Le reti possono garantire accesso equo ai nuovi farmaci e corretta informazione agli ammalati
16 Dicembre 2020 – Lo scenario di innovazione tecnologica che si prospetta nei prossimi anni in molte
aree terapeutiche è senz’altro molto ricco di contenuti, che fanno ben sperare i pazienti affetti da malattie
fino a qualche anno fa a prognosi infausta, in una cronicizzazione se non addirittura in alcuni casi in
una guarigione. Un caso paradigmatico di questo evolvere è senz’altro rappresentato dall’oncologia e
dall’oncoematologia, dove lo sforzo di trovare sempre migliori armi per combattere malattie prive di
terapie efficaci e ben tollerate, è stato ed è una vera e propria lotta contro il tempo, per molti ricercatori,
per molti clinici, per molte famiglie. Basti pensare alle ultime linee di terapia del mieloma multiplo per
l’oncoematologia, con aspettativa di vita che non va oltre i 9 mesi, o al tumore ovarico che con 5.200
nuovi casi annui in Italia e circa 30mila le donne attualmente in trattamento, rappresenta il 30% di
tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile. Ma le tante speranze e la grande voglia di
innovazione devono trovare conciliazione con la sostenibilità dei sistemi sanitari che in tutto il mondo
vedono contrarsi gli investimenti attribuiti alla salute. Le reti oncologiche possono dare un grande
contributo. Per fare il punto sullo stato dell’arte in Regione Veneto, Motore Sanità ha organizzato il terzo
di tre webinar dal titolo “FOCUS VENETO: GOVERNANCE DELL’INNOVAZIONE IN ONCOLOGIA E
ONCOEMATOLOGIA”, che ha visto confrontarsi pazienti, clinici, industria e istituzioni, realizzato grazie al
contributo incondizionato di GLAXOSMITHKLINE e DAIICHI SANKYO.
“Il carcinoma ovarico è uno di quei tumori che ha avuto in questi anni, in tema di innovazione, una
accelerazione straordinaria cioè sta seguendo, seppur con ritardo, la strada della personalizzazione delle
terapie, della medicina di precisione e della necessità di un sistema organizzato in rete e team
multidisciplinarie per questo potrebbe dare nei prossimi anni grosse soddisfazioni” spiega Giovanni
Scambia, Direttore della Ginecologia Oncologica del Policlinico, Gemelli di Roma.
Ma si pongono due problemi. “In un’epoca di grande innovazione tecnologica bisogna ricordarsi che la
chirurgia è ancora l’arma fondamentale per cui dobbiamo potenziare la nostra Scuola di Chirurgica e
in questo le reti oncologiche ci possono aiutare. In secondo luogo, il tumore ovarico è l’unico tumore in
cui si può fare una chirurgia molecolarmente guidata, ovvero sulla base del dato molecolare attraverso
una chirurgia preventiva possiamo prevenire una quota di tumori ovarici che può arrivare al 15-20%.
Proprio per questo, per il tumore ovarico è importantissimo creare non più silos ma percorsi trasversali
di cura che ci consentano di allocare le risorse all’interno di reti ben predisposte anche sovraregionali”.
Le reti oncologiche possono dare anche una risposta di appropriatezza in merito al problema
dell’accesso ai farmaci innovativi e anche delle eventuali disuguaglianze da regione a regione, da
citta e città, da ospedale a ospedale per il loro accesso – spiega Pierfranco Conte, Professore ordinario
di Oncologia Medica dell’Università di Padova e Coordinatore tecnico scientifico della Rete oncologica
veneta (ROV) e Direttore UOC Oncologia Medica 2, IOV IRCCS Padova -. Si tratta di farmaci anche molto
promettenti, ma sicuramente la loro caratteristica è l’innovatività, il che significa che la stragrande
maggioranza degli oncologi che hanno a disposizione questi farmaci non li hanno mai usati, non sanno
come gestirne l’eventuale tossicità, né hanno l’idea diretta e personale di quali sono i pazienti che più hanno
probabilità di beneficiare di questi trattamenti, quindi è necessario insegnare loro come usare questi farmaci
innovativi, attraverso cioè un sistema a rete”.
