IL RECOVERY FUND A GIUDIZIO DEGLI ITALIANI Verso il Global Health Forum

Telemedicine R-evolution

20 maggio 2021 – In Italia ogni anno circa 270 mila cittadini sono colpiti dal cancro. Attualmente, il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze invalidanti. Dell’altro 50% una buona parte si cronicizza, riuscendo a vivere più a lungo. Ci sono però ancora problemi: dalla presa in carico del paziente alla revisione organizzativa, dall’accesso uniforme a terapie innovative ai problemi nutrizionali che moltissimi pazienti presentano. Il coordinamento tra Centri ‘Hub e Spoke’ e medicina territoriale, è fondamentale nei processi organizzativi/gestionali. Per fare il punto sul tema, Motore Sanità ha organizzato un nuovo incontro ‘ONCOnnection – La medicina di precisione: un nuovo snodo chiave del percorso diagnostico-terapeutico’, serie di webinar incentrati sul mondo dell’oncologia, realizzati grazie al contributo incondizionato di Pfizer, Amgen, Boston Scientific, Nestlé Health Science, Takeda, Kite a Gilead Company, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson e Kyowa Kirin. 

“A lungo in ambito oncologico ci siamo concentrati sulla patologia, raggiungendo risultati importanti anche con poche conoscenze specifiche dei processi biologici che sono alla base della malattia. Oggi sappiamo, invece, che non possiamo più pensare che esista “il” tumore ma tanti sono “i” tumori, e ogni persona presenta una malattia diversa con un’evoluzione differente. Siamo anche consapevoli del fatto che il nostro patrimonio genetico, unico per ciascuno di noi, interagisce in maniera altrettanto peculiare con l’ambiente circostante. Per questo dobbiamo guardare ad ogni paziente come un individuo “unico” e applicare una medicina di precisione che possa consentirci di ottenere i migliori risultati tenendo conto della genetica e dell’epigenetica, ovvero delle caratteristiche biologiche della malattia, delle caratteristiche cliniche del paziente, unendo le diverse discipline e competenze e quanto di meglio, in termini di tecnologia e terapia, provenga dalla ricerca. In altre parole, dobbiamo guardare a ogni paziente come già aveva suggerito Ippocrate nel Prognostico: cercando di capire cosa sia meglio per quella singola persona.”, ha dichiarato Rossana Berardi, Direttore Clinica Oncologica, Direttore Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica, Direttore Centro di Riferimento Regionale di Genetica Oncologica, Ospedali Riuniti di Ancona

“Il profondo cambiamento a cui stiamo assistendo nel campo dell’oncologia umana è principalmente dovuto ai progressi nell’ambito genetico e genomico. Il nuovo modello di “oncologia mutazionale” ha consolidato il principio ben noto di “medicina di precisione” con lo sviluppo di terapie a bersaglio molecolare sempre più efficaci. In questo nuovo scenario è fondamentale che la Rete Oncologica Piemonte Valle d’Aosta garantisca, nella pratica clinica, il mantenimento di appropriatezza, omogeneità e sostenibilità economica dei test genomici richiesti, nonché renda disponibili specifiche competenze scientifiche e cliniche per la scelta delle terapie mediche. La profilazione molecolare di campioni tumorali e l’espansione dei dataset di “big data” genomici renderanno infatti sempre più complessa l’interpretazione dei dati da parte dei clinici, facendo crescere il divario tra le conoscenze cliniche e le implicazioni della genomica nella cura del cancro. In tale contesto è fondamentale il ruolo dei Tumor Board Molecolari, all’interno dei quali operano differenti specialisti, che si pongono l’obiettivo di fornire risposte ed indirizzi a supporto della Rete Oncologica Regionale, sia in riferimento alla governance del sistema che sugli aspetti clinici, al fine di governare l’accesso ai nuovi approcci terapeutici secondo appropriatezza, garantire un’offerta di qualità alla rete, promuovere l’omogeneità nelle procedure sul territorio regionale, e definire un’organizzazione basata sull’equilibrio costo/efficacia, anche per la definizione di criteri per l’accesso all’innovazione in campo terapeutico-assistenziale.”, ha detto Franca Fagioli, Direttore ff Rete Oncologica Piemontese – Direttore SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti – Presidio Ospedaliero Infantile Regina Margherita – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

La genetica molecolare è il futuro dell’oncologia ma va inserita nella rete oncologica con percorsi ben delineati per non creare eccessive aspettative nei pazienti

Blockchain e AI

20 maggio 2021 – Con l’eccezionale impulso dato dalla ricerca alla medicina di precisione, emerge la convinzione che un unico “expertise clinico” non sia più sufficiente ma che questo debba essere integrato con saperi diversi. Il Molecular Tumor Board (MTB) diventa un team fondamentale in quest’ottica, quale gruppo multidisciplinare in cui si integrano molte diverse ed attuali competenze tecniche oltre a quelle oncologiche ed ematologiche, come la biologia molecolare, l’anatomia patologica, la farmacologia, la farmacia ospedaliera, l’analisi dei dati, la sicurezza normativa dei dati e l’information technology.
Lo stesso Next Generation Sequencing (NGS) o sequenziamento in parallelo rappresenta una serie di tecnologie che permettono di sequenziare grandi genomi in un tempo ristretto.
L’impiego di queste tecniche permette, attraverso la caratterizzazione simultanea di questi molteplici elementi in una sola procedura, di effettuare studi di vario genere semplificando tempi e procedure, individuando riarrangiamenti cromosomici, variazioni nel numero di copie di frammento di DNA. Attraverso molti aspetti diversi l’operatività reale di questo modello potrà introdurre alla filiera di cura in oncologia un valore aggiuntivo clinicamente rilevante: la stadiazione e le sequenze di trattamento del tumore secondo le più recenti linee guida, lo studio delle mutazioni genetiche, delle mutazioni che codificano lo sviluppo del tumore e la sua evoluzione nel tempo; l’analisi e valutazione del profilo genomico individuale con tecnologia NGS, raccolta sistematica ed uniforme dei dati clinici e della genomica che portino conoscenza ed evidenze scientifiche in un’area ancora spesso da consolidare; la scelta dei farmaci oncologici più appropriati in commercio (ma anche in fase di registrazione o off-label 648) per quel paziente.
Un aspetto molto importante sarà l’integrazione dei MTB e delle tecnologie NGS con i sistemi di approvazione e rimborso delle agenzie regolatorie. Questo nuovo scenario tecnico-organizzativo-strumentale, utilizzato su più ampia scala, porrà la necessità di creare un ponte tra evidenze scientifiche e valutazioni regolatorie, e se non si uniformerà la diffusione di queste innovazioni organizzative si porrà un problema di allineamento di accesso alle cure tra Paesi non solo all’interno delle nostre regioni.
Per capire quali saranno le risorse necessarie per fare in modo che non ci siano differenze regionali e quale organizzazione sarà utile, Motore Sanità ha organizzato un nuovo incontro del percorso ONCOnnection dal titolo “LA MEDICINA DI PRECISIONE UN NUOVO SNODO CHIAVE DEL PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO. ONCOnnection è una serie di webinar incentrati sul mondo dell’oncologia, realizzati grazie al contributo incondizionato di Pfizer, Amgen, Boston Scientific, Nestlé Health Science, Takeda, Kite a Gilead Company, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson e Kyowa Kirin.

“Il Molecular Tumor Board è una corsa importante, nuova, centrale sui cui lavorare perché la medicina di precisione sia garantita a tutti – ha spiegato Gianni Amunni, Associazione Periplo – Direttore Generale ISPRO, Regione Toscana -. Il Molecular Tumor Board ha necessità di essere fortemente incardinato nel percorso oncologico pubblico con momenti importanti di integrazione fra diversi attori del percorso. Il Molecular Tumor Board attiva un processo di utilizzo di farmaci e di sinergie con i produttori che dovrà essere il più velocemente possibile normato”. 
Secondo il Dottor Amunni ci deve essere inoltre una limitazione sul numero del MTB (in Toscana, su 3,5 milioni di abitanti ne è stato deliberato uno) e ci devono essere elementi molto certi, stringenti su alcuni aspetti: “Criteri stringenti su casi eleggibili per l’accesso al MTB; la definizione di pochi laboratori di riferimento con pannelli condivisi; accesso al MTB sempre indiretto che vuol dire che i pazienti sono indirizzati al MTB dal gruppo oncologico multidisciplinare che lo ha in carico. Infine, sarà importante l’obbligatorietà di partecipare a banche dati nazionali e internazionali perché solo dalla condivisione delle esperienze e dei dati che possiamo crescere giorno dopo giorno”. 

