Farmaci equivalenti: il trend è in ascesa, ma per certe categorie di persone la mentalità è ancora dura da cambiare

1 giugno 2022 – L’ingresso dei farmaci equivalenti nel mercato farmaceutico mondiale è un fenomeno di notevole interesse in termini economico-sociali, che dovrebbe aver modificato significativamente sia le strategie aziendali, sia i comportamenti di tutti gli attori coinvolti nella filiera assistenziale. 
Eppure, ad oggi, esistono ancora grosse sacche di resistenza nel nostro Paese tra operatori del settore e soprattutto pazienti, ai quali le informazioni arrivano senza opportuni approfondimenti e da fonti spesso prive di autorevolezza in materia. 
Motore Sanità, in occasione dell’evento con focus Veneto “IL RUOLO SOCIALE DEL FARMACO EQUIVALENTE – CALL TO ACTION, ha voluto fare chiarezza su questi aspetti con il supporto dei più autorevoli esperti, condividendo strumenti utili per una migliore scelta e buone pratiche disponibili già messe in atto. Questo progetto è stato realizzato grazie al contributo incondizionato di Teva Italia S.r.l.

Così Francesca Bano, Direttore Assistenza Farmaceutica Territoriale ULSS 6 Euganea: “I farmaci equivalenti sono terapie efficaci a costi contenuti e rappresentano un’opportunità per liberare risorse per il Servizio Sanitario Nazionale, mantenendo invariata la qualità dell’assistenza. Nell’ULSS 6 Euganea vi è una buona adesione all’utilizzo dei farmaci equivalenti rispetto alle media nazionale e regionale, ma la spesa per la compartecipazione alla spesa da parte del cittadino per il ricorso al brand risulta comunque ancora molto elevata; vi è pertanto la necessità a livello aziendale di mettere in atto iniziative per una corretta informazione e maggior sensibilizzazione all’utilizzo dei farmaci equivalenti”
“Con l’avvento ufficiale dei generici (Legge 405 del 2011), è mancata la vera e corretta comunicazione”, spiega Franco Gariboldi Muschietti, Presidente di FarmacieUnite. “Da qui la diffidenza del cittadino, del farmacista stesso e penso anche dei medici. Adesso invece siamo in un momento di crescita, anche se non paragonabile alla situazione di altri Paesi europei, dove il generico è molto più utilizzato. La cultura del generico in Italia è recente. Ci sono in questo momento 3 categorie di persone: i giovani orientati al generico, i meno giovani che a volte hanno qualche titubanza e gli anziani che hanno molta difficoltà al cambio. La possibilità di incentivare i generici dipende proprio da queste propensioni: molto può fare prima di tutto il medico di base, che è il primo contatto diretto con il paziente, ma anche il farmacista, che gode di molta credibilità e di fiducia. Purtroppo la media si abbassa in certe zone d’Italia, dove molte persone non vogliono il generico perché pensano che il farmaco che funzioni meglio sia quello che costa di più. La mentalità è dura da cambiare”. 

Diffidenze, fra l’altro, tipiche di noi italiani, ha sottolineato Andrea Bellon, Presidente Federfarma Veneto: Che riflettono le statistiche sull’indice di fiducia delle Istituzioni. In generale più basso al Sud rispetto che al Nord. Credo che come farmacisti potremmo fare di più”. 

D’accordo su questo concetto anche Maria Teresa Gallea, FIMMG Padova: La differenza la fanno i professionisti, molti dei quali sono riusciti a far passare il concetto che l’equivalente ha la stessa efficacia del branded. Resta però il fatto che ci sia ancora molto da lavorare”. 

Parità di genere: conto alla rovescia per il rapporto sulla situazione nelle aziende

Cleaning part In in word Inequality on white background

1 giugno 2022 – Entro il 30 settembre di quest’anno le aziende pubbliche e private con oltre 50 dipendenti devono redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile. È quanto stabilito da un decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pubblicato in Gazzetta Ufficiale sabato 28 maggio, che dà attuazione a quanto previsto nell’art. 46 del D.lgs 198/2006, il cosiddetto “codice delle pari opportunità”. 
In sostanza, queste imprese dovranno indicare, ogni due anni: la situazione del personale maschile e femminile “in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”. 
Le società devono produrre il rapporto esclusivamente in modalità telematica e l’applicativo informatico sarà operativo dal 23 giugno 2022. L’ispettorato del Lavoro, le figure istituzionali preposte e il ministero del lavoro potranno visionare i rapporti, al fine di valutare lo stato di avanzamento delle politiche volte alle pari opportunità. Il rapporto deve essere redatto sia in relazione al complesso delle unità produttive e delle dipendenze, sia in riferimento a ciascuna unità produttiva con più di 50 dipendenti. Le aziende pubbliche e private che occupano fino a 50 dipendenti possono redigere il rapporto su base volontaria. La mancata trasmissione – anche dopo l’invito alla regolarizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio – comporta sanzioni. Se nell’arco di un anno l’azienda non trasmette il rapporto, vede sospesi per un anno i benefici contributivi eventualmente goduti. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro verifica la veridicità dei rapporti e, in caso di rapporto falso o incompleto, è prevista una multa da 1.000 a 5.000 euro. 
“Il decreto vuole dunque certificare”, commenta la Professoressa Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy. “Auspichiamo che queste direttive, mirate ad avere un quadro più esaustivo del mercato del lavoro, servano a spingere le aziende ad assumere più donne”. 
Nel 2021, come registra l’Istat, il tasso di occupazione femminile è al 50,5%. Il dato più alto di sempre, in risalita rispetto al 49% del 2020. Ma molto ancora c’è da fare e al Sud le medie scendono particolarmente. “Un problema di efficienza ma, molto probabilmente, anche culturale”, continua la Professoressa Berardi. “E che risente delle mancanze di strutture di welfare, il più possibile integrate con le esigenze femminili”
Il divario di genere in quarant’anni è sceso da 41 punti a 18. Nel 1977 l’occupazione femminile era al 33,5%. Fino al 2018 è aumentato di 16 punti. Mentre per gli uomini nel complesso è sceso. Molto giocheranno in futuro gli incentivi e le condizionalità date dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ai fondi e agli investimenti, unitamente a politiche sempre più volte a favorire l’integrazione delle donne nelle varie attività sociali. I risultati verranno monitorati anche dagli osservatori esterni al Paese. 

