Remdesivir: l’antivirale utilizzato nella lotta contro il Covid-19 a vocazione territoriale, ma a somministrazione ospedaliera

Velocizzare il piano vaccinale

23 giugno 2021 – Nella lotta contro il virus Covid-19, la somministrazione della terapia antivirale (Remdesivir, anticorpi monoclonali, etc..) è tanto più efficace, quanto prima si utilizzano tali rimedi sin dalle prime fasi dell’insorgenza dell’infezione. 
Entro 10 giorni, per la precisione, in pazienti che non necessitano di alti flussi di ossigeno-terapia. Questo eviterebbe da una parte il progredire della malattia verso stadi più gravi, dall’altra consentirebbe il ricorso alle cure ospedaliere a un minor numero di pazienti. Non solo. I pazienti arriverebbero in ospedale in condizioni mediamente meno gravi, il che consentirebbe loro una velocità di recupero maggiore e si otterrebbe una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva.

Numeri alla mano: secondo una simulazione fatta ad aprile, utilizzare Remdesivir comporterebbe una riduzione di circa 8mila accessi in terapia intensiva e una riduzione di circa 13mila morti«In termici economici tutto questo si trasdurrebbe in un risparmio di circa 400 milioni di euro», sottolinea Matteo Ruggeri, Ricercatore, Centro Nazionale di HTA – Istituto Superiore di Sanità e Professore di Politica Economica, St Camillus International University of Health Sciences, Roma, nel corso del webinar IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID, organizzato da Motore Sanità.

«Per utilizzare il più precocemente possibile il farmaco è importante riconoscere al più presto il paziente», precisa Antonio Cascio, Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico “P. Giaccone” di Palermo. «Da qui la necessità di implementare le attività di tracciamento. L’ideale sarebbe una sorta di collegamento tra ospedale e territorio in tempi reali, con l’ausilio di sistemi informatici. Ci sono già modelli simili, del resto volere è potere. E poi, molto importante, la possibilità di somministrare il farmaco in day hospital».

«Parlando di rapporti ospedale-territorio entriamo in un ambito di interazione che in alcuni contesti è facile (ASL), in altri meno (dove ci sono aziende ospedaliere universitarie che non hanno una diretta presenza sul territorio)», spiega Francesco G. De Rosa, Professore Associato Malattie Infettive SC Malattie Infettive U AOU Città della Salute e Scienza, Torino e Ospedale Cardinal Massaia, Asti. «Questo secondo caso richiede una condivisione di intenti che va ben oltre il parere del medico, dell’esperto, e/o di chi ha lavorato per tre ondate all’interno dell’ospedale e per tre volte ha visto organizzazioni diverse una dall’altra. Bisognerebbe fermarsi e capire quale delle organizzazioni che abbiamo visto e alle quali abbiamo partecipato sia effettivamente migliore delle altre che abbiamo visto e che abbiamo subito nel corso di questi 16-18 mesi di pandemia Covid».

«Noi abbiamo un ambulatorio che è stato allestito appositamente per la somministrazione dei monoclonali», conclude Francesco Menichetti, Professore Ordinario di Malattie Infettive Università di Pisa – Direttore UO Malattie Infettive AOU Pisana – Presidente GISA. «Certo, un network per la medicina territoriale è il presupposto fondamentale per garantire l’accesso tempestivo dei nuovi infetti. I monoclonali, lo ribadiamo, devono essere somministrati all’inizio dell’infezione perché siano efficaci, di modo da impedirne la progressione fino a malattia. Per quanto ci riguarda abbiamo un buon network con i medici di medicina generale e con l’Usca che ci ha permesso da una parte di portare avanti sperimentazioni importanti come con i monoclonali AstraZeneca, dall’altro di utilizzare in modo esteso i monoclonali approvati da AIFA».

Ancora una riflessione da parte degli esperti intervenuti nel corso del webinar: il futuro è in mano agli antivirali orali, attualmente in via di sperimentazione, dei quali ancora però non si dispone per l’uso clinico. Potrebbero rappresentare quelle pillole da portarsi in tasca e da potere essere assunte alle prime avvisaglie di attacco influenzale. Adesso però, noi dobbiamo fare i conti con oggi e il nostro presente è rappresentato dai monoclonali e da Remdesivir, farmaci a vocazione territoriale ma a somministrazione ospedaliera. Situazione in qualche modo paradossale ma ben comprensibile, dal momento che i prodotti approvati da AIFA richiedono la somministrazione endovenosa.

 

Farmaci antivirali e Covid-19: “Anticiparne l’uso garantirebbe inferiore progressione dell’infezione, maggior recupero, minori ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva”

Farmaci equivalenti

22 giugno 2021 – È stato appurato che l’utilizzo degli antivirali specifici per l’infezione da SARS-COV- 2 (ndr Remdesivir) sia più efficace se effettuato sin dalle prime fasi dell’insorgenza dell’infezione da COVID-19. Ad oggi la terapia antivirale viene somministrata solo in ospedale e in fasi più avanzate della malattia. Evidenze cliniche hanno dimostrato come un uso anticipato di questi farmaci porterebbe ad una riduzione della progressione dell’infezione, una velocità di recupero maggiore, un minor ricorso all’ospedalizzazione e quindi una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva. La disponibilità di protocolli terapeutici ospedalieri aggiornati che garantiscano la tempestività del trattamento potrebbe aiutare a raggiungere questo importante obiettivo di salute pubblica. Con l’obiettivo di approfondire la tematica insieme a clinici, decisori, economisti sanitari e società scientifiche, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD. 