“Perfettamente integrato nella rete oncologica e guidato dalle richieste dei gruppi multidisciplinari che si occupano dei singoli tumori, il Molecular Tumor Board diviene uno strumento veramente straordinario per far crescere non solo l’oncologia come servizio per i pazienti, ma anche e soprattutto una diversa capacità di integrazione con le realtà della nostra attività clinica quotidiana aprendo prospettive, anche a livello internazionale, di grande interesse per il nostro paese – ha spiegato Paolo Marchetti, Direttore Oncologia Medica B Università La Sapienza Roma -. E’ proprio su questi punti di innovazione che saranno resi possibili dalla creazione di MTB a livello regionale e interregionale che si aprirà anche un diverso rapporto tra regioni delle attività che vengono svolte in questo campo innovativo”. 

Recentemente al Congresso dell’Associazione americana contro il cancro (AACR) sono stati presentati i dati su 524 pazienti in cui è stato dimostrato che in più dell’80% dei casi sono stati identificati dei bersagli clinicamente azionabili, che quasi il 40% dei pazienti ha ottenuto un trattamento basato sulla profilazione genomica, che il mancato accesso al farmaco è stato il principale ostacolo al trattamento basato sulla profilazione genomica e sono stati valutati nella metà dei pazienti (il 46%) dei vantaggi clinici sui trattamenti basati sull’analisi dell’intero genoma e del trascrittoma e non solamente sulla indicazione clinica. Tutto questo ha contributo in circa due terzi dei pazienti al vantaggio terapeutico complessivo.

“Laddove non era disponibile all’interno del nostro studio in un farmaco molecolare specifico, abbiamo individuato degli studi aperti in Italia nei quali abbiamo inviato i pazienti evitando che peregrinassero in giro per l’Italia alla ricerca del trattamento innovativo e inoltre abbiamo identificato nel 20% dei pazienti delle mutazioni sul tumore che erano però espressione di una mutazione costituzionale,  che aprono il capitolo della prevenzione nell’ambito della famiglia di altri tumori che questi soggetti potrebbero portare nella loro famiglia” ha concluso il Professor Marchetti.

Secondo Rossana Berardi, Direttore Clinica Oncologica, Direttore Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica, Direttore Centro di Riferimento Regionale di Genetica Oncologica, Ospedali Riuniti di Ancona, città in cui il 9 giugno verrà inaugurato il Mtb, “la nuova sfida dell’oncologia potrebbe essere quella di creare un network tra i MTB per fare il meglio per i nostri pazienti”.

“L’oncologia mutazionale va inserita in un contesto esistente e razionale, è un tassello in più che si aggiunge alle conoscenze delle terapie precedenti e incredibilmente importante che deve essere inserito in maniera corretta nel percorsi assistenziali per tutti i pazienti oncologici” ha spiegato Pierfranco Conte, Associazione Periplo – Direttore Oncologia Medica 2 IOV Padova, Direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica, Dip. Scienze Chirurgiche Oncologiche e Gastroenterologiche Università di Padova, Coordinatore Rete Oncologica Veneta.

“Di fronte a queste terapie innovative andrà gestito non solo il rischio di non equità sul territorio ma andranno gestite anche le aspettative dei pazienti – ha spiegato Valeria Fava, Cittadinanzattiva -. Stiamo lavorando sulla comunicazione per fornire a loro una informazione corretta in questo senso, a tale proposto stiamo cercando di realizzare dei documenti per concretizzare il percorso di implementazione del modello, che passa dalla realizzazione di reti oncologiche forti alla condivisione di standard più efficaci dello stesso. Anche il tema dell’accesso al farmaco è importante e si allinea con il tema delle aspettative del paziente, e il governo deve interrogarsi anche su questo aspetto etico: parallelamente alla definizione di tariffe e all’inserimento nei Lea delle tecnologie Next Generation Sequencing ci deve essere un concomitante ragionamento rispetto alla opportunità di normare l’accesso ai farmaci che oggi no sono disponibili ai pazienti”. 

“Ha un grande valore la regionalizzazione dei sistemi sanitari ma non possono diventare i luoghi delle disomogeneità, abbiamo bisogno di una architettura istituzionale – ha spiegato Mattia Altini, Presidente SIMM – Direttore Sanitario AUSL Romagna -. Il primo tema da affrontare è quello di centralizzare queste innovazioni, che devono avere un valore economico, ed è necessario individuare  qual è l’alveo culturale nel quale portare questo sviluppo. Infine, dentro le reti oncologiche ci vogliono dei richiami pesanti sull’adeguatezza della rete alla capacità di conoscenza”. 

“La medicina di precisione determina un cambio di prospettiva e un cambio di prospettiva radicale anche da un punto di vista temporale – Francesco Saverio Mennini, Presidente SIHTA – Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata -. Tutte le cure e i trattamenti legati alla medicina di precisione promettono di migliorare l’efficacia e la sicurezza, si limitano anche fortemente gli effetti collaterali e questo determina anche un impatto positivo dal punto di vista della riduzione dei costi. Bisogna ragionare nel medio e lungo periodo e con gli strumenti di valutazione economica a disposizione la valutazione deve essere correlata alla globale strategia di controllo della malattia neoplastica e quindi bisogna superare lo logica dei silos e del prezzo a favore di una valorizzazione completa”.  

Soffrono di ipercolesterolemia circa 15mila veneti I pazienti non a target terapeutico nonostante l’aderenza ad un trattamento con statine ad alta potenza sono circa 1.600

SISTEMA DI CURE

19 maggio 2021 – Il colesterolo è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Le terapie attuali sono strumenti terapeutici efficaci – le statine sono pietre miliari nelle terapie dei pazienti a rischio cardiovascolare e rappresentano la prima scelta di terapia nei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare – ma purtroppo spesso c’è la necessità di ottenere un ulteriore riduzione per raggiungere i target ormai stringenti, in particolare per alcune popolazione.
I dati attuali stimano una prevalenza dell’ipercolesterolemia eterozigote familiare tra 1 persona su 200-500 (174mila persone in Italia quindi circa 15.000 in Veneto). Tra questi non in grado di tollerare una dose efficace di statine tra il 10-15% (Banach et al. 2015), 50% dei quali presenta rischio alto o molto alto di evento cardiovascolare fatale a 10 anni, mentre il 30% non raggiunge il target terapeutico di colesterolo LDL. Quindi i veneti non a target terapeutico nonostante l’aderenza ad un trattamento con statine ad alta potenza (+ ezetimibe) sono stimati in circa 1.600. Indipendentemente dai fattori di rischio, circa 460 pazienti veneti hanno una distanza dal target terapeutico superiore al 30% colmabile con l’utilizzo dei nuovi farmaci PCSK9.
L’aggiunta di ezetimibe contribuisce ad un’ulteriore riduzione pari al 10-20% dei valori di colesterolo LDL ed è raccomandata come seconda linea di trattamento o come primo livello in pazienti intolleranti alle statine stesse. Come trattamento di terzo livello possono essere considerate anche combinazioni di statine con altri agenti ipolipemizzanti, quali sequestranti di acidi biliari, niacina o fibrati. In alcuni casi ed in alcune tipologie di pazienti tuttavia, pur ricorrendo alle combinazioni più potenti, c’è una risposta insoddisfacente a questi farmaci e i pazienti rimangono ad un livello di rischio cardiovascolare elevato. Accanto alla terapia farmacologica si può ricorrere alla LDL aferesi, un procedimento di rimozione meccanica del colesterolo LDL dal sangue. Fortunatamente sono “oggi” disponibili nuove terapie per questi pazienti, gli anticorpi monoclonali, i PCSK9 inibitori. Lo studio Fourier su 13.784 pazienti trattati con questi farmaci, evidenzia vantaggi evidenti in termini di mortalità cardiovascolare, di riduzione di infarto miocardico e di stroke (816 vs 1013) ed eventi cardiovascolari su 13.784 (1344 su 1563).
Di questo si è parlato durante il webinar dal titolo “FOCUS IPERCOLESTEROLEMIA” organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di AMGEN IT-Med.