Malattie rare: parte “Issiamo le vele! Vento in poppa per la ricerca #thinkrare”

Al via la campagna di informazione organizzata dalla Direzione Generale della Tutela della Salute e il Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, in collaborazione con l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e la delegazione della Lega Navale Italiana di Torre Annunziata e con il supporto di Motore Sanità.  Con l’obiettivo di promuovere la conoscenza e la diagnosi precoce per queste patologie, l’iniziativa prevede la partenza di due imbarcazioni a vela, condotte in solitario, che dal porto di Torre Annunziata (NA) arriveranno a Marsiglia dopo circa 20 tappe tra cui Roma, Livorno e Genova.

31 maggio 2022 – È stato presentato questa mattina, presso l’Auditorium della Regione Campania – Centro Direzionale Isola C3 di Napoli, il progetto “Issiamo le vele! Vento in poppa per la Ricerca #thinkrare”: campagna di informazione attuata dalla Direzione Generale della Tutela della Salute e il Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, in collaborazione con l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e la delegazione della Lega Navale Italiana di Torre Annunziata e con il supporto di Motore Sanità.

Una malattia si definisce “rara” quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In Europa la soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 5 casi su 10mila persone. 
Il numero di Malattie Rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e, in particolare, con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando del 6-8% della popolazione, quindi non di pochi malatima di milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta Europa.
La possibilità di attuare interventi terapeutici in fase iniziale può migliorare sensibilmente lo stato di salute e la qualità di vita del paziente. Per tale motivo è fondamentale promuovere la conoscenza e la diagnosi precoce per queste patologie. 

Negli ultimi anni la Regione Campania ha fatto enormi passi in avanti nel campo delle Malattie Rare, attraverso una programmazione mirata alla riorganizzazione della rete e alla costruzione di percorsi diagnostico terapeutico assistenziali dedicati alle Malattie Rare”, sottolinea Antonio Postiglione, Direttore Generale Tutela della Salute e Coordinamento SSR, Regione Campania. “Tutto questo anche attraverso l’emanazione di decreti volti all’approvazione del Piano Regionale Malattie Rare e relative integrazioni. Inoltre a partire dal 2018 è stato riorganizzato il Centro di Coordinamento Malattie Rare, che ha trovato una nuova collocazione presso l’AORN dei Colli di Napoli con la direzione del Professor Giuseppe Limongelli. Questo progetto rientra, infatti, all’interno di una più ampia pianificazione di interventi di informazione e sensibilizzazione, temi per noi di fondamentale importanza

“Issiamo le vele! Vento in poppa per la Ricerca #thinkrare è un’iniziativa nata dalla volontà di un medico e di un imprenditore campano di unire una passione, quella della vela, a un bisogno, quasi un’emergenza sociale: quella di fare informazione nel mondo della disabilità e delle Malattie Rare nella comunità”, racconta a tal proposito il Professor Giuseppe Limongelli, Direttore Centro di Coordinamento Malattie Rare, Regione Campania. “Da una semplice chiacchierata con loro e con la Lega Navale, nasce oggi questo progetto ambizioso a tappe, che vedrà impegnati i Centri di coordinamento delle regioni e le Università che hanno dato il patrocinio, nell’obiettivo comune di “issare le vele” portando avanti un messaggio: pensa raro: pensa alle Malattie Rare.

La prevenzione e l’informazione sono fondamentali per la cura delle Malattie Rare, ha detto il Rettore dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Gianfranco Nicoletti“Iniziative di questo genere, che vanno in questa precisa direzione, sono necessarie e vanno anzi valorizzate e incrementate. Plaudo dunque all’idea dei nostri docenti e al messaggio che essi porteranno in tutto il Paese”.

L’iniziativa “Issiamo le vele! Vento in poppa per la Ricerca #thinkrare” prevede la partenza di due imbarcazioni a vela, condotte in solitario, che dal porto di Torre Annunziata (NA) arriveranno a Marsiglia dopo circa 20 tappe tra cui Roma, Livorno e Genova (grazie alla collaborazione con la Regione Lazio, Toscana e Liguria).
La traversata, dal 6 giugno al 7 luglio, sarà affiancata da diverse iniziative e incontri, in occasione delle soste nei porti, che puntino a promuovere la ricerca sulle malattie rare. 
Al fine di raggiungere e sensibilizzare una platea più vasta, sarà possibile seguire il viaggio sui canali social creati appositamente e sul sito: https://sito.libero.it/comet333/.

“Abbiamo scelto il mare come veicolo di comunicazione e diffusione di questa campagna per il suo grande impatto”, spiega Antonella Giglio, Presidente Lega Navale “Delegazione Torre Annunziata”. “Perché il mare unisce, il mare traina, il mare salva. Da qui vorremmo portare avanti l’dea del mare guaritore, grazie al suo potere taumaturgico.

“Sono felice di rendere questo servizio sociale”, confessa Mario Santini, Professore Ordinario di Chirurgia Toracica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, nonché appassionato velista che condurrà in solitaria una delle due imbarcazioni. “Obiettivo di tutto questo, stimolare e far capire l’importanza della ricerca clinica e preclinica nel campo delle Malattie Rare”

⇒ Per scaricare la locandina del progetto, clicca al seguente link: LOCANDINA ISSIAMO LE VELE!

Lotta ai “superbugs”: serve un confronto multidisciplinare sulle strategie per ridurne la diffusione e stimolare la ricerca sui nuovi farmaci antinfettivi

La Città della Salute e della Scienza di Torino ha deliberato gruppi di lavoro interdisciplinari sull’antimicrobial stewardship e sulla gestione del dato per affrontare il problema dei batteri resistenti agli antibiotici

Torino, 31 maggio 2022 – L’emergenza sempre più evidente di microrganismi resistenti alla terapia antibiotica rappresenta un importante problema della medicina moderna con conseguente impatto sulla sanità pubblica e coinvolge, in modo trasversale, i diversi ambiti ospedalieri superando i confini dei singoli reparti di Malattie Infettive. Alcuni report dichiarano che nel 2050 ci saranno fino a 10milioni di morti all’anno per infezioni da germi resistenti. L’Italia è tra i Paesi in senso negativo a livello di antibiotico-resistenza: la superano in Europa solo la Romania e la Grecia. I numeri sono impressionanti: un report pubblicato nel 2019 redatto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) riportava che circa la metà dei morti europei per infezioni ospedaliere da batteri resistenti agli antibiotici avviene in Italia. Il risultato finale è che chi entra in ospedale rischia, nel 10% dei casi, di contrarre un’infezione ospedaliera. Inoltre, si calcola che 1 paziente su 10 quindi, in ospedale, possa infettarsi e molto frequentemente tale germe è resistente agli antibiotici. Lo scenario è allarmante e fa comprendere quanto sia importante non distogliere l’attenzione sull’antimicrobico resistenza (AMR). 
Per questo Motore Sanità ha voluto aprire un dialogo tra tecnici e dirigenti ospedalieri con l’evento NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI: DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO” con focus Piemonte, organizzato con il contributo non condizionante di MENARINI.

