Semplicità, efficienza, meno burocratizzazione, il percorso immaginato dai malati oncologici

Torino, 16 settembre 2022 – Semplicità, efficienza, meno burocratizzazione, più sensibilità. Sono queste le parole chiave che ruotano attorno al percorso ideale di un malato oncologico e che sono risuonate vive al tavolo che ha messo di fronte le istituzioni regionali che governano la sanità e le associazioni di pazienti. Motore Sanità per la prima volta ha voluto dare risalto istituzionale ai bisogni dei malati oncologici e le risposte della politica, nella sessione “L’oncologia in concreto. L’azione della politica tra presente e futuro” dell’evento torinese “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” con la sponsorizzazione non condizionante di Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Gilead, Merck, Novartis e Takeda.

Le istituzioni e le strutture sanitarie devono imparare ad essere concave e convesse, a seconda delle situazioni che si trovano ad affrontare” è stato il commento di Loredana Pau, vicepresidente Europa Donna Italia “Di tumore metastatico al seno si muore e queste terapie devono essere rese possibili a tutte le pazienti, nel più breve tempo possibile. Alleggeriamo il carico burocratico e amministrativo della donna affetta da cancro e soprattutto rendiamo disponibili le cure. L’oncologia in concreto è anche questo. Ricordiamocelo: il 13 ottobre c’è la seconda giornata dedicata al cancro al seno metastatico”.

Donatella Tubino, biologa e presidente Lilt – Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori di Torino ha rimarcato un punto cruciale: la semplificazione. “E’ una necessità impellente: pensiamo ai moduli in inglese con mille domande.La Lilt ha il bonus psicologo, perché non renderlo più semplice? Perché non mettere nelle condizioni le donne, tutte le donne, di riuscire a compilare questi moduli autonomamente, senza bisogno del figlio o del nipote che traducano per loro? Dobbiamo capire che la diagnosi di tumore è un macigno. Dirò di più: è in grado di disgregare una famiglia”.

Di fronte ai bisogni dei malati oncologi Sara Zambaia, Componente della IV Commissione Sanità di Regione Piemonte ha risposto “Possiamo essere divisi nell’approccio, ma in materia sanitaria quello che ci unisce è la sensibilità. Dobbiamo individuare la strada, non basta essere nei posti apicali di potere”. 

Mettere il turbo nelle attività di screening è stato il richiamo di Sarah Disabato, Componente IV Commissione Sanità Regione Piemonte ha aggiunto: “Molti cittadini non riescono a recepire le informazioni e questo è un problema. Dobbiamo far capire che la prevenzione costa meno e salva la vita. Il tumore alla mammella crea sì una cronicità, ma dal tumore al seno si può guarire e questo avviene se la malattia viene diagnosticata e curata in tempo. Se la pandemia ha aggravato una situazione che c’era già prima, oggi tocca mettere il turbo nelle attività di screening”. 

Marco Maria Fumagalli, Componente della III Commissione Sanità e Politiche sociali di Regione Lombardia ha concluso rimarcando la necessità della sanità territoriale e della cura. “C’è la necessità di fare prevenzione oncologica, ma anche di curare gli stili di vita. L’inquinamento significa anche malattie respiratorie e con questo anche tumore. Nella zona dove vivo, per esempio, ci sono problemi seri di respirazione. Questo per dire che ci vuole la sanità territoriale, però ci vuole anche la cura che includa vivere in un ambiente compatibile con uno stile di vita salutare”. 

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Ritorno al futuro vincendo il tumore prima che si manifesti. Oggi si può, con i nuovissimi test

Torino, 15 settembre 2022 – In Italia ogni anno circa 60mila persone vengono colpite da un tumore ereditario, il 15-17% dei 377mila casi totali di cancro. Dei circa 500.000 soggetti che sono stimati essere portatori di una sindrome ereditaria, solo 1 cittadino su 10 ad oggi viene identificato. Queste persone, in massima parte ancora sane, rischiano, in una misura variabile da 2 a 40 volte in più rispetto alla popolazione normale, di sviluppare una o più neoplasie nell’arco della loro vita, ma non ne sono consapevoli. È quindi indispensabile intercettarle mediante i test genetici e genomici, per inserirle in percorsi clinici dedicati rimuovendo gli ostacoli tecnologici, amministrativi ed economici tuttora esistenti. 

Il tema dei tumori ereditari è stato affrontato in occasione del convegno “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” organizzati da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Gilead, Merck, Novartis e Takeda, si sono aperti a Torino per fare il punto sullo stato dell’arte dell’oncologia. Sui tumori ereditari si è espresso Salvo Testa, ideatore, fondatore, promotore e presidente della fondazione Mutagens,nata per iniziativa di persone portatrici di sindromi ereditarie per rivolgersi sia a chi a causa di un’alterazione genetica ha già sviluppato un tumore, sia a chi è ancora sano ma potrebbe ammalarsi in futuro.

“In questo momento il nostro focus prioritario è sulla collaborazione con le strutture ospedaliere che hanno formalizzato Pdta aziendali dedicati ai soggetti ad alto rischio eredo-familiareha spiegato Salvo Testa -. La diffusione sul territorio nazionale di tali percorsi di presa in carico è il punto di partenza fondamentale per identificare quanti più soggetti a rischio possibili e orientarli verso un processo diagnostico, terapeutico e di prevenzione adeguato, sulla base delle linee guida nazionali e internazionali più consolidate. A tale proposito la Fondazione Mutagens è anche presente al tavolo multidisciplinare coordinato da Aiom sulle linee guida nazionali per i tumori ereditari, che saranno approvate entro la fine del 2022”.

La fondazione Mutagens aiuta i primi a curarsi nel modo più efficace grazie alla medicina di precisione e a prevenire la ricomparsa della malattia e lo sviluppo di nuove neoplasie; sollecita per i secondi l’inserimento in percorsi di sorveglianza intensificata per migliorare la prevenzione secondaria e, dove possibile, quella primaria. Ha stretto partnership importanti nell’ambito della ricerca, in quello clinico e del volontariato. Tra queste una convenzione con Alleanza Contro il Cancro – rete istituzionale degli IRCCS oncologici – che le permette di contribuire alla ricerca oncologica specifica sui tumori ereditari, un protocollo d’intesa con le società scientifiche Aifet (tumori ereditari) e Nido (Procreazione Medicalmente Assistita e Diagnosi Genetica Pre-Impianto), l’affiliazione alla Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) e a Uniamo (malattie rare), per fare un gioco di squadra con le maggiori organizzazioni di pazienti presenti sul territorio.

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Appello dei malati oncologici: “La nuova cultura della gestione del cancro deve prevedere reti tra pubblico, privato e il privato non profit”.

Torino, 15 settembre 2022 – C’è bisogno di lavorare insieme, di creare reti per rendere più facile la vita dei pazienti oncologici in un percorso di diagnosi, cura e assistenza adeguati e a misura delle loro esigenze. L’appello al convegno “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” organizzati da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Gilead, Merck, Novartis e Takeda, arriva dalle associazioni dei pazienti impegnate in Piemonte sulla prevenzione dei tumori, la cura, l’assistenza dei malati e la ricerca sul cancro.

Fondo Edo Tempia insieme alla Fondazione Tempia, collabora da 41 anni in modo sinergico con la sanità piemontese negli ambiti oncologici della prevenzione, diagnosi, cura, assistenza e ricerca. Viola Erdini, Presidente della Fondazione Tempia ha parlato di vere e proprie sfide a cui si è chiamati per affrontare le criticità dell’oncologia. “Le sfide a cui siamo chiamati negli ambiti dell’oncologia, ma più in generale nel sistema sanitario nazionale, in particolare nel periodo post Covid, richiedono competenze, volontà e coraggio di promuovere nuove forme di collaborazione tra il pubblico, il privato e il privato non profit. Le sinergie, le partnership e la cooperazione rappresentano, oggi più che mai, dei mezzi necessari, e non più solo delle opportunità, al fine di garantire adeguati livelli di efficienza, efficacia e qualità della prestazione, anche in termini di equilibrio tra sostenibilità e di universalità all’accesso alle cure”. 

Secondo la Erdini “in virtù del principio di sussidiarietà, il privato non profit può portare sia un valore necessario, al fine di sostenere i piani regionali oncologici, sopperendo ad eventuali carenze o bisogni, intervenendo ad esempio sul lato delle risorse umane, economiche o di sensibilizzazione; sia un valore aggiunto, con progettualità e iniziative che possano innovare i percorsi oncologici sostenendo la promozione e l’introduzione di nuove tecnologie, metodiche e modelli organizzativi, non solo necessariamente con risorse finanziarie o umane, ma anche con il proprio know-how, ossia con competenze ed expertise. Ed è su questi due elementi di valore che si è da sempre basata la storia e la mission del Fondo Edo Tempia”.