“La pandemia COVID ha messo a dura prova l’organizzazione del SSN sia nella componente ospedaliera che territoriale, in un “continuum” di assistenza diagnostico-terapeutica ma anche di igiene e prevenzione di ulteriore diffusione. In un contesto di rapido cambiamento dell’epidemiologia, della patomorfosi e delle necessità di supporto ventilatori di pazienti per lo più anziani e con comorbidità, si è richiesta una collaborazione interdisciplinare alla quale gli infettivologi consulenti erano pronti e sollecitati da anni di recenti programmi e contesti di antimicrobial stewardship. La rapida ricollocazione, anche grazie alla letteratura internazionale, di medicamenti che in un primo momento sembravano promettenti, ha permesso di variare il supporto terapeutico primario fino alla proposta delle linee guida ora disponibili, come quelle della SITA (Società Italiana di Terapia Anti-infettiva), SIMIT e internazionali. Al di là dell’aspetto terapeutico, di squisita competenza infettivologica, è anche importante confrontarsi sull’aspetto pratico gestionale-strutturale-organizzativo dei percorsi intraospedalieri di assistenza e supporto, siano essi medico internistici, medicina d’urgenza, pneumologici, intensivistici, endocrinologici o infermieristici e di Direzione Sanitaria”, ha detto Francesco G. De Rosa, Professore Associato Malattie Infettive SC Malattie Infettive U AOU Città della Salute e Scienza, Torino e Ospedale Cardinal Massaia, Asti

“La stima delle capacità delle terapie intensive parte da un modello epidemiologico dinamico grazie al quale è possibile simulare l’evoluzione del corso pandemico. Tale simulazione si basa su delle ipotesi relative ai cambiamenti del tasso di riproduzione RT che tiene conto degli sviluppi della campagna di vaccinazione e delle politiche in merito al distanziamento sociale. La simulazione restituisce un numero di persone infettate, una porzione delle quali, sulla base di dati di letteratura ed osservabili empiricamente, viene ospedalizzata in regime ordinario o in terapia intensiva. Questa seconda fase del modello si basa su una catena markoviana che simula il percorso terapeutico degli ospedalizzati e quindi permette di calcolare per ogni settimana di osservazione, il numero di terapie intensive occupate, il numero di morti ed i relativi costi ospedalieri. A questa simulazione sono stati poi applicati i dati inerenti all’efficacia di Remdesivir ed anche la durata media delle degenze sia ordinarie che in terapia intensiva. Ciò ha permesso di confrontare gli effetti sia clinici che economici derivanti dall’impiego di Remdesivir nei soggetti eleggibili. I risultati mostrano come l’impiego di tale terapia permetterebbe, su 20 settimane, di salvare circa 13000 vite, occupare complessivamente circa 9000 terapie intensive in meno (su tutto l’arco delle 20 settimane) e di ottenere risparmi pari a 400 milioni di euro. È da ricordare come il modello possa essere adattato ad ulteriori cambiamenti nel corso della pandemia, ponendosi in primis l’obiettivo di informare i decision makers rispetto al potenziale valore derivante dall’introduzione di strategie terapeutiche volte a diminuire la pressione sulle terapie intensive ed il tasso di mortalità”, ha spiegato Matteo Ruggeri, Ricercatore, Centro Nazionale di HTA – Istituto Superiore di Sanità e Professore di Politica Economica, St Camillus International University of Health Sciences, Roma

HIV: in Veneto bisogna puntare sulla prevenzione

Di Malta

21 giugno 2021 – Nonostante l’impegno importante che si è portato avanti negli anni nella lotta contro l’HIV, il Veneto ha un’incidenza di 5,5 casi per 100.000 abitanti, mentre in Italia la media è di 4,2 casi. Inoltre ha una percentuale più alta della media di pazienti diagnosticati a causa della tossicodipendenza e ogni anno si registrano tra i 180 e i 200 nuovi casi l’anno. 9 sono, sul territorio regionale, le Unità operative di Malattie Infettive che si occupano della presa in carico dei pazienti con HIV e AIDS. Durante l’incontro online “HIV: una pandemia silenziosa”, organizzato da Motore Sanità si è fatto il punto della situazione sullo stato dell’arte in Regione

Secondo il Direttore Generale dell’Area Sanità e Sociale della Regione del Veneto Luciano Flor: “Dagli anni 80 molte cose per fortuna sono cambiate quando si parla di Hiv e Aids. La legge 135/90 ad esempio ha permesso che si costruissero molti ospedali nuovi per le malattie infettive, ha fatto sì che nascessero i corsi obbligatori per il personale delle malattie infettive. Molto si è lavorato in Veneto a livello ospedaliero e territoriale. Il Veneto ha: 79 punti dove è possibile fare il test per l’HIV, 11 reparti di malattie infettive, ha un PDTA regionale che funziona. Ogni volta però che viene diagnosticato un nuovo caso bisogna dire che la prevenzione non ha funzionato. Dobbiamo lavorare molto su informazione, formazione e comunicazione per far passare il messaggio che il problema ci sia ancora, nonostante ci sia una cura” 

“La Regione Veneto si è mossa ormai da tempo nell’ambito dei PDTA dal paziente adulto affetto da HIV/AIDS. Dalle ricerche effettuate è emerso la gravità della presenza di comorbilità. Paradigmatico è il caso della presenza del diabete mellito nella popolazione HIV positiva. Nella popolazione HIV positiva il diabete mellito è sottotrattato e poco aderente agli standard di percorso. Bisogna quindi progettare nuovi modelli di cura per i pazienti HIV che hanno delle comorbidità, integrando la gestione dell’HIV delle comorbidità all’interno di percorsi di cura cronica standard gestiti dagli infettivologi”, ha dichiarato Annamaria Cattelan, Direttore UOC Malattie Infettive Tropicali, AOU Padova

Tumori – Women for Oncology premia un film a tema oncologico Rossana Berardi, al Bardolino Film Festival per sottolineare l’impegno di W4O nella lotta contro il cancro

Causa Covid

Women for Oncology Italy – il network a sostegno delle professioniste dell’oncologia italiana – promuove il ruolo sociale del cinema nella lotta contro il cancro, nell’ambito della prima edizione del Bardolino Film Festival, nella magica cornice del Lago di Garda.
Si tratta di un festival polivalente, organizzato dal Comune di Bardolino e con il patrocinio di Regione Veneto e Women for Oncology Italy, che si terrà dal 16 al 20 giugno. Un calendario fitto di eventi dove Rossana Berardi, in qualità di Presidente di Women for Oncology Italy e a nome dell’Associazione, premierà questo fine settimana “Cosa sarà”, film italiano del 2020, diretto da Francesco Bruni e che vede in qualità di attori Kim Rossi Stuart, Raffaella Lebboroni, Nicola Nocella, Lorenza Indovina, Barbara Ronchi. Il film è un racconto autobiografico del regista, in passato affetto da leucemia e pone il tema del paziente oncologico al centro, senza cadere nella retorica.
Ancora una volta Women for Oncology Italy è in prima linea per favorire una diffusa sensibilizzazione e conoscenza nei confronti delle malattie oncologiche.