Le mono e le multi-resistenze antimicrobiche (AMR) vengono oggi considerate non solo un rischio per la salute globale, ma anche un rischio globale generale. Il problema, infatti, ha raggiunto una dimensione anche extra-ospedaliera che interessa globalmente l’umanità. Si è passati da una percezione di rischio apparentemente limitata e prettamente ospedaliera ad una diffusione che può raggiungere non solo gli ospedali, ma anche il territorio, con una percezione di necessità di modelli gestionali integrati, frutto anche dell’esperienza Covid. Inoltre, sono in costante aumento le segnalazioni di microrganismi che mostrano una resistenza marcata ai farmaci attualmente disponibili, soprannominati dai media internazionali come “superbugs” e, purtroppo, associati a morbidità e mortalità rilevanti, soprattutto tra i pazienti più fragili ed immunocompromessi.

“Il contrasto alle mono e multi-resistenze antimicrobiche è oggi una priorità di salute pubblica ed una seria azione su ogni singolo “campo” non può che iniziare dalla conoscenza approfondita dell’argomento, segnatamente dall’uso giudizioso degli antibiotici anche attraverso programmi di gestione antibiotica, e proseguire con una organizzazione interdisciplinare che coinvolga in modo paritario e vincolante Infettivologi, Igienisti e Microbiologi – ha spiegato Giovanni La Valle, Direttore Generale AOU Città della Salute e della Scienza di Torino -. Da questo punto di vista, si presentano delle sfide importanti per il Servizio sanitario nazionale, come ad esempio quella della gestione quotidiana ed immediata del dato nella sua interezza epidemiologica e diagnostico-terapeutica. I dati attualmente prodotti in quantità dai moderni sistemi diagnostici, assieme a quelli raccolti nel percorso clinico e terapeutico dei pazienti, sono associati ad un potenziale enorme per il miglioramento delle terapie e per l’accelerazione della ricerca scientifica e farmaceutica. In questo contesto, l’AOU Città della Salute e della Scienza ha già deliberato dei gruppi di lavoro interdisciplinari sull’antimicrobial stewardship e sulla gestione del dato e dei molteplici software oggi utilizzati, anche al fine di rendere la problematica delle infezioni da MDR quotidianamente quantificabile. Solo un corretto approccio metodologico interdisciplinare, anche amministrativo e tecnico-gestionale, è in grado di assicurare la compatibilità di un’organizzazione per percorsi clinici e la messa a punto delle migliori condizioni per soddisfare i due principali portatori di interesse: il paziente e l’azienda sanitaria”.

L’utilizzo razionale e corretto della terapia antibiotica deve rappresentare un momento di riflessione fondamentale per fronteggiare l’emergenza e limitare i danni della farmaco-resistenza che attualmente riguarda sia i batteri Gram-negativi che positivi. Questi ultimi, con particolare riferimento allo Staphylococcus spp. e all’ Enterococcus spp., seppur favoriti da più numerose possibilità terapeutiche, mantengono elevata mortalità e morbosità in settori sanitari quali la chirurgia più o meno protesica, la medicina interna, la pneumologia e le malattie infettive in senso stretto” ha spiegato Francesco Giuseppe De Rosa, Professore Associato, Malattie Infettive, Direttore AOU Città della Salute e Scienza – Presidio Molinette – Torino – Ospedale Cardinal Massaia, Asti -. Inoltre, un confronto polispecialistico sull’emergenza dei Gram-negativi MDR, sull’impiego delle nuove molecole anti-infettive e sulle strategie per ridurne la diffusione, rappresenta un punto fondamentale per affrontare questa attuale problematica in ottica multidisciplinare e costruttiva”.

Secondo l’esperto, se nell’ambito dei microrganismi Gram-positivi la questione della resistenza si può identificare nella meticillino-resistenza e nella diminuita sensibilità ai glicopeptidi in stafilococco e nella vancomicina-resistenza in enterococco, tra i batteri gram-negativi il problema è di gran lunga più complesso (E. coli chinoloni-resistenti, P. aeruginosa MDR e pan-drug-resistant, Gram-negativi ESBL+, Enterobacterales carbapenemasi-produttori KPC, OXA-48, KPC+, Acinetobacter spp. resistenti ai carbapenemi). “Di fronte a questo scenario risulta importante stimolare la ricerca per individuare nuove molecole antinfettive, utilizzando correttamente quelle già conosciute e valorizzando al meglio i nuovi antibiotici. Bisogna quindi calcolare, in un’ottica di stewardship delle molecole antimicrobiche, la quantità di pazienti colonizzati e infetti, la quantità di colonizzazioni ed infezioni “evitabile” con l’ottimizzazione delle modalità di prevenzione delle infezioni e quindi l’appropriatezza terapeutico in un contesto di utilizzo “eterogeneo” delle molecole vecchie e nuove, con delle regole il più possibile condivise dalla comunità scientifica” ha concluso il Professor De Rosa.

Da quasi due decenni l’equilibrio fra la selezione di nuove resistenze antimicrobiche e lo sviluppo di nuove molecole in grado di porvi rimedio è purtroppo venuto meno, in particolare sul versante dei germi gram-negativi. A spiegarlo è stato Giovanni Di Perri, Professore Ordinario Dipartimento Discipline Medico Chirurgiche-Divisione Universitaria degli Studi di Torino, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive Ospedale Amedeo di Savoia:
“Le categorie dei farmaci ad azione antibiotica sono rimaste pressoché le stesse ed i recenti miglioramenti in sede di farmacopea antibiotica sono soprattutto riconducibili a sintesi di nuove molecole accessorie nell’ambito degli inibitori delle beta-lattamasi. Se è vero che alcune nuove molecole hanno di fatto creato valide opzioni nella terapia delle infezioni da germi farmaco-resistenti, è anche vero che il vantaggio apportato non concede dei margini di lunga durata. Ciò pone il problema di implementare una serie di passaggi operativi tesi a salvaguardare per quanto possibile l’efficacia delle nuove molecole. Il termine di stewardship antimicrobica vuole in tal senso comprendere quel continuum procedurale il cui fine principale, accanto all’interesse prioritario di ogni singolo paziente, è appunto la salvaguardia del margine di attività che alcune di queste nuove molecole possiedono”.
Sul versante dei germi gram-positivi il Professor Di Perri ha sottolineato che “la situazione è certamente migliore in termini di sensibilità ai farmaci ad azione antibiotica, ed in questo ambito l’innovatività viene soprattutto dalla nuova disponibilità di farmaci a cessione protratta, in grado di garantire, anche con una sola infusione, la presenza di concentrazioni utili di antibiotico necessaria a coprire i tempi di terapia. È intuitivo come soluzioni del genere di fatto alleggeriscono la necessità ed i tempi di assistenza ospedaliera, così come semplificano le attività in sede di Day Hospital, senza trascurare i vantaggi logistici per lo stesso paziente. La lettura “amministrativa” di questa specifica innovazione deve essere in grado di recepire i risparmi in termini di ridotto impegno assistenziale, in un periodo in cui iniziano ad assumere valori preoccupanti sia la scarsità di personale specialistico che l’insufficienza attuale della rete assistenziale” ha concluso il Professor Di Perri. 

