2 luglio 2021 – 93 case della comunità, 43 centrali operative territoriali e 27 ospedali di comunità: è questa la cornice pensata dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), in cui l’assistenza territoriale del Piemonte dovrà muoversi. 2milioni e mezzo i soldi a disposizione per ogni Ospedale di comunità – con un modulo tipo di 20 posti letto, 1 milione e mezzo per le Case di comunità e 150mila euro per le Centrali operative territoriali.
«Agenas, che in questo caso fa da braccio operativo del Ministero della Salute, ci ha anche informati che i 15miliardi che saranno a disposizione con la missione salute (M6) – componenti 1 e 2 – dovranno essere spesi correttamente e interamente, previo il rischio che questi soldi non vengano ristorati a livello del governo regionale e nazionale, andando ad alimentare il debito pubblico», ha precisato Mario Minola, Direttore degli Assessorati alla Sanità e alle Politiche Sociali del Piemonte, nel corso del webinar FOCUS PIEMONTE: “Verso una costituente della medicina territoriale. Un cantiere nelle varie Regioni per un nuovo modello”, promosso da Motore Sanità. «Abbiamo settembre come deadline per individuare delle localizzazioni a livello di azienda sanitaria locale di queste strutture e dicembre per andare a localizzarle fisicamente nelle località dove devono essere fatte. Questo dimostra la volontà di cambiare, rispetto a come era prima della pandemia, tenendo conto che dovremo poi anche pensare a come formare tutti i professionisti che andranno a popolare queste strutture».
Si lavora dunque per una sanità proiettata nel futuro, che deve tenere conto di quello che ci ha insegnato il Covid 19, per non farci più trovare impreparati di fronte a nuove potenziali sfide future.
Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Regionale Sanità e Assistenza Sociale, Regione Piemonte: «Non ci sono più alibi per nessuna sanità regionale: se le Regioni saranno brave potranno effettivamente mettere a sistema ottimi risultati, soprattutto per quanto riguarda la sanità territoriale. Quello che forse manca è il Piano Sanitario Nazionale, fermo al 2006-2008 e che andrebbe rimodulato, tenendo conto anche delle nuove figure professionali nate in questi ultimi 10 anni e di quella che oggi è l’assistenza sanitaria nel complesso».
Non è l’unico punto in discussione. «Siamo di fronte all’ultima occasione per rimodernare la nostra sanità, che però è gestita e declinata in modi vecchi. Mi spiace dirlo, ma a mio avviso bisognava puntare fortemente su progetti di telemedicina», ha fatto notare Carlo Picco, Direttore Generale ASL Città di Torino Regione Piemonte. «Prima che questi modelli, che devono essere ponderati bene, vengano calati dall’alto uguali a tutto il territorio – mentre noi sappiamo che i territori sono molto diversi tra loro: che le città sono diverse dalle province, dalle regioni, dalle aree montane, dalle aree peninsulari – auspico la possibilità di maggiori riflessioni, anche con i colleghi di medicina generale. Ricominciare a declinare elementi non elastici, ma percorsi obbligati per tutti, credo non sia un elemento di forza».