“Un plauso al comune di Bardolino e all’Assessore Domenica Currò per aver organizzato un festival in cui con linguaggio cinematografico si celebra la “ripartenza” dopo un lungo e difficile periodo di pandemia. Women for Oncology ha immediatamente accolto l’invito a patrocinare l’iniziativa e a consegnare il premio concesso da GSK al regista e agli attori del film “Cosa sarà”. Crediamo infatti nel potere della comunicazione anche cinematografica per far crescere la sensibilità sulle tematiche oncologiche e per portare l’attenzione verso il paziente oncologico, reso ancor più fragile e a rischio in questo periodo pandemico e verso gli operatori sanitari che hanno sempre continuato a lavorare con grande spirito di dedizione. Il cinema ci insegna che qualunque sia la trama che ci troviamo a vivere, noi possiamo comunque e sempre scrivere la sceneggiatura”, ha sottolineato Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy, ordinario di Oncologia all’Università Politecnica delle Marche e direttrice della Clinica Oncologica degli Ospedali Riuniti di Ancona

Farmaco equivalente: “Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, il loro uso in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Blockchain e AI

18 giugno 2021 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile il SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze Motore Sanità ha organizzato il Webinar FOCUS CAMPANIA: FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

“I farmaci equivalenti sono i capisaldi per l’ottimizzazione della spesa farmaceutica territoriale. Il counseling dei MMG nell’informazione dei pazienti è fondamentale, in quanto sono abituati ai brand e si sentono rassicurati dall’uso continuativo del farmaco che già assumono. Un capitolo a parte sono gli eccipienti, questi a volte possono fare la differenza, come il caso del Macrogol/Nimesulide, con relative problematiche legate a fenomeni di allergie. I pazienti possono sempre scegliere il brand e pagare la differenza, che non grava in termini di spesa sul SSN. Il problema non è tanto prescrivere i farmaci equivalenti ma utilizzare quelli a brevetto scaduto in prima battuta, così si raggiungerà l’obiettivo ‘spesa farmaceutica sotto controllo’ beneficiando comunque dell’effetto terapeutico ottimale”, ha detto Vincenzo Schiavo, Consigliere Regionale FIMMG Campania

“Fin dall’introduzione del farmaco equivalente in Italia, le farmacie hanno collaborato con le Istituzioni per promuoverne la conoscenza: ogni giorno in farmacia diamo ai pazienti informazioni sulla loro sicurezza ed efficacia, spiegando che gli equivalenti sono farmaci affidabili sotto tutti gli aspetti” afferma il segretario nazionale di Federfarma Roberto Tobia. “L’impegno delle oltre 19.000 farmacie italiane nella diffusione di una cultura del farmaco equivalente rientra pienamente nel loro ruolo di primi presidi sanitari di prossimità sul territorio, integrati nel Servizio Sanitario Nazionale e facilmente accessibili anche nelle aree più interne del paese. In farmacia, infatti, il cittadino può sempre entrare con fiducia per ricevere un consiglio professionale sull’impiego del farmaco o l’assistenza necessaria per seguire correttamente le terapie prescritte dal medico”, ha dichiarato Roberto Tobia, Segretario Nazionale Federfarma

“Le proposte su cui lavorare sono quelle di continuare verso un’informazione corretta, che possa trasmettere una conoscenza, sia da un punto di vista scientifico ma soprattutto anche in termini di vantaggio economico e sostenibilità, una formazione adeguata e diffusa per medici e farmacisti, campagne istituzionali di sensibilizzazione. Infine, siamo arrivati al punto in cui potrebbe essere determinante una attuazione di politiche sanitarie e di welfare regionali che possano incentivare la prescrizione e la dispensazione di farmaci equivalenti, in modo tale da poter ridurre significativamente quella che è la compartecipazione dei cittadini in un momento storico dove il Paese soffre una crisi economica rilevante”, ha spiegato Alberto Giovanzana, Associate Director Government & Regional Affairs Teva Italia

Aderenza terapeutica: criticità e soluzioni messe in atto da Puglia, Sicilia e Calabria

Aderenza e appropriatezza terapeutica

17 giugno 2021 – L’aderenza terapeutica si dimostra bassa in maniera allarmante: si parla di appena il 52-55% per pazienti in trattamento per osteoporosi, il 60% per artrite reumatoide, il 40-45% nel caso della terapia per diabete di tipo II, il 36-40% per inefficienza cardiaca e solo il 13-18% per asma e Bpco (secondo il Rapporto OsMed di Aifa). Ma non solo.
Considerando i 7 milioni di persone in Italia colpite da malattie croniche, si stima che solo la metà di queste assuma i farmaci in modo corretto e fra gli anziani le percentuali superano il 70%. La scarsa o mancata aderenza terapeutica, prima causa di inefficacia delle terapie, comporta uno spreco “dovuto ad aumento degli interventi assistenziali, della morbilità e della mortalità, con un danno palese per pazienti e società” (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Le cause sono molteplici: complessità del trattamento, inconsapevolezza della malattia, follow-up inadeguato, timore di reazioni avverse, decadimento cognitivo e depressione. Tutti aspetti acuiti dall’avanzare dell’età e dalla concomitanza di altre patologie. Nasce da questi presupposti la necessità di una call to action, ovvero azioni concrete per migliorare l’aderenza ai percorsi diagnostici e terapeutici dei pazienti.
È quanto evidenziato dagli esperti di CalabriaPuglia Sicilia, nel corso del webinar “IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE”, organizzato da Motore Sanità. Da qui le proposte di sviluppare strumenti di valutazione concreti dell’aderenza per monitorare e correggere i comportamenti che impattano sulla scarsa aderenza e l’implementazione delle tecnologie che facilitano i pazienti a seguire il percorso di cura.