La meningite si previene con la vaccinazione: copertura ottimale per Veneto ed Emilia-Romagna. E nelle altre regioni?

Associazione Liberi dalla Meningite: “Continuiamo ad attivare campagne informative sui sintomi, sulle possibili conseguenze e sulla possibilità di prevenirla”.

Padova, 30 maggio 2022 – Prevenire malattie invasive e molto pericolose causate dal Meningococco (Neisseria meningitidis) è la parola d’ordine, di fronte a numeri importanti e nei confronti dei quali non bisogna abbassare la guardia: sepsi e meningite nel 5-10% dei casi possono, infatti, portare alla morte in poche ore; nel 10-20% dei sopravvissuti si osservano sequele gravi a lungo termine. La vaccinazione è l’arma più importante per prevenire le conseguenze della malattia. Le attuali coperture vaccinali raggiunte nel territorio italiano non sono omogenee e spesso al di sotto delle indicazioni del Piano nazionale vaccini (PNV), indicando una diversità tra le regioni. Veneto ed Emilia-Romagna rappresentano da tempo modelli virtuosi di riferimento per la prevenzione vaccinale, con una eccellenza organizzativa evidente che emerge dalle coperture ottenute nei diversi target, sempre vicine se non addirittura superiori al 90%, a conferma del fatto che la vaccinazione è importante. A ribadirlo è la stessa Associazione Liberi dalla Meningite, Comitato nazionale contro la meningite.
Motore Sanità ne ha parlato organizzando l’evento VACCINAZIONE MENINGOCOCCICA” con focus Veneto ed Emilia-Romagna, con il contributo incondizionato di SANOFI.

Ad oggi sono stati individuati 12 sierogruppi di Neisseria meningitidis ma i più comuni e principalmente responsabili della malattia invasiva da meningococco (IMD) sono 6: A, B, C, Y, W-135, X. Questi dati supportano la necessità di una strategia vaccinale, contro la malattia meningococcica, estesa a più coorti e categorie di popolazione, rappresentando il mezzo più efficace per ridurre il rischio di morte e di sequele a breve e lungo termine. Il tasso di mortalità, nonostante un’appropriata terapia antibiotica, è elevato e colpisce 10-12 soggetti ogni 100 in caso di meningite ed oltre 40 su 100 in caso di setticemia
In Italia l’incidenza della patologia si attesta a 0,3 casi ogni 100.000 abitanti, dato al 2019, con un dimezzamento indotto dalla situazione pandemica nel 2020. Nel periodo 2000-2020 sono stati segnalati circa 4.100 casi e di questi il sierogruppo B rappresenta con il 35% degli isolamenti quello con maggior frequenza, seguito dal sierogruppo C con il 27% dei casi. Si registra un aumento progressivo della percentuale dei sierogruppi W135 e Y, con la necessità di dover migliorare le tecniche diagnostiche mediante l’uso della biologia molecolare. La patologia, inoltre, coinvolge tutte le età ma l’incidenza maggiore è registrata fondamentalmente nei neonati sotto l’anno di età (circa 3,5 per 100.000) e aumenta anche nei bambini (1 per 100.000) e negli adolescenti (0,5 per 100.000).
Nel Veneto il sistema di sorveglianza è iniziato nel 2007
, utilizzando i dati provenienti da tutte le fonti informative presenti e integrando i dati delle microbiologie, permettendo di tracciare un profilo dell’assetto epidemiologico delle malattie batteriche invasive (MIB) e modificandolo seguendo le richieste. La sorveglianza epidemiologica è coordinata dall’Università di Padova (Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e di sanità pubblica, sede di Igiene) in stretta collaborazione con il servizio Prevenzione della Regione Veneto. 
“La sorveglianza permette di monitorare l’andamento temporale e geografico dei casi, le caratteristiche dei soggetti coinvolti, stimando la distribuzione dei sierotipi circolanti con conseguente valutazione dell’efficacia vaccinale” ha spiegato Vincenzo Baldo, Professore Igiene e Sanità Pubblica Università di Padova e Presidente SITI Triveneto, che, dati alla mano, ha illustrato il quadro epidemiologico veneto. 
Nel periodo 1° gennaio 2007-31 dicembre 2021 sono stati notificati complessivamente 231 casi di malattia batterica invasiva causata da Neisseria meningitidis. La tipizzazione degli isolati batterici ha identificato il sierogruppo B in 100 casi (43,3%), il sierogruppo C in 39 (16,9%), il sierogruppo A in 4 (1,7%), i sierogruppi Y/W135 in 33 (14,3%) mentre in 55 casi (23,8%) non è stato possibile effettuare la tipizzazione. Complessivamente, il tasso di notifica è pari a 0,3 casi per 100.000 abitanti; il trend negli anni di osservazione mostra una riduzione nel primo quadriennio passando da 0,6 nel 2007 a 0,2 nel 2010. Si registra un incremento di segnalazione nel 2011 pari a 0,5 casi per 100.000 abitanti (attribuibile al sierogruppo B, con un tasso specifico di 0,35 casi per 100.000 abitanti); dal 2012 al 2019 si ha un andamento pressoché costante con un tasso medio pari a 0,3 casi per 100.000 abitanti, mentre nell’ultimo biennio una significativa riduzione con 9 notifiche nel 2020 e nessuna nel 2021, ma già nel 2022, con la riduzione delle misure restrittive, si sono registrati i primi casi anche letali. Nel 66,7% (154/231) si è evidenziato un quadro clinico di meningite, nel 45,0% (104/231) di sepsi e nel 10,4% (24/231) di altro quadro. Il decesso si è verificato nel 12,5% dei casi (29 soggetti), il 41,4% (12/29) è stato attribuito al meningococco B, il 37,9% (11/29) al meningococco C e il 13,8% (4/29) al meningococco Y/W135.
La vaccinazione – ha puntualizzato il Professor Baldo – risulta essere il mezzo più efficace al fine di prevenire la patologia e allo stato attuale abbiamo gli strumenti nei confronti del sierotipo B (vaccini proteici) e dei sierogruppi ACWY (vaccini polissacaridici coniugati). Siamo in attesa della pubblicazione del nuovo Piano nazionale di prevenzione vaccinale (PNPV) che dovrebbe sanare alcune differenze presenti tra le varie regioni”

