Beta-talassemia e emoglobinopatie: regione Emilia Romagna punta sull’innovazione e sul fare rete tra i centri di cura

Ereditare la talassemia non è una colpa, convivere con essa non è sempre semplice. Una patologia cronica ti segna profondamente in ogni aspetto di vita, la forza che ogni paziente deve ricercare consente soprattutto al giorno d’oggi di studiare, lavorare, crearsi una famiglia e vivere appieno nella società”. Sono le parole di Valentino Orlandi, presidente di “Alt” Ferrara – Associazione per la Lotta alla Talassemia Rino Vullo. Parole che ha pronunciato in occasione dell’evento “PNRR ED INNOVAZIONE. FOCUS ON BETA-TALASSEMIA ED EMOGLOBINOPATIE – EMILIA-ROMAGNA” organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di BRISTOL MYERS SQUIBB.

Innovazione, organizzazione, programmazione, attività di ricerca, telemedicina e digitalizzazione sono stati i temi affrontati, e in tutto questo la voce dei pazienti è risuonata forte e con essa i loro “desideri”. “Di talassemia non si muore, semmai si muore per le complicanze da essa derivate – ha sottolineato Valentino Orlandi -. Proseguire la migliore presa in carico di cura e la terapia trasfusionale (per questo sono da lodare  i magnifici donatori di sangue, chi li organizza come Avis, Fidas, Fratres e Croce Rossa, insieme al sistema sanitario ospedaliero regionale e Ministeriale) consentono di auspicare al veloce arruolamento per le terapie innovative che potranno migliorare le cure riducendo a chi ne avrà caratteristiche, ridurre o eliminare le trasfusioni, o guarire quando le terapie geniche saranno disponibili ed autorizzate. Pazienti e associazioni dei pazienti monitoreranno e muoveranno ogni leva politica-istituzionale per evitare lungaggini e intoppi per queste innovative opportunità di cura e guarigione. Fondamentale sarà mettere in grado i nostri centri di cura di proporre e arruolare i pazienti”.

I dati sul percorso del paziente, emersi da una analisi nazionale pubblicata come poster per l’evento ISPOR-EU del Novembre 2020, “Disease Management of Patients with B-Thalassemia in Italy: Current and Future Perspectives.” (L. Pinto, M. Assanti, F. Fiorentino, C. Panetta, F. Randon. Presented at International Society of Pharmacoeconomics an Outcomes Research-Europe (ISPOR-EU). November 16-19, 2020), delineano l’identikit del paziente con Beta-talassemia.  Il paziente deve recarsi in ospedale in media 39,5 volte all’anno; per ogni trasfusione, che avviene in media ogni 18,6 giorni, deve accedere alla struttura ospedaliera fino a 3 volte; la permanenza media in una struttura ospedaliera è di 5 ore per trasfusione; quasi la metà dei pazienti (46%) è accompagnata da un caregiver, per lo più in età lavorativa (il 73%), con un impatto negativo sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata. E ancora: il costo diretto medio per paziente con TDBT è stato stimato in 39.383 euro all’anno: il 12% relativo alla raccolta del sangue, il 43% alla terapia trasfusionale e il 45% alla terapia di chelazione del ferro. Nella fase di terapia trasfusionale, il costo più elevato è stato associato alle unità di RBC, pari a 571 euro per trasfusione, corrispondenti a 11.258 euro per paziente all’anno (PPPY). Il secondo costo diretto più rilevante è stato quello del trasporto del paziente, con un costo per trasfusione di 76 euro e un PPPY di 1.504 euro, a causa dei frequenti accessi in ospedale. I costi indiretti della raccolta del sangue hanno rappresentato circa il 9,5% dei costi totali; nella fase di raccolta del sangue, i costi indiretti sono stati pari a 1.297 euro PPPY e sono stati associati al tempo perso nel processo di donazione e nel trasporto dei donatori; nella fase di terapia trasfusionale, i costi indiretti sono stati pari a 2.453 PPPY e si riferivano al tempo perso dal paziente e dal personale di assistenza.