In Regione Sicilia si registra una crescita delle malattie circolatorie e del diabete, con un forte eccesso di mortalità. A questo si aggiunge la disuguaglianza del fattore socio economico, tema che riguarda in generale le Regioni meridionali, il cui peso si riflette sia sulla parte che riguarda la prevenzione, sia sull’accesso alle cure e quindi sulla qualità dell’assistenza, nonché l’aumento della quota di popolazione anziana che richiede sempre maggiore quota di risorsa per l’assistenza.

«All’impatto della malattie croniche si aggiunge l’impatto e l’interazione che il Covid ha avuto nella gestione di tali malattie, una doppia sfida quindi a cui dobbiamo prepararci anche per il futuro» ha spiegato Salvatore Scondotto, Dirigente Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico, Assessorato Salute, Regione Siciliana. «Non è più pensabile investire soltanto in termini di assistenza, quindi dovremo cominciare a rafforzare tutti gli interventi che sono orientati da un lato alla riduzione dell’incidenza intervenendo sui fattori di rischio comportamentali (cattiva alimentazione, sedentarietà, ovvero stili di vita errati che incidono sui fattori di rischio cardiovascolari), agire sul contrasto alle disuguaglianze. Altri due pilastri fondamentali sono l’appropriatezza nella gestione di queste condizioni (implementazioni dei percorsi diagnostici assistenziali) e la qualità (vanno sviluppati accanto a questi percorsi strumenti di valutazione e di misurazione della efficacia di questi programmi). È fondamentale avere sempre più strumenti informativi affidabili che vanno interconnessi, per restituire un quadro il più possibile affidabile delle gestione della presa in carico. Credo che il nuovo sistema di garanzia dei LEA, in quanto sistema condiviso tra le Regioni, possa dare un valore aggiunto sulla parte del confronto». 

La Regione Puglia, che registra un’aderenza di appena il 13% in alcune circostanze, si è dotata dei service per la Bpco, per l’asma e per le patologie legate al sonno che permettono in un unico accesso la gestione di questi pazienti evitando il ricovero ospedaliero: si è registrato un azzeramento dei ricoveri inappropriati e un notevole miglioramento della condizione clinica dei pazienti. Poi è arrivato il Covid e questo ha destabilizzato il tutto.

«Ci siamo chiesti come fare per ovviare questo problema della bassa aderenza terapeutica e una della risposte è l’applicazione dei Pdta di cui ci siamo dotati in Regione Puglia. Sono pronti da prima del Covid, però andrebbero implementati, visto che si tratta di dispositivi studiati per essere modificati sistematicamente e aggiornati alla luce delle nuove terapie. Non appena finirà l’emergenza Covid, inizieremo a lavorare in questo senso» ha evidenziato Alessandro Palumbo, Dirigente Medico UO Malattie Apparato Respiratorio, Università degli Studi di Bari.

Anche dalla Regione Calabria la pandemia ha presentato situazioni di criticità.
«Ecco perché potrebbe essere un’opportunità per la nostra sanità, che da dieci anni è stato abbandonata dalla politica» ha aggiunto Ciro Indolfi, Professore ordinario di Cardiologia, Direttore Centro Ricerche Malattie Cardiovascolari dell’Università Magna Graecia, Catanzaro. «Noi adesso avremo un’opportunità di spendere risorse che mai avremo avuto in passato e che mai avremo in futuro. La mia preoccupazione è che non abbiamo un sistema Italia che ci consente di spendere con attenzione questi soldi per queste risorse immani che arriveranno nei prossimi mesi».

«L’appropriatezza prescrittiva e l’aderenza alla terapia rimangono una priorità per il servizio sanitario nazionale, come anche per gli operatori (farmacisti, direttori sanitari e generali)», ha concluso Luca Pinto, Principal Real World Insightsl, IQVIA Italia. «Quanto più la cronicità diventa una cronicità complessa, ovvero su pazienti fragili e multipatologici, più il tema diventa assolutamente critico. Il ruolo della medicina di base è una medicina che costituisce un riferimento importantissimo. L’appropriatezza e l’aderenza si compongono di diversi indicatori e, secondo noi, gli step per monitorarla sono la completezza informativa, l’interoperabilità dei sistemi e la gestione del cambiamento. Questo cambio culturale è stato avviato e il Covid in questo senso ha dato un’accelerazione fortissima. L’elemento di telemedicina deve essere poi sempre molto dettagliato e c’è bisogno di ridisegnare percorsi assistenziali». 

Interstiziopatie polmonari: “Al via la Road Map per valutare i modelli organizzativi regionali e garantire uniforme accesso a livello nazionale”

17 giugno 2021 – Le interstiziopatie polmonari sono malattie rare dell’apparato respiratorio, a complessa gestione. La prevalenza della sola Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) in Italia è di circa 15.000 pazienti. I centri dedicati alla cura di questa patologia in Italia sono 107, di cui 30 segue circa il 70% dei pazienti, con carico di lavoro oneroso e gravoso. L’approccio alla gestione di questi pazienti da parte delle Regioni è sempre più quello a rete regionale con sistemi ‘Hub & Spoke’. I Centri regionali sono gravati spesso da liste d’attesa di 6-8 mesi e per questo sarebbe necessario un ammodernamento del modello organizzativo a gestione multidisciplinare. Oggi, alcune di queste patologie sono state riconosciute nei LEA, ed è importante che sia garantita uniformità di accesso alle cure sul territorio Nazionale a tutti i pazienti. Con l’obiettivo di far confrontare tutti gli stakeholders a livello regionale impegnati nella cura di questa patologia, per implementare modelli gestionali e organizzativi, con al centro il paziente, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘INTERSTIZIOPATIE POLMONARI: FOCUS VENETO’, terzo di 9 appuntamenti a livello regionale, realizzati grazie al contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim.

