Malattie croniche: sul territorio si disegna il nuovo volto della medicina che risponde alle esigenze di salute

Pollenzo, 15 febbraio 2022 – La diagnostica di primo livello deve essere effettuata all’interno del territorio, anche per non intasare gli ambulatori ospedalieri che dovrebbero effettuare per lo più la diagnostica di secondo livello, cioè quando al paziente è già stata diagnosticata una malattia che necessita di ulteriore approfondimento e cure complesse. Per fare una diagnostica di primo livello territoriale, bisogna aumentare le competenze del personale infermieristico e dei medici di famiglia in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei. Naturalmente è necessaria una progettualità nazionale e regionale, che vada dalla formazione alla compilazione integrata di protocolli di uso della diagnostica e della tecnologia attuale e futura, sempre più orientata anche ad un uso extra ospedaliero. 
Se ne parla alla Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanità, nella sessione: “Distinzione tra diagnostica di 1° e 2° livello, home care di alta complessità e offerte integrate”. Un evento in collaborazione con l’Università degli Studi degli Studi di Scienze Gastronomiche, di alto profilo in ambito sanitario, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute
Le patologie croniche sono in costante aumento sia a livello nazionale che internazionale e rappresentano una sfida per la sostenibilità dei sistemi sanitari di tutto il mondo. Ad oggi in Italia 25 milioni di persone sono affette da patologie croniche, le quali rendono conto di una spesa pari a circa il 70% delle risorse sanitarie complessive. Il Ministero della Salute ha emanato nel 2016 il PNC (Piano Nazionale Cronicità) e nel 2017, con le delibere X/6164 e X/6551, Regione Lombardia ha cercato di dare una propria risposta al problema creando un modello di presa in carico della cronicità (PIC) che potesse far fronte alla frammentazione dell’offerta e fornire un’unica regia al percorso di cura del paziente con l’obiettivo finale di incrementare la continuità del percorso di cura e l’appropriatezza. Ivan Carrara, Medico di Medicina Generale spiega i risultati ottenuti a partire da gennaio 2018: 
“Un primo dato degno di nota è che, su circa 3 milioni di pazienti cronici in Lombardia, solamente lo 0.45% ha ricevuto un PAI da clinical manager afferente a strutture pubbliche o private, mentre la maggioranza si è rivolta al proprio medico di famiglia per essere inserito nel percorso della PIC, testimoniando una volta di più l’importanza del rapporto di fiducia. La cooperativa di medici di medicina generale di cui faccio parte, Iniziativa Medica Lombarda, rientra tra i gestori individuati da Regione e i suoi soci hanno arruolato ad oggi quasi 80.000 pazienti. Un altro punto molto importante è che questo modello, che come detto, non è privo di limiti e criticità, si è dimostrato capace di ridurre i ricoveri ospedalieri e gli accessi in pronto soccorso nei pazienti presi in carico rispetto a quelli non arruolati (cfr. Agenas 16.12.20)”. E poi Ivan Cararra conclude: “Questi risultati incoraggianti, sebbene precoci vista la prospettiva temporale limitata, suggeriscono l’opportunità di insistere su un modello di questo tipo, che può portare benefici di salute alla popolazione e un conseguente risparmio di risorse per tutto il sistema. Il passo successivo ritengo sia quello di tentare di potenziare il modello affinché la PIC possa diventare uno strumento di lavoro non soltanto organizzativo, ma possa arricchirsi di una dimensione maggiormente assistenziale e clinica, al fine di ottenere un impatto ancora più significativo nella gestione dei pazienti affetti da patologie croniche”