L’associazione per la prevenzione e la cura dei tumori in Piemonte Odv è impegnata da quasi 40 anni nella prevenzione dei tumori erogando visite di controllo, stando accanto ai pazienti attraverso uno sportello informativo, una linea telefonica diretta, una campagna di comunicazione e di sensibilizzazione – il tour “Più Prevenzione Meno Superstizione” nato per diffondere i corretti stili di vita e promuovere le “12 regole del Codice europeo contro il cancro, e con molte iniziative che organizza sul territorio. «Siamo finalmente ripartiti dopo due anni in cui, a causa della pandemia Covid-19, l’Associazione non ha più potuto erogare le visite di prevenzione ed è in corso la nuova campagna di comunicazione e di sensibilizzazione per incentivare tutti noi a seguire i corretti stili di vita e a sottoporsi agli screening della sanità pubblica. È necessario arrivare alla gente con una nuova comunicazione per la prevenzione dei tumori, perché soprattutto nel periodo pandemico molte visite si sono fermate e le persone hanno fatto meno prevenzione prese dal timore di entrare negli ospedali o negli studi medici. Oggi è dunque il tempo di ricominciare ad avere corretti stili di vita ed effettuare anche la prevenzione secondaria».

Loredana Pau, vicepresidente e coordinatrice delle associazioni Europa Donna Italia ha sottolineato che le associazioni di volontariato sono chiamate a nuove sfide, “dato che si aprono nuove prospettive anche nell’organizzazione delle strutture sanitarie territoriali che potrebbero essere chiamate a gestire parte del percorso della paziente con tumore al seno early e metastatico. Una donna potrà accedere ai servizi territoriali ed usufruire delle migliori terapie, sempre coordinate dal centro di senologia multidisciplinare di riferimento, in ambienti dedicati nelle strutture territoriali o anche al proprio domicilio, ottimizzando il proprio tempo, la risorsa più importante per una donna che si trova ad affrontare un cancro al seno”.

FAVO, Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia propone una nuova cultura della gestione del cancro. “Parliamo sempre più di oncologia di precisione, ma non può esistere una vera personalizzazione delle cure senza la presa in carico delle persone e non solo della patologia che portano con sé. Dovremmo iniziare a staccarci dal modello a silos separati “sanità” e “sociale” perché il paziente li attraversa orizzontalmente entrambi, tutti i giorni. In questa logica, le associazioni dei pazienti possono offrire un contributo unico e determinante, perché sono portatori di una propria scienza laica che non si può studiare su alcun testo, competenze uniche che derivano dall’esperienza diretta con la malattia e di cui il sistema sanitario dovrà tenere sempre più conto coinvolgendo le organizzazioni stesse in modo sistematico e strutturato”.

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“Senza gioco di squadra il cancro non si vince”.

Dagli Stati generali dell’oncologia di Torino grandi attese dal PNRR mentre crescono i bisogni dei malati oncologici

Torino, 15 settembre 2022 – Parte da Torino il convegno “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” organizzati da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Gilead, Merck, Novartis e Takeda, la due giorni, il 15 e 16 settembre 2022, interamente dedicati alle novità che ruotano attorno all’oncologia del Nord Ovest d’ItaliaPiemonte, Lombardia, Liguria. Questa è la prima tappa del grande percorso “ONCOnnection” realizzato negli ultimi due anni e che fino ad oggi ha riunito le esperienze in campo oncologico di tutte le regioni di Italia. Le prossime tappe degli “Stati generali dell’Oncologia” (Nord Est, Centro, Sud), hanno l’obiettivo di mettere insieme le esperienze per scrivere nero su bianco le best practices al fine di garantire la migliore presa in carico del paziente oncologico e accesso equo alle cure. Motore Sanità parte dal Piemonte, regione che rappresenta un’eccellenza in campo oncologico per l’adulto e il paziente pediatrico. L’obiettivo è fare il punto sullo stato dell’arte dell’oncologia nell’area Nord Ovest e per questo sono stati chiamati a farlo i massimi esperti con il coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e delle istituzioni

Perché c’è bisogno di tutti per disegnare l’oncologia di oggi e di domani – ha rimarcato Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità -. Nel 2021 Motore Sanità ha svolto un percorso ambizioso generatore di idee per l’oncologia, i malati di cancro e le loro famiglie, ovvero il percorso “ONCOnnection, le reti oncologiche al servizio dei pazienti”. L’ambizione stava nel dare voce a tutti e a tutte le anime di questo complesso mondo ovvero cittadini, medici, farmacisti, operatori sanitari, tecnici della programmazione regionale e nazionale, politici, giornalisti, economisti sanitari e industria. Da febbraio a ottobre abbiamo prodotto ben 7 eventi, 7 tavoli aperti su altrettanti temi di oncologia con un comune denominatore: senza gioco di squadra il cancro non si vince. Il percorso si è concluso, meglio si è riaperto in un volume del magazine Mondosanità dedicato”.

Agli “Stati Generali dell’Oncologia” Rossana Boldi, Vice Presidente della XII Commissione (Affari Sociali), Camera dei deputati, ha portato il suo messaggio mettendo in evidenza i bisogni dei pazienti oncologici. “I pazienti chiedono un nuovo modello di assistenza, nuovi percorsi per la diagnosi, il controllo e la cura, che preveda la riscrittura delle relazioni tra i malati, l’ospedale e il territorio, che punti sulla delocalizzazione dei servizi e sulla prossimità delle cure. Naturalmente questo presuppone l’indispensabile coinvolgimento dei pazienti, dei loro caregiver e degli operatori sanitari, tutti, in un impegnativo programma di formazione”.

E ancora: “I pazienti oncologici si aspettano di avere accesso all’innovazione, alla diagnostica di ultima generazione, ai dispositivi medici di ultima generazione ai farmaci innovativi, si aspettano, insomma, di poter usufruire appieno dei progressi veramente tumultuosi della ricerca. Dopo la pandemia siamo precipitati in una economia di guerra, purtroppo è vero, e la sanità in generale, non figura tra i temi della campagna elettorale in corso. Temo che ci siano troppe aspettative rispetto al PNRR e al nuovo Dm 77. Naturalmente spero di sbagliarmi e che riusciremo ad avvicinarci in un tempo ragionevole, agli obiettivi del Piano oncologico Europeo e a migliorare la qualità della vita di questi pazienti”.

E infine il suo appello: “Le nuove strutture territoriali previste dal PNRR non basteranno a modificare il sistema, vanno riempite di personale (che al momento non c’è), per di più adeguatamente formato. Reti oncologiche, fascicolo sanitario elettronico, interoperabilità dei sistemi informatici, tutto questo rappresenta la base per una riforma credibile, nella quale la telemedicina può veramente rappresentare una svolta”.

Secondo Fabiola Bologna, Segretario della XII Commissione (Affari Sociali) della Camera dei Deputati, “il PNRR prende atto che l’emergenza pandemica ha evidenziato con chiarezza la necessità di rafforzare la capacità del servizio sanitario nazionale di fornire servizi adeguati sul territorio e illustra i criteri di allocazione e destinazione delle risorse di derivazione europea per la ripresa successiva alla pandemia: si tratta di una straordinaria occasione per riequilibrare le carenze ed inefficienze sul territorio nazionale. In particolare, la Missione 6, come noto, si occupa di salute e si articola in due componenti: 1) reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale; 2) innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. Il 29 giugno 2022 il Ministero dell’economia e delle finanze ha comunicato che sono stati conseguiti nei tempi previsti tutti i 45 traguardi e obiettivi indicati dal PNRR per il primo semestre 2022. In questo scenario, l’oncologia sta attraversando un profondo cambiamento basato sull’evoluzione della ricerca e l’uso conseguente di terapie personalizzate e di precisione. La misura più diretta del processo di cambiamento è che la malattia oncologica è curabile e trattabile”.

E ancora: “E’ necessaria l’implementazione delle misure già introdotte nella legge di bilancio relative alle attività di prevenzione contro i tumori, al fine di garantire una migliore presa in carico del paziente oncologico e  supportare l’attività di screening in modo omogeneo in tutte le regioni e su tutto il territorio nazionale, relativamente alle diagnosi, stante la necessità di recuperare i ritardi dovuti alla pandemia e di considerare la prevenzione, la tempestività della diagnosi e lo screening attività fondamentali per la presa in carico dei pazienti”.

Sul futuro dell’oncologia ha rimarcato: “Il futuro dell’oncologia, che è strettamente legato al futuro della sanità in termini di sostenibilità, si gioca sulla capacità dei governi e dei parlamenti di portare in Europa proposte che consentano finanziamenti innovativi e sostenibili rispetto alle evoluzioni tecnologiche, all’ammodernamento degli strumenti e ai farmaci innovativi che devono essere disponibili per tutti i cittadini europei. Un’economia di guerra può essere anche una opportunità per creare sistemi nuovi a partire da una sanità che sia sempre più in rete allineandosi a quello che accade già nella ricerca che sempre più gioca su piattaforme europee e internazionali per raggiungere gli obiettivi” ha concluso Fabiola Bologna.

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Il cancro nell’era post Covid riparte dal territorio

Appello dei clinici: “La vera sfida adesso è implementare le file di specialisti oncologi e infermieri e favorire il dialogo con i medici di famiglia”.