“Come Azienda Ospedale Università di Padova sono onorato di poter agevolare quanti, esperti nel nostro Ospedale, si occupano di queste patologie complesse che la pandemia Sars-Cov2 ha messo particolarmente in luce. Chi soffre di queste malattie molto invalidanti, ha la necessità di trovare Centri che siano in grado di rispondere con tempestività e professionalità agli imminenti bisogni di salute che si trovano ad affrontare. Auspico quindi che, quanti impegnati nella ricerca di miglioramenti e soluzioni per la diagnosi e la cura di queste patologie, trovino soluzioni sempre più consone che diventino imperativo professionale ed etico per chi lavora nell’ambito della salute, al fine che nessun malato attenda mesi per la sua presa in carico”, ha dichiarato Giuseppe Dal Ben, Direttore Generale AOU Padova

“Le interstiziopatie rappresentano in Italia la patologia con maggiore indicazione al trapianto polmonare. Sebbene ci siano 2 farmaci di relativa recente approvazione per la terapia medica della fibrosi polmonare idiopatica, purtroppo molti malati hanno comunque una progressione dell’insufficienza respiratoria che condiziona gravemente la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti. Il trapianto polmonare rappresenta una grande opportunità terapeutica per questi pazienti ed il Centro trapianto di polmone di Padova oltre ad essere quello italiano con maggiore volume di attività è particolarmente dedicato a questa patologia sia per la parte diagnostica che terapeutica medica e chirurgica”, ha spiegato Federico Rea, Direttore Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica e Direttore Unità di Chirurgia Toracica e Trapianto di Polmone AOU Padova

“Le interstiziopatie polmonari costituiscono un gruppo eterogeneo comprendente molte patologie assai diverse tra di loro per eziologia, decorso, letalità, età di insorgenza e opzioni terapeutiche disponibili. Grossolanamente si possono riconoscere 5 macro-gruppi di patologie, cioè le patologie polmonari primitive, tra cui ad esempio la fibrosi polmonare idiopatica o la proteinosi alveolare polmonare nella forma autoimmune o in quella idiopatica etc., la sarcoidosi, le vasculiti con interessamento polmonare, alcune connettivopatie come la sclerosi sistemica progressiva con interessamento polmonare e altre patologie, tra cui la linfoangioleiopatosi polmonare. In tutto sono riconoscibili e attualmente riconducibili all’elenco delle malattie rare riconosciute in Italia 35 patologie, alcune relativamente frequenti, altre eccezionali. Nella Regione Veneto sono residenti e/o seguiti oltre 5.000 pazienti con una forma che presenta o può presentare nel corso della storia naturale della patologia un interessamento interstiziale polmonare. Di questo il gruppo più consistente è dato dalle patologie del connettivo con interessamento polmonare (61%), seguito dalla sarcoidosi (16%), dalle vasculiti (15%), e poi dal gruppo delle patologie polmonari primitive (7%). Le altre forme sommano solo l’1% dei pazienti. Le patologie polmonari primitive sono quelle che hanno un esordio ad età più avanzata, anche se sono presenti forme ad esordio in età adulta o giovane età adulta e con una letalità cumulativa maggiore. Infatti, se la letalità grezza cumulativa di 15 anni è del 10.6%, quella delle patologie polmonari primitive sale al 26.8% mentre quella della sarcoidosi è appena all’1.3%. Il numero di decessi per l’intero gruppo delle patologie dell’interstizio polmonare si mantiene in Veneto relativamente costante intorno ai 90-100 casi con una fluttuazione di 10-15 casi da anno in anno. Fa eccezione l’anno 2020 dominato dalla pandemia da Sars-COV-2 con un aumento del 77% rispetto ai decessi attesi, ciò nonostante, la persistenza della prescrizione ed erogazione di farmaci specifici ma presumibilmente con un cambiamento e riduzione dell’accesso a controlli e presa in carico globale dei casi. Questo dato sembra suggerire ancora una volta che il mantenimento di una buona funzione e qualità di vita e persino sopravvivenza dipendono in modo diretto non solo dalla disponibilità e all’accesso a singole terapie farmacologiche ma alla disponibilità di un coretto e globale monitoraggio del paziente e piano di presa in carico articolato e ricco di diversi tipi di trattamento”, ha detto Paola Facchin, Coordinamento Malattie Rare Regione del Veneto AOU di Padova

Scarsa o mancata aderenza terapeutica: “Quali conseguenze cliniche e economiche per il SSN? La situazione della Regione Calabria, Puglia e Sicilia”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

16 giugno 2021 – 7 milioni di persone in Italia sono colpite da malattie croniche, si stima però che solo la metà assuma i farmaci in modo corretto e fra gli anziani le percentuali superano il 70%. Le cause di mancata o scarsa aderenza ai trattamenti sono molteplici: complessità del trattamento, inconsapevolezza della malattia, follow-up inadeguato, timore di reazioni avverse, decadimento cognitivo e depressione. Tutti aspetti acuiti dall’avanzare dell’età e dalla concomitanza di altre patologie. Per fare il punto in Calabria, Puglia e Sicilia, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’. Quarto di 5 appuntamenti, il road show, realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Servier in Italia, Sanofi, Iqvia e Intercept, coinvolgerà sul tema dell’aderenza alle cure i principali interlocutori a livello locale: clinici, istituzioni, cittadini e pazienti. 

In Calabria la popolazione è di quasi 2.000.000, il 21,6% ha più di 65 anni (Fonte dati ISTAT 2019). La diffusione dell’ipertensione è del 23.5% (maggiore del valore nazionale 19.9% – Fonte: PASSI d’Argento 2015-2018), dell’ipercolesterolemia è del 18,6%, migliore del dato nazionale 22,6% (Fonte: PASSI d’Argento 2015-2018) ed il 99% della popolazione presenta almeno un fattore di rischio cardiovascolare (rispetto al 97% valore nazionale). La popolazione in Sicilia è di 5.000.000 di abitanti di cui il 27% ha più di 60 anni. Nei tre principali comuni della Sicilia si concentra quasi un quarto della popolazione (1.224.093 abitanti pari al 24,2% del totale), con una prevalenza di CRC del 13,2% per le donne e 12,7 per l’uomo. I soggetti con diagnosi di ipertensione nelle 9 ASP siciliane è stimata nel 21% del campione PASSI e il 22% riferisce di aver avuto diagnosi d’ipercolesterolemia. La popolazione in Puglia è di circa 4.000.000 (dati ISTAT al 31/12/2019), il 28% ha più di 60 anni. La diffusione dell’ipertensione aumenta rapidamente sopra i 65 anni e arriva a coinvolgere circa il 63% della popolazione (dati ISS 2015-2018 PASSI e 2016-2018 PASSI d’Argento) rispetto al 60% della media in Italia. L’incidenza dei pazienti ad alto rischio è: uomini 16%, donne 9%. 