Intervengono sul tema anche Carlo Picco, Direttore Generale dell’ASL Città di Torino e Francesco Locati, Direttore Generale ASST Bergamo Est:
“Lo scenario attuale fa intravedere l’evento pandemico come uno spartiacque tra una sanità territoriale gestita in maniera piuttosto arcaica e burocratica e la possibilità di costruire un modello in cui le professionalità si appoggiano alla tecnologia. Il dirigere un’ASL che ha in pancia tutti i setting assistenziale, dall’ospedale Dea di secondo livello al poliambulatorio più periferico, permette di fare un ragionamento di razionalizzazione della rete di offerta di diagnostica completo, con una regia centrale, e che veramente potrebbe costituire un laboratorio unico in Italia – spiega Carlo Picco -. La vera sfida del territorio sarà la telemedicina, non intesa come rapporto diretto tra sanitario e paziente, ma come presa in carico di tutta la cronicità aziendale con un sistema di filtri e automatismi ‘laici’ che permetta ai sanitari l’intervento più appropriato stratificando in tempo reale il bisogno. In questo senso cogliamo lo stimolo del PNR nel suo aspetto, a nostro avviso più originale, quello della Cot declinandolo però secondo le nostre esigenze di grande area metropolitana”

“L’integrazione delle cure, intesa come l’insieme di tecniche e modelli organizzativi che creano le condizioni per il collegamento, l’allineamento e la collaborazione all’interno dei settori in cui si articola l’offerta dei servizi sanitari, rappresenta il gold standard degli attuali sistemi – spiega Francesco Locati -. Ciò presuppone una forte motivazione da parte dei professionisti a mettere in gioco le proprie competenze in vista di risultati tangibili. I PDTA sviluppati in questi anni sono l’elemento di conoscenza basilare cui ispirare l’azione degli operatori dei servizi e derivarne specifici indicatori di buon esito. La Winter School in questo senso agisce da paradigma di questa nuova visione al passo con i tempi”

Epatite C, la grande sfida è assicurare l’accesso al trattamento con i nuovi farmaci

Pollenzo, 15 febbraio 2022 – Alla Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanità – evento in collaborazione con l’Università degli Studi degli Studi di Scienze Gastronomiche, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute – nella sessione “Distinzione tra diagnostica di 1° e 2° livello, home care di alta complessità di offerte integrate”, viene affrontato anche il tema dell’HCV ed epatopatie, con Francesco De Rosa, Professore Malattie Infettive – Direttore AOU Città della Salute e Scienza – Presidio Molinette – Torino – Ospedale Cardinal Massaia, Asti. 
“Un percorso critico ma costruttivo non può che contribuire ad una migliore conoscenza dei percorsi virtuosi necessari alla miglior gestione della patologia, per un trasferimento dal livello di consapevolezza degli specialisti a quello dei medici di base, attraverso un’informazione globale, tridimensionale, ma anche schematica e capillare”.

Lo scenario è così presentato. La diagnosi ed il miglioramento del percorso di cura dell’epatite causata dal virus HCV (epatite C) hanno rappresentato un vero esempio di come ricerca scientifica, organizzazione, spinta farmaceutica, innovazione, sostenibilità del sistema, accesso alle cure e determinazione del prezzo hanno permesso il costante miglioramento delle terapie e del relativo successo in un Market Access complesso e frammentato. La politica del Farmaco e la disponibilità dell’accesso alle cure nel Sistema sanitario nazionale sono elementi oggi strutturali nella risposta del Sistema, sia esso nazionale o regionale. Le diverse regioni hanno impostato o tentato di impostare una filiera applicativa e di controllo sullo screening dei potenziali soggetti malati, sull’uso di tali cure attraverso la valutazione delle terapie tramite HTA, la stima dei pazienti eleggibili, la programmazione delle terapie e il monitoraggio dei risultati nei casi trattati. Il successo globale nella cura dell’epatite C ha rappresentato un paradigma della ricerca biomedica, in primis per i farmaci innovativi con grande efficacia terapeutica, che hanno peraltro determinato un importante impatto economico con criticità per la sostenibilità, da un lato per il notevole numero di pazienti da trattare e dall’altro a causa della limitata disponibilità di risorse impiegate, in uno scenario peraltro in rapida evoluzione per la sequenza temporale di nuove molecole che di volta in volta sono comparse sul mercato e per le strategie, complesse e talvolta troppo confidenziali, di negoziazione dei farmaci. Di conseguenza, seppur in un progressivo reclutamento dei pazienti affetti da Epatite C secondo i criteri AIFA, le realtà regionali non hanno sempre potuto omogeneamente assicurare l’accesso al trattamento coi nuovi farmaci per l’Epatite C. 