Daniele Marchetti, Vicepresidente della IV Commissione Politiche per la salute e Politiche sociali ha sottolineato quindi quanto sia importante in questo campo investire in innovazione. “Oggi abbiamo una possibilità straordinaria che è il PNRR, vale a dire risorse che arrivano ai territori e che bisogna assolutamente intercettare e utilizzare al meglio. In un momento di difficoltà come quello attuale, in cui i servizi sanitari regionali per eredità di questi ultimi due anni stanno vivendo forti difficoltà a livello economico, l’innovazione nelle terapie potrebbe rappresentare un vantaggio; magari un investimento su nuove tecnologie potrà avere un impatto maggiore nella fase inziale – ed è per questo che è importante intercettare le risorse del PNRR – ma sul lungo periodo potrebbe portare a dei risparmi che non significano tagli su spese mediche e terapie, ma ridurre l’ospedalizzazione o il richiamo del paziente per la terapia specifica del caso. Quindi è importante cercare di fare i conti con le difficoltà economiche mettendo in campo azioni efficaci che possano garantire cure adeguate ai nostri cittadini, e l’unico modo per farlo è puntare sull’innovazione”.

È d’accordo Antonella Grotti, Sub-commissario Sanitario Azienda Ospedaliera Universitaria Ferrara. “Sicuramente le innovazioni e il PNRR potranno supportarci sia nell’ambito dell’attività clinico-assistenziale sia nell’ambito delle innovazioni organizzative per migliorare i team multiprofessionali che al momento seguono i pazienti, così come anche tutto l’ambito della digitalizzazione, a tutto vantaggio dei clinici per migliorare la gestione del paziente, a vantaggio degli stessi pazienti che potranno non dovere più girare con materiale cartaceo. Nello stesso tempo ritengo sia un importante beneficio anche per chi si occupa di ricerca, nello specifico i data manager, che sicuramente potranno migliorare i loro livelli qualitativi”.

Luca Pinto, Principal RWS presso IQVIA, che ha presentato il tortuoso percorso del paziente talassemico, ha aggiunto: “Un sistema sanitario moderno permette l’accesso all’innovazione efficientando i propri processi assistenziali e re-investendo i benefici nelle nuove tecnologie. Questo approccio è fondamentale anche per il percorso assistenziale del paziente talassemico, caratterizzato da un alto numero di accessi alla struttura ospedaliera che impattano sulla qualità di vita dei pazienti e dei caregiver. Un’analisi condotta a livello nazionale da IQVIA Italia ha permesso di proporre un modello organizzativo per la beta-talassemia caratterizzato da 8 pilastri che consentono di individuare aree di efficienza e innovazione”.

Il modello organizzativo è stato applicato presso l’AOU di Ferrara, che è il centro HUB della rete delle talassemie dell’Emilia Romagna, con circa 200 pazienti in carico. “Dall’analisi svolta si evidenzia l’opportunità di sviluppare il case management – ha approfondito Luca Pinto -. Il case management si collega sia al DM 77 e alla Missione 6 del PNRR, sia al tema della centralità della presa in carico, sempre più presente negli atti governativi. Il case management deve essere sempre più supportato dall’efficienza dei processi e da investimenti specifici in organizzazione e competenze. Altre opportunità evidenziate dall’applicazione del modello presso l’AOU di Ferrara riguardano l’implementazione di soluzioni digitali a supporto del personale e dei pazienti e il rafforzamento di un network regionale che coinvolga strutturalmente l’associazione pazienti. Queste riflessioni pratiche potrebbero essere adottate dalle direzioni strategiche per rendere più efficienti i processi assistenziali e alimentare la sostenibilità delle innovazioni terapeutiche”.