L’analisi 2019 sull’accessibilità e sostenibilità dei PCSK9 (Martini N, Arca M, Averna M, et al Concept paper sul Progetto inibitori di PCSK9: accesso e sostenibilità. I supplementi di Politiche Sanitarie 2019) indica che l’utilizzo è inferiore rispetto alle stime epidemiologiche e ha grande variabilità regionale. Pur restando pertinenti i criteri di prescrivibilità AIFA dopo 5 anni e in base ai risultati di outcome di nuovi studi c’è anche richiesta di estensione delle indicazioni, la stima dei pazienti che non raggiungono il target (nonostante la terapia a dose massima di statine e aggiunta di ezetimibe) è del 50% in prevenzione secondaria e del 25% in prevenzione primaria.
Secondo gli autori il 30% dei pazienti con malattia coronarica dovrebbero essere più di 100.000 persone in Italia necessiterebbe di una terapia aggiuntiva con PCSK9. Risultano in terapia circa 1 paziente su 8 tra quelli eleggibili al trattamento. Dall’analisi su pazienti già in trattamento con Evolocumab, il Veneto ha circa un 50% di pazienti trattati rispetto alle proiezioni nelle altre regioni e le cause potrebbero essere imputabili ad un numero di centri prescrittori inferiore rispetto alla media nazionale (2,63 vs 4,4) e di medici prescrittori più basso della metà della media nazionale).

In Veneto il progetto PRIHTA ha consentito di sperimentare una metodologia di analisi per l’identificazione dei pazienti potenzialmente eleggibili ai PCSK9 inibitori e l’identificazione dei pazienti da auditare. Questi pazienti possono essere individuati tramite il codice identificativo e può essere compreso chi attualmente li ha “in carico”. Inoltre, questi pazienti iniziando da coloro che presentano valori di lipidici teoricamente non raggiungibili anche dopo ottimizzazione della terapia ipolipemizzante, andrebbero valutati da parte di chi li ha attualmente “in carico” al fine di ottimizzare la terapia e ricontrollare il raggiungimento del target lipidico. Tali pazienti andrebbero inviati ad un centro specialistico abilitato alla prescrizione dei PCSK9 inibitori per valutarne le leggibilità, contando che hanno un consumo di risorse sanitarie particolarmente elevato e tracciante di uno stato di salute ad elevato rischio.

Ipercolesterolemia primaria: “Sperimentato modello per identificare i pazienti che non raggiungono il target lipidico con le cure disponibili, destinando loro terapie mirate ed efficaci”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

19 maggio 2021 – Con lo scopo di stimolare un confronto tra medici specialisti, farmacisti, medici di medicina generale ed economisti, sull’impiego delle strategie terapeutiche oggi disponibili sull’ipercolesterolemia e sulla loro appropriatezza, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘FOCUS IPERCOLESTEROLEMIA’, realizzato grazie al contributo incondizionato di AMGEN ed IT-MeD 

“Il colesterolo elevato è un fattore di rischio maggiore per malattia cardiovascolare: ciò è particolarmente evidente nel paziente con diabete mellito che spesso presenta elevati livelli di colesterolo LDL, particolarmente aterogeno, e ridotti livelli di colesterolo HDL, protettivo. Le concentrazioni plasmatiche di colesterolo dipendono solo in parte dalla quantità di colesterolo introdotto con gli alimenti dal momento che la maggior parte è sintetizzato dal fegato in base alle caratteristiche genetiche di ciascun individuo. Le statine rappresentano ancora il cardine della terapia ipolipemizzante in prevenzione primaria o secondaria, in quanto spesso consentono, specie quelle ad alta intensità associate all’ezetimibe, di ridurre i livelli di LDL e di raggiungere il target terapeutico prefissato. Purtroppo, una considerevole percentuale di pazienti o è intollerante alle statine o non raggiunge, nonostante terapia massimale di statine, livelli di colesterolo ottimali. Negli ultimi anni sono disponibili gli anticorpi monoclonali contro la proteina PCSK9 (Proprotein Convertase Subtilisin/Kexin type 9) che svolge un ruolo importante nell’aumentare i livelli di colesterolo LDL. La scoperta e l’immissione in commercio di questi farmaci è stata una novità di estrema importanza per il trattamento delle dislipidemie, in quanto hanno un effetto ipocolesterolemizzante maggiore delle statine, pur riconoscendo un impatto economico rilevante”, ha detto Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Università di Padova

“Nonostante le raccomandazioni terapeutiche delle Linee Guida e di una Nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco, in pratica clinica, una quota molto rilevante di pazienti dislipidemici non raggiunge i target lipidici determinando un numero di eventi cardio/cerebrovascolari ed un consumo di prestazioni assistenziali, viceversa, evitabili. Tra le principali cause del mancato raggiungimento degli obiettivi lipidici, in primo luogo, la non ottimizzazione delle terapie ipolipemizzanti standard, evidente in un limitato ricorso a più elevati dosaggi di statina e alla combinazione con ezetimibe ma anche in un’ancora insoddisfacente livello di aderenza al trattamento, in secondo luogo, la notevole distanza dal target di alcuni gruppi di pazienti dislipidemici. L’obiettivo del Progetto PRIHTA – Programma per la Ricerca l’Innovazione e l’Health Technology Assessment (“Appropriatezza ed innovazione nell’ambito delle ipercolesterolemie e della riduzione del rischio cardiovascolare mediante la nuova classe dei farmaci PCSK9i: benefici della programmazione sanitaria”) è stato la sperimentazione di una metodologia di utilizzo dei dati e di analisi per l’identificazione dei pazienti dislipidemici non controllati per effetto della non ottimizzazione delle terapie standard o della notevole distanza dal target lipidico. La messa in routine di tale modello garantisce un supporto alla gestione clinica del paziente dislipidemico, attraverso l’identificazione dei pazienti non controllati e l’analisi dell’appropriatezza delle terapie in essere, ed una razionalizzazione dell’uso delle terapie farmacologiche disponibili, destinando le terapie più efficaci (e più costose) ai pazienti che non riescano a raggiungere il target lipidico con le terapie standard”, ha dichiarato Luca degli Esposti, Presidente CliCon S.r.l. Health, Economics & Outcomes Research

Per aumentare i livelli di aderenza alla terapia più collaborazione tra le figure professionali che ruotano attorno al paziente. «Devono integrarsi, parlare tra di loro ed educare il malato sull’importanza dell’assunzione dei farmaci».

Farmaci equivalenti

15 maggio 2021 – L’aderenza alla terapia resta ancora una questione aperta da affrontare perché non è stata ancora risolta: attualmente non supera il 50% un po’ per tutte le patologie e tra le diverse e molteplici cause c’è il rapporto di comunicazione fra medico e paziente non del tutto efficace.
Durante la recente pandemia le cose non sono certo migliorate: tra gennaio e febbraio 2021, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si è registrato un calo dei consumi interni di farmaci e dispositivi dell’11% e un calo dei consumi retail del 7% e questo spiega che non si sta facendo terapia. Purtroppo gli effetti del 2020, che si sono visti nel breve periodo in modo drammatico, si vedranno anche nel medio e lungo periodo.
Con l’obiettivo di mettere in campo le migliori iniziative per mitigare gli effetti negativi, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘LAZIO/CAMPANIA: IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’. Terzo di 5 appuntamenti, il road show, realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Servier in ItaliaSanofiIqvia Intercept, coinvolgerà sul tema dell’aderenza alle cure i principali interlocutori a livello locale: clinici, istituzioni, cittadini e pazienti.

Sono principalmente otto le raccomandazioni di Cittadinanzattiva per affrontare il grande problema della non aderenza terapeutica: attuazione del Piano nazionale sulle cronicità su tutto il territorio nazionale; il cittadino deve essere protagonista del proprio percorso di cura; misurare l’aderenza terapeutica; semplificare e ridurre la burocrazie inutile; fiducia e stabilità nel rapporto équipe di cura e cittadino; aderenza per garantire più sicurezza; formazione a personale sanitario, caregiver familiare e professionale e, infine, valorizzare tutte le professionalità (impegno congiunto).