Torino, 15 settembre 2022 – L’attenzione è altissima sull’oncologia territoriale, sul tema spinoso della carenza di medici oncologi e infermieri e sulla loro formazione per assistere al meglio i malati oncologici. Attenzione altissima anche sui bisogni e le aspettative dei pazienti nei confronti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), sul valore della multidisciplinarietà e delle terapie innovative. Discutono sul presente e sul futuro dell’oncologia i massimi esperti che si sono riuniti al convegno “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” organizzati da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Gilead, Merck, Novartis e Takeda. Obiettivo: mettere  nero su bianco non solo quello che esiste e che arriverà, ma anche ciò che realmente serve per rispondere efficacemente ai bisogni dei malati oncologici.

Ogni giorno in Italia si registrano mille nuovi casi oncologici, mentre tre milioni e mezzo di italiani vivono dopo una diagnosi di cancro, di questi circa 280.000 sono piemontesi. Si stimano 377.000 nuove diagnosi annuali di tumore, circa 195.000 fra gli uomini e circa 182.000 fra le donne. Attualmente il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze, una buona percentuale dei restanti ha maggiori possibilità di controllare la malattia cronicizzandola.

A fronte di questi numeri – ha spiegato Alessandro Stecco, Presidente della IV Commissione sanità di Regione Piemonte – cure migliori e personalizzate, ricerca scientifica, qualità della vita dei malati e dei pazienti guariti, prevenzione e diagnosi precoce sono i topic su cui istituzioni, privati, università e mondo del volontariato sono chiamati a confrontarsi per una sfida che ogni giorno è più globale. Dobbiamo ricordare che l’amministrazione della res publica obbliga alla costruzione della spesa pubblica che è speranza, aspettativa e prospettiva nell’oncologia e nell’oncoematologia”.

Partendo dalla constatazione che la nostra Rete oncologica piemontese è di assoluta eccellenza e della quale le nostre istituzioni non posso che esserne fiere – ha aggiunto Silvio Magliano, Componente della IV Commissione Sanità di Regione Piemonte – sarà sempre più necessario sviluppare anche in questo campo un forte rafforzamento dell’elemento territoriale e della domiciliarità, sia come chiave di maggior efficacia del sistema si come ulteriore passo verso una reale e concreta umanizzazione delle cure“.

Il modello Piemonte con la sua Rete oncologica è sempre stato riconosciuto come una modalità organizzativa efficiente – ha ribadito Carlo Picco, Direttore generale dell’Asl Città di Torino e Commissario dell’Azienda Zero del Piemonte -. La recente istituzione dell’Azienda Zero che ha nel suo atto aziendale l’afferenza della rete oncologia può costituire un ulteriore elemento di rafforzamento dei percorsi oncologici. Ci troviamo nella possibilità di imporre un’accelerazione sia nell’assistenza, e penso anche grazie al progetto di telemedicina in oncologia già sviluppato e in fase di attuazione in tre province regionali, come nella ricerca, con le università regionali e in collaborazione con l’IRCSS di Candiolo e le fondazioni bancarie. Il quadro è quindi in questo settore positivo, in evoluzione e comunque fondato su solidi pilastri di gerarchizzazione delle aziende con modalità di presa in carico efficaci. Le zone d’ombra saranno comunque affrontate nella logica di una programmazione regionale e sovraziendale”.

Dopo il Covid in oncologia deve nascere un nuovo rapporto tra ospedale e territorio. È l’appello dei clinici. “In ospedale restano ovviamente gli interventi chirurgici, le terapie endovenose, i protocolli sperimentali, quelli ad alta tecnologia come le terapie con Car-T cell, la radioterapia – ha spiegato Alessandro Comandone, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Asl Città di Torino -. Sul territorio sono già in atto attive collaborazioni per le cure post chirurgia come medicazioni e riabilitazione, le terapie di supporto, ci sono iniziali tentativi di esternalizzare le terapie orali consolidate, non sperimentali, il follow up e le cure palliative. Vi è necessità al momento di implementare il dialogo tra specialisti ospedalieri, medici di medicina generale e medici specializzati in terapia del dolore e cure palliative. La Rete oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta sta favorendo gli incontri e il dialogo tra medici, infermieri e popolazione per portare a massima efficienza il servizio offerto”.

L’oncologia non può rimanere fuori dal nuovo sistema di assistenza territoriale previsto dal DM 77 e incluso nel PNRR – ha sottolineato Paolo Pronzato, Coordinatore DIAR Oncoematologia di Regione Liguria -. Molti dei bisogni assistenziali del paziente oncologico (non certamente quelli ad elevato contenuto tecnologico, realizzabili solo in ospedale) possono trovare una risposta nelle Case e negli ospedali di comunità”. E ancora: “Per il territorio (e in prospettiva per la tenuta del nostro sistema in futuro) ecco un altro grande compito – secondo Paolo Pronzato -: i successi della medicina moderna in tema di innovazioni terapeutiche non devono far trascurare un aspetto che rimane fondamentale: la prevenzione, intesa sia come adozione di stili di vita idonei, né come attenzione per la diagnosi precoce. Infatti, le maggiori garanzie di guarigione – anche con i nuovi farmaci – si realizzano quando la neoplasia può essere affrontata precocemente. In questo senso molto si deve ancora fare per quanto attiene l’educazione sanitaria (abolizione del fumo, alimentazione, attività fisica, protezione della pelle, ecc.) e per quanto attiene gli screening: non solo per l’adesione agli screening tradizionali (mammella, intestino, utero), ma anche per l’implementazione di nuove modalità come screening personalizzati sulla base dell’oncogenetica e screening del tumore polmonare in forti fumatori”.

Sono previsioni grigie quelle che riportano i massimi esperti. “In ambito oncologico si assiste ad un costante aumento dei costi, oltre 19 miliardi di euro all’anno. L’incremento è dovuto soprattutto alla spesa per i farmaci e agli investimenti per il rinnovo tecnologico e l’inserimento di nuovi strumenti per diagnosi e terapia. Bisogna poi ricordare che è assolutamente necessario recuperare i due milioni e mezzo di esami di screening non eseguito e che hanno determinato alcune migliaia di mancate diagnosi ha spiegato Roberto Orecchia, Direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia. “La prevenzione è forse il settore che più ha sofferto in questi due anni e spiace osservare che si sia sentita la necessità di intervenire con un piano straordinario. Gli altri indicatori, e la mortalità in particolare; per il momento non hanno mostrato flessioni ma per avere un quadro definitivo bisognerà attendere i prossimi 3-5 anni”.

Il PNRR, secondoRoberto Orecchia, offre una straordinaria opportunità per migliorare la situazione della salute pubblica. “A fronte dei molti miliardi disponibili occorre una visione complessiva che metta a terra queste risorse con una sinergia ed una programmazione che veda lo Stato e le Regioni in totale condivisione” ha concluso Roberto Orecchia.

Dal PNRR ci si aspetta molto. Carlo Nicora, Direttore generale della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, ha spiegato: “Il PNRR ha focalizzato l’attenzione sul tema della medicina territoriale, sempre di più occorre riempire di contenuti e di funzioni i “nuovi luoghi di cura” che si stanno costruendo. In Italia sono presenti circa 3,6 milioni di pazienti oncologici che rappresentano una domanda rilevante, ma soprattutto caratterizzata da bisogni assistenziali molto diversi che vanno dall’alta intensità (Car-T) a esigenze più di tipo socio-sanitario. Le terapie innovative aumentano i tassi di sopravvivenza portando a pazienti con una patologia oncologica cronicizzata. L’oncologia è pronta a una nuova organizzazione, ora solo ospedaliera, con la delocalizzazione di alcuni trattamenti specifici per la cura dei tumori realizzando la territorializzazione delle cure oncologiche con nuovi setting assistenziali fino al domicilio (protetto e assistito) del paziente sfruttando al meglio la telemedicina. L’oncologia territoriale ha però bisogno delle Reti oncologiche con percorsi diagnostico terapeutici che devono garantire la presa in carico omogenea, l’equità di accesso alle cure, la continuità assistenziale e la ricerca clinica diffusa e dove gli screening rappresentano una strategia irrinunciabile. La teleoncologia che va da un servizio di telemedicina per una consulenza oncologica da remoto, alla medicina personalizzata, sino a una research connection a livello nazionale, per mettere a fattore comune i risultati della ricerca rappresenterà un collante tra le realtà territoriali e gli ospedali”.

Sullo spinoso tema della carenza di specialisti oncologi e in generale di personale medico in sanità e sul ruolo dell’infermiere necessariamente formato sulle nuove problematiche oncologiche, si è soffermata Marina Schena, Direttore dell’Oncologia ed Ematologia oncologica dell’USL della Valle d’Aosta.