In Italia mancano più di 60mila infermieri: 27mila al Nord, 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole. FNOPI: “Garantire autonomia, investire in competenze, promuovere il merito e riconoscere i risultati”

Pollenzo, 15 febbraio 2022 – In Italia occorre con coraggio affrontare e risolvere la questione infermieristica: rispetto alla media dei Paesi europei, e riferendoci alla popolazione nel suo complesso, l’Italia presenta un gap di –3,93 infermieri ogni 1.000 abitanti, soprattutto rispetto al fabbisogno per le fasce più anziane (e in crescita) della popolazione perché nel paese si registra un tasso molto inferiore alla media europea”. L’appello arriva forte e chiaro da FNOPI, la Federazione nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche, alla Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanità – evento in collaborazione con l’Università degli Studi degli Studi di Scienze Gastronomiche, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute – durante la sessione intitolata “Distinzione tra diagnostica di 1° e 2° livello, home care di alta complessità e offerte integrate – La normativa sui futuri ruoli del personale non medico nel territorio”.

I dati sono allarmanti e devono spingere ad un cambiamento organizzativo. Nel 2018 in Italia operano 5,5 infermieri per 1.000 abitanti contro i 7,8 del Regno Unito, i 10,8 della Francia ed i 13,2 della Germania. Solo la Spagna si attesta a un tasso simile a quello italiano, pari a 5,8 ogni 1.000 abitanti. Alla luce di questi dati, per adempiere agli obiettivi di riorganizzazione dell’assistenza territoriale in Italia mancano oltre 60mila con una suddivisione su base regionale pari a 27mila al Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole.
Secondo FNOPI, le proposte a breve, medio e lungo termine per far fronte alla carenza di infermieri sono: la possibilità di aumentare il numero di docenti-infermieri nelle università (oggi ce n’è uno ogni 1.350 studenti contro uno ogni sei di altre discipline) per poter poi incrementare con la giusta qualità il numero di infermieri la cui carenza è ormai un allarme sotto gli occhi di tutti; la previsione di una valorizzazione economica e organizzativa delle competenze specialistiche degli infermieri introducendo corsi di laurea magistrale ad indirizzo specialistico professionale e sviluppare le competenze digitali per supportare l’innovazione dei modelli di servizio; promuovere una cultura diffusa della ricerca clinica; il superamento del vincolo di esclusività che oggi lega l’infermiere nel rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico.
“La valorizzazione del personale è una condizione indispensabile per accompagnare i grandi processi di innovazione del Servizio sanitario nazionale così da rispondere ai nuovi fabbisogni di salute, all’evoluzione demografica e sociale, alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie, agli shock come quello dell’epidemia di Covid-19 – spiega Carmelo Gagliano, Componente Comitato Centrale FNOPI -. In un contesto professionale è necessario far leva sulla motivazione dei professionisti, garantire l’autonomia e l’esercizio della responsabilità, investire sullo sviluppo delle competenze, promuovere il merito e riconoscere i risultati”.