Uno studio pubblicato su The Lancet ha evidenziato come una terapia di combinazione di 4 farmaci – aspirina, statina, diuretico e acinibitore o sartanico – quale approccio per ridurre il peso delle malattie cardiovascolari, specialmente nei paesi a basso e medio reddito, su circa 50mila pazienti (50.045) coinvolti dai 40 ai 75 anni, e 6.838 studiati, quelli che assumevano la polipillola avevano quasi 100 eventi cardiovascolari in meno rispetto a quelli che venivano curati nel classico modo con i quattro farmaci distinti; inoltre tra i pazienti che avevano un’alta aderenza questo parametro aumentava ulteriormente.
Da una indagine di mercato condotta da IQVIA Italia su 180 tra farmacisti ospedalieri, direttori generali e direttori sanitari emerge che il concetto di appropriatezza è una delle priorità dichiarate. L’indagine, i cui dati si riferiscono all’ultimo trimestre del 2020, ha fatto emergere tra le priorità principali l’appropriatezza diagnostico-terapeutica e il miglioramento dell’appropriatezza tra il 25% dei farmacisti e il 35% tra i direttori sanitari e i direttori generali. Emerge inoltre la forte necessità di rafforzare i servizi territoriali, l’integrazione con il territorio e l’aumento della digitalizzazione che salgono al 60% rispetto al 2019 in cui la priorità era collegata al monitoraggio dei costi. “C’è stato un vero stravolgimento di priorità” ha commentato Claudia Rocco, Operations Senior Director, IQVIA Italia.

Il fanalino di coda rimangono sempre le patologie ostruttive respiratorie, asma e BPCO – ha spiegato Fausto De Michele, Direttore UOC Pneumologia e Fisiopatologia Respiratoria AORN “Antonio Cardarelli” Napoli -. Secondo i dati del Rapporto OsMed il 50% dei nostri pazienti sono lontanissimi dal target di aderenza soddisfacenti e quel catof dell’80%, che è il segnale che il paziente è aderente al trattamento, viene raggiunto solo dal 19,9% dei pazienti”. 
Anche per quel che riguarda la persistenza i dati sono critici.
Dal momento della prima prescrizione perdiamo circa il 60% dei pazienti già a 60 giorni e perdiamo l’80% dei pazienti a 120 giorni, quindi a distanza di un anno rispetto alla prescrizione iniziale abbiamo un numero bassissimo di pazienti affetti da asma e BPCO che continuano ad essere trattati con regolarità – prosegue il medico -. Altro dato: solo il 14% dei cittadini hanno mai sentito parlare di BPCO. E c’è un’altra criticità di appropriatezza organizzativa ed è quella legata alla qualità della diagnosi nelle patologie ostruttive che impatta in maniera significativa rispetto al dato dell’aderenza: fra tutti i pazienti con diagnosi di asma che sono in trattamento farmacologico, solo il 13% hanno una richiesta di spirometria, dato sconfortante anche per la BPCO, pari al 23,8%. In regione Campania per asma e BPCO è stato sviluppato un progetto di implementazione dei due percorsi PDTA che hanno come obietto il miglioramento dell’aderenza terapeutica”.

Un case study sull’asma condotto da IQVIA Italia per analizzare l’aderenza al trattamento da parte dei pazienti e che ha coinvolto un campione di 900 medici di medicina generale, ha messo in evidenza che il 26% dei pazienti è stato aderente nell’anno 2020 ma questa percentuale è mutata in funzione delle terapie assunte: i pazienti aderenti diventano più alti quando assumono politerapie, l’aderenza cresce con l’età passando dal 21% tra 40-59 anni al 31% tra i 60 e i 79 anni e al 37% negli over 80. A livello di macroregione l’aderenza è del 29% nelle regioni del nord Italia e del 21% nelle regioni del sud.
Passando ad un secondo caso studio sulla BPCO che ha voluto analizzare l’aderenza al trattamento del paziente medio, calcolato per i giorni coperti dalla prescrizione del farmaco, è risultato del 69% ma è in crescita del 7% rispetto al periodo precedente ma con una percentuale di aderenza per i nuovi pazienti significativamente più bassa rispetto al totale pazienti, pari al 42%.

“Non parlerei di aderenza ma di “adesione” alla terapia che prevede una parte attiva per il paziente, prevede del tempo da dedicargli per renderlo partecipe di determinati momenti e scelte importanti – ha spiegato Giovanni Battista Zito, Presidente Nazionale A.R.C.A. -. Anche il dover assumere più farmaci crea non solo problemi ma anche talvolta effetti avversi che allontanano alla lunga allontano il paziente dal concetto di aderenza alla terapia”.

“Parliamo da anni di aderenza terapeutica e questo spiega che è un problema di non facile soluzione se non di impossibile soluzione nello stato dell’arte – ha spiegato Gaetano Piccinocchi, Tesoriere Nazionale SIMG -. In Campania abbiamo inserito gli indicatori per le maggiori patologie croniche tra cui gli indicatori che fanno emergere l’aderenza e la persistenza terapeutica all’interno del debito formativo dei 5mila medici della medicina generale campana. È importante la condivisione del processo di cura del paziente e dei suoi dati. I dati in alcune realtà esistono, come nella medicina generale, tutto sta ad intrecciarli e condividerli tra le diverse figure che ruotano attorno al paziente, ma questo non può avvenire senza il fascicolo sanitario elettronico. Alla base di un reale approccio definitivo a questa problematica ci deve essere una collaborazione tra le figure professionali che ruotano attorno al paziente, compreso il farmacista. Queste devono integrarsi e parlare tra di loro”.

Il progetto pensato per migliorare l’appropriatezza nella gestione del paziente con dolore cronico lombare in Campania, presso l’Asl Napoli 2 Nord, condotto da IQVIA Italia, che ha coinvolto 26 medici di medicina generale e il Centro del dolore di riferimento e oltre 40mila pazienti, ha dato risultati promettenti: riduzione del costo del paziente del 18%, una diminuzione dell’utilizzo non appropriato della risonanza magnetica dell’11% e un miglioramento dell’accesso appropriato allo specialista del 10%“Alla base c’è stata un’analisi e miglioramento del percorso del paziente con metodo Care Delivery Value Chain, reingegnerizzazione dei processi e valutazione dei costi del paziente e azioni correttive per una gestione appropriata del paziente e misurazione delle attività” ha spiegato Claudia Rocco, Operations Senior Director, IQVIA Italia. “I nostri studi mettono in evidenza che gli step necessari per monitorare e gestire l’appropriatezza sono una completezza informativa, l’interoperabilità dei sistemi e gestione del cambiamento”.

A livello nazionale non siamo in grado nel Piano Nazionale Esiti di linkare le schede di dimissione ospedaliera con le prescrizioni farmaceutiche – ha spiegato Enrico Coscioni, Presidente AGENAS -. L’aderenza alla terapia non supera il 50% un po’ per tutte le patologie e ha un punto di ricaduta molto critico per i pazienti fragili e soprattutto per gli anziani; in più si è aggiunto l’impatto negativo della pandemia che ha avuto una conseguenza in termini di diseguaglianza anche a livello regionale, con maggiore difficoltà di interazione tra specialisti, medicina del territorio e ospedali. Ma c’è un elemento positivo: in tema di investimenti futuri, in particolare mi riferisco al Next Generation EU, in Agenas avremo una cabina di supporto per i fondi, 7 miliardi di euro, che riguarderanno le case, gli ospedali di comunità e l’assistenza domiciliare integrata. Credo che con l’aggiunta dell’uso dell’intelligenza artificiale si possa ridisegnare un nuovo modello di assistenza territoriale, che è la vera battaglia della sanità pubblica del prossimo futuro”. 

Scarsa o mancata aderenza terapeutica: “Quali conseguenze cliniche e economiche per il SSN? La situazione della Regione Campania e del Lazio”

farmaci equivalenti

13 maggio 2021 – 7 milioni di persone in Italia sono colpite da malattie croniche, si stima però che solo la metà assuma i farmaci in modo corretto e fra gli anziani le percentuali superano il 70%. Le cause di mancata o scarsa aderenza ai trattamenti sono molteplici: complessità del trattamento, inconsapevolezza della malattia, follow-up inadeguato, timore di reazioni avverse, decadimento cognitivo e depressione. Tutti aspetti acuiti dall’avanzare dell’età e dalla concomitanza di altre patologie. Per fare il punto in Campania e nel Lazio, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’. Terzo di 5 appuntamenti, il road show, realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Servier in Italia, Sanofi, Iqvia e Intercept, coinvolgerà sul tema dell’aderenza alle cure i principali interlocutori a livello locale: clinici, istituzioni, cittadini e pazienti.

La Regione Campania, con 5 milioni e 700 mila residenti, ha una percentuale di over-65 pari al 17,9%, più bassa rispetto alla media nazionale del 22%, ma colpita pesantemente da diverse patologie: il 29% degli uomini e il 33% delle donne soffrono di ipertensione, con un aumentato rischio cardiovascolare pari al 18% per gli uomini e al 15% per le donne in età avanzata. Secondo i dati ISTAT 2014, la prevalenza del diabete in Italia è del 5,5% mentre in Campania è del 6,9%, con una mortalità tra le più alte a livello nazionale.