Nonostante la pandemia da Covid-19 abbia influito pesantemente sui Dipartimenti di Prevenzione, la Regione Emilia-Romagna ha raggiunto una copertura vaccinale al 24° mese pari all’84,7% per il ciclo di vaccinazione completo a tre dosi contro il meningococco di tipo B, al 92,8% a dose singola per il meningococco C e al 92,2% a dose singola per il meningococco tetravalente nei nuovi nati della coorte di nascita 2019“Contro il meningococco sono disponibili due vaccini entrambi attualmente proposti come vaccinazioni raccomandate dal Piano Regionale Prevenzione Vaccinale ai nuovi nati, agli adolescenti e ai soggetti a rischio – ha spiegato Annalisa Califano, Dirigente Medico, Servizio Igiene e Sanità, Dipartimento Sanità Pubblica, AUSL Ferrara -. Dal 1° gennaio 2019 ai nuovi nati in Regione Emilia-Romagna vengono proposte tre dosi di vaccino meningococcico di tipo B al 4°-6° mese e al 14° mese di vita e viene proposta una dose di vaccino meningococcico tetravalente al 13° mese di vita. Successivamente in adolescenza viene proposta una seconda dose di richiamo di vaccino meningococcico tetravalente ai 13-14 anni. Sono in programma campagne vaccinali di recupero con chiamata attiva delle coorti di bambini ed adolescenti non ancora vaccinati o che non hanno completato la schedula, secondo le indicazioni regionali; implementazione di ambulatori dedicati ai soggetti patologici in collaborazione con le strutture ospedaliere di riferimento; coinvolgimento attivo dei medici di medicina generale, pediatri e specialisti ospedalieri nella promozione della vaccinazione antimeningococcica nei bambini, adolescenti e nei soggetti fragili” ha concluso Annalisa Califano. 

Sulle caratteristiche della malattia, la popolazione a rischio e il ruolo dell’attività diagnostica si è espressa Tiziana Lazzarotto, Direttrice Scuola di Specializzazione Microbiologia e Virologia, Università di Bologna. “La malattia meningococcica invasiva è imprevedibile, colpisce individui precedentemente sani e progredisce rapidamente. Potenzialmente fatale con conseguenze devastanti nel 20% di chi sopravvive, in generale il tasso di mortalità è variabile tra l’8 – 15%, anche dopo adeguato trattamento. Nei pazienti non trattati il tasso di mortalità supera percentuali del 50%. Uno studio europeo di metanalisi europea condotto in 28 nazioni ha mostrato come nelle regioni endemiche, quindi anche l’Italia, fino al 10% degli adolescenti e dei giovani adulti sono portatori asintomatici transienti. La percentuale dei portatori sani aumenta durante l’infanzia raggiungendo il picco pari al 24% nei giovani adulti di 19 anni. Le indagini microbiologiche permettono di identificare nel liquido cefalo-rachidiano (LCR) e nel sangue la presenza del Meningococco, questa attività diagnostica è eseguita h24 in tutti i laboratori di Microbiologia. Oltre agli esami colturali tradizionali è fondamentale eseguire liquor test molecolari multi-parametrici perché la risposta che si ottiene è molto rapida, entro 60 minuti dall’arrivo in laboratorio del campione, specifica e sensibile”

Ma sulle drammatiche conseguenze della malattia, quanto sono informate le persone? 
“Non tutti i genitori hanno consapevolezza di quale sia la pericolosità della meningite. Molti pensano semplicemente che sia una malattia rara e difficile da contrarre, e per questo sottostimano l’importanza di una corretta prevenzione attraverso l’unico strumento efficace che è la vaccinazione. Sicuramente la colpa di questa errata valutazione è da attribuire principalmente ad una informazione carente o tal volta forviante – ha sottolineato Amelia Vitiello, Presidente Associazione Liberi dalla Meningite, Comitato Nazionale contro la meningite -. Per questo ritengo opportuno, innanzitutto, continuare ad attivare campagne informative sulla patologia, sui sintomi della stessa, sulle possibili conseguenze e soprattutto sulla possibilità di prevenirla proteggendo i nostri cari ed in particolar modo i nostri figli. Basti pensare ad alcuni dati rilevanti, quali quelli relativi al decorso della malattia, estremamente rapido, che può condurre anche alla morte in sole 24/48 ore. Ed ancora si pensi che, anche quanto si sfugge all’esito più nefasto, nel 10-20% dei casi ci possono essere sequele rilevanti quali amputazioni degli arti, piuttosto che danni celebrali o neurologici, ovvero perdita dell’udito o altri disturbi rilevanti ed invalidanti. Ciò che è certo è che quando si “incontra” la meningite nella maggior parte dei casi vi è un prima, di una vita normale, ed un dopo di una vita che viene sconvolta non solo per chi la contrae, ma anche per il resto del nucleo familiare che in caso di sequele deve fare i conti con tutto ciò che ne consegue giorno dopo giorno. Per questo motivo ritengo che il vaccino sia sempre un’offerta di vita” ha concluso l’avvocato Amelia Vitiello. 

Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy: “E’ fondamentale essere vigili e continuare con convinzione il percorso verso un pieno riconoscimento delle specificità di genere, insieme ad azioni per migliorare la qualità della vita delle professioniste impegnate sul campo”.

At the doctor

27 maggio 2022 – Secondo il rapporto del World Economic Forum (Wef) sul divario tra uomo e donna, che ha esaminato le aree cruciali in cui le disparità di genere emergono prepotentemente: lavoro, istruzione, salute e rappresentanza politica, l’Italia si piazza al 84esimo postoUltima tra i Paesi dell’Europa. Seguita, tra i Paesi avanzati, solo dal Giappone, ma preceduta perfino da Botswana, Romania e Paraguay. 