Il tema del rafforzamento dei servizi sanitari e sociali in ambito territoriale è da tempo agli onori della cronaca e oggi reso inevitabilmente cogente e prioritario dalla pandemia sanitaria che tutto il mondo si trova ad affrontare. Numerose sono le iniziative legislative in materia di riordino dei modelli e standard per l’implementazione e riorganizzazione dell’assistenza territoriale che in ordine cronologico vedono: il D.M.2 aprile 2015 n. 70 Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera; il DPCM 12/01/2017 Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. laddove all’art. 22 disciplina l’organizzazione del servizio di “Cure domiciliari”; intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131 adottato in data 04 agosto 2021 sul documento recante “Proposta di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’autorizzazione all’esercizio e requisiti ulteriori per l’accreditamento delle cure domiciliari, in attuazione dell’articolo 1, comma 406, della legge 30 dicembre 2020, n. 178”; la legge 17/07/2020 n. 77  quale conversione del D.L. n. 34/2020 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” con la quale si identifica la figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità  un professionista che opera sul territorio ed ha un forte orientamento alla gestione proattiva della salute e opera rispondendo ai bisogni di salute della popolazione di uno specifico ambito territoriale e comunitario di riferimento, favorendo l’integrazione sanitaria e sociale dei servizi.  
In ultimo, con l’avvio di tutti i processi correlati al Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) si tenta di armonizzare e contestualizzare l’insieme dei servizi territoriali valorizzando la figura dell’infermiere e dell’“infermiere di famiglia e Comunità” in particolar modo, quale agente di cambiamento. 
“La sfida è decisiva per garantire le necessarie risposte sanitarie e sociali alla popolazione – conclude Carmelo Gagliano – ma occorre anche tener conto nella definizione di nuove funzioni e competenze per l’infermiere e le professioni sanitarie tutte, anche la questione correlata agli organici del personale e allo sviluppo delle competenze specialistiche”

Sclerosi multipla: la presa in carico efficace coinvolge, oltre al neurologo, molte figure istituzionali e non solo

15 febbraio 2022 – La Sclerosi Multipla (SM) può esordire ad ogni età, ma è più comunemente diagnosticata nel giovane adulto tra i 20 e i 40 anni. Ci sono circa 2,5-3 milioni di persone con SM nel mondo, di cui 1,2 milioni in Europa e circa 130mila in Italia. Il numero di donne con SM è doppio rispetto a quello degli uomini, assumendo così le caratteristiche non solo di malattia giovanile, ma anche di malattia di genere. Esistono varie forme di malattia, ma la pratica clinica ha evidenziato come iniziare la terapia il più precocemente possibile porti ad un rallentamento della progressione della disabilità, ricordando che ogni individuo richiede un programma di cura personalizzato. Al fine di sensibilizzare le Istituzioni verso un trattamento precoce ed efficace, Motore Sanità ha organizzato un nuovo appuntamento regionale dal titolo “Focus Liguria: #MULTIPLAYER – La sclerosi multipla si combatte in squadra”, realizzato grazie al contributo incondizionato di Celgene | Bristol Myers Squibb Company.

Certamente le conoscenze sulle cause della SM, la gestione della malattia e le opportunità terapeutiche hanno significativamente cambiato il panorama degli ultimi anni, ha dichiarato Antonio Uccelli, Direttore Scientifico IRCCS San Martino Genova. “Questo ci ha portato alla consapevolezza che la presa in carico della persona con Sclerosi Multipla deve essere tanto più precoce sia attraverso un chiaro ingaggio in tutti i momenti della malattia, sia attraverso un trattamento che deve essere precoce – allo scopo di evitare quei danni che la malattia causa nelle fasi iniziali e che diventano irreversibili e sottendono alla disabilità. La presa in carico della persona con SM è tanto più efficace quando non coinvolge esclusivamente il neurologo, fino ad oggi considerato il principale e forse unico soggetto di riferimento, quanto una serie di altre figure istituzionali che coinvolgono l’Associazione dei pazienti, il personale infermieristico, altri specialisti oltre al neurologo nella gestione della persona con SM e, in ultimo luogo, richiede il supporto di stakeholder istituzionali che devono permettere che questa presa in carico possa avvenire per tutti quelli che sono i bisogni della persona con Sclerosi Multipla

“Le persone con sclerosi multipla hanno voluto, con la loro Associazione Italiana Sclerosi Multipla, coinvolgere le Istituzioni e la cittadinanza nel dare risposte concrete e oggi i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali, nella maggioranza delle Regioni, rendono esigibile il diritto alla salute”, spiega Mario Alberto Battaglia, Presidente Nazionale FISM: “Oggi possiamo dire che la sclerosi multipla è una delle malattie in cui la ricerca scientifica, dalla ricerca di base alla ricerca clinica, ha conseguito i maggiori risultati negli ultimi vent’anni e in questo è stato significativo il contributo della ricerca italiana, anche grazie ai finanziamenti della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla. Ma non ci dobbiamo fermare: dobbiamo trovare cure efficaci anche per le forme progressive, ottimizzare i servizi sanitari e sociali, garantire una piena inclusione sociale a tutti