Nel Lazio, con una popolazione numericamente sovrapponibile alla Campania, il 2.4% è costituito da pazienti multi-cronici ad alta complessità, il 12.5% a medio-bassa complessità eil 19.5% ha una sola patologia cronica. Il restante 65.6% non ha patologie croniche ma si stima che il 18.2% abbia almeno due fattori di rischio legati a scorretti stili di vita. Il livello di aderenza terapeutica è molto differente a seconda della condizione clinica e tipologia di farmaco prescritto.

Le malattie croniche non trasmissibili sono ritenute in Italia responsabili del 90% dei decessi totali che si verificano ogni anno: in particolare, le malattie cardiovascolari (41%), i tumori (29%), le malattie respiratorie croniche (5%) e il diabete (4%). Nonostante esistano terapie farmacologiche efficaci per trattare tali condizioni, circa un paziente su due non assume i farmaci in maniera conforme alla prescrizione medica. Nel Lazio è stato sviluppato un modello di stratificazione del rischio della popolazione, MiStraL, che consente alle ASL e ai Distretti di conoscere la distribuzione della popolazione assistita per le diverse patologie croniche ed il grado di aderenza alle linee guida Evidence Based ed ai relativi trattamenti farmacologici. L’analisi è disponibile fino al livello del singolo MMG allo scopo di fornire uno strumento utile ad attivare programmi di audit e feedback finalizzati al miglioramento della qualità delle cure. È da sottolineare che una parte importante della variabilità nell’aderenza alla terapia è attribuibile alla struttura che ha dimesso il paziente, sottolineando l’importanza di porre attenzione al tema della continuità terapeutica ospedale-territorio”, ha spiegato Marina Davoli, Dipartimento di Epidemiologia del SSR Regione Lazio.

L’allungamento dell’età media di vita consegue un aumento delle malattie croniche, la cui gestione è fortemente influenzata dalla mancata aderenza terapeutica che, ad oggi, costituisce un problema nazionale. Ogni singolo Sistema Sanitario Regionale dovrebbe inserire la gestione dell’aderenza tra le proprie priorità a livello gestionale e valutare tutta una serie di attività volte al suo contenimento, al fine di ottenere benefici non solo in termini di riduzione delle polimorbidità e della mortalità. Inoltre, è auspicabile implementare sistemi di monitoraggio atti a valutare l’aderenza alle terapie farmacologiche per le principali patologie croniche in modo da intervenire tempestivamente sulle eventuali inappropriatezze prescrittive riscontrate e creare un contatto diretto tra clinici, farmacia ed assistiti. Una governance attenta all’aderenza terapeutica consentirà nel medio e lungo periodo notevoli vantaggi non solo in termini di asset assistenziale, ma sull’intero percorso di cura del paziente”, ha dichiarato Ugo Trama, Direttore UOD Politica del Farmaco e Dispositivi, Regione Campania

L’aderenza alla prescrizione nelle malattie cardiovascolari croniche è fondamentale per un’ottimale efficacia clinica della terapia. La semplificazione degli schemi terapeutici e l’impiego delle terapie di combinazione e le polypill possono essere di enorme aiuto soprattutto nei pazienti con diverse comorbidità che necessitano di assumere numerose compresse ogni giorno”, ha detto Massimo Volpe, Direttore UOC Cardiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università La Sapienza di Roma

Nelle malattie cardiovascolari il livello di aderenza è basso sia nella prevenzione primaria sia in condizioni croniche con trattamenti protratti nel tempo, come si osserva per l’ipertensione arteriosa o per la dislipidemia. Al contrario l’aderenza è generalmente più elevata nei pazienti affetti da patologie acute. Un momento critico è quindi rappresentato dalla dimissione dall’ospedale che prevede il passaggio da un regime “sorvegliato” ad un contesto di convinzioni, stile di vita, livello culturale e responsabilità autonome del paziente. A tale riguardo, l’utilizzo di associazioni precostituite e l’estensione del concetto di “polypill” a diversi contesti clinici possono rappresentare una soluzione efficace nella Real-life. Queste soluzioni terapeutiche rappresentano un investimento, dal momento che l’ottimizzazione della terapia e l’aumentata aderenza comporterebbero una riduzione in termini di costi diretti e indiretti a medio e a lungo termine. Gli attuali registri di monitoraggio rappresentano un’opportunità clinica per l’effettiva comprensione dell’aderenza al trattamento insieme allo sviluppo di piattaforme dedicate per la telemedicina, potrebbe consentire un monitoraggio più frequente e attento delle terapie, con un potenziale impatto favorevole sull’aderenza terapeutica e sugli outcome clinici”, ha sostenuto Paolo Calabrò, Professore di Cardiologia, Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” – UOC di Cardiologia Clinica e Direzione Universitaria AORN Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta

In sintesi, dall’incontro è emersa la necessità di una call to action, una necessità cioè di azioni concrete per migliorare l’aderenza ai percorsi diagnostici e terapeutici dei pazienti. L’aderenza rappresenta infatti un fattore chiave di successo per la salute pubblica e per la governance del Sistema Sanitario Regionale, una garanzia di efficienza delle cure e della sostenibilità economica. Dai diversi rappresentanti delle istituzioni pubbliche, dai clinici e dalle associazioni di cittadini è arrivata la proposta di sviluppare strumenti di valutazione concreti dell’aderenza per monitorare e correggere i comportamenti che impattano sulla scarsa aderenza e l’implementazione delle tecnologie che facilitano i pazienti a seguire il percorso di cura. La proposta dell’inserimento di un indicatore sintetico di aderenza nel nuovo sistema di garanzia può rappresentare una opportunità di valore e di indirizzo per tutti gli attori chiave.

Si può battere sul tempo l’infezione da Sars Cov 2 grazie agli antivirali e ad una nuova organizzazione del territorio

Biosorveglianza

8 maggio 2021 – È ormai acclarato che l’opportunità terapeutica dell’utilizzo degli antivirali contro l’infezione da Sar-Cov2 è tanto più efficace quanto prima si utilizzano tali rimedi fin dalle prime fasi dell’insorgenza dell’infezione. Le esperienze sul territorio nazionale, dalla Liguria alla Toscana alla Emilia-Romagna, dimostrano che laddove sono stati messi in campo modelli organizzativi che hanno previsto un coordinamento tra ospedale e territorio, i risultati dell’impiego precoce degli antivirali sono stati importanti. Ed è proprio sull’organizzazione a livello territoriale che si deve scommettere per fare in modo che queste terapie possono aiutare il sistema sanitario a sconfiggere il Covid. Lo hanno evidenziato gli esperti che si sono confrontati al tavolo organizzato da Motore Sanità dal titolo IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD.
Dalla somministrazione del farmaco antivirale in ospedale alla somministrazione sul territorio, purché in tempi brevi, ma purtroppo esistono dei limiti concreti che attualmente che non lo permettono.

“Abbiamo in questo momento un farmaco sicuramente efficace che se utilizzato correttamente può essere molto più efficace rispetto a quanto stiamo facendo oggi, ma ci sono delle obiettive difficoltà. Soprattutto il fatto di avere una somministrazione per endovena che ne limita fortemente l’utilizzo al domicilio – ha spiegato Andrea Gori, Direttore UOC Malattie Infettive, Fondazione IRCCS Ca’Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano Professore Ordinario Università degli Studi di Milano -. L’indicazione è quella di utilizzare l’antivirale il prima possibile. Oggi Remdesivir è impiegato nei pazienti che sviluppano una insufficienza respiratoria e in ambiente ospedaliero, già in pronto soccorso o nei primissimi giorni di ricovero. Il suo utilizzo, secondo gli studi clinici, è efficace e si associa ad una diminuzione della progressione della malattia se utilizzato nei pazienti con insufficienza respiratoria ancora di grado moderato. Invece se è utilizzato nelle fasi più avanzate dell’infezione ossia quando il paziente necessita o di intubazione o di tecniche di ossigenoterapia non si associa ad un chiaro miglioramento clinico. Dobbiamo pertanto utilizzarlo velocemente per cercare di ridurre al minimo la replicazione”.

“L’utilizzo all’interno anche di un day hospital potrebbe essere una sfida futura – ha commentato Anna Maria Cattelan, Direttore Reparto Malattie Infettive e Tropicali AOU Padova -. Attualmente lo abbiamo utilizzato in regime ospedaliero, ne facciamo buon uso e dai dati che stiamo producendo osserviamo che la somministrazione precoce ci dà la maggiore garanzia in termini di risposta clinica”. 