Sulle nuove cure ha parlato, infine, Filomena Longo, Direttore Day hospital della Talassemia e delle Emoglobinopatie dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara – Nuovo Ospedale S. Anna, Sede di Cona. “Negli ultimi anni si sta assistendo all’accelerazione degli studi sperimentali di terapia genica per la talassemia, e si auspica che nel giro di qualche anno possano aprirsi nuovi orizzonti di cura per queste patologie. Da poco si è reso disponibile nella pratica clinica un farmaco per la modulazione delle eritropoiesi che permetterà ai pazienti trasfusione-dipendenti una riduzione significativa dell’apporto trasfusionali con ripercussioni positive rispetto all’accumulo di ferro, la riduzione degli accessi trasfusionali e di conseguenza un miglioramento e della qualità di vita”. Poi la professoressa Longo ha sottolineato l’importanza di condividere esperienze e di fare rete. “L’esperienza dei centri di riferimento come Ferrara, che hanno partecipato attivamente ai trials registrativi, così come in tutti gli altri campi che riguardano le terapie per queste patologie, deve essere messa a disposizione, in quanto centro di riferimento anche per i centri periferici che hanno in carico questo tipo di pazienti. È molto importante fare rete e l’Emilia Romagna rappresenta un modello Hub & Spoke, unico in Italia per queste patologie, che può ottimizzare la collaborazione tra centri allo scopo di applicare protocolli di cura omogenei e condividere l’esperienza pluriennale nel campo delle talassemie e delle emoglobinopatie. È dunque importante valorizzare i centri di riferimento come Ferrara e continuare a supportare l’adeguatezza numerica del team, gli spazi e l’organizzazione”. 

I NUMERI DELLA BETA-TALASSEMIA E DELLE MIELODISPLASIE

La talassemia, anche chiamata “anemia mediterranea”, fa parte di un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da un difetto di produzione delle catene proteiche (globine) che formano l’emoglobina. La forma di talassemia più diffusa in Italia è la β-talassemia, nella quale si ha un difetto della produzione delle catene beta, geneticamente trasmesso come carattere autosomico recessivo.

In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500; i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutto il resto della penisola.

Le mielodisplasie, causate da un difetto della cellula staminale del midollo osseo che produce globuli rossi, bianchi e piastrine, ogni anno fanno segnare un’incidenza di 3.000 nuovi casi in Italia. I sintomi compaiono già nei primi mesi di vita e se non si interviene con adeguate terapie le conseguenze possono essere deformazioni ossee, ingrossamento di milza e fegato, problemi di crescita, complicazioni epatiche, endocrine e cardiovascolari. Fino a 50 anni fa l’aspettativa di vita era di 10-15 anni, ma grazie ai risultati della ricerca questa è nettamente migliorata. In entrambe le patologie la sopravvivenza dei pazienti oggi prevede, oltre a regimi dietetici particolari, trasfusioni ogni 2-3 settimane e assunzione quotidiana di terapia ferrochelante, che eviti i danni da accumulo/intossicazione di ferro in organi vitali (cuore, fegato e pancreas).

Le patologie che comportano anemia severa e trasfusione-dipendenza, come la beta-talassemia e le mielodisplasie, oltre a condizionare pesantemente la qualità della vita dei pazienti che ne sono affetti, hanno purtroppo un impatto rilevante anche sulla loro aspettativa di vita.

Grazie alla disponibilità di cure appropriate, negli ultimi decenni, l’aspettativa di vita dei pazienti è significativamente aumentata fino a superare i 50 anni. Grazie ai programmi di prevenzione è possibile inoltre identificare le coppie di portatori sani a rischio di trasmettere la talassemia ai figli e offrire la possibilità di effettuare la diagnostica prenatale. L’unica terapia curativa per la beta talassemia approvata ad oggi è il trapianto di cellule staminali, che però è riservato ad una minoranza di pazienti che dispongono di donatore compatibile.