Oggi la carenza di personale è evidente in ambito sanitario e non parlo solo di personale medico. Una assistenza oncologica adeguata richiede ovviamente la formazione di oncologi del futuro che sappiano adeguatamente interpretare e gestire la complessa diagnostica molecolare e le terapie innovative che la ricerca ci mette a disposizione. Richiede anche la formazione di medici palliativisti oggi nettamente carente sia per cure simultanee sia per le cure del fine vita. Ma ancora e soprattutto richiede la disponibilità di personale infermieristico formato sulle nuove problematiche oncologiche, sulle tossicità dei nuovi farmaci e la gestione delle stesse, in grado di trasferire questo tipo di conoscenze anche all’assistenza territoriale che dovrà sempre più integrarsi con l’assistenza ospedaliera. Ritengo che occorra rilanciare il ruolo centrale della figura infermieristica nell’assistenza al malato, in particolar modo al malato oncologico, ambito nel quale è fondamentale valorizzare la professionalità, le conoscenze e gli spazi di autonomia gestionale”.

Paolo Pronzato è intervenuto anche lui sul cocente tema della carenza di personale: “La carenza di personale (comincia a sentirsi anche per gli specialisti oncologi medici! ma ovviamente sono tante le figure professionali che intervengono nel percorso di malattia del paziente oncologico) è un problema emergente e richiede profondi ripensamenti che passano, per esempio, attraverso la valorizzazione nel percorso di figure professionali quali il medico di famiglia e l’infermiere di comunità, o anche una diversa ridistribuzione dei compiti tra hub e spokes (in realtà sono questi ultimi a soffrire maggiormente per carenza di personale)”.

La voce dei pazienti è stata rappresentata da Favo, Federazione italiana delle Associazioni di volontariato in oncologia che ha messo in campo un importante progetto.

Favo sta formando pazienti e care giver affinché in tutte le realtà possano partecipare in modo competente e qualificato in tutti gli snodi organizzativi cruciali: dalla elaborazione dei Pdta ai Molecular Tumor Boardha spiegato Paola Varese, presidente del Comitato scientifico Favo -. Il malato è il massimo “esperto” della sua storia ma riuscire a essere interlocutore competente e, direi, tenace nei confronti delle istituzioni richiede formazione continua e consapevolezza. Il volontariato non deve vicariare le carenze della sanità pubblica o ridursi a un “bancomat “a cui chiedere fondi” ma portare contributi progettuali, anche in co-progettazione, che rendano il servizio sanitario nazionale efficace e sostenibile”. 

Infine, la multidisciplinarietà. Massimo Aglietta, Coordinatore responsabile degli indirizzi strategici della Rete oncologica di Piemonte e Valle d’Aosta e professore di Oncologia medica presso l’Università degli Studi di Torino la spiega in questi termini: “Multidisciplinarietà è il modello organizzativo sul quale sono attualmente costruiti i Psdta del paziente oncologico: l’interazione fra specialisti dello stesso ospedale o di ospedali diversi è ormai un modello acquisito. La cronicizzazione di molte malattie oncologiche rende tuttavia questo modello insufficiente per due ragioni: a) obbliga il paziente a frequenti accessi ospedalieri con elevati costi economici, sociali ed un impatto negativo sulla qualità di vita; b) sovraccarica la struttura ospedaliera. Diventa pertanto indispensabile una integrazione funzionale con la medicina territoriale a cui vanno delegati momenti significativi del percorso terapeutico. Per raggiungere questo obiettivo occorre lavorare in tre direzioni: 1) programmi educazionali specifici per gli operatori territoriali; 2) strumenti informatici efficienti che consentano una interazione efficace fra operatori ospedalieri e territoriali; 3) definizione delle procedure amministrative che regolano queste attività“.

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Nelle CAR-T il farmacista ospedaliero è sempre di più una figura strategica all’interno dei team multidisciplinari e nel garantire requisiti di qualità e sicurezza del medicinale

La figura professionale del farmacista ospedaliero sta attraversando un cambiamento radicale che richiede, oltre a quelle scientifiche già acquisite durante il percorso di studi e di specializzazione, nuove competenze tecniche a 360° gradi. La spinta a questo forte cambiamento professionale arriva da un’innovazione che porta il sistema di cure a traguardi impensabili, fino a qualche anno fa. Quando si parla di CAR-T, non si tratta più di avere solo forti competenze su gestione e approvvigionamento di materiali e servizi, di pianificazione e gestione delle scorte, di farmacovigilanza, servono elementi di economia sanitaria, HTA, competenze su strumenti statistici, di data integrity ed informatici, competenze organizzative e di management nella cogestione e interazione di team multidisciplinari/multiprofessionali. Le CAR-T sono un esempio rappresentativo di questo nuovo scenario, prevedendo una solida rete di conoscenze tra i diversi professionisti.

Per fare il punto della situazione, Motore Sanità ha organizzato l’evento “CAR-T. QUALI NUOVE COMPETENZE PER IL FARMACISTA OSPEDALIERO?” con il contributo incondizionato di CELGENE | BRISTOL MYERS SQUIBB COMPANY e GILEAD. Obiettivo: guardare allo sviluppo futuro diffuso delle terapie CART, fare rete e condividere buone pratiche e soluzioni già adottate durante le prime esperienze di impiego nei pochi attuali centri di riferimento.

L’innovazione portata dalle CAR-T rappresenta uno dei traguardi medici più importanti del nuovo secolo nella battaglia contro i tumori. Ai loro successi e al loro sviluppo futuro sono stati dedicati centinaia di lavori ma tutti devono essere pronti. All’interno dei CAR-T team la figura del farmacista è senz’altro una figura centrale che deve portare valore aggiunto non solo in termini amministrativi o di farmacovigilanza, ma anche in termini organizzativi, di raccolta dati, di ricerca, di appropriatezza degli interventiVincenzo Lolli, Direttore dell’UOC Farmacia degli Ospedali Riuniti di Padova Sud, ha spiegato: “Come segreteria regionale della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie (SIFO) del Veneto abbiamo ritenuto importante sviluppare questo argomento perché la nostra professione si sta sviluppando in ambiti sempre più tecnologici con competenze che fino a qualche anno fa non erano immaginabiliOltre alla gestione della radioterapia, infatti, le nostre competenze oggi si allargano anche ad altri orizzonti, verso cioè terapie innovative, come le Car-T, in cui il farmacista ospedaliero funge da ruolo “ponte” che gestisce il processo”.

Stefania Pretto, Farmacista presso l’Ospedale San Bortolo di Vicenza dell’ULSS 8 Berica, ha aggiunto: “Il ruolo del farmacista ospedaliero nella complessa gestione delle terapie CAR-T,  per quanto riguarda la nostra esperienza, attesta che oltre a forti competenze sulla logistica,  sulla  farmacovigilanza/dispositivovigilanza, il farmacista ospedaliero è in grado di apportare valore aggiunto anche in termini organizzativi,  di raccolta dati, di ricerca, di appropriatezza degli interventi, manifestando anche competenze di elementi di economia sanitaria, HTA, di management nella cogestione ed interazione di team multidisciplinari/multiprofessionali”.

Maria Chiara Tisi dell’Ematologia di Vicenza dell’ULSS 8 Berica, ha fatto invece il punto sulle nuove terapie CAR-T oggi in commercio, terapie che presso il centro hanno dato importanti risultati, comparabili a quelli degli studi registrativi, sottolineando che il numero di pazienti valutati e trattati è in crescita esponenziale nel tempo. “Le cellule CAR-T (“Chimeric antigen receptor T cell”) hanno portato ad un radicale miglioramento della sopravvivenza dei pazienti affetti da linfomi, con risultati a lungo termine che confermano un mantenimento della risposta a 5 anni di circa il 40%, in pazienti con sopravvivenza mediana di 6 mesi con le terapie precedentemente disponibili. Dall’agosto 2019, quando arrivava la prima approvazione in AIFA, abbiamo assistito a una progressiva ramificazione dei centri di trattamento (centri Hub). I farmaci CAR-T oggi in commercio sono 3, axicabtagene ciloleucel, tisagenlecleucel e brexucabtagene autoleucel, con indicazione nel linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e linfoma primitivo del mediastino (Axi-Cel), DLBCL e leucemia linfoblastica acuta del bambino e giovane adulto (Tisa-Cel) e linfoma mantellare (Brexu-Cel). Nel corso del tempo le indicazioni AIFA sono state ampliate, per cui oggi possono accedere a questi farmaci pazienti fino a 75 anni di età”.

Che cosa sono le CAR-T e che tipo di gestione del paziente implicano? “Le CAR-T agiscono inducendo una risposta immunitaria contro il tumore nell’organismo, e questo fenomeno si associa ad effetti collaterali specifici, che implicano la gestione del paziente da parte di un team multidisciplinare esperto, che comprenda anche neurologo e rianimatore. Anche la fase organizzativa del processo, con il coinvolgimento di figure di settori diversi, dalla clinica al centro trasfusionale, al farmacista, oltre che l’azienda stessa che produce il farmaco, richiede un lavoro di team. L’impiego di risorse sarà sempre maggiore, in quanto in un prossimo futuro ci aspettiamo approvazione di nuovi farmaci per i linfomi, ma anche per il mieloma multiplo, oltre che l’indicazione in linee di trattamento sempre più precoci”.