“Esistono importanti problemi non solo legati alla somministrazione di questo farmaco, che dovrebbe essere di pertinenza del medico di medicina generale quando il paziente si rivolge nella fase iniziale della malattia, ma anche alla organizzazione che ne consegue, pertanto bisogna delineare il paziente target per questo farmaco per creare così un percorso ospedale-territorio. Abbiamo strumenti importanti per mettere in campo un percorso organizzativo di questo tipo” ha spiegato Gabriella Levato, MMG Milano.

“La sfida maggiore è sicuramente quella di cercare di comporre quanto più possibile il gap organizzativo che ci può essere in una forma di coordinamento del territorio con le strutture ospedaliere – ha commentato Pierluigi Russo, Dirigente Ufficio Registri di Monitoraggio, AIFA -. L’invito alle regioni è quello di cercare di recuperare rapidamente il coordinamento tra il territorio e le strutture ospedaliere, un maggior coinvolgimento organizzativo che consenta di gestire questi pazienti con strumenti che in questo momento si stanno cercando di evidenziare e di utilizzare. L’esperienza degli anticorpi monoclonali ha reso ancor più forte l’esigenza di un maggior coordinamento tra il contesto ospedaliero e il contesto territoriale ma si tratta di affrontare il problema di gestire le terapie infusionali e di trasferire i pazienti positivi al Covid presso strutture ospedaliere. Si tratta di considerare un carico organizzativo importante ed è questa è sfida che dobbiamo cercare di vincere”.  

“La terapia precoce e la precoce gestione del paziente Covid positivo ha evitato il peggioramento e ridotto nettamente il ricovero in una realtà come Piacenza, dove sono stati attivati equipaggi misti con medici ospedalieri e medici del territorio che andavano a casa del paziente, facevano l’ecografia del torace, il tampone, somministravano i farmaci a disposizione, sottoponevano a saturimetro e monitoravano in remoto – ha portato la sua esperienza Luigi Cavanna, Direttore Dipartimento Oncologia-Ematologia, AUSL Piacenza -. In questo modo abbiamo curato 90 pazienti in terapia con ossigeno a casa e abbiamo ridotto di molto i ricoveri in ospedale con i farmaci che avevano a disposizione. Questo spiega che il Covid è un evento estremamente straordinario e come comunità scientifica siamo stati in grado di dare una risposta straordinaria. Credo che sia venuta l’ora di cambiare la strategia ospedale-territorio, dobbiamo andare verso un trattamento extra-ospedaliero  o misto ospedale-territorio. Oggi si deve guardare ad un nuovo piano organizzativo che risponda ai bisogni del cittadino/paziente”.

“Il 70% dei pazienti Covid ricoverati sono stati seguiti dalle Medicine interne e il trattamento con Remdesivir è stato fatto in tutti i pazienti eleggibili – ha spiegato Dario Manfellotto, Presidente FADOI –. Ora dobbiamo ripartire da quello che ci siamo lasciati indietro, circa 550-650mila ricoveri in meno di medicina interna oltre alle altre specialità rispetto al milione di ricoveri annui in Medicina di cui il 56% cronici riacutizzati; dobbiamo tener conto del follow up del paziente Covid per le conseguenze respiratorie, cardiovascolari, aterotrombotiche, neurologiche, renali; dobbiamo accrescere le competenze per una risposta sub-intensiva al momento delle emergenze; considerare l’approccio in area medica in équipe multidisciplinare e pensare a una riorganizzazione delle attività ambulatoriali stimolando la crescita della telemedicina. Infine, ospedale-territorio è un legame da rafforzare nella quale la medicina interna ospedaliera è il partner naturale della medicina generale territoriale”. 

Secondo una analisi recente, fatta in base ai piani di performance pubblicate dalle aziende sanitarie pubbliche, è emerso che pur con dati di incremento per ricoveri complessivi causati dal Covid 19, il secondo semestre ha mostrato alcuni segnali di adattamento alla situazione e quindi di ripresa, sempre tuttavia in diminuzione rispetto al 2019: da circa 6milioni di ricoveri nel 2019, si passa ad una stima di 4 milioni 700 mila nel 2020 con una riduzione assoluta del 20% e ulteriore riduzione del 24,83% togliendo 238mila ricoveri Covid al 2020.
“Le percentuali di riduzione sono diverse per specialità, alcune strutture sono state capaci nel corso dell’anno di recuperare o mantenere il livello di produzione del 2019, altre strutture hanno registrato cali sensibili – ha dichiarato Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza (VA) -. I ricoveri per Covid-19 rappresentano una percentuale limitata al totale, ovvero circa il 4% dei ricoveri registrati nel 2019 e il 5% del 2020: occorre riprogrammare, anche se con prudenza considerando l’andamento delle vaccinazioni, costruendo nuove strutture destinandole ad hoc al Covid che siano in grado di darci certe garanzie di sicurezza che oggi facciamo fatica ad ottenere”. 
C’è inoltre un altro aspetto da considerare. “Da oltre un anno non stiamo preparando in modo appropriato gli studenti di medicina e gli infermieri a causa del cambio di attività loro imposto. Anche gli specializzandi sono stati mandati “al fronte” e non frequentano più i reparti di appartenenza con delle importanti conseguenze sul futuro dei professionisti sanitari. Inoltre la mobilità extraregionale è in generale in diminuzione” ha concluso il Professor Croce.

La sfida si deve giocare sul piano organizzativo secondo Barbara Rebesco, Direttore SC Politiche del Farmaco A.Li.sa. Regione Liguria, regione che ha adottato un modello organizzativo che ha dato importanti risultati.
Il modello in atto è stato quello di favorire il colloquio tra specialisti ospedalieri e medici di medicina generale attraverso una piattaforma: il medico di medicina generale ha la possibilità di registrare sulla piattaforma il diario clinico del paziente Covid, che viene visto dall’infettivologo e insieme valutano e studiano l’evoluzione dell’infezione. Questo si traduce nella possibilità, in caso in cui le condizioni del paziente peggiorino, di attivare in ricovero fast track che evita l’appesantimento del pronto soccorso e sgarava il paziente dell’impegno di esservi ricoverato. Questo modello, che è stato messo in atto in epoca preRemdesivir, è stato il modello vincente sia per garantire l’accesso tempestivo all’ospedale e quindi conseguentemente al Remdesivir, e ancora di più agli anticorpi monoclonali”. 

In Toscana sono state create una sorta di “porte girevoli” tra ospedale e territorio, nonché fatto atti regionali e creato presupposti organizzativi perché dal territorio si potesse accedere con fast track alle terapie ospedaliere e con la stessa facilità si potesse ritornare ad un follow up territoriale.
“In questo modello che vede una sinergia tra territorio e ospedale sono coinvolti medici internisti, medici di medicina generale che si stanno occupando di prendere in carico i pazienti Covid positivi a livello molto precoce con accesso ospedaliero solo per la somministrazione degli anticorpi monoclonali e per quanto riguarda una terapia iniziale con Remdesivir – ha spiegato Claudio Marinai, Responsabile Politiche del Farmaco e Dispositivi, Regione Toscana -. Per affrontare la questione della presa in carico precoce dei pazienti Covid positivi c’è in generale un problema organizzativo da affrontare che non è solo l’organizzazione del territorio ma è l’organizzazione del rapporto tra ospedale e territorio. Potenziare il territorio, potenziando la medicina generale, è imprescindibile non solo per la situazione pandemica ma anche nel dopo pandemia, perché il territorio si dovrà far carico di terapie complesse, più complesse rispetto a quelle tradizionalmente prese in carico, perché non è più possibile una sanità ospedalocentrica”. 

“Quando parliamo di farmaci innovativi e di nuovi modelli organizzativi è importante pensare alla semplificazione e al disinvestimento perché altrimenti il rischio è quello di non riuscire a mantenere il nostro servizio sanitario regionale e nazionale” ha concluso Franco Ripa, Dirigente Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio-sanitaria. Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte.

L’8 maggio si celebra la Giornata mondiale del tumore ovarico In Italia 50.000 donne convivono con questa neoplasia.