L’antimicrobico-resistenza, l’epidemia nella pandemia con 1,27 milioni di morti

Pollenzo, 14 febbraio 2022 – La resistenza antimicrobica (AMR) è una delle principali cause di morte a livello globale, con un carico potenzialmente superiore a quello dell’HIV o della malaria. I dati sono sorprendenti: nel 2019 i decessi di 4,95 milioni di persone sono stati associati alla concausa di infezioni batteriche resistenti ai farmaci. Mentre 1,27 milioni di decessi sono stati causati direttamente dall’AMR. La minaccia di AMR è stata segnalata da tempo. E le misure necessarie per affrontare la resistenza antimicrobica: aumentare la consapevolezza pubblica, una migliore sorveglianza, una migliore diagnostica, un uso più razionale degli antibiotici, accesso ad acqua pulita e servizi igienici, ridurre l’impiego di antibiotici alla sola terapia mirata in zootecnia e per gli animali da compagnia, abbracciare la One Health e investimenti per la ricerca di nuovi antimicrobici e vaccini – sono state costantemente raccomandate in rapporti come The Lancet Infectious Diseases Commission on Antibiotic Resistance nel 2013 e il rapporto O’Neill nel 2016. 
Sul tema dell’antimicrobico-resistenza sono intervenuti Aldo Grasselli, Presidente Onorario Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva e Francesco Menichetti, Presidente GISA, nella sessione “Distinzione tra diagnostica di 1° e 2° livello, home care di alta complessità e offerte integrate” della Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore SanitàUn evento in collaborazione con l’Università degli Studi degli Studi di Scienze Gastronomiche, di alto profilo in ambito sanitario, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute.

“Ci sono state alcune risposte degne di nota negli ultimi dieci anni, specialmente in UE – spiega Aldo Grasselli -. Il sistema globale di sorveglianza della resistenza e dell’uso antimicrobico è stato lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2015. Nel 2015 è stato istituito il Fleming Fund (un programma di aiuti a sostegno di 24 paesi dell’Africa e dell’Asia per affrontare la resistenza antimicrobica). Nel dicembre 2021, i ministri delle finanze del G7 hanno rilasciato dichiarazioni a sostegno ulteriore dello sviluppo di nuovi antibiotici. Resta tuttavia molto da fare, soprattutto se si considera, alla luce dell’esperienza Covid-19, la potenziale capacità dei patogeni di diffondersi lungo le linee di transito di merci e persone del mondo globalizzato”.

“La antimicrobico-resistenza è l’epidemia nella pandemia – spiega Francesco Menichetti -. Già ben nota come causa di infezioni ospedaliere gravi e talvolta letifere, specialmente ma non esclusivamente in terapia intensiva, l’antimicrobico-resistenza è un fenomeno biologicamente ineluttabile poiché indissolubilmente legato all’utilizzo degli antibiotici ma controllabile nelle sue dimensioni e nella sua capacità di diffusione. Le infezioni gravi da microrganismi resistenti agli antibiotici hanno accompagnato la pandemia Covid-19 e hanno sicuramente contribuito alla morte di una quota rilevante di pazienti gravi rappresentando l’evento letifero conclusivo di un decorso complicato. Purtroppo l’infection control, le buone regole e di pratica assistenziale che prevengano le infezioni crociate sono diffuse in modo difforme e vengono spesso ignorate nella concitazione assistenziale. Programmi di stewardship antimicrobica che uniscono in modo armonico il buon uso degli antibiotici, la diagnostica microbiologica rapida e l’infection control sono indispensabili per rilanciare la lotta contro l’Amr e rendere i nostri ospedali un luogo più sicuro per i nostri pazienti. Dobbiamo lavorare ed impegnarci per l’ospedale che cura e ridimensionare sino ad eliminare l’ospedale che ammala: servono risorse programmi ben definiti responsabilità ed un sistema di verifica serio”