Maria Gabelli del Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino dell’Università degli Studi di Padova, ha spiegato perché è importante l’utilizzo delle CAR-T: “Rappresentano una nuova strategia terapeutica per ottenere la remissione nei casi refrattari alla chemioterapia convenzionale. Negli studi sulla leucemia linfoblastica acuta (ALL) recidivata o refrattaria, l’80% di pazienti ha ottenuto la remissione dopo CAR-T. Inoltre, sembra che queste cellule possano persistere a lungo e potrebbero garantire una remissione a lungo termine senza l’utilizzo del trapianto allogenico. Rispetto al trapianto o a chemioterapia prolungata, parliamo inoltre di una ridotta tossicità”.

Sulle nuove competenze del farmacista ospedaliero e quindi sul quadro della sua formazione specialistica è intervenuto Nicola Realdon, Professore della Scuola di Specializzazione della Farmacia Ospedaliera presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Padova. “Oggi i farmacisti ospedalieri sono sempre di più coinvolti in team multidisciplinari quindi il tema di discussione è se la formazione che stiamo dando avrà la possibilità di implementare sempre di più questi nuovi approcci e le nuove linee di indirizzo. È in gioco la nostra competenza in un ambito operativo di realizzazione del medicinale ma ancora di più nel garantire i requisiti di qualità, di sicurezza del medicinale. Oggi c’è sempre più necessità di una formazione multidisciplinare di avanzata ricerca scientifica e di terapie avanzate”.

E ancora, Nicola Realdon ha spiegato dove entra in campo il farmacista ospedaliero: “Oggi entriamo in campo nell’approvazione delle terapie prescritte, nell’allestimento secondo NBP delle terapie e nella loro erogazione, nella predisposizione dei trattamenti di supporto al paziente e nella gestione degli effetti avversi, nella validazione delle terapie e verifica della correttezza dei dosaggi, nel controllo della conformità del batch ricevuto, approvazione del prodotto all’azienda e rilascio del prodotto in condizioni ottimali, fino nella realizzazione dei percorsi definiti e codificati, dove il farmacista entra in maniera preponderante, e nella responsabilità farmaco-economica. Le nuove competenze del farmacista ospedaliero vengono trattate, le basi ci sono. Siamo pronti a tutto questo? Se le strutture ci saranno siamo pronti, se non ci saranno abbiamo le risorse, soprattutto con i giovani, per poterli mettere al lavoro e fornire loro un forte apporto per poter costruire risorse, percorsi ed ambiti strutturali. I giovani stanno crescendo come specializzandi e sono pronti ad affrontare le diverse sfide, ne sono convito”.

Talassemia, la Puglia punta sulle nuove terapie e sull’organizzazione della rete tra specialisti e medici di famiglia per una migliore qualità di vita del paziente

Le mielodisplasie e la beta-talassemia sono patologie che comportano anemie severe trasfusione-dipendenti che, oltre a condizionare pesantemente la qualità della vita dei pazienti che ne sono affetti, hanno purtroppo un impatto rilevante sulla loro aspettativa di vita. Tanti ammalati, tante famiglie oggi stanno vivendo un momento di transizione grazie alla recente introduzione di una innovazione: verificano nei fatti i risultati importanti dello studio internazionale BELIEVE che ha dimostrato come con l’impiego del farmaco luspatercept, si riducono sensibilmente il numero di trasfusioni, dal 33 al 50%, nel 70% dei pazienti beta-talassemici gravi, e potrebbero essere liberi da trasfusioni per circa due mesi il 47% dei pazienti con sindrome mielodisplastica. Tutto questo significa: miglioramento della qualità di vita, meno accessi ospedalieri, riduzione dell’accumulo di ferro dovuto alle trasfusioni e riduzione delle possibili complicanze legate agli effetti collaterali dei farmaci ferrochelanti. La rete della talassemia e delle emoglobinopatie non ha ancora avuto seguito con decreto attuativo, ma le risorse stanziate con il PNRR potrebbero essere un interessante punto di partenza. All’attenzione dunque l’esperienza dei centri di ferimento della Puglia, il percorso assistenziale dei pazienti e la riorganizzazione della rete.

Motore Sanità ha fatto il punto della situazione in Puglia, organizzando l’evento “PNRR ED INNOVAZIONE. FOCUS ON BETA-TALASSEMIA ED EMOGLOBINOPATIE” con il contributo incondizionato di CELGENE | BRISTOL MYERS SQUIBB COMPANY.

La talassemia, anche chiamata “anemia mediterranea”, fa parte di un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da un difetto di produzione delle catene proteiche (globine) che formano l’emoglobina. La forma di talassemia più diffusa in Italia è la β-talassemia, nella quale si ha un difetto della produzione delle catene beta, geneticamente trasmesso come carattere autosomico recessivo. In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutto il resto della penisola.

Le mielodisplasie, causate da un difetto della cellula staminale del midollo osseo che produce globuli rossi, bianchi e piastrine, ogni anno fanno segnare un’incidenza di 3.000 nuovi casi in Italia. I sintomi compaiono già nei primi mesi di vita e se non si interviene con adeguate terapie le conseguenze possono essere deformazioni ossee, ingrossamento di milza e fegato, problemi di crescita, complicazioni epatiche, endocrine e cardiovascolari. Fino a 50 anni fa l’aspettativa di vita era di 10-15 anni, ma grazie ai risultati della ricerca questa è nettamente migliorata.

In entrambe le patologie la sopravvivenza dei pazienti oggi prevede, oltre a regimi dietetici particolari, trasfusioni ogni 2-3 settimane e assunzione quotidiana di terapia ferrochelante, che eviti i danni da accumulo/intossicazione di ferro in organi vitali (cuore, fegato e pancreas).

La Asl di Brindisi, impegnata nello sviluppo di una rete ematologica che sta compiendo i primi importanti passi, ha accolto questo importante dibattito e Flavio Maria Roseto, Direttore Generale dell’ASL di Brindisi ha spiegato il perché: “Ben venga il focus dedicato a possibili innovazioni terapeutiche che possano migliorare la vita delle persone affette da talassemia e anche allungarne l’aspettativa di vita stessa. La finalità è sicuramente degna della massima attenzione”. Poi sulle nuove terapie oggi disponibili ha aggiunto: “Ci sono terapie farmacologiche nuove che riducono, al pari delle terapie geniche, la necessità di un numero elevato di trasfusioni riducendo così anche l’accumulo di ferro che genera altri tipi di problematiche connesse. Siamo in una fase di sperimentazione, ma se i risultati sono interessanti è bene andare veloci”.

Il nuovo farmaco sta cambiando la vita dei pazienti e per questo credo che vada implementato l’utilizzo su più pazienti, ci potrà dare infatti delle grosse soddisfazioni e soprattutto potrà migliorare la qualità di vita dei pazienti” ha spiegato Domenico Pastore, Direttore dell’Ematologia presso l’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi. “Il mondo delle talassemie è cambiato. Fortunatamente l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da talassemia è quasi sovrapponibile a quella di una persona normale, questo è sicuramente un successo della ricerca. Questi ultimi anni rappresentano un momento storico molto importante per la medicina personalizzata, per le CART cell e per la terapia genica”.

Non solo l’aspettativa di vita dei pazienti è cambiatanegli ultimi anni anche l’approccio del clinico nella cura della talassemiaLo ha spiegato, prima di parlare di novità terapeutiche, Anna Maria Pasanisi, Dirigente Medico dell’UOC di Ematologia presso l’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi. “Se prima si trattava quasi di sopravvivenza, di portare ad una certa età, la più lontana possibile, i pazienti, adesso si parla non solo di compenso clinico e prevenzione delle complicanze, che sono garantite sicuramente dalla terapia salvavita fondamentale trasfusionale e ferrochelante, ma le procedure trapiantologiche, che già esistevano e saranno implementate da tecniche di editing genomico, possono anche essere una promessa di guarigione, sicuramente di miglioramento della qualità di vita, insieme ai nuovi farmaci che già stiamo utilizzando, ancora in fase di sperimentazione. Questi nuovi farmaci ci fanno vedere la talassemia non più come una malattia incurabile, forse guaribile, ma se non guaribile è una malattia che può portare il nostro paziente ad un’età geriatrica”.

E l’esperienza presso il centro brindisino lo dimostra. Tra i nuovi farmaci oggi utilizzati, c’è luspatercept. “È stato recentemente messo in commercio e il centro di Brindisi lo segue già dai tempi dello studio BELIEVE e oggi siamo nella fase di follow up post trattamento – ha proseguito Anna Maria Pasanisi -. Abbiamo arruolato 7 pazienti in uso compassionevole da maggio 2021, attualmente 10 pazienti sono in terapia con follow up variabili, le tossicità sono ridotte e abbiamo avuto discontinuazione per desiderio di maternità in due pazienti. Il dato interessante è che cinque pazienti su 10, a 8 e a 12 mesi dal trattamento, hanno ridotto in maniera significativa la loro necessità trasfusionale. Questo per noi è fondamentale, lo è per i pazienti, per le complicanze, ma lo è anche per la gestione della loro cura perché la nostra regione, purtroppo, presenta spesso delle problematiche legate alla carenza di sangue. La questione aperta riguarda la necessità di inserire nel Pdta il farmaco nuovo, che potrebbe essere gestito dal territorio con il monitoraggio degli specialisti attraverso la telemedicina”.