Legge Gelli-Bianco, servono decreti attuativi per definire responsabilità e ruoli degli attori del sistema sanitario

Torino, 11 ottobre 2022 ACOP – Associazione Coordinamento Ospedalità Privata mette attorno ad un tavolo le istituzioni e il mondo assicurativo per sciogliere i nodi della responsabilità professionale in campo sanitario. Presso la sede del Consiglio della Regione Piemonte si è tenuto il convegno organizzato da ACOP in collaborazione con Motore Sanità, dal titolo “La Legge Gelli- Bianco: il ruolo e le responsabilità nell’ambito dell’ospedalità privata in Piemonte” per discutere su cosa è e sta cambiando con la Legge Gelli-Bianco e quale siano le responsabilità e le azioni in obbligo anche alle strutture private.

Uno studio condotto dall’Ordine dei medici di Roma ha evidenziato come il 78% dei medici italiani ritiene di ricorrere un rischio di procedimenti giudiziari e pertanto di subire una pressione indebita nella propria attività quotidiana; il 53% dichiara di prescrivere farmaci per ragioni di medicina difensiva e mediamente il 13% delle prescrizioni di tutte le prescrizioni farmaceutiche sono legate alla medicina difensiva, come lo sono il 21% delle prestazioni specialistiche, delle visite ambulatoriali, il 21% degli esami di laboratorio e l’11% dei ricoveri. Altro dato. Dall’ultima rilevazione fatta da Agenas emerge che nel 2020 l’indice di sinistrosità – sinistri per 10.000 ricoveri – in Piemonte è del 12,3 a fronte di una media nazionale del 19,6. La variabilità regionale è elevata andando da 39,2 per il Molise all’8,2 della Regione Liguria. Le denunce sono abbastanza costanti dal 2016 al 2021: erano 736 nel 2016, 731 nel 2017, 666 nel 2018, 594 nel 2019, 649 nel 2020 e 732 nel 2021. “La Regione Piemonte paga oltre 24 milioni di premio all’anno per le sue strutture sanitarie. È una cifra importantissima. Un decreto attuativo che definisca correttamente responsabilità e ruoli è oggi quanto mai necessario dopo l’esperienza Covid che ha visto esplodere questi fenomeni, altrimenti si sviluppano dei malfunzionamenti quali la medicina difensiva da parte dei medici e anche l’incremento delle polizze assicurative – ha spiegato Luigi Genesio Icardi, Assessore alla Sanità Regione Piemonte -. La legge Gelli-Bianco ha avuto il grandissimo vantaggio di creare uno strumento normativo chiaro che ha ridefinito in modo puntuale e preciso le responsabilità dei vari soggetti, da una parte quella extracontrattuale del medico, dall’altra quella contrattuale della struttura che oggi paga il prezzo più pesante”.

Michele Vietti, Presidente di ACOP (Associazione Coordinamento Ospedalità Privata) con queste parole ha messo nero su bianco cosa c’è da fare. “Quando si verifica un evento avverso è necessario da un lato mettere in sicurezza i professionisti e dall’altro tutelare i pazienti, garantendo il ristoro delle sofferenze patite, siano queste dirette o indirette. Ciò può senz’altro avvenire attraverso la copertura assicurativa del rischio oppure in autogestione. Non è giusto, però, scaricare sulla struttura sanitaria responsabilità proporzionate al rischio reale e assicurabile”. Secondo il Presidente Vietti, “la legge Gelli Bianco del 2017 segna un punto di riordino dell’intero sistema della responsabilità medica, razionalizzando una giurisprudenza troppo altalenante ma occorre tener presente nel bilanciamento degli interessi anche quello dell’ospedalità. A distanza di più di cinque anni dalla legge, è arrivato l’attesissimo decreto attuativo, che resta però sospeso dal Consiglio di Stato. Nella sostanza tale decreto impone, tra l’altro, l’obbligo assicurativo per le strutture sanitarie, prendendo atto della crescente diffusione delle “analoghe misure” alternative alla polizza assicurativa, cui viene conferita una regolamentazione più rigorosa, per evitarne gli abusi finora utilizzati. Per rendere il sistema virtuoso, è necessario però uno sforzo sinergico di gestione del rischio, per dare reale sostenibilità ad una sanità responsabile”.