La carica dei nuovi farmaci che estendono la possibilità di cura alle donne con tumore del seno triplo negativo

Pollenzo, 14 febbraio 2022 – Le stime descritte nel rapporto i numeri del cancro in Italia 2020, a cura tra gli altri dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), mostrano che il tumore del seno è la neoplasia più frequente in Italia. Con 54.976 nuove diagnosi in un anno, questa neoplasia rappresenta infatti il 30,3% di tutti i tumori che colpiscono le donne e il 14,6% di tutti i tumori diagnosticati in Italia.
Il tumore del seno triplo negativo rappresenta il 15-20% circa di tutti i cancri della mammella e colpisce in genere donne giovani, spesso sotto i 50 anni e ha una prognosi peggiore degli altri tumori della mammella. Oltre alle armi a disposizione contro il tumore al seno triplo negativo, come la chemioterapia, la chirurgia e la radioterapia, una serie di studi recenti hanno stabilito l’efficacia di una nuova classe di farmaci, gli immunoterapici, in particolare gli inibitori dei checkpoint immunitari, la cui scoperta è valsa il premio Nobel per la medicina nel 2018 e che funzionano “togliendo i freni” al sistema immunitario. È stata, infatti, di recente approvata la combinazione di un chemioterapico (chiamato nab-paclitaxel) e di un inibitore dei checkpoint immunitari (atezolizumab) per il trattamento della prima linea metastatica della malattia. 
I dati ottenuti dallo studio NeoTRIP, che riguardano 260 donne, sono molto promettenti. Ad esempio, analizzando le biopsie dopo appena un ciclo terapeutico, cioè a poche settimane dall’inizio del trattamento, i ricercatori non hanno trovato traccia di tessuto tumorale in ben un terzo delle pazienti e circa 2 pazienti su 3 con un tumore inizialmente PD-L1 negativo, diventavano positivi per PD-L1, indicando che il farmaco potrebbe essere efficace anche per queste pazienti, come suggerito già da altri studi. 
I grandi passi della ricerca scientifica per la cura del tumore del seno triplo negativo, nella sessione “Disruptive innovation in oncologia: gli esempi del carcinoma della mammella triplo negativo e delle Car-T, due sfide da vincere subito”, sono raccontati nella Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Gilead Sciences.

“La disruptive innovation è un’innovazione dirompente che può cambiare la storia naturale della malattia di molti pazienti”, spiega il Dottor Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità. “Ultimamente sono usciti dei farmaci estremamente importanti che, da una sopravvivenza di un paziente metastatico di 6 mesi con carcinoma triplo negativo, consentono di aumentarne la sopravvivenza di anni e quindi la capacità di cura di queste sfortunate pazienti. Le CAR-T sono invece l’ingegnerizzazione delle cellule dei pazienti che vengono adibite e trattate in maniera tale da poter sconfiggere, per ora, tumori quali i linfomi, le leucemie, il mieloma multiplo. Queste terapie immunoterapiche consentono a circa un 40% di pazienti senza altre possibilità non solo di essere curati, ma di guarire definitivamente. È una prospettiva importante che comporta però una governance e una organizzazione dell’offerta di cura in ospedali di riferimento in pazienti opportunamente selezionati selezionati”.   