Anche nel mondo sanitario il gap di genere è evidente, sottolinea la Professoressa Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology ItalySolo due direttori generali su dieci sono donne. La presenza femminile ai vertici delle direzioni generali delle aziende sanitarie e ospedaliere italiane, sia pur ancora molto bassa, registra però un aumento percentuale del 3,8% rispetto allo scorso anno. È quanto emerge dall’analisi condotta dalla Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere sul management femminile nelle direzioni strategiche della sanità”. 

A livello regionale, in termini assoluti valutando le regioni con più aziende, al vertice della classifica dei direttori generali di sesso femminile si conferma il Lazio con 10 Dg su 19, seguito da Emilia-Romagna con 6 Dg su 14. 
La sanità del domani, se vorrà essere davvero efficiente e competitiva senza disperdere preziose risorse, dovrà valorizzare il punto di vista femminile, superando ad esempio le differenze di genere nelle retribuzioni, la “segregazione occupazionale” delle donne, promuovere la formazione delle giovani donne nelle materie STEM (science, technology, engineering and mathematics) e intervenire sull’organizzazione del sociale per evitare che il carico familiare ricada solo sulle donne.

Quello della sanità è un ambito particolarmente delicato, conclude la Professoressa Berardi, in cui è fondamentale essere vigili e continuare con convinzione il percorso verso un pieno riconoscimento delle specificità di genere, insieme a progettualità e azioni per migliorare la qualità della vita delle professioniste impegnate sul campo. Come Women for Oncology Italy siamo impegnate a 360 gradi affinché tutto questo diventi realtà

Batteri resistenti agli antibiotici: all’AOU Federico II di Napoli un percorso di stewardship antimicrobica che coinvolge tutti i professionisti

Napoli, 27 maggio 2022 – La resistenza agli antibiotici è una delle principali minacce alla salute globale e va considerata una pandemia, meno nota, ma non meno pericolosa di Covid-19. Si stima che sia associata al decesso di circa 5 milioni di persone all’anno nel mondo. Il nostro Paese vanta il triste primato europeo di decessi per antibiotico-resistenza. La regione Campania presenta tassi altissimi sia di ceppi resistenti che di consumo di antibiotici. Prescrivere un antibiotico inappropriato vuol dire, infatti, innescare resistenze che richiederanno l’uso di antibiotici sempre più potenti. Una delle risposte per uscire da questo circolo vizioso è la Stewardship antimicrobica (ASP), cioè il buon governo degli antibiotici. Dall’AOU Federico II di Napoli le buone pratiche per la lotta all’antibioticoresistenza e la gestione consapevole dell’antibioticoterapia. 
Di questa esperienza virtuosa si è parlato durante l’evento “NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI “DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO” con focus Campania, organizzato da Motore Sanità, con il contributo non condizionante di MENARINI. L’obiettivo dell’evento è la ricerca di un corretto e condiviso Place in therapy che rappresenti un uso ragionato e razionale degli antibiotici piuttosto che solamente razionato.

Nella AOU Federico II, la Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive, diretta dal Professor Ivan Gentile, coordina da alcuni anni un percorso di Stewardship antimicrobica (ASP) con approccio educazionale puntuale (cioè sul singolo paziente) che coinvolge diverse unità come Terapia Intensiva, Medicina Interna, Cardiologia e UTIC in team con Farmacia centralizzata, Microbiologia e Direzione Sanitaria e col sostegno del Direttore Generale, l’Avvocato Anna Iervolino. 
“Da molti anni – ha sottolineato Anna Iervolino, Direttore Generale dell’A.O.U. “Federico II” di Napoli – siamo impegnati nella lotta all’antibioticoresistenza e alla gestione consapevole dell’antibioticoterapia grazie all’impegno di un team multidisciplinare coordinato dagli infettivologi e composto anche da microbiologi, farmacisti, igienisti e staff di direzione sanitaria che, attraverso un programma di antimicrobial stewardship, vale a dire un’attività di audit e percorsi educazionali rivolti ai professionisti della salute, in particolare nell’area della terapia intensiva, della medicina interna, dell’UTIC e della cardiologia, stanno incidendo in maniera significativa sulla riduzione dell’uso di antibiotici. Il tavolo di lavoro di oggi coinvolge tutti gli attori che all’interno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II stanno concretamente lavorando per ridurre l’impatto dell’antibioticoresistenza e sono certa che sia un’ottima occasione per condividere, anche con altre realtà regionali, le buone pratiche del nostro gruppo di lavoro”. 

Infatti, secondo Ivan Gentile, Direttore U.O.C. Malattie Infettive A.O.U. “Federico II” di Napoli, per uscire dal circolo vizioso dell’antibioticoresistenza, una delle risposte è la Stewardship antimicrobica (ASP), cioè il buon governo degli antibiotici. 
Il principio di base è usare l’antibiotico solo quando serve ed alla giusta dose e durata. Questo principio può essere declinato in vari modi, ma il cardine è la necessità di coordinamento da parte dell’infettivologo. Tra le azioni pratiche ricordiamo: ridurre la prescrizione e l’auto-assunzione di antibiotici non necessari, scegliere antibiotici a spettro ristretto, gestire la durata delle profilassi antibiotiche in chirurgia. La ASP crea un circolo virtuoso con riduzione delle prescrizioni antibiotiche, della durata di degenza (e quindi delle infezioni nosocomiali) e dei ceppi resistenti. In questo senso, l’uso dei nuovi antibiotici deve essere razionale e quindi inserito in percorsi di Stewardship che consentono la ottimizzazione delle molecole nell’ottica del singolo paziente (migliore esito) e della comunità (evitare resistenze)”.

Il primo passaggio in aula del disegno di legge delega sugli Irccs si è concluso co un voto unanime della camera

Rossana Boldi Vice Presidente XII Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati

“Il primo passaggio in aula del disegno di legge delega sugli Irccs si è concluso co un voto unanime della camera, e vedere un tabelline tutto verde è sempre una soddisfazione.
La commissione XII, ha modificato il testo proposto dal Governo cercando di ribadire che l’eccellenza della nostra ricerca va promossa in ogni modo, anche a livello internazionale, in un’ottica traslazionale, perchè la ricerca deve avere sempre una ricaduta benefica per i pazienti, con un.’attenzione particolare alle MDC, ma anche ai problemi pediatrici e degli anziani. Abbiamo ribadito l’autonomia giuridico amministrativa degli Irccs privati e chiarito in modo definitivo la necessità di un’equa distribuzione territoriale.
Un punto fondamentale avere assicurato l’accesso agli Irccs indipendentemente dalla regione di appartenenza del paziente, che deve SEMPRE poter usufruire di prestazioni di alta qualità.
Recepita la necessità di coordinamento tra direzione gnerale e direzione scientifica e la spinta a individuare requisiti di professionalità e competenza anche manageriale per i componenti degli organi di governo degli Irccs di diritto pubblico ed esclusivamente degli organi scientifici
Degli Irccs di diritto privato.
Unico vero rammarico, non siamo riusciti a introdurre norme per la stabilizzazione e possibilità di carriera dei ricercatori, intrappolati da anni nella ‘ piramide’.
Ma si cercherà di risolvere nella legge di bilancio, come promesso anche dal Governo, che ha accolto un Odg corale.
In definitiva una giornata e un lavoro positivo e credo utile per la nostra sanità”.
Tutto quello che vuoi sapere sulla salute www.mondosanita.it e www.dentrolasalute.it

Le opportunità della Rete Sclerosi Multipla lombarda, che mette in comunicazione i centri e i professionisti per una presa in carico efficace degli ammalati.