La Legge n. 24 del 2017 – è intervenuto Amedeo Bianco, già Senatore XVII Legislatura Senato della Repubblica – conclude l’iter di un provvedimento legislativo, di iniziativa parlamentare, apertosi alla Camera nel 2013. Un processo lungo e travagliato in ragione degli ambiziosi obiettivi che si era posto il disegno riformatore. Non si trattava infatti di aggiungere un nuovo pezzo al mosaico in tema di rischio clinico, sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria così come fatto da plurimi interventi legislativi precedenti, ma di mettere “a sistema” un impianto ordinamentale che, fermo restando la tutela della salute individuale e collettiva desse risposte concrete e praticabili a punti di crisi quale l’aumento del contenzioso sanitario, le pratiche professionali difensive, la fuga delle assicurazioni, la frammentazione delle culture dei modelli di rilevazione e gestione del rischio specifico ramo di attività, la frammentazione delle culture e dei modelli di gestione del rischio clinico, l’ondivaga interpretazione giurisprudenziale delle norme civili e penali, infine l’esorbitante costo economico che esplodeva la cosiddetta malasanità. Questo insieme di fattori costituiva allora come oggi una complessità forse non superabile ma certamente da poter e dover governare meglio riposizionando diritti e tutele, doveri e opportunità, culture e prassi di tutti gli attori del sistema. La Legge qualifica la sicurezza delle cure quale “parte costitutiva del diritto alla tutela della salute…” e individua misure che intervengono in modo sistemico su tutti i determinanti del complesso fenomeno”.

“In Piemonte i costi dei premi Rc dei soli ospedali pubblici sono di circa 24 milioni di euro, cui si aggiungono i costi dei risarcimenti liquidati, un valore altissimo, risorse tolte alla cura dei pazienti. Doverosi sono i risarcimenti per gli effettivi danni da malpratica medica, ma invece le migliaia di richieste di piccoli risarcimenti del tutto ingiustificati comportano un gravissimo danno all’economia della sanità piemontese, sia pubblica sia privata. Ma esiste una sanità privata? No, se non in piccolissima parte, perché la sanità è pubblica: con capitale pubblico nel caso degli ospedali e a capitale privato nel caso delle strutture accreditate. Le strutture sanitarie private non erogano prestazioni ai ricchi come pensano erroneamente alcuni, ma a tutti e anche alle persone decisamente non abbienti” ha spiegato Letizia Baracchi, Presidente ACOP Piemonte (Associazione Coordinamento Ospedalità Privata).

“La riforma Gelli-Bianco è andata a ridisegnare considerevolmente molti aspetti in tema di responsabilità medico professionali – ha spiegato Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità di Regione Piemonte -. Con questa legge viene stabilito che l’esercente professione sanitaria non sarà ritenuto penalmente responsabile per imperizia se dimostra di aver seguito le raccomandazioni previste dalle linee guida, o in mancanza di queste, le buone pratiche clinico- assistenziali. Un passo importante per la pubblica amministrazione a fronte di un passato in cui troppi medici, per tutelarsi, erano costretti a fare enorme ricorso alla medicina difensiva, impattando sul paziente, che vedeva allungati i tempi di cura, sia della sanità, che doveva sopportare una spesa notevole”.

“La legge 24/2017 ha rappresentato sicuramente una tappa fondamentale nei sistemi di gestione del rischio sanitario – ha concluso Franco Ripa, Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio Sanitaria e Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte -. Uno degli elementi caratterizzante disciplina è il rilievo attribuito alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle linee guida, il rispetto delle quali diviene fondamentale sotto vari punti di vista e assume un peso specifico nella definizione delle responsabilità del personale sanitario. In tale ambito è peraltro opportuno arricchire ulteriormente i contenuti applicativi della Legge, in quanto l’elevata complessità delle problematiche sottese all’assicurazione in ambito sanitario da un lato e la scelta di far coesistere quest’ultima con le misure alternative alla stessa richiedono azioni attentamente congegnate. Peraltro è anche fondamentale che il sistema non perda di vista il miglioramento continuo della qualità clinica ed assistenziale, finalità prioritaria per ogni organizzazione sanitaria in ambito pubblico e privato”.

