Pollenzo, 15 febbraio 2022 – La diagnostica di primo livello deve essere effettuata all’interno del territorio, anche per non intasare gli ambulatori ospedalieri che dovrebbero effettuare per lo più la diagnostica di secondo livello, cioè quando al paziente è già stata diagnosticata una malattia che necessita di ulteriore approfondimento e cure complesse. Per fare una diagnostica di primo livello territoriale, bisogna aumentare le competenze del personale infermieristico e dei medici di famiglia in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei. Naturalmente è necessaria una progettualità nazionale e regionale, che vada dalla formazione alla compilazione integrata di protocolli di uso della diagnostica e della tecnologia attuale e futura, sempre più orientata anche ad un uso extra ospedaliero.
Se ne parla alla Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanità, nella sessione: “Distinzione tra diagnostica di 1° e 2° livello, home care di alta complessità e offerte integrate”. Un evento in collaborazione con l’Università degli Studi degli Studi di Scienze Gastronomiche, di alto profilo in ambito sanitario, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute.
Le patologie croniche sono in costante aumento sia a livello nazionale che internazionale e rappresentano una sfida per la sostenibilità dei sistemi sanitari di tutto il mondo. Ad oggi in Italia 25 milioni di persone sono affette da patologie croniche, le quali rendono conto di una spesa pari a circa il 70% delle risorse sanitarie complessive. Il Ministero della Salute ha emanato nel 2016 il PNC (Piano Nazionale Cronicità) e nel 2017, con le delibere X/6164 e X/6551, Regione Lombardia ha cercato di dare una propria risposta al problema creando un modello di presa in carico della cronicità (PIC) che potesse far fronte alla frammentazione dell’offerta e fornire un’unica regia al percorso di cura del paziente con l’obiettivo finale di incrementare la continuità del percorso di cura e l’appropriatezza. Ivan Carrara, Medico di Medicina Generale spiega i risultati ottenuti a partire da gennaio 2018:
“Un primo dato degno di nota è che, su circa 3 milioni di pazienti cronici in Lombardia, solamente lo 0.45% ha ricevuto un PAI da clinical manager afferente a strutture pubbliche o private, mentre la maggioranza si è rivolta al proprio medico di famiglia per essere inserito nel percorso della PIC, testimoniando una volta di più l’importanza del rapporto di fiducia. La cooperativa di medici di medicina generale di cui faccio parte, Iniziativa Medica Lombarda, rientra tra i gestori individuati da Regione e i suoi soci hanno arruolato ad oggi quasi 80.000 pazienti. Un altro punto molto importante è che questo modello, che come detto, non è privo di limiti e criticità, si è dimostrato capace di ridurre i ricoveri ospedalieri e gli accessi in pronto soccorso nei pazienti presi in carico rispetto a quelli non arruolati (cfr. Agenas 16.12.20)”. E poi Ivan Cararra conclude: “Questi risultati incoraggianti, sebbene precoci vista la prospettiva temporale limitata, suggeriscono l’opportunità di insistere su un modello di questo tipo, che può portare benefici di salute alla popolazione e un conseguente risparmio di risorse per tutto il sistema. Il passo successivo ritengo sia quello di tentare di potenziare il modello affinché la PIC possa diventare uno strumento di lavoro non soltanto organizzativo, ma possa arricchirsi di una dimensione maggiormente assistenziale e clinica, al fine di ottenere un impatto ancora più significativo nella gestione dei pazienti affetti da patologie croniche”.
Intervengono sul tema anche Carlo Picco, Direttore Generale dell’ASL Città di Torino e Francesco Locati, Direttore Generale ASST Bergamo Est:
“Lo scenario attuale fa intravedere l’evento pandemico come uno spartiacque tra una sanità territoriale gestita in maniera piuttosto arcaica e burocratica e la possibilità di costruire un modello in cui le professionalità si appoggiano alla tecnologia. Il dirigere un’ASL che ha in pancia tutti i setting assistenziale, dall’ospedale Dea di secondo livello al poliambulatorio più periferico, permette di fare un ragionamento di razionalizzazione della rete di offerta di diagnostica completo, con una regia centrale, e che veramente potrebbe costituire un laboratorio unico in Italia – spiega Carlo Picco -. La vera sfida del territorio sarà la telemedicina, non intesa come rapporto diretto tra sanitario e paziente, ma come presa in carico di tutta la cronicità aziendale con un sistema di filtri e automatismi ‘laici’ che permetta ai sanitari l’intervento più appropriato stratificando in tempo reale il bisogno. In questo senso cogliamo lo stimolo del PNR nel suo aspetto, a nostro avviso più originale, quello della Cot declinandolo però secondo le nostre esigenze di grande area metropolitana”.
“L’integrazione delle cure, intesa come l’insieme di tecniche e modelli organizzativi che creano le condizioni per il collegamento, l’allineamento e la collaborazione all’interno dei settori in cui si articola l’offerta dei servizi sanitari, rappresenta il gold standard degli attuali sistemi – spiega Francesco Locati -. Ciò presuppone una forte motivazione da parte dei professionisti a mettere in gioco le proprie competenze in vista di risultati tangibili. I PDTA sviluppati in questi anni sono l’elemento di conoscenza basilare cui ispirare l’azione degli operatori dei servizi e derivarne specifici indicatori di buon esito. La Winter School in questo senso agisce da paradigma di questa nuova visione al passo con i tempi”.