“Il valore dell’aderenza – prima ancora che praticato – va spiegato ai pazienti ed è il primo indicatore della reale condivisione di qualunque patto di cura tra medico e paziente. Se manca adesione al piano di cura è segno di un gap della relazione comunicativa, non di limiti culturali ed educativi dei pazienti. Soprattutto, l’aderenza terapeutica è una componente importante e pratica degli approcci sanitari basati sul valore che, senza di essa, perderebbero il catalizzatore assistenziale anche degli interventi più innovativi”, ha dichiarato Giovanni Gorgoni, Direttore Generale AReSS Puglia.

“L’aderenza terapeutica, definita dall’OMS come ”il grado di effettiva coincidenza tra il comportamento individuale del paziente e le prescrizioni terapeutiche ricevute dal personale sanitario curante”, risulta fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici e per il conseguimento dei risultati clinici. Purtroppo, nelle patologie croniche circa la metà dei pazienti sospende i trattamenti raccomandati e ciò succede anche per patologie gravi come, ad esempio, dopo un infarto del miocardio o nel trattamento dell’ipertensione arteriosa o delle dislipidemie. L’età dei pazienti, lo stato sociale, la complessità del trattamento, gli effetti collaterali dei farmaci, la mancata presa in carico dei pazienti cronici sono tra i principali elementi associati alla scarsa aderenza terapeutica. La scarsa aderenza ai farmaci è associata a conseguenze negative sulla salute procurando uno scarso controllo dei fattori di rischio, quali ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia o diabete, ma determina anche uno spreco di risorse con aumento dei costi nella gestione delle malattie croniche. La scarsa aderenza è inoltre responsabile di un aumento del 40% della mortalità e di circa il 20% delle ospedalizzazioni”, ha detto Pasquale Caldarola, Direttore Dipartimento Cardiologia-UTIC Ospedale San Paolo, Bari. Vicepresidente Nazionale Consiglio Direttivo ANMCO

“Con il DA n.1090 del 2016, la Regione Sicilia ha dato seguito al Piano Nazionale delle Cronicità sviluppando un Chronic Care Model per la gestione della cronicità individuando alcune patologie: diabete mellito, scompenso cardiaco e a seguire la BPCO. L’attuale pandemia da Covid-19 ha accelerato questo progetto fortunatamente, perché monitorare l’aderenza terapeutica è indispensabile per l’efficacia e l’efficienza del SSR. Il prossimo piano di resilienza metterà a disposizione fondi che saranno fondamentali per raggiungere questo obiettivo”, ha sostenuto Carmelo Pullara, Vice Presidente VI Commissione Salute, Servizi Sociali e Sanitari Regione Sicilia

“In molte patologie siamo diventati bravi a curare la fase acuta della malattia, ma nei mesi a seguire spesso il paziente abbandona le cure assegnategli in modo del tutto arbitrario ed autonomo. È noto, per esempio, che già dopo 3 mesi da un ricovero per infarto circa il 30% dei pazienti ha sospeso almeno uno dei farmaci della propria cura, il che comporta un peggioramento della prognosi: se la mortalità per infarto in fase acuta è ormai ridotta al 10% o meno, ad un anno dalla dimissione i tassi crescono in modo preoccupante (dati PNE degli ultimi anni). Le possibili spiegazioni includono per esempio la scarsa consapevolezza, del paziente e di chi lo assiste (i suoi caregiver), riguardo l’importanza del mantenere la terapia assegnata alla dimissione, che spesso non viene illustrata in maniera esaustiva per una serie di problemi. È fondamentale, nell’assegnare una terapia, spiegare bene al paziente e ai caregiver modo e orari di assunzione di un farmaco, il perché, il beneficio e quali possano essere gli effetti collaterali da attendersi e quali di questi eventualmente devono destare preoccupazione. In Sicilia già da tempo abbiamo creato un tavolo tecnico dedicato, in collaborazione con l’Assessorato della Sanità, da cui è nato poi un Decreto Assessoriale sulla Lettera di dimissione, primo esempio sul territorio nazionale e un progetto di PSN per la sua implementazione. Ritengo poi, da cardiologo ospedaliero, che sarebbe prezioso anche avere maggiori possibilità di far ricorso a trattamenti riabilitativi subito dopo la fase acuta così da seguire poi il paziente per alcune settimane. Alcune categorie di pazienti sono meno aderenti di altre alle terapie, e fra questi le donne: è legato all’attitudine di prendersi cura più degli altri che di sé stesse, alla necessità di occuparsi di tanti aspetti della vita familiare che le porta a trascurarsi, alla difficoltà nell’ammettere di avere un problema medico cardiologico (indagini americane confermano che il fenomeno riguarda circa un quarto delle donne osservate). La salute del cuore “al femminile”, oggi sotto i riflettori delle comunità scientifiche di settore (fra cui l’ANMCO di cui presiedo la sezione regionale) ritengo meriti molta attenzione”, ha spiegato Giovanna Geraci, Presidente Regionale ANMCO Sicilia

In sintesi, dall’incontro odierno è emersa la necessità di una call to action, una necessità cioè di azioni concrete per migliorare l’aderenza ai percorsi diagnostici e terapeutici dei pazienti. L’aderenza rappresenta infatti un fattore chiave di successo per la salute pubblica e per la governance del Sistema Sanitario Regionale, una garanzia di efficienza delle cure e della sostenibilità economica. Dai diversi rappresentanti delle istituzioni pubbliche, dai clinici e dalle associazioni di cittadini è arrivata la proposta di sviluppare strumenti di valutazione concreti dell’aderenza per monitorare e correggere i comportamenti che impattano sulla scarsa aderenza e l’implementazione delle tecnologie che facilitano i pazienti a seguire il percorso di cura. La proposta dell’inserimento di un indicatore sintetico di aderenza nel nuovo sistema di garanzia può rappresentare una opportunità di valore e di indirizzo per tutti gli attori chiave.