Antonella Miccoli, Responsabile del Centro Trasfusionale dell’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi ha sottolineato il nodo cruciale: la carenza di sangue, appunto. “Avere poco sangue significa dare poca possibilità ai pazienti cronici di svolgere una qualità di vita ottima. Quindi ben venga il farmaco, ben venga la diminuzione dell’apporto trasfusionale, ma questo non perché le scorte devono diminuire o devono aumentare, ma per la qualità di vita, per la diminuzione dell’apporto trasfusione che si dà al microcitemico con tutte le complicazioni che derivano dall’apporto trasfusionale stesso. Uno dei miei obiettivi da sempre è cercare di essere autosufficienti e di dare sempre di più un apporto trasfusionale qualitativamente migliore a chi ne ha bisogno”.

Sul fronte delle malattie rare è intervenuta, infine, Giuseppina Annicchiarico, Referente Malattie Rare Co.Re.Mar. “Il Coordinamento malattie rare, grazie al Sistema informativo malattie rare (SIMaRRP) monitora le esigenze della Rete regionale pugliese. I centri della ReMaR per la diagnosi e presa in carico dei pazienti affetti da talassemia sono stati identificati con DGR 329/2018 ed integrati con DGR 712/2018 (PDTA Talassemia). Il codice di esenzione RDG010 raccoglie tutte le “anemie ereditarie”, comprese le entità nosologiche riferite alla talassemia. Con il codice di esenzione RDG010 risultano sul sistema informativo malattie rare (SIMaRRP), al 1° luglio 2022 circa 1.200 certificati di diagnosi. I pazienti pugliesi con codice esenzione RDG010 ed entità nosologiche ricollegabili alla talassemia sono 781. Di questi 101 sono minori di 19 anni”.

Poi la professoressa Annicchiarico ha aggiunto un punto cruciale: “La complessità dell’assistenza ai bambini e alle persone con malattia rara richiede un grande ed impegnativo sforzo organizzativo. Tutto questo è possibile grazie a modelli di presa in carico che tengano conto dello stretto collegamento funzionale tra la Macrorete, reti regionali e nazionale malattie rare degli ospedali, centri malattie rare, e la Microrete di assistenza territoriale. In questo contesto, le aziende sanitarie locali svolgono un ruolo centrale nel perseguire il miglior livello di “qualità di vita” del malato e della famiglia, compatibile con le condizioni cliniche, sociali ed economiche. L’obiettivo è semplificare e armonizzare i percorsi di cura dei circa 26.000 malati rari pugliesi affetti da 2.000 diverse malattie rare e ultra-rare e rispondere al principio di equità sancito dalla Costituzione italiana”.

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Antimicrobico resistenza: servono più formazione e prevenzione negli ospedali e metodi di valutazione degli antibiotici che seguano la logica dell’HTA

Una terapia antibiotica appropriata, è ormai dimostrato in maniera incontrovertibile da numerosi studi, è associata a degenze ospedaliere più brevi, ad una minore mortalità nei pazienti, con un importante ritorno economico e sociale e un impatto fondamentale sui modelli organizzativi gestionali. L’antimicrobico resistenza (AMR) è un fenomeno globale da gestire attraverso strumenti come formazione, prevenzione, metodologie di valutazione degli antibiotici che seguano la logica dell’Health technology assessment (HTA), ragionare su nuovi criteri per il conferimento di status di farmaco-innovativo a nuovi antibiotici contro ceppi antibatterici resistenti e su modelli di rimborso ad hoc per i nuovi antibiotici attivi anche per le resistenze batteriche. Insomma, clinici ed economisti sono concordi nell’affermare che ci vuole un cambio di paradigma, perché altrimenti il rischio è che non si facciano più investimenti su nuovi antibiotici, con il rischio di non avere più alternative per trattare in maniera appropriata i pazienti che vengono colpiti da queste infezioni.  

Motore Sanità ha organizzato l’evento “NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI: DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO – PUGLIA” organizzato con il contributo non condizionante di MENARINI, per riportare al centro dell’attenzione il tema dell’AMR che in questi due anni è stato retrocesso dall’emergenza pandemica e che continua ad avere una rilevanza che non può essere ignorata e i grandi ospedali italiani devono affrontare. Motore Sanità, che il 10 febbraio 2020 presso il Policlinico di Bari dell’ospedale “Giovanni XXIII”, realizzò un importante convegno sull’AMR e per la prima volta venne lanciata la proposta di una stewardship antibiotica, ha organizzato il tavolo di lavoro con l’obiettivo di ricercare un corretto e condiviso place in therapy che rappresenti un uso ragionato e razionale degli antibiotici piuttosto che solamente razionato.

Annamaria Minicucci, Direttore Sanitario dell’AOU Policlinico di Bari Ospedale “Giovanni XXIII”, ha spiegato che bisogna riuscire a tenere insieme due aspetti, avere farmaci innovativi e considerare i costi, in quanto la sostenibilità del sistema sanitario deve andare di pari passo con la possibilità di avere farmaci innovativi. Tutto questo si concilia con sistemi di prevenzione per le infezioni nosocomiali e questo comporta la realizzazione di un sistema stabile. A tale proposito da un anno abbiamo individuato un gruppo multidisciplinare, con tre gruppi di controllo, formato da clinici, infettivologi, microbiologi, assistenti sanitari, farmacisti, medici igienisti, che sta dando importanti risultati, come per esempio la raccolta di dati che saranno oggetto di una presentazione. Per poter usare razionalmente i farmaci si deve partire dalla prevenzione delle infezioni nosocomiali”.

Prevenzione ma anche formazione: questi i temi portati da Alessandro Dell’Erba, Presidente della Scuola di Medicina e Professore Ordinario presso il Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”: “La prevenzione è importante ma determinate forme di prevenzione da sole non sono sufficienti. Da questo punto di vista un ruolo centrale lo deve fare la formazione che non può essere limitata ai soli corsi, ma deve cominciare all’interno del percorso di studi dello studente di Medicina, perché solo con una consapevolezza innata si può pensare di contenere un fenomeno di difficilissima eradicazione”.

Proprio in relazione alle infezioni correlate all’assistenza, agli antibiotici, ai nuovi modelli di governance, la Scuola di Medicina ha proposto alla Regione Puglia una azione PNRR correlata. “Si tratta di un piano di formazione che prevede una serie di circa 120 incontri al fine di creare una base condivisa di competenze e una rete regionale – ha aggiunto Dell’Erba -. Mi auguro che con il supporto della governance clinica della nostra direzione strategica e il supporto della Scuola di Medicina nella sua funzione formativa, si possa sviluppare un sistema aziendale e regionale che ci consenta di avere un cruscotto allargato che permetta di monitorare costantemente i flussi delle infezioni aiutandoci così ad utilizzare gli antibiotici innovativi che dobbiamo aspettarci”.  

Désirée Linda Isola Caselli, Direttore dell’UOC di Malattie Infettive presso l’Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII” AOU Policlinico di Bari, che ha ricordato che dal 2015 al 2021 sono stati approvati dall’FDA “soltanto” 16 nuovi antibiotici, ha messo in evidenza che “oltre alla sorveglianza delle infezioni, all’uso attento degli antibiotici, alla riduzione della diffusione da persona a persona attraverso lo screening, sono necessarie terapie, educazione e sensibilizzazione del personale sanitario e degli studenti”.

Se Lidia Dalfino, Dirigente Medico presso UO Anestesia Rianimazione dell’AOU Policlinico Bari Ospedale “Giovanni XXIII”, ha evidenziato quanto sia importante la rapidità di intervento in teamAnnalisa Cirulli, Dirigente Medico di I livello (Guido Baccelli) dell’AOU Policlinico di Bari, Ospedale “Giovanni XXIII”, ha spiegato che “le percentuali di infezioni in Medicina interna sono rilevanti, considerando anche che molte volte i pazienti sono immunodepressi e di difficile gestione. Ecco che la formazione è fondamentale per evitare le infezioni e per insegnare meglio le terapie antibiotiche, e la formazione non riguarda solo gli specializzandi ma anche i medici strutturati. E infine c’è il tema della prevenzione che deve riguardare tutto il personale sanitario”.

Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria, EEHTA CEIS e Presidente della Società Italiana di Health Tecnology Assessment – SIHTA, ha sottolineato che “i risultati delle analisi svolte sono fondamentali per informare i decisori in merito all’adozione dei protocolli di antimicrobico stewardship e la gestione delle infezioni, in maniera tale che si possa disegnare un percorso che permetta la valorizzazione a 360 gradi, dell’impatto in termini di risorse e costi, su tutto il percorso assistenziale proprio con  riferimento agli antibiotici di nuova generazione. Ovviamente bisogna superare la logica dei silos, perché l’impatto di un farmaco o l’impatto di una tecnologia non si esaurisce dal punto di vista anche economico nel micro-silos della spesa per farmaci o della spesa per dispositivi, ecc., ma fortunatamente l’impatto esprime tutti i suoi effetti su tutto il percorso del paziente (riduzione dei farmaci concomitanti, riduzione delle giornate di degenza, riduzione della perdita di produttività, riduzione delle visite, ecc.) e quindi si trasforma in una riduzione importante anche dei costi.