Oltre 20.000 pazienti sono in cura presso i centri della Rete, numero che ogni anno si accresce di circa 1.000 nuove diagnosi di malattia 

Milano, 25 maggio 2022 – La Regione Lombardia ha scelto un’assistenza capillare per le persone con Sclerosi Multipla, attraverso centri specialistici presenti su tutto il territorio. È inoltre attiva una Rete spontanea formalizzata nel progetto “Rete Sclerosi Multipla Lombardia” e finalizzata a condividere un sapere che oggi evolve rapidamente e che, con un programma multidisciplinare (Rete dei Farmacisti ospedalieri) supportato dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), analizza in tempo reale l’applicazione di terapie sempre più innovative. A questo quadro così organizzato si aggiunge il fatto che l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) ha recentemente pubblicato un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) specificamente dedicato alle persone con Sclerosi Multipla, che vuole porle al centro delle attività assistenziali: si tratta di un percorso che prevede l’accesso alle migliori competenze possibili e ai più avanzati servizi in campo diagnostico, terapeutico e riabilitativo. 
Si torna a parlare di Sclerosi Multipla, una malattia tra le più comuni e più gravi del sistema nervoso centrale: è cronica, imprevedibile, progressivamente invalidante. In Italia si stima che ne siano affette circa 130.000 persone, con circa 3.400 nuove diagnosi all’anno. Questa malattia ha un elevato impegno assistenziale e sanitario e comporta un impatto negativo sulle attività quotidiane e sulla qualità di vita della persona con Sclerosi Multipla. Inoltre, si stima che questa malattia costi circa 45.000 euro per paziente, quindi circa 6 miliardi di euro l’anno, ossia circa lo 0.28% del Prodotto Interno Lordo (PIL) Italiano. Una diagnosi precoce, una terapia tempestiva, un corretto monitoraggio, un maggior accesso alla riabilitazione ed una migliore gestione del paziente sul territorio potrebbero ridurre la disabilità e i costi indiretti della malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Come viene affrontata la malattia e come vengono gestiti i pazienti in regione Lombardia è il tema affrontato durante l’evento FOCUS LOMBARDIA: SCLEROSI MULTIPLA, L’EVOLUZIONE DI NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI TRA EFFICIENZA DI INTERDISCIPLINARIETÀ E RISPOSTA DI SALUTE”, organizzato da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di NOVARTIS, che ha messo in luce le opportunità e gli obiettivi. 

La Rete lombarda dei centri di Sclerosi Multipla è una realtà presente dal 2017 ed è costituita da tutti i 30 centri Sclerosi Multipla operanti sul territorio regionale. Oltre 20.000 persone con Sclerosi Multipla sono in cura presso i centri della Rete, numero che ogni anno si accresce di circa 1.000 nuove diagnosi di malattia. Obiettivo della Rete è realizzare il miglior benessere per chi è affetto da Sclerosi Multipla, attraverso una progettualità condivisa tra i centri Sclerosi Multipla della Regione, ma anche con enti di governo della salute e società scientifiche. La Rete promuove l’elaborazione di protocolli di intervento e cura basati sull’evidenza, ed identifica eccellenze e competenze specifiche dei singoli centri (“nodi di rete”), mettendole a disposizione dell’intera comunità delle persone affette da Sclerosi multipla che vivono in Lombardia.  Inoltre, la Rete promuove attività di ricerca clinica e lo scambio di informazioni medico-scientifiche attraverso convegni e progetti di governance e formativi, come ad esempio il programma di Farmacovigilanza attiva sui farmaci per la Sclerosi multipla, che ha aiutato a definire ulteriormente il profilo di sicurezza e tollerabilità delle cure per la malattia, o l’iniziativa di standardizzazione degli esami di Risonanza magnetica per le persone affette da questa patologia.
La Rete Sclerosi Multipla rappresenta quindi la risposta alla necessità di consolidare una gestione eccellente e multidisciplinare delle problematiche cliniche ed assistenziali delle persone con Sclerosi Multipla, anche nell’ottica delle indicazioni del Piano Nazionale per la Cronicità – ha commentato il Professor Pietro Annovazzi, Centro Sclerosi Multipla ASST Valle Olona – Gallarate (VA) -. La Rete opera tenendo conto di priorità ed appropriatezza delle cure, nell’ottica di ottimizzare la gestione delle risorse e garantire sia il mantenimento dei più elevati standard di cura, sia la sostenibilità degli stessi”.

Il tema sul nuovo PDTA nazionale AGENAS in Sclerosi Multipla è stato affrontato da Massimo Filippi, Professore Ordinario di Neurologia e Direttore della Scuola di specializzazione in Neurologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore Unità di Neurologia, Neuroriabilitazione, Neurofisiologia, Stroke Unit e Centro Sclerosi Multipla, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha messo in evidenza. “L’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) ha recentemente pubblicato un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) specificamente dedicato alle persone con Sclerosi Multipla, redatto fra un gruppo di esperti altamente qualificati. Il PDTA vuole porre la persona con Sclerosi Multipla al centro delle attività assistenziali definendo un percorso che preveda l’accesso alle migliori competenze possibili e ai più avanzati servizi in campo diagnostico, terapeutico e riabilitativo. Il documento vuole offrire indicazioni per rendere i servizi per la Sclerosi Multipla equamente accessibili, omogenei e di qualità su tutto il territorio nazionale, attraverso la multidisciplinarietà e la collaborazione tra i centri Sclerosi Multipla ed il territorio. Inoltre vuole definire l’insieme di procedure, competenze, tecnologie e setting assistenziali necessari al soddisfacimento dei bisogni delle persone con SM durante i percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi. Il PDTA – ha concluso il Professor Filippi – fornisce utili indicazioni per ottimizzare le risorse umane, strutturali ed economiche e per incentivare la collaborazione tra i Centri Sclerosi Multipla e la Medicina del territorio e promuove l’utilizzo di varie modalità di telemedicina per la gestione del paziente con Sclerosi Multipla per rispondere alle varie esigenze della malattia”.