 

Antimicrobico resistenza: saranno 10 milioni le morti correlate nei prossimi ann

Farmaci equivalenti

12 Giugno 2021 – L’antimicrobico resistenza è una pandemia silente con una prevalenza in Italia molto elevata da sempre, tanto da avere la maglia nera in Europa insieme ai paesi dell’Est Europa. Nel 2030 il nostro Paese avrà un incremento nella resistenza antimicrobica del 19%, mentre la Cina, coinvolta in maniera importante dall’emergenza Covid, lo sarà altrettanto per i microrganismi resistenti, che cresceranno fino al 50%.
Oggi i pazienti che muoiono per antimicrobico resistenza hanno lo stesso esatto problema dei pazienti colpiti dal virus Sars-Cov-2 che muoiono, non hanno trattamenti efficaci. La mortalità correlata proiettata nelle prossime decadi potrebbe assumere delle dimensioni incredibili, 10 milioni di morti che andrebbero a superare i decessi per cancro e per tutte le altre malattie croniche e diffuse. Epicentro, il portale di epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, sulla base di varie pubblicazioni, da tempo evidenzia come solo il 30-50% delle infezioni sia prevenibile attraverso buone pratiche preventive.
Nonostante la ricerca recentemente stia tornando a produrre nuovi antibiotici, esiste un problema nella valorizzazione delle nuove molecole e nel riconoscimento dell’investimento di chi le sviluppa: la tempistica per realizzare un nuovo antimicrobico è un percorso ad ostacoli che dura minimo 8-11 anni, con una spesa globale ben oltre i 600 milioni di euro; esiste un utilizzo ritardato dei nuovi antibiotici anche nel paziente critico, dopo diverse altre terapie di cui spesso si conoscono effetti collaterali; ma se un approccio appropriato prudente e per gradi è fondamentale non è corretto un uso razionato di questi nuovi antimicrobici poiché in molti casi dietro all’antimicrobico resistenza vi è un paziente che non può aspettare. Inoltre tema di sostenibilità spesso si omette di considerare i costi evitabili (diretti sanitari e indiretti) legati sia a ritardi di accesso alle nuove terapie che a scelte inappropriate di utilizzo.
Per approfondire questi temi e tenere alta l’attenzione sul problema Motore Sanità ha affrontato il tema dal titolo DAL “CUTTING EDGE” DELLA RICERCA IN ANTIBIOTICO TERAPIA AL BISOGNO DI NUOVI ANTIBIOTICI, DALLA VALUTAZIONE DEL VALORE AL PLACE IN THERAPY APPROPRIATO per contribuire a trovare soluzioni attraverso un dialogo che ha coinvolto i migliori tecnici e istituzioni, a livello nazionale e regionale.

“Le morti correlate sono evitabili sia grazie ad interventi comportamentali, che però necessitano di bisogno di investimenti, sia perché è importante il fatto che finalmente si sta investendo per avere nuovi antibiotici nei confronti dei quali le resistenze non siano state già acquisite da parte del germe – ha spiegato Giovanni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria Ministero della Salute -. In quest’ultimo anno e mezzo abbiamo dovuto tralasciare molti argomenti e sicuramente l’antibiotico resistenza, che era diventata finalmente un argomento centrale nel Paese, ha perso peso da un punto di vita culturale ed esperenziale perché siamo stati costretti ad affrontare un’emergenza pandemica. Credo che dovremmo subito ricominciare ad affrontare il problema in maniera più efficace e concreta e riportarlo ai primi posti dell’agenda di Governo”.

“L’antimicrobico resistenza, pur vivendo una situazione pandemica così grave, non riceve nessun tipo di attenzione e di finanziamenti – ha spiegato Francesco Menichetti, Professore Ordinario di Malattie Infettive Università di Pisa – Direttore UO Malattie Infettive AOU Pisana – Presidente GISA –.  E’ un fenomeno clinicamente rilevante, tanto che la mortalità correlata proiettata nelle prossime decadi potrebbe assumere delle dimensioni incredibili, 10 milioni di morti che andrebbero a superare i decessi per cancro e per tutte le altre malattie anche croniche e diffuse, inoltre è stato enfatizzato dalla concomitante pandemia Covid 19 che è stata in grado di amplificarlo, specialmente nei pazienti lungodegenti in terapia intensiva, che già hanno un rischio specifico di andare incontro a infezione Amr, ma con una polmonite Covid 19 e ventilati meccanicamente hanno amplificato questo rischio. La diffusione ospedaliera, che è stata spesso responsabile di focolai locali, è stata favorita da un inadeguato rispetto del lavaggio delle mani”.

“Nella fase di rafforzamento del nostro servizio di sanità nazionale e di riconfigurazione in alcuni casi, il tema dell’antibiotico resistenza, uno dei più importanti che dovremmo affrontare in una fase di endemia del Covid, può essere paradigmatico per quanto riguarda il controllo delle malattie infettive, nel mettere a punto modelli che aiutino il controllo di questo tipo di fenomeno e anche l’uso appropriato dell’antibiotico. Il tema infatti non è antibiotico sì o antibiotico no, ma l’antibiotico giusto alla persona giusta, con il dosaggio giusto per il tempo giusto. Questa è la grande sfida e si può vincere in una logica di sistema” ha aggiunto Silvio Brusaferro, Presidente Istituto Superiore di Sanità.