Infine, il professor Mennini ha sottolineato che “Bisogna: fare chiarezza sulla metodologia di valutazione degli antibiotici seguendo di più la logica dell’HTA, soprattutto nell’ottica del nuovo regolamento di HTA che è stato approvato a dicembre 2021 a  livello europeo e che dal 2025 tutti i paesi europei saranno obbligati a seguire; ragionare su nuovi criteri per il conferimento dello status di farmaco-innovativo a nuovi antibiotici contro ceppi antibatterici resistenti perché agevolerà l’accesso più rapido dei pazienti e garantirà loro cure più appropriate; ragionare su modelli di rimborso ad hoc per i nuovi antibiotici attivi anche per le resistenze batteriche. Insomma, ci vuole un cambio di paradigma, lo dimostrano i dati, perché altrimenti il rischio è che non si facciano più investimenti su nuovi antibiotici con il rischio di non avere più alternative per trattare in maniera appropriata i pazienti che vengono colpiti da queste infezioni”. 

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Schizofrenia, focus Veneto. La salute mentale chiede più investimenti, recovery più precoce, riduzione dello stigma e interventi più specifici e appropriati

In Italia sono 245mila i malati di schizofrenia. Secondo i dati solo il 70% dei pazienti risulta incluso in un ciclo di cura; il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi.

Aumentare le risorse economiche destinate alla tutela della salute mentale, favorire il reinserimento dei pazienti nel mondo sociale, ridurre il ricorso alla residenzialità, stimolare gli approcci per percorsi integrati, preferire l’esito clinico al “prezzo” delle cure. Sono questi i principali nodi da sciogliere quando si parla di salute mentale, che nel nostro Paese presenta un quadro allarmante: aumentano le richieste di aiuto mentre le risorse per rendere efficace il percorso di cura e di assistenza del malato psichiatrico risultano essere sempre più scarse. Per quanto riguarda la schizofrenia, sono 245mila in Italia le persone che ne soffrono. È disturbo psichico che esordisce precocemente (tra i 15 e 35 anni), con sintomi complessi, difficilmente decodificabili per i non esperti quali i deliri e le allucinazioni le cui conseguenze possono avere importanti effetti sul progetto di vita della persona e sull’esistenza di chi le vive accanto. Dati di numerosi studi rilevano che il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi.

Motore Sanità per fare il punto della situazione ha organizzato il “TAVOLO REGIONALE SCHIZOFRENIA: FOCUS VENETOcon il contributo incondizionato di ANGELINI PHARMA.

Su una popolazione residente in Italia di circa 61 milioni di persone la schizofrenia ha una prevalenza dello 0,5% e una incidenza, insieme alla psicosi, che va da 4 a 72 per 100mila persone annui. Le persone con schizofrenia sono 303.913 di cui solo il 70% dei pazienti risulta incluso in un ciclo di cura. Dai dati del 2015, risultavano trattati 175.382 pazienti (82,4%), non trattati 37.357 pari al 17,6%; sono trattati con antipsicotici 151.790 pazienti, pari a 86,5% di cui con una terapia 27.566 pazienti, pari al 40%, e con politerapia 60.716 pazienti, pari al 60%, gli altri farmaci rappresentano il 13,5% pari a 23.593 pazienti trattati. Oltre a questi pazienti, c’è un sommerso su cui ancora è importante lavorareI costi della schizofrenia in Italia, secondo i dati del Ministero della salute, sono pari a 2,7 miliardi di euro di cui 1,33 miliardi di euro sono i costi diretti (49,5%) e 1,37 miliardi di euro sono i costi indiretti 50,5%. Nei costi diretti il costo dei farmaci ha un impatto marginale, il più alto impatto è dato dalla residenzialità e dalla long term care; nei costi indiretti le pensioni di invalidità per malattie mentali rappresentano la seconda voce di spesa per l’INPS e la perdita di produttività del paziente è la parte prevalente dei costi della schizofrenia. 

La spesa per la salute mentale rappresenta il 3,49% del totale della spesa sanitaria, questo valore risulta nella prevalenza dei casi fortemente insufficiente, media nazionale che risulta ulteriormente essere stata messa in crisi dalla pandemia dalla mancanza di personale, sia medico che infermieristico, e anche dal fatto che sono state date alla Psichiatria altre competenze che in passato non aveva, come i disturbi dell’alimentazione che incidono in modo importante sulla gestione totale del paziente. Negli ultimi anni poi è aumentata la domanda di presa in carico della fascia giovanile e fino al pre-Covid c’era stato un raddoppiamento rispetto ai 4 anni precedenti del numero di ricoveri di adolescenti e minorenni in clinica psichiatrica. Nei primi mesi del 2020 si è inoltre registrato un aumento esponenziale della domanda di salute dai giovani

Mirella Ruggeri, Direttore UOC di Psichiatria Clinica presso l’AOUI di Verona e Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università di Verona, ha evidenziato che “oggi gli obiettivi prioritari sono diventati la recovery più ampia e precoce possibile delle persone con psicosi all’esordio o con alto rischio di psicosi; la riduzione dello stigma personale e sociale associato alla malattia, l’inclusione sociale di soggetti con psicosi all’esordio o ad alto rischio; garantire interventi specifici e appropriati, basati su evidenze scientifiche e implementati sviluppando una metodologia di lavoro, omogenea, mirata e coesa”.

Poi ha presentato i numeri della schizofrenia, le sue conseguenze e il problema del sommerso: “Pur non essendo il disturbo psichiatrico più frequente, i dati epidemiologici indicano che in Italia sono 245mila i malati di schizofrenia. Vivere con la schizofrenia può comportare la perdita dei ruoli sociali e delle aspirazioni dei pazienti e dei loro familiari. Dati di numerosi studi rilevano che il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi. E se l’impatto sociale è così pesante sui malati, questo peso non potrà non traferirsi sui compiti di assistenza e i vissuti emotivi di quanti stanno loro intorno, i familiari in primis”.

“A dare speranza ai pazienti e ai familiari negli ultimi decenni – ha aggiunto Mirella Ruggeri – sono gli studi che si sono concentrati sulla individuazione precoce dell’esordio psicotico che è mirata ad ottimizzare il sistema di riconoscimento dei soggetti ad alto rischio e/o con esordio psicotico. Sempre più diffusa (anche se non sempre sufficiente) è diventata prassi la presa in carico integrata da parte dei servizi territoriali finalizzata ad una recovery clinica, personale e sociale più ampia possibile. Il Dipartimento di salute mentale, i distretti sanitari, i servizi sociali, il volontariato e il privato-sociale hanno contribuito a realizzare una rete di prossimità con i medici di medicina generale, centri adolescenza e scuole, per migliorare l’individuazione precoce e la presa in carico assistenziale”.

Giuseppe Imperadore, Responsabile della UOC di Psichiatria 1 dell’ULSS 9 Scaligera, ha evidenziato che “la psichiatria viene vista, anche dagli addetti ai lavori e dal mondo medico come una pratica molto aspecifica e quindi difficile da valutare: penso al tema della residenzialità o ai disturbi borderline di personalità, altro esempio di diagnosi specifica che richiede una organizzazione e una competenza che non può, anche qui, essere generalista. Quindi se aumentiamo la specificità dei nostri interventi e siamo in grado di spiegarla nei termini ovviamente corretti sia nell’ambito delle nostre sedi ma anche agli amministratori, penso che possiamo far capire meglio qual è la valenza di un’area come la psichiatria che è molto avanti rispetto ad altre aree della medicina (dal concetto di continuità ospedale-territorio alle dimissioni protette, alla individuazione dei pazienti sul territorio). Pertanto penso che dare più specificità alla psichiatria e renderla un’area più facilmente leggibile sia la strada che dobbiamo seguire”.

Il problema dello stigma è un problema enorme. “Riguarda non solo i pazienti ma anche l’area psichiatrica come viene vista all’interno degli ospedali generali o come viene vista anche all’interno delle situazioni sanitarie – ha aggiunto Giuseppe Imperadore -. Ancora adesso il paziente affetto da un disturbo psichiatrico può essere visto in maniera diversa anche da parte dei colleghi. Credo che lavorare sullo stigma vuol dire poter fare una reale psico-educazione a tutti, pazienti compresi, in maniera che si possa fin dall’inizio dare una immagine del nostro intervento che non è “farmaci sì” o “farmaci no” ma è una serie di interventi che, al pari di altre discipline della Medicina, si basano su evidenze disponibili in letteratura che vanno cambiate con il progredire delle conoscenze e che possono essere presentate con pari dignità rispetto a molti altri progetti di cura che fanno da molto tempo i nostri colleghi. Penso che su questo bisogna investire aspettando e sperando che l’investimento economico permetta di poter dare risorse e capillarità ai nostri interventi. Nonostante le difficoltà, nella regione Veneto si sono fatti dei passi in avanti soprattutto nel garantire una maggiore specificità degli interventi”.