La pandemia Covid-19 ha testato la resilienza della “Rete Sclerosi multipla Lombardia. 
“L’emergenza sanitaria ha permesso di sviluppare, grazie a nuovi percorsi amministrativi, il supporto domiciliare telematico, rafforzando la presa in carico territoriale che è già patrimonio dei Centri di Sclerosi Multipla ed accelerando lo sviluppo del monitoraggio clinico informatizzato – ha aggiunto il Professor Ruggero Capra della Rete Sclerosi Multipla Lombardia e Centro Regionale Sclerosi Multipla Montichiari (BS) -. La telemedicina è diventata quindi strumento quotidiano più facilmente apprezzato dal paziente (semplifica, ove possibile, l’accesso sanitario) e dovrebbe essere un cardine dell’approccio assistenziale del prossimo futuro, sia nel consulto domiciliare che nel rapporto con le Case di Comunità. La Sclerosi multipla è una malattia con episodi acuti imprevedibili in un contesto di cronicità: per quest’ultimo aspetto la telemedicina potrà essere fulcro tra l’integrazione delle conoscenze specifiche della Rete e quelle sviluppate nelle Casa di Comunità, sia sotto il profilo medico che infermieristico per un’assistenza multidisciplinare che si estenda dalle comorbidità spingendosi al domicilio della persona con forme più severe di disabilità, attraverso il supporto dell’Assistenza domiciliare integrata. Questa evoluzione del prendersi cura della persona evita la dispersione delle risorse sanitarie, preserva terapie ad alta complessità con la migliore aderenza, coinvolge e responsabilizza tutti gli attori del sistema, si adatta alle peculiarità individuali, custodendo un sistema efficace che non ha pari in Europa”

Fermiamo lo stigma dei malati mentali

Enrico Zanalda, Direttore DSM Interaziendale ASL TO 3 – Past President SIP: “In Regione Piemonte abbiamo un progetto di reinserimento lavorativo, per rinforzare la possibilità che pazienti anche con schizofrenia possano essere inseriti nel mondo del lavoro”.

25 maggio 2022 – La legge 180, unica al mondo, ha abolito i manicomi demandando l’onere e il compito di gestire i pazienti psichiatrici ai servizi territoriali, ai reparti psichiatrici ospedalieri, ai dipartimenti di salute mentale e alle famiglie. 
Per realizzare tale obiettivo, è importante che i dipartimenti psichiatrici lavorino coordinati all’interno di una rete che dia risposte efficaci dalla gestione della crisi e alla riabilitazione del paziente stesso, aiutando il gravoso compito delle famiglie e supportando anche economicamente i vari attori del sistema. Nasce da questi presupposti l’evento TAVOLO REGIONALE SCHIZOFRENIA – FOCUS PIEMONTE”, promosso da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Angelini Pharma. Obiettivo fare un’analisi dei bisogni assistenziali e dello stato dell’arte della presa in carico di tali pazienti nelle regioni indicate, oltre a definire insieme agli stakeholder più importanti – istituzionali e clinici – le azioni di miglioramento da intraprendere per migliorare il percorso di cura del paziente schizofrenico.

“In Piemonte, come anche nelle altre Regioni d’Italia, uno dei problemi maggiori che abbiamo per una buona prognosi del trattamenti di pazienti con schizofrenia o con psicosi, è intercettarli dopo pochi anni o mesi dall’esordio della sintomatologia psicotica”, spiega Enrico Zanalda, Direttore DSM Interaziendale ASL TO 3 – Past President SIP. “Questo si chiama periodo di non trattamento ed è uno degli aspetti che rende la prognosi meno favorevole, nonostante i trattamenti. In media, un paziente arriva ad avere la diagnosi del trattamento corretto a 8-10 anni dall’esordio. Molto tempo dopo quindi di quello che potrebbe essere l’esordio della patologia o, quantomeno, i primi sintomi che sono anche dei sintomi prodromici che insorgono anche in età giovanile. Un altro aspetto che mi preme sottolineare è quello dell’inserimento lavorativo anche in pazienti che sono in carico ai Servizi di Salute Mentale, quindi con diagnosi fatta e anche con invalidità della Legge 68, invalidità lavorativa con obbligo di assunzione: c’è una grossa difficoltà da parte delle aziende a inserire tra i loro dipendenti persone che abbiano questo tipo di invalidità legato alla patologia mentale. In Regione Piemonte abbiamo in corso un progetto di reinserimento lavorativo, utilizzando le multe che le aziende pagano per non ottemperare la Legge 68 e quindi rinforzare la possibilità che pazienti anche con schizofrenia possano essere inseriti nel mondo del lavoro”.

E poi ci sono altri problemi ancora, che si ingranano l’uno nell’altro, come racconta Vincenzo Villari, Direttore SC Psichiatria-Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura afferente al Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale AOU Città della Salute e della Scienza di Torino: Il primo è l’emergenza-urgenza che si determina sui territori e l’esecuzione dei TSO (Trattamento sanitario obbligatorio) e ASO (Accertamento sanitario obbligatorio) che sono problemi distinti, che però spesso vengono sovrapposti o confusi e questo è un problema per tutto l’ambito delle malattie mentali. C’è poi l’intercettazione precoce degli esordi, altro problema molto ampio, che non necessariamente deve comportare l’ospedalizzazione, ma che spesso viene intercettato in occasione di un ricovero o di un passaggio in Pronto Soccorso. In questo caso la continuità ospedale-territorio assume una importanza primaria, che viene ulteriormente ribadita nella fase delle dimissioni. Deve essere utilizzato il ricovero per costruire già un’ipotesi di trattamento in post acuzie, che sia rappresentato da una solida presa in carico dei Centri di Salute Mentale e, ovviamente, presa in carico del paziente e del suo contesto familiare e relazionale. Inoltre c’è un problema di costruire una continuità e una integrazione degli interventi nei vari servizi, perché spesso abbiamo comorbidità con disturbo da uso di sostanze e c’è tuttora qualche difficoltà di integrazione tra i SerD (Servizi per le dipendenze Patologiche) e la Psichiatria Adulti e poi c’è anche un problema di continuità di cure con la neuropsichiatria infantile, visto che l’età di esordio, spesso, avviene in età minore”.