora poche in Italia?

Di Malta

24 Aprile 2021 – Nella grande rivoluzione organizzativa e tecnologica del “mondo cancro”,

il paziente oncologico deve essere posto al centro del percorso e disporre delle cure

più innovative in tempi rapidi. In questo scenario la rete oncologica rappresenta lo

strumento oggi sempre più indispensabile per garantire da una parte equità nell’accesso dei

pazienti a cure appropriate e di qualità, e dall’altro per razionalizzare e programmare le risorse

economiche, tecnologiche e professionali necessarie nell’ambito dei territori. Ma sul territorio

nazionale sono ancora poche le realtà virtuose.

La rete è stata posta al centro del webinar ONCOnnection LA RETE ONCOLOGICA

STRUMENTO DI GOVERNO E DI PROGRAMMAZIONE DELLE RISORSE NECESSARIE,

organizzato da Motore Sanità, in collaborazione con Periplo e realizzato grazie al contributo

incondizionato di Pfizer, Amgen, Boston Scientific, Nestlé Health Science, Takeda, Kite a

Gilead Company, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson e Kyowa Kirin.

Le ragioni di una diffusione non omogenea a livello nazionale delle reti oncologiche sono state

esposte dai massimi esperti che hanno formulato proposte per dare all’oncologia italiana un nuovo volto.

 

La rete rappresenta il miglior modello per organizzare l’oncologia perché garantisce la prossimità,

l’equità dei pazienti, l’omogeneità dell’offerta e il governo del diritto all’innovazione. La rete mette al

centro della propria attività il percorso, che di per sé stesso è terapeutico e può influire sulla prognosi

– ha spiegato Gianni Amunni, Associazione Periplo – Direttore Generale ISPRO, Regione Toscana -.

Se la rete è riconosciuta e legittimata diventa anche uno strumento di semplificazione e di

appropriatezza nella programmazione, come l’individuazione delle risorse economiche e umane

necessarie perché la rete funzioni e gli investimenti su tecnologie. Prerequisito indispensabile

perché la rete funzioni è che ci siano senso di appartenenza e una gestione che sia

collaborativa e non competitiva. Questo è il punto vero”.

 

Una struttura organizzata prevede che ci siano attori, che ciascuno abbia un ruolo specifico, che

ci siano meccanismi di coordinamento tra questi attori, meccanismi di incentivo, meccanismi di

finanziamento dell’intera macchina e dei meccanismi di verifica della attività svolta – ha aggiunto

Giuseppe Turchetti, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Scuola Superiore

Sant’Anna, Pisa –Il tema della non competizione è il tema centrale e uno dei problemi rilevanti

nel costruire delle reti”.

 

La pandemia ce l’ha insegnato – ha spiegato Maria Grazia Laganà, Direttore Direzione generale

della programmazione sanitaria – Qualità, rischio clinico e programmazione ospedaliera Ministero

della Salute – è importante fare squadra, sviluppando di più la sinergia ospedale e territorio

e su questo la rete oncologica dovrebbe essere un punto di forza. È importante prendere in

carico il paziente in ospedale ma anche in tutto il percorso, per questo c’è necessità di avere spazi

e personale dedicato che segue il percorso del malato oncologico”.

 

Carmine Pinto, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia dell’IRCCS Santa Maria Nuova,

Reggio Emilia ha posto il problema della eterogeneità delle reti sul territorio nazionale ma non

completamente diffuse sul territorio.