In Regione Veneto, nel sistema a rete vengono individuati uno o più centri prescrittori di questi farmaci e con
l’aumentare dell’esperienza dei clinici nell’uso di questi farmaci viene ampliata ad altre realtà. Un esempio è
l’immunoterapia nel melanoma, prima riservata unicamente all’istituto oncologico veneto, si è poi ampliata
all’ospedale universitario di Verona e, in una terza fase, ai 5 Hub della rete oncologica, fino all’ampliamento
a tutte le oncologie. “Questo graduale allargamento ha garantito l’appropriatezza, salvaguardato il benessere
dei pazienti ed evitato anche diseguaglianze – prosegue Conte -. Inoltre è estremamente rilevante che
l’innovazione venga sempre trasferita è valutata nella pratica clinica, le reti oncologiche consentono di fare
anche questo e, seppur ancora in modo imperfetto, fornendo delle informazioni importanti”.
Sul fronte dei farmaci innovativi ad alto costo per curare il mieloma è già in atto una concertazione con
le aziende farmaceutiche sul prezzo “ma per incidere sulla storia naturale del mieloma e ridurre il numero di
pazienti affetti da questa malattia – spiega Mauro Krampera, Direttore UOC Ematologia e Centro Trapianto
di Midollo Osseo AOUI Verona – sicuramente bisogna tener conto anche della prevenzione primaria, quindi
cercare di ridurre l’incidenza dei nuovi casi, e poi utilizzare possibilmente terapie radicanti al posto che
terapie che tendono a cronicizzare, e vedremo se le CAR-T mantengono le promesse, e essendo tutti farmaci
ad alto costo in combinazione possono sforare il budget e la disponibilità finanziaria per cui è necessaria una
concertazione con le aziende farmaceutiche sul prezzo dei farmaci che già quello che si sta facendo”.
Chi, soprattutto in questo momento, ha la possibilità di avere una rete oncologica è privilegiato “sia per
produrre PDTA sia per raggiungere il territorio, inteso come ospedali più piccoli e cittadinanza, la quale deve
essere assolutamente informata sulle nuove possibilità terapeutiche” spiega Gianpietro Semenzato,
Coordinatore Tecnico Scientifico Rete Ematologica Veneta (REV) e Professore Ordinario di Ematologia
dell’Università di Padova. “Sulla raccolta di dati è pensabile una cabina di regia che regola in tutta Italia tutti i
pazienti che vengono trattati, ma è di difficile applicazione”.
Secondo Valentina Guarneri, Professore Associato Oncologia 2, IOV IRCCS di Padova è necessario fare un
salto in avanti culturale sulla gestione del dato “perché oggi ciò che ci paralizza sono i consensi informati,
le tante autorizzazioni “burocratiche”, abbiamo ormai dei modi di analizzare il dato per cui niente viene a violare
la privacy. Immediatamente all’esplosione della pandemia abbiamo lavorato in tempo reale e creato un protocollo
per la raccolta dei dati dei pazienti oncologici, io personalmente ho dovuto chiedere autorizzazione formale a 25
comitati etici per avere i dati di 25 centri oncologici che avevano aderito a questo processo. Tutto questo è
paralizzante nell’ottica di avere, in un momento soprattutto di emergenza sanitaria in cui si serviva avere in tempo
quasi reale i dati, questo non è accaduto in altro Paesi”.
Sull’importanza di un’informazione che sia corretta, bilanciata e aggiornata le Associazioni hanno un ruolo
importante. “Sono in prima linea – spiega Sabrina Nardi, responsabile AIL Pazienti – perché abbiamo visto quanto
l’evoluzione anche della ricerca, l’evoluzione dei saperi dei nostri ematologi progrediscano rapidamente, quindi è
importante che i pazienti abbiano punti di riferimento qualificati credibili”.
Infine, secondo Carlo Saccardi, Clinica Ginecologica Ostetrica, Università degli Studi di Padova “la vera sfida è
superare il personalismo per cercare di garantire il massimo che c’è in letteratura e quindi aumentare l’esperienza,
le possibilità di ricerca, la multidisciplinarietà e la comunicazione tra tutti i professionisti anche per migliorare
l’organizzazione, perché nei centri dove c’è grande esperienza c’è maggior organizzazione. Nei momenti di crisi
come questo, una buona organizzazione permette di non cedere sul minimo sindacale per la paziente, e in
oncologia credo che il minimo sindacale sia il massimo possibile, non si può derubricare da questo neanche in
epoca di Covid”
Image by anyaberkut