Psoriasi: i pazienti chiedono a gran voce equità di accesso alle terapie

“Tra le maggiori criticità, in primis, l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento, nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative”.

7 ottobre 2022 – La psoriasi è una malattia infiammatoria della pelle, non contagiosa, autoimmune, genetica e recidiva. Solo in Italia – secondo le più recenti stime del CliCon Economics & Outcomes Research – ne soffrono 1,4 milioni di pazienti, dei quali circa 34mila in cura con farmaci biologici (il 4%).

Si è parlato di questo, e di molti altri aspetti ancora, nel corso dell’evento “PSORIASI – IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE? – Lombardia”, promosso da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di UCB Pharma.

Così Valeria Corazza, Presidente APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza): “A peggiorare ulteriormente un quadro che – da paziente – non esito a definire devastante (anche in considerazione del vissuto emotivo di chi soffre di psoriasi, una dimensione troppo spesso sottovalutata, quando non del tutto ignorata), concorrono altri due elementi connaturati alla patologia: la cronicità e la multifattorialità. In quanto malattia cronica, la psoriasi richiede un’assistenza continua e permanente, una condizione che evidentemente deteriora la qualità della vita di chi ne soffre; in quanto malattia multifattoriale è spesso accompagnata da comorbidità, ossia dalla presenza contemporanea di altre patologie, e segnatamente: 1 nel 33% dei pazienti psoriasici, 2 nel 19%, 3 nell’8%. È chiaro che il paziente deve avere, da subito, una presa in carico multidisciplinare. Curare, prontamente, le comorbidità significa potere avere una buona Qol e risparmiare sui costi a lungo termine. Eppure, è proprio su questa opportunità che si registrano le maggiori criticità, in primis l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative: si può parlare di Pasi 90/100, posizioni e argomenti che Motore Sanità pone meritoriamente al centro del dibattito”.

PASI 100 è il vero obiettivo attuale da portare ai nostri pazienti”, conferma Antonio Costanzo, Professore Ordinario Dermatologia, Direttore della Scuola di Specializzazione di Dermatologia, Direttore del Laboratorio di Patologia Cutanea presso Humanitas University, Membro del Consiglio European Dermatology Forum, Responsabile Unità Operativa IRCCS Humanitas, Milano: “In questo momento però iniziamo ad avere armi e conoscenze in grado di andare anche oltre questo punto, cioè modificare la storia naturale della malattia portando il sistema immunitario a “dimenticarsi” della malattia stessa. Cioè curare la malattia e garantire un’assenza di sintomi anche anni dopo aver concluso la terapia”.

Le aspettative dei nostri pazienti sono molto alte, ma oggi siamo in grado di dare una risposta concreta a queste aspettative, grazie ai nuovi farmaci innovativi”, ha detto Piergiorgio Malagoli,

Dermatologo e Direttore Psocare Unit Gruppo San Donato, Milano. “Inoltre l’approccio al paziente con psoriasi è sempre più personalizzata”.

Quanto ai costi Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza sottolinea che: “È evidente che stiamo vivendo un momento di innovazione; quindi per riuscire a prevedere con precisione la spesa futura bisogna tenere conto anche dell’evoluzione farmacologica futura. Perché quando compriamo farmaci non stiamo comprando delle scatolette, ma stiamo comprando degli outcome del paziente, quindi non si può semplicemente comprare il farmaco meno costoso sul mercato”.