Perché abbiamo reti tanto diverse per qualità di funzionamento, per modalità di organizzazione, per

programmazione e per risposte che danno? Condividiamo che la rete può fornire prestazioni migliori,

l’accesso ai pazienti e un razionale utilizzo delle risorse di cui avrebbe bisogno, ma perché questo

non avviene? Perché questo avviene solo in alcune regioni e perché avviene in maniera così diversa

laddove ci sono le reti? Dove abbiamo le reti siamo sempre comunque riusciti a programmare la

distribuzione delle risorse delle tecnologie o va implementato maggiormente questo aspetto? Nelle

aree dove ci sono le reti o stanno nascendo, abbiamo definito di quanti Da Vinci avevano bisogno o

ne hanno avuti uno ogni 50-60 chilometri e molte volte sono stati anche sottoutilizzati? Abbiamo

definito i centri di biologia molecolari ad altro profilo? E ancora: abbiamo all’interno delle reti regole

tariffarie che sono completamente diverse tra regioni e regioni e abbiamo un nomenclatore che

aspetta da 5-6 anniPenso che questo sia un tema centrale se vogliamo sviluppare un sistema rete.

Il problema è passare da una cultura di rete a scelta politica nazionale”.

Secondo Carmine Pinto le motivazioni di questa profonda disomogeneità sono le diversità delle

situazioni sanitarie di partenza (sanità più o meno organizzate e sanità che si erano già dati

modelli organizzativi) e diversità amministrative. “Se crediamo che la sanità funzioni meglio con

la rete questo va dimostrato con dei numeri: oggi i dati li abbiamo e abbiamo la possibilità di

raccogliere flussi di dati ma non riuscimmo a farli parlare tra di loro, non riusciamo a produrre

indicatori e a utilizzare al meglio i dati del Registro tumori. O tutto questo lo rendiamo sistema o

avremo ancora queste forti carenze”.

 

Il passo fondamentale per trasformare davvero i sistemi a rete, e questo vale per tutte le reti di

patologie croniche non solo per le reti oncologiche, sarà il cambio di modalità di finanziamento

dei servizi sanitari: il finanziamento non sia più a quota capitaria e a prestazione ma sia a

percorso assistenziale. Questo è uno dei grandi progetti che sta portando avanti la Fondazione

Periplo che coinvolge molte delle reti oncologiche esistenti” ha spiegato Pierfranco Conte,

Associazione Periplo – Direttore SC Oncologia Medica 2 IRCCS Istituto Oncologico Veneto, Padova,

Direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica Dipartimento di Scienze Chirurgiche

Oncologiche e Gastroenterologiche, Università di Padova, Coordinatore Rete Oncologica Veneta.

 

Serve sinergia e un coordinamento nazionale forte e vero delle reti oncologiche regionali,

abbiamo delibere di istituzione diverse, ci sono reti organizzative e reti di tipo collaborativo e ci sono

reti con finanziamenti dedicati e reti con finanziamenti non dedicati” ha evidenziato Franca Fagioli,

Direttore f.f. Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta.

 

Non c’è in Italia un Lea delle reti in genere e finché non si costruisce insieme una base comune

su cui organizzarsi non andremo da nessuna parte – ha aggiunto Mario Boccadoro, Professore

Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università di Torino -. Penso che

una revisione parziale del titolo quinto per quanto riguarda la sanità ci potrebbe aiutare ad

armonizzare il nostro sistema e quindi anche a dare alle reti un ruolo istituzionale riconosciuto”.

 

Dal punto di vista dei pazienti – ha rimarcato Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di FAVO –

Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – lo sforzo importante è

assicurare nella presa in carico la parte dell’assistenza e della riabilitazione distinguendo la fase

in cui si trova il paziente, perché può essere meglio preso in carico dal centro oncologico piuttosto

che dal territorio. È vero che abbiamo una carenza di personale sanitario, in particolare medico, ma 

abbiamo anche figure nuove come gli infermieri di comunità che possono rendere possibile una

medicina di prossimità che per i pazienti oncologici, quando è possibile, è certamente un valore

aggiunto. L’altro sforzo è un investimento in sanità digitale sotto tutti i punti di vista, cruciale per

il monitoraggio e il governo del sistema, per la ricerca, nonché modalità integrativa di presa in carico

del paziente sotto forma di telemedicina e televisita. C’è necessità, insomma, di risorse strutturali

da una parte e di fondi straordinari dall’altra che può garantire il Piano nazionale oncologico in linea

con quello europeo, che a cascata dall’Europa all’Italia arrivano alle singole regioni”.