“Il tumore al seno triplo negativo è caratterizzato dal fatto che le sue cellule non esprimono nessun recettore che possa essere considerato un bersaglio terapeutico, come avviene per altri tipi di tumore al seno, ovvero il recettore dell’estrogeno (ER), il recettore del progesterone (PR) e il recettore 2 per il fattore di crescita epidermico (HER2) – spiega la Professoressa Alessandra Gennari, Direttore SCDU Oncologia AOU Maggiore della Carità, Novara -. Non è quindi possibile impostare terapie mirate con farmaci a bersaglio molecolare e la chemioterapia rimane così la prima risorsa, combinata con l’immunoterapia in quel 40-50% di casi in cui è presente la proteina PD-L1”
Nell’ultimo anno tuttavia, nuove opzioni terapeutiche hanno permesso di intraprendere un percorso di cura personalizzato. In particolar modo, la possibilità di utilizzare farmaci immuno-coniugati si è rivelata una strategia importante per estendere la possibilità di cura
“Questi nuovi farmaci – prosegue Alessandra Gennari – sono caratterizzati dalla co-presenza di un anticorpo che riconosce e attacca determinati recettori presenti nelle cellule tumorali di tumore triplo negativo e da un farmaco chemioterapico che viene così portato dove deve agire. Inoltre sono caratterizzati da un particolare meccanismo di trasporto che ne amplifica la diffusione alle cellule neoplastiche. Al momento possono essere utilizzati solo in casi selezionati, ma rappresentano molto più di una speranza per le future terapie contro il carcinoma mammario triplo negativo, che rappresenta un rischio anche e soprattutto per le donne più giovani, dal momento che colpisce sotto i 40 anni con un’incidenza quasi doppia rispetto alle altre forme di tumore al seno.

Come spiega il Professore Mario Airoldi, Direttore S.C. Oncologia Medica 2 dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino: “I carcinomi triplo-negativi vengono definiti così perché non hanno sulla loro superficie cellulare ne recettori ormonali estro-progestinici ne recettori Her-2.  Questo ha fatto sì che questi tumori siano diventati, negli anni, i più aggressivi e dominabili, parzialmente, con la sola chemioterapia. La ricerca ha identificato in questo gruppo alcuni tumori eriditari (BRCA 1-2 mutati) che hanno intrinseci difetti di riparazione del DNA e che si giovano dei farmaci PARP-inibitori che uccidono le cellule tumorali attraverso la totale compromissione della riparazione del DNA. Il secondo avanzamento scientifico è correlato alla scoperta di nuovi bersagli individuati sulla superficie cellulare verso i quali sono rivolti anticorpi-coniugati che riconosco il bersaglio veicolando agenti citotossici all’interno delle cellule. Questi anticorpi rappresentano una conquista della tecnologia avanzata del farmaco ed un luminoso futuro per i farmaci oncologici” conclude Mario Airoldi. 

“L’innovazione è un elemento chiave che le organizzazioni sanitarie devono sviluppare come condizione per offrire soluzioni sostenibili ed efficienti – lo sottolinea Franco Ripa, Direttore della Programmazione Sanitaria Regione Piemonte -. Tali concetti sono particolarmente importanti in ambito oncologico, dove i bisogni sono affrontabili con soluzioni sempre nuove che la ricerca mette a disposizione. Il tumore della mammella, in particolare, resta una delle neoplasie più frequenti in Italia e deve essere affrontato con modelli di coniugazione virtuosa tra l’aspetto clinico e quello organizzativo”

Lotta al tumore del seno, le donne si raccontano. Ansia per 1 donna su 5 e depressione per una su 15 anche ad un anno dall’intervento

Pollenzo, 14 febbraio 2022 – Gabriella, 28 anni, è una giovane donna guarita da un tumore al seno triplo negativo e racconta l’incredibile e doloroso percorso intrapreso per combattere la malattia.
“La malattia divide una persona a metà. C’è quella parte che non riconosco, ancora, sorriso amaro, a tratti triste, timido. Il viso stanco, di uno strano colore, non il mio, le ciglia erano nere e lunghissime, e le sopracciglia folte, scure anche queste. Il mascara non posso metterlo e le ciglia finte non mi piacciono. Poi c’è quella parte, invece, che conosco meglio: combattiva, agguerrita, quella che non demorde, legata all’immagine passata di una ragazza in salute, e determinata, comunque, a dare il meglio di sé. Tra le due, infine, ci sono io, ora, al termine di un percorso estenuante e difficilissimo che ha portato con sé lacrime e nuove consapevolezze. Non bisogna per forza passare attraverso una malattia per capire che la vita va amata anche quando ci mostra la sua più cruda oscurità. A me, di fatto, è andata così. Ho potuto conoscere la mia forza contro la debolezza. Ho conosciuto la paura, il senso di impotenza e di ingiustizia. Che poi, in fondo, chi è che stabilisce cosa è giusto o cosa è sbagliato. Posso dirvi che le cicatrici sul mio corpo mi ricordano ogni giorno l’arte dell’elasticità, la capacità che abbiamo di piegarci senza lasciare che le avversità ci spezzino. A me, alle donne, e alla nostra forza di guardare avanti, e che Dio sia con noi”.