La grande rivoluzione

7 maggio 2021 – Il tumore ovarico è la malattia tumorale femminile meno conosciuta, più sottostimata, che colpisce ogni anno più di 5mila donne. E’ un tumore aggressivo e silenzioso, spesso viene diagnosticato in fase avanzata, nell’80% dei casi, con poche possibilità di guarigione, perché per questo tumore non esiste prevenzione. E’ considerato il più letale tra i tumori ginecologici, uccide circa 3.200 donne, ed è il sesto per frequenza tra i tumori femminili. In Italia convivono con questa neoplasia 50mila donne. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è cresciuta dal 30% al 45% negli ultimi 10 anni grazie alle nuove cure (Antiangiogenetici e Parp inibitori) che, consentono alle pazienti di vivere più a lungo anche se con la malattia.
Di tumore ovarico si torna a parlare in occasione della Giornata mondiale sul tumore ovarico che si celebrerà sabato 8 maggio: un momento per informare e sensibilizzare le donne sulla patologia e sulla possibilità di curarsi.

L’appello rivolto alle donne arriva da Women for Oncology Italy, il network a sostegno delle professioniste dell’oncologia italiana istituito 5 anni fa come spin-off della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), da sempre in prima fila con iniziative concrete per combattere la battaglia contro il tumore ovarico, quanto mai attuale.
“È importante prendersi cura di sé, anche in questa patologia in cui è difficile fare prevenzione, poiché non esistono programmi di diagnosi precoce; è importante rivolgersi a centri qualificati di riferimento per questa patologia così come ricevere il test genetico per la valutazione del gene BRCA. Abbiate fiducia verso terapie innovative che hanno cambiato e sempre più cambieranno la pratica clinica”. 

 “I test genetici rivelano alle persone tutti i segreti nascosti nel DNA e aiutano a quantificare il loro rischio di ammalarsi – spiega Rossana Berardi, Presidente di W4O e direttore della Clinica Oncologica dell’Università Politecnica delle Marche e dell’AOU Ospedali Riuniti di Ancona –. Per il tumore dell’ovaio è importante ricercare la presenza di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, importanti sia per valutare l’ereditarietà che la possibilità di beneficiarsi di farmaci innovativi inibitori di PARP”. 

“Stiamo vivendo un momento estremamente interessante nella cura del tumore ovarico” conclude la Professoressa Domenica Lorusso, Professore associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Responsabile della ricerca clinica presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS. “Gli avanzamenti delle tecniche chirurgiche e le nuove terapie mediche, tra cui i parp inibitori, stanno cambiando la storia della malattia sia nelle pazienti portatrici della mutazione BRCA sia nei tumori non mutati e, mai come in questo momento, la ricerca sta aprendo nuove frontiere di cura che ci porteranno, se non alla guarigione, alla cronicizzazione della malattia per un numero sempre maggiore di pazienti”.

Farmaci antivirali e Covid-19: “Anticiparne l’uso garantirebbe inferiore progressione dell’infezione, maggior recupero, minori ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva”

Velocizzare il piano vaccinale

7 maggio 2021 – È stato appurato che l’utilizzo degli antivirali sia più efficace se effettuato sin dalle prime fasi dell’insorgenza dell’infezione da COVID-19. Ad oggi la terapia antivirale viene somministrata solo in ospedale e in fasi più avanzate della malattia. Evidenze cliniche hanno dimostrato come un uso anticipato di questi farmaci porterebbe ad una riduzione della progressione dell’infezione, una velocità di recupero maggiore, un minor ricorso all’ospedalizzazione e quindi una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva. Con l’obiettivo di approfondire la tematica insieme a clinici, decisori, economisti sanitari e società scientifiche, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD.

“A distanza di più di 12 mesi dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, non abbiamo a disposizione una terapia capace di eradicare l’infezione; il trattamento dipende molto dallo stadio e dalla gravità della malattia. Poiché la replicazione della SARS-CoV-2 è massima immediatamente prima o subito dopo la comparsa dei sintomi, i farmaci antivirali diretti sono probabilmente più efficaci se utilizzati in questa prima fase della malattia. Fra i vari antivirali testati, remdesivir, un analogo nucleotidico inibitore dell’RNA-polimerasi di SARS-CoV-2, è ancora l’unico farmaco antivirale approvato dalle agenzie regolatorie (FDA, EMA, AIFA). Negli studi registrati ad oggi, il farmaco ha dimostrato di determinare un più rapido recupero clinico rispetto al gruppo placebo. Promettente sembra essere l’uso degli anticorpi monoclonali (l’associazione bamlanivimab e etesevimab è stata recentemente introdotta nella pratica clinica) che però devono essere impiegati proprio nei primi 2-5 giorni dell’infezione. Nel prosieguo della malattia si ipotizza che non sia tanto l’azione del virus a produrre l’evoluzione del quadro clinico quanto piuttosto uno stato iperinfiammatorio e di ipercoaugulabilità; in questa fase, i farmaci antiinfiammatori, immunomodulatori, anticoagulanti (e/o una loro combinazione). In Italia, è AIFA che ha il compito di valutare tutte le sperimentazioni cliniche con nuovi farmaci anti SARS-CoV-2. Il numero delle sperimentazioni è in costante crescita e questo dimostra come la ricerca italiana sia particolarmente attiva in questo ambito essendo in prima linea negli sforzi per comprendere, prevenire e trattare questa infezione pandemica”, ha dichiarato Anna Maria Cattelan, Direttore Reparto Malattie Infettive e Tropicali AOU Padova

Anche l’analisi di mortalità su circa 16’000 pazienti COVID-19 trattati con remdesivir in Italia secondo i criteri di rimborsabilità imposti da AIFA e inseriti nel Registro AIFA dal 29 ottobre 2020, ha mostrato una mortalità sulla popolazione generale sostanzialmente simile a quella emersa dallo studio registrativo.

Una recente valutazione del possibile impatto organizzativo ed economico stimato con l’utilizzo dell’antivirale attraverso un modello previsionale che simula l’evoluzione del corso pandemico ha mostrato benefici sulla possibile riduzione di occupazione delle terapie intensive con i relativi impatti economici.

“La stima delle capacità delle terapie intensive parte da un modello epidemiologico dinamico grazie al quale è possibile simulare l’evoluzione del corso pandemico. Tale simulazione si basa su delle ipotesi relative ai cambiamenti del tasso di riproduzione RT che tiene conto degli sviluppi della campagna di vaccinazione e delle politiche in merito al distanziamento sociale. La simulazione restituisce un numero di persone infettate, una porzione delle quali, sulla base di dati di letteratura ed osservabili empiricamente, viene ospedalizzata in regime ordinario o in terapia intensiva. Questa seconda fase del modello si basa su una catena markoviana che simula il percorso terapeutico degli ospedalizzati e quindi permette di calcolare per ogni settimana di osservazione, il numero di terapie intensive occupate, il numero di morti ed i relativi costi ospedalieri. A questa simulazione sono stati poi applicati i dati inerenti all’efficacia di Remdesivir ed anche la durata media delle degenze sia ordinarie che in terapia intensiva. Ciò ha permesso di confrontare gli effetti sia clinici che economici derivanti dall’impiego di Remdesivir nei soggetti eleggibili. I risultati mostrano come l’impiego di tale terapia permetterebbe, su 20 settimane, di salvare circa 13000 vite, occupare complessivamente circa 9000 terapie intensive in meno (su tutto l’arco delle 20 settimane) e di ottenere risparmi pari a 400 milioni di euro. È da ricordare come il modello possa essere adattato ad ulteriori cambiamenti nel corso della pandemia, ponendosi in primis l’obiettivo di informare i decision makers rispetto al potenziale valore derivante dall’introduzione di strategie terapeutiche volte a diminuire la pressione sulle terapie intensive ed il tasso di mortalità”, ha spiegato Matteo Ruggeri, Ricercatore, Centro Nazionale di HTA – Istituto Superiore di Sanità e Professore di Politica Economica, St Camillus International University of Health Sciences, Roma

Per i pazienti che possono beneficiare di queste terapie, rimane la necessità di garantirne l’accesso nei tempi indicati dal registro AIFA (entro i 10 giorni dall’insorgenza dei sintomi) attraverso protocolli terapeutici e di presa in carico diffusi su tutto il territorio nazionale, attraverso il coinvolgimento della medicina territoriale per l’identificazione del paziente e attraverso l’estensione della prescrivibilità a più specialità mediche all’interno delle strutture ospedaliere. Nuovi delivery form di remdesivir e nuovi antivirali contro COVID19 sono in sviluppo.