“Sui nuovi antibiotici e all’antimicrobial stewardship che riguarda il territorio, ma soprattutto l’ospedale, c’è bisogno di un cambio di passo. Cerchiamo di uscire dal concetto dell’antimicrobial stewardship come strumento di controllo dei costi, errore clamoroso che molti ospedali stanno commettendo. L’antimicrobial stewardship deve essere uno strumento di appropriatezza” ha concluso Matteo Bassetti, Direttore UO Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico “San Martino” Genova – Presidente SITA

 

 

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Farmaci equivalenti ancora poco diffusi. La spinta potrebbe arrivare dai medici di famiglia e dai farmacisti promotori di formazione e informazione

Di Malta

11 giugno 2021 – Medici di famiglia e farmacisti potrebbero avere un ruolo strategico nell’informazione e nella comunicazione sul tema dei farmaci equivalenti e il loro utilizzo perché sono i più vicini alle esigenze dei pazienti, operando sul territorio. L’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso, pari al 39,6%, rispetto ad altri paesi come Gran Bretagna (53,2%), Germania (45,7%), Francia (45,5%), Spagna (42,3%) e anche rispetto ai farmaci di marca. Nel 2019, l’83,7% di farmaci utilizzati dal sistema sanitario italiano nella farmaceutica convenzionata sono equivalenti, di cui il 53% sono farmaci a brevetto scaduto generici branded e il 30,6% equivalenti. L’analisi dei consumi per area geografica poi, nei primi nove mesi 2019 dice che il consumo degli equivalenti di classe A è risultato concentrato al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) ed al Sud Italia (22,4%; 18,1%).
La compartecipazione alla spesa sostenuta dai cittadini ammonta a 1,6 miliardi di euro (15,8% della spesa farmaceutica convenzionata) di cui il 70% è data dalla differenza di prezzo tra il medicinale a brevetto scaduto branded prescritto e il prezzo di riferimento definito dalle liste di trasparenza AIFA, con un valore di spesa pari a 1 miliardo 126 milioni di euro, in crescita del + 7,2% rispetto all’anno precedente. La stessa compartecipazione alla spesa, purtroppo, è anche un freno all’aderenza alle terapie da parte del cittadino.
Non hanno fatto meglio i cittadini del Lazio che nei primi due mesi del 2021 hanno speso 22,2 milioni di euro per la quota di compartecipazione sul prezzo di riferimento, il 13% della sovraspesa; da gennaio a maggio hanno speso più di 54milioni di euro per ritirare il farmaco ex originator, proiettando per l’anno 2021 una cifra di circa 130milioni di euro.
È questo lo scenario emerso durante il webinar FOCUS LAZIO: FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN, organizzato da Motore Sanità.

“Le istituzioni devono poter fare capire l’importanza dei farmaci equivalenti attraverso un supporto informativo e comunicativo diverso dal passato e con l’aiuto del personale medico, dai medici ai farmacisti” ha spiegato Antonio Aurigemma, Componente VII Commissione Sanità Politiche Sociali Welfare Regione Lazio. “È necessario pianificare insieme un piano di comunicazione e organizzativo diverso da quello che c’è stato fino ad oggi”.

“1,2 miliardi è una cifra sostanziosa che si toglie al paese e questo è ancora più grave, ancora di più se pensiamo che può essere abbattuta attraverso un percorso che parte dall’informazione” ha spiegato Fulvio Ferrante, Direttore Dipartimento della Diagnostica e Assistenza Farmaceutica, ASL Frosinone.

“Dal 1996 ad oggi è stato fatto molto, ma si deve fare ancora per avvicinare i colleghi medici più giovani al tema del farmaco equivalente perché c’è poca informazione su questa tematica, la quale deve essere più capillare. C’è necessità di informazione ai cittadini e formazione ai colleghi medici” ha spiegato Pierluigi Bartoletti, Vice Segretario Vicario FIMMG.

L’informazione e la formazione sono i punti cruciali del problema – ha aggiunto Claudio Santini, Responsabile Rapporti con le Istituzioni FADOI Federazione Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti -. C’è un estremo consumismo di farmaci, in particolare griffati mentre i farmaci generici questa spinta non ce l’hanno, un controllo da parte delle istituzioni su quanta quota di farmaci generici venga prescritta può aiutarci ad affrontare il problema”. 

“Se a distanza di 25 anni l’Italia resta il paese dove i farmaci equivalenti sono meno conosciuti in altri paesi e i farmaci meno usati è un problema serio – ha spiegato Elio Rosati, Segretario Regionale Cittadinanzattiva Lazio –. Bisogna fare uno sforzo per mettere al centro la cultura sanitaria mettendo in pista attività di formazione dedicate che possano accompagnare tutto il percorso della prescrizione del farmaco e quindi l’aderenza e l’appropriatezza alle cure, perché altrimenti rischiamo di perdere degli obiettivi per altri anni. Credo che sia un rischio che non possiamo permetterci né tantomeno correre”. 

“Bisogna lavorare sulla medicina territoriale per affrontare il problema dello scarsissimo uso dei farmaci equivalenti – ha commentato Felice Restaino, Consigliere Federfarma Regione Lazio -. Il medico curante e il farmacista potrebbero svolgere un ruolo importante nella sostenibilità del servizio sanitario nazionale ma anche per l’uso del farmaco. Fino ad oggi azioni sostanziali non sono state intraprese, se non azioni spot e fatte in maniera frammentata. È lontana la percezione che il cittadino ha rispetto a questo tipo di farmaco e in questo deve fare leva l’efficace informazione”. 

Claudio Cricelli, Presidente SIMG ha concluso: “Occorre fare tutti i passaggi successivi, ovvero quelli che consentono al farmaco equivalente di essere facile da prescrivere, facile da riconoscere, facile da acquisire e deve essere sempre lo stesso, cioè deve essere il cittadino insieme con il medico a decidere qual è esattamente il farmaco che deve poter utilizzare. Se questa scelta non viene lasciata al cittadino ma a terze parti, qualche volta il cittadino, soprattutto se è anziano e soprattutto se non in condizioni di avere un potere contrattuale nei confronti del farmacista, si ribella e questo è uno dei problemi che segnala l’inefficienza del sistema”.