Questa toccante testimonianza è stata portata da Massimiliano Sciretti, Presidente OPI – Ordine delle professioni infermieristiche di Torino, alla Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanitàcon il contributo incondizionato di Gilead Sciences, nella sessione “Disruptive innovation in oncologia: gli esempi del carcinoma della mammella triplo negativo e delle CAR-T, due sfide da vincere subito”.

Il Presidente OPI Torino ha inoltre presentato i risultati di una ricerca del Centro di riferimento oncologico (CRO) che ha analizzato gli effetti della malattia sul benessere delle pazienti nella fascia di età 25-45 anni. Dopo essere state operate per un tumore al seno, le pazienti affrontano un periodo in cui alcune funzioni mentali sembrano un po’ “inceppate”. Fortunatamente si tratta di una fase transitoria che tende a risolversi nel giro di un anno. Assieme al recupero della performance cognitiva diminuiscono l’ansia e la depressione che spesso sono presenti al momento dell’intervento. Tuttavia, circa una donna su 5 mostra disturbi d’ansia e una su 15 problemi di depressione anche a distanza di 12 mesi. Una percentuale non trascurabile di pazienti ha difficoltà però a superare il trauma: il 18,9% risulta avere ancora problemi di ansia dopo un anno e il 6,6% soffre di depressione
“Questi dati suggeriscono che le pazienti andrebbero seguite nel tempo per identificare i casi in cui il disagio psicologico raggiunge livelli allarmanti o persiste a lungo, in modo da intervenire tempestivamente. Dalla pandemia – conclude Sciretti – possiamo trarre insegnamenti preziosi. Il più importante è che la salute è anche ricchezza, libertà, coesione, comunità, lavoro, uguaglianza. Senza salute e investimenti nelle scienze della vita non c’è futuro, né sviluppo armonico della società. Infine,  la consapevolezza di te stesso e del tuo mondo, che acquisisci quando sei costretto a confrontarti con una malattia delle emozioni, come ansia o depressione, però, ti cambia per sempre e cambia il modo con cui vedi le cose, come se ti fornisse una nuova lente attraverso cui vivere le esperienze della vita”

“La testimonianza di Gabriella – spiega Giulia Gioda, Presidente dell’Associazione per la Prevenzione e la Cura dei Tumori in Piemonte ODV – è una delle tante voci di donne che in questo momento stanno lottando contro la malattia, che oggi hanno ricevuto una diagnosi di tumore, che hanno paura di non farcela, che cominciano un ciclo di terapie che mai avrebbero voluto iniziare perché mai avrebbero voluto incontrare la malattia. Ma Gabriella è anche la testimonianza che il tumore può essere affrontato giorno dopo giorno con coraggio e avendo vicino persone speciali, la famiglia e gli stessi medici che accompagnano in questo percorso così difficile”
In questo percorso c’è anche l’Associazione per la Prevenzione e la Cura dei Tumori in Piemonte ODV, una realtà storica a Torino e nel mondo dell’associazionismo italiano, 40 anni di vita e mezzo milione di visite di prevenzione erogate negli ospedali di Torino e provincia. 
“L’Associazione, che a causa del Covid ha dovuto fermare la sua principale attività, oggi riparte con le visite di prevenzione, con una nuova campagna di comunicazione che ha l’obiettivo di portare alle persone la cultura della prevenzione attraverso la promozione delle 12 regole del codice europeo contro il Cancro, con uno Sportello informativo, che risponde alle domande delle persone, e con il Tour “Più Prevenzione meno Superstizione” che farà tappa nelle circoscrizioni di Torino per dare la possibilità alle