La psoriasi è una patologia rilevante dal punto di vista clinico, sociale e sanitario e, nonostante questa rilevanza, ci sono dei passi in avanti che bisogna fare in termini di politica Italia”, evidenzia Tonino Aceti, Presidente di Salutequità, Roma. “Oggi abbiamo un atto che è molto importante, il piano nazionale della cronicità che deve essere ammodernato alla luce della pandemia Covid, del PNRR e di tutte le novità avvenute dal 2016 in avanti e alla luce delle patologie specifiche che saranno oggetto del modello. Chiediamo pertanto l’inserimento della psoriasi nel piano nazionale della cronicità, che il piano stesso venga finanziato, si chiede altresì un suo ammodernamento generale e la sua attuazione su tutto il territorio nazionale in attesa che il PNRR sviluppi tutti i suoi effetti e ci vorranno anni. Accanto a questo è importante ragionare anche sull’aggiornamento delle linee guida della psoriasi, lavorare a un percorso diagnostico terapeutico assistenziale e garantire equità accesso alle terapie che sappiamo essere terapie molto importanti. Il tema delle terapie, come il tema della diagnosi e della presa in carico si scontra nel nostro Paese con il tema dell’equità di accesso e quindi anche questo è sicuramente un elemento importante sul quale dovremmo tutti impegnarci”.

Questa tipologia di patologia deve vedere una risposta del SSR in termini di rete” chiosa Marco Fumagalli, Componente III Commissione Sanità Regione Lombardia. “Questa malattia, che si può e si deve curare specialmente sul territorio e non negli ospedali, richiede una forte e strutturata medicina territoriale. Con il PNRR sono previste nuove strutture per il territorio; bisognerà però trasformare questi luoghi anche in luoghi dove fare cultura, informazione e prevenzione con un supporto psicologico in grado di accompagnare il decorso della patologia del paziente; tutto questo però dovrà essere ben integrato con la medicina specialistica e ospedaliera”.

Siamo una regione all’avanguardia, non ci vogliamo fermare e vogliamo fare sempre meglio, cercando di portare il meglio sul territorio nazionale”, afferma Franco Lucente, Componente III Commissione Sanità Regione Lombardia.

Giovanni Ceccarelli, Dirigente Medico I livello ASST GOM Niguarda – Project Manager PDTA presso Direzione Generale Welfare U.O Polo Ospedaliero, ha parlato dei PDTA con queste parole: “La Regione ha già fatto molto per questa patologia attraverso la delibera regionale dell’ottobre 2019. Questa delibera è stata naturalmente il primo passo, ora stiamo lavorando su un’azione correttiva volta a creare e attivare una rete specifica di patologia e produrre e implementare un PDTA regionale”.

Nel corso dell’evento Federica Pieri, Responsabile Unità Operativa Farmacia Ospedaliera Gruppo San Donato, è intervenuta a proposito della multi professionalità dell’approccio terapeutico come aspetto fondamentale, approccio in cui anche il farmacista ha un ruolo. “Noi farmacisti siamo contenti quando alcuni farmaci vengono distribuiti in maniera diretta, ma il rapporto con il farmacista deve essere mantenuto per il suo ruolo in farmacovigilanza e nel

rapporto con il paziente per l’aderenza”, ha chiosato. “Si dovrebbe quindi pensare anche a un rapporto di telefarmacia: con il farmaco che viene distribuito in maniera diretta, ma si porta a domicilio anche il rapporto con il farmacista”.

La distribuzione dei farmaci è un aspetto fondamentale. Stiamo affrontando un deficit di personale all’interno delle unità operative molto importante, quindi non servono solo nuovi spazi dove fare prevenzione e presa in carico, ma servono anche le figure professionali necessarie a tutto questo”, conclude Davide Strippoli, Delegato Regionale ADOI Regione Lombardia (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani e della Sanità Pubblica). “Il sistema HUB & Spoke è molto importante per canalizzare i pazienti più gravi e gestire le loro comorbilità, quindi anche in un sistema territoriale potenziato bisognerà mantenere e integrare il sistema attuale basato sui centri di cura”.