Giorgio Pigato, Responsabile dell’UO del Servizio Psichiatrico presso la Clinica Psichiatrica dell’AOUP ha infine evidenziato: “Uno dei bisogni irrisolti che andrebbe gestito con maggior precisione è sicuramente l’assesment diagnostico, la possibilità di rivalutare la diagnosi e di ristadiare la malattia schizofrenica nel tempo, ma la specificità e la stadiazione può essere fatta anche quando i pazienti diventano resistenti per terapie inappropriate o perché semplicemente neurobiologicamente sono destinati a sviluppare resistenza. Queste sono due sotto-popolazioni di pazienti resistenti che andrebbero individuati più possibilmente in maniera precisa, con strumenti diagnostici che devono essere implementati nei servizi. Se il rilancio deve essere nell’immediato futuro anche sulla salute mentale visto i fondi che potranno arrivare, un modo per spendere bene queste risorse sarà quello di obbligarci, anche a livello formativo, a creare degli psichiatri che, fin dall’inizio, si pongano delle domande per come autovalutare anche l’esito degli interventi e l’esito delle loro diagnosi”.

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Trapianto di fegato, la terapia salvavita che passa dalla generosità.
I clinici e la politica: “Serve fare cultura sulla donazione e un referral precoce sul territorio”.

Le malattie croniche del fegato sono un’emergenza clinica e assistenziale sia a livello mondiale che nazionale. Nel caso di insufficienza epatica irreversibile il trapianto di fegato rappresenta l’opzione fondamentale salvavita. Nel percorso di cura di questi pazienti molte sono le fasi critiche: dal pre-trapianto, con attenta valutazione dell’idoneità a ricevere l’organo e inserimento in lista d’attesa; al trapianto stesso con il percorso di preparazione; alla fase post trapianto e follow-up, nella quale si monitora l’esito dell’intervento e lo stato di salute del paziente. Quest’ultima fase, che dura per tutta la vita per il paziente trapiantato, è importante perché richiede un approccio integrato ed un attento e continuo monitoraggio per la prevenzione del rischio. I nodi cruciali da affrontare sono pertanto: la necessità di sensibilizzare sulla donazione degli organi (un famigliare su tre dice no), di una rete più strutturata tra clinici e associazioni di pazienti, una rete del referral oncologico più solida e il riconoscimento dell’epatopatia nei confronti del quale anche il medico di medicina generale deve fare la sua parte.
Le cause della insufficienza epatica che porta al trapianto di fegato possono essere varie, come ad esempio le infezioni virali (Hcv/Hbu), abuso di alcol, Nash, malattie autoimmuni e malattie oncologiche. Nel 2019 i trapianti di fegato in Italia sono stati 1.302, con un aumento del 42% rispetto al 1999. I dati sulla sopravvivenza post-trapianto, che pongono l’Italia tra i primi posti in Europa, dimostrano che la rete trapianti sviluppata in Italia è molto efficace. Motore Sanità, in occasione dell’evento “Il percorso ad ostacoli del malato di fegato. Focus on Trapianto di fegato”, organizzato con la sponsorizzazione non condizionante di Alfasigma ed Intercept Pharmaceuticals, ha voluto proporre un confronto sulla riorganizzazione della rete trapianti di fegato, che possa consentire un accesso uniforme a tutti i cittadini e una successiva presa in carico efficace nella gestione delle fasi più critiche del percorso.
Ad aprire i lavori è stata Paola Binetti, Componente della XII Commissione Permanente (Igiene e Sanità) del Senato della Repubblica portando all’attenzione due temi cruciali: aumentare la cultura della donazione degli organi e potenziare la formazione del medico di medicina generale in funzione di una diagnosi precoce della malattia epatica.
“La cultura della donazione degli organi – ha spiegato la senatrice Binetti – è necessario cominciarla nelle scuole e dobbiamo anche trovare il linguaggio adatto per fare questo nel modo migliore. Quanto al medico di medicina generale l’obiettivo è continuare a sottolineare che spesso ancora oggi non è in grado di sospettare la presenza di una malattia epatica cronica. Per questo il tema della formazione del medico di medicina generale è fondamentale anche in funzione di una diagnosi precoce e per questo chiediamo al mondo sanitario di alzare il livello della sensibilizzazione alla formazione. A tale proposito, vorremmo che una parte dei fondi del PNRR vada alla medicina territoriale ma di pari passo con una positiva, concreta ed esigente elevazione della sua competenza professionale. Mi auguro che ci possa essere maggiore attenzione al territorio ma che questo non
comporti una distrazione da quello che è il sistema ospedaliero di alta specialità e che tutto questo contribuisca a migliorare davvero la qualità della sanità italiana”.
Ivan Gardini, Presidente EpaC, ex paziente sottoposto a trapianto di fegato per due volte, ha ammesso di aver usufruito di una sanità eccellente prima, durante e dopo il trapianto di fegato. Ha voluto sottolineare nel suo intervento il grande lavoro delle associazioni dei pazienti trapiantati che deve essere evidenziato di più e l’esigenza di un referral precoce. “Nel corso del tempo sono nate molte micro associazioni di pazienti trapiantati che si sono affiancate alla rete trapiantologica facendo un lavoro straordinario di accoglienza, di aiuto pratico per i pazienti e per le loro famiglie. Questa rete di associazioni rappresenta una grande risorsa divulgativa ma non viene utilizzata al 100% delle possibilità. Troppo spesso, infatti, vengono coinvolte solo in occasioni circoscritte. Si tratta, invece, di una materia che ha bisogno di una informazione continuativa, per questo sarebbe opportuno parlare di donazione di organi nei percorsi scolastici, nei canali televisivi attraverso momenti educativi ad hoc, proprio per fare cultura della donazione e per recuperare le file dei donatori con l’aiuto di testimonial. Infine, è importante utilizzare una comunicazione più efficace sul tema utilizzando parole idonee”.
Circa l’esigenza di un referral precoce, Ivan Gardini ha spiegato: “Ai nostri centralini giungono storie di persone che vengono bloccate all’interno di un ospedale o di un pronto soccorso o di una medicina interna e non vengono inviati in tempo alla valutazione di un centro trapianti, questo non solo rischia di far perdere tempo ma di fare perdere la vita stessa al paziente, in special modo i pazienti con tumore del fegato”.
La parola è poi passata ai clinici che hanno evidenziato l’attuale fase in cui ci si trova a lavorare: della qualità della vita e, soprattutto, dell’ottimizzazione dell’accesso, al quale si aggiunge un cambio epidemiologico rilevante.
“Le consolidate indicazioni al trapianto si stanno riducendo e stanno crescendo due categorie di pazienti molto complesse, gli oncologici ma anche i pazienti metabolici che possono interessare fino al 20%-25% della popolazione, quindi se si parla di prevenzione i nostri paradigmi devono cambiare assolutamente perché tutto questo avrà un impatto sull’accesso alle cure e di conseguenza sull’accesso alle ipotesi di trapianto, un impatto sui criteri di selezione che stiamo già cambiando e dovremo continuare a rendere dinamici – ha spiegato Stefano Fagiuoli, Responsabile della Gastroenterologia e del Centro Trapianti dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo “e poi avrà un impatto clamoroso sulla gestione e la sorveglianza: avremo farmaci sia oncologici che per le malattie metaboliche certamente molto più efficaci, ma non abbiano ancora dei principi e dei corretti modelli di sorveglianza in popolazioni diverse da quelle che abbiamo seguito negli ultimi anni e dobbiamo chiederci se tutto questo può avere un impatto sul decorso. C’è poi un altro aspetto cruciale: l’accesso ai centri, la rete dei centri e il percorso di follow up. Ci dimentichiamo che le reti sono faticosissime da costruire, devono avere precise regole di comunicazione anche dal punto di vista contrattuale e questo non è quasi mai esistente; parliamo di PDTA in maniera estesissima ma dimentichiamo sempre l’aspetto più critico: che devono concludersi con precisi indicatori di processo e di outcome. Il PNRR ci dà un’opportunità clamorosa ma c’è una grande problema di informatizzazione, nessuno dei nostri ospedali è in grado di dialogare reciprocamente, ma sappiamo bene che tutto parte proprio dalla capacità di comunicare”.
Francesca Romana Ponziani, Ricercatore in Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia Traslazionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha messo in evidenza l’importanza di usare una comunicazione efficace sulla donazione degli organi e la necessità di un refferal strutturato ed efficace sul territorio.
“E’ importante fare emergere le diverse necessità dei pazienti con malattie ed età diverse, quindi con storie differenti, spesso lunghe altre volte brevi, e questo si associa a vissuti familiari che condizionano la disponibilità alla donazione (in un caso su tre i famigliari dicono no), quindi tanti sforzi in più devono essere fatti soprattutto sull’informazione divulgata attraverso i media e i social e l’informazione che viene fatta tra i medici stessi, in quanto le conoscenze in questo ambito si sviluppano molto velocemente quindi è essenziale l’aggiornamento. I nostri centri dovrebbero essere migliorati dal punto della capacità di ricettività ma anche i colleghi sul territorio dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter fare un referral tempestivo in modo che il paziente possa essere seguito in maniera efficace”.


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