 

urante la prima ondata sono state garantite le cure ai pazienti oncologici. Lo studio CIPOMO: tasso di infezione tra i pazienti inferiore all’1%

organopatia

30 aprile 2021 – La cura dei tumori ha subito un rallentamento dovuto alla pandemia da Covid-19: interventi chirurgici rimandati nella prima ondata, pazienti malati di tumore che non si sono presentati negli ospedali a fare chemioterapia per paura del Covid-19, liste di attesa notevolmente aumentate a causa della riconversione di alcune strutture ospedaliere in Covid hospital. Oggi è sempre più impellente il bisogno di rimettere la cura dei tumori al centro dell’agenda di Governo e ripensare ad un nuovo percorso dell’oncologia, che vada oltre l’ospedale. Perché oltre ai bisogni di cura, ci sono necessità sociali e perché alcune ricerche europee predicono per i prossimi anni un aumento del 20% della mortalità dei pazienti colpiti da tumore a causa della pandemia.
È necessario discutere di queste tematiche unendo tutti gli attori della Sanità, istituzioni, specialisti, rappresentanti dei pazienti, cittadini. Cosa bisogna fare è stato messo in evidenza durante il talk web organizzato da Mondosanità dal titolo “Cancro & Covid L’emergenza nell’emergenza”, in collaborazione con il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO): recuperare il parco sale operatorie nella sua pienezza, usare altre soluzioni per le terapie intensive liberando posti per interventi complessi, non impegnare il personale attivo nella cura dei tumori in attività Covid per quanto possibile, follow-up per lo più gestito a livello territoriale (telemedicina), vaccinare i pazienti oncologici secondo score di possibilità di cura; usare anticorpi monoclonali al sorgere della malattia, coinvolgere gli oncologi nella consulenza di pazienti tumorali con Covid, riprendere a pieno ritmo gli screening e riesaminare le liste d’attesa secondo  livello di urgenza e possibilità di cure.

In occasione dell’incontro, CIPOMO ha messo in evidenza i dati di uno studio sull’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 tra i pazienti sottoposti a trattamento antitumorale attivo in Italia che riflette le misure di riorganizzazione delle unità di oncologia in Italia nel primo momento della pandemia e rafforza l’importanza di continuare le cure. I dati sono stati pubblicati sulla rivista Jama Oncology.
Per calcolare il tasso di infezione da SARS-CoV-2 tra i pazienti in trattamento antitumorale, sono stati raccolti i dati sui pazienti trattati presso 118 Unità di Oncologia Medica affiliate al Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) e raccolti in uno studio retroprospettivo (CI- POMO) – ONCO-COVID-19). Per ogni centro, sono stati registrati dati aggregati su tutti i pazienti che hanno ricevuto almeno un ciclo di un trattamento antitumorale attivo tra il 15 gennaio e il 4 maggio 2020. I dati individuali sono stati raccolti per coloro che sviluppavano COVID-19 come valutato attraverso la reazione a catena della polimerasi (PCR) da un tampone naso-faringeo (guidato da uno dei sintomi o dal contatto con un caso positivo noto).
I risultati sono stati confrontati con quelli riportati per la popolazione generale italiana nello stesso periodo di tempo. Questo studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Istituto Nazionale delle Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani.
Su 59.989 pazienti che hanno ricevuto un trattamento antitumorale tra il 15 gennaio 2020 e il 4 maggio 2020, 406 hanno sviluppato Covid-19 con un risultato del test PCR nasofaringeo positivo. L’età mediana dei pazienti infetti era di 68 anni. La maggior parte era sintomatica (83%) e il 77% ha richiesto il ricovero in ospedale. Il cancro del polmone era il tumore più comune (91 – 22%) e la chemioterapia il trattamento antitumorale più rappresentato (252 – 62%). Il tasso di infezione è stato più elevato rispetto alla popolazione generale italiana nello stesso periodo di tempo e variava tra le diverse aree geografiche.
“A nostra conoscenza, questo studio fornisce la prima stima del tasso di infezione da SARS-CoV-2 tra i pazienti che ricevono un trattamento antitumorale su una vasta popolazione di circa 60.000 pazienti trattati in più di 110 unità di oncologia – ha spiegato Livio Blasi, Presidente CIPOMO -. Da un punto di vista clinico, la bassa probabilità di infezione da SARS-CoV-2 tra questi pazienti (<1%) supporta il proseguimento della maggior parte dei trattamenti oncologici in ambito adiuvante e metastatico. Sulla base dei dati attuali, non dovrebbe essere raccomandato di routine di ritardare il trattamento antitumorale attivo per evitare la trasmissione di SARS-CoV-2”.
Il tasso di infezione dello 0,68% riscontrato è basso rispetto ai benefici ottenibili con la maggior parte dei trattamenti oncologici. “In particolare – ha concluso Livio Blasi – il tasso di infezione è rimasto al di sotto dell’1% anche nell’area con la maggiore diffusione del Covid-19, riflettendo in parte le misure di riorganizzazione attuate nelle unità di oncologia medica in Italia all’inizio di questo focolaio”. 
Testimonianze e proposte sono arrivate da regioni come la Sicilia, la Toscana, il Veneto, la Liguria.
“Abbiamo patito molto e abbiamo dovuto difendere i pazienti oncologici perché non finissero all’interno di percorsi non virtuosi che potessero portarli a trattamenti inadeguati – ha chiarito Livio Blasi parlando della Sicilia -. Le grandi sofferenze sono stati gli screening e le chirurgie, ma i nostri pazienti non sono mai stati privati delle cure. Abbiamo valutato chi avesse bisogno di fare follow up (e oggi sono convinto dobbiamo lavorare ancora molto proprio sul follow up), abbiamo dovuto riprogrammare tutte le visite, abbiamo aumentato chemioterapie e terapie orali perché non c’è stata migrazione sanitaria. Nessuno è stato lasciato indietro. Questa emergenza sta accelerando alcuni aspetti su cui insistere come il rapporto con il territorio che è fondamentale per allargare l’oncologia oltre i confini ospedalieri ed è necessario riconsiderare le risorse umane e quelle farmaceutiche”. 

“Credo che davanti all’esperienza Covid tutta la sanità pubblica una riflessione l’abbia fatta – ha sottolineato Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO), Regione Toscana – o si potenzia il territorio o altrimenti questo modello di ospedale sempre più per acuti e il territorio non presidiato come un ospedale rischia di essere non solo un modello fallimentare nell’emergenza ma ergonomicamente non adatto ai bisogni dei pazienti cronici, che sono anche sanitari e sociali. Se questo vale per la sanità, in particolare vale per il mondo oncologico che sta lavorando per anticipare un passaggio che è ineludibile, il passaggio del paziente tra ospedale e territorio. Abbiamo 3,5 milioni e mezzo di pazienti oncologici e non è pensabile che abbiano come punto di riferimento l’ospedale soltanto. È necessario riscrivere il pdta ospedaliero e trasferirlo sul territorio, per davvero stabilire cosa c’è da fare meglio sia a livello di territorio sia a livello ospedaliero”.

“In Veneto abbiamo messo in campo un lavoro importante per proteggere i pazienti grazie alla organizzazione della Rete oncologica Veneta – ha spiegato Valentina Guarneri, Professore Ordinario Università di Padova, Oncologia 2 Istituto Oncologico Veneto Padova -. Oggi c’è bisogno di tirare fuori i numeri di quanto accaduto, che ci permetteranno di costruire un quadro completo di ciò che sta accadendo e ciò che ha provocato la pandemia dalla prima ondata, per portare ai pazienti oncologici messaggi non pericolosi. Abbiamo istituito un Registro dei pazienti oncologici colpiti dal Covid e oggi ne ha già raccolti 700, sui primi 170 pazienti abbiamo registrato una mortalità del 33% e 17% Covid correlati”.

“Non si può dimenticare che la storia del Covid ha messo in evidenza alcune patologie del nostro sistema – ha concluso Paolo Pronzato, Direttore Oncologia Medica IRCCS San Martino, Genova – Coordinatore DIAR Oncoematologia Regione Liguria -: una gravissima è la migrazione sanitaria, la seconda riguarda i troppi esami che vengono utilizzati dai marcatori tumorali circolanti nella fase di follow up (la policy del follow va completamente rivista perché nella pratica clinica troviamo troppo spesso fenomeni per cui i pazienti ripetono degli esami perfettamente inutili). La terza patologia di sistema è la concentrazione in ospedale di prestazioni oncologiche che non meritano l’ospedale. Queste tre patologie dovremmo cercare di rimediare negli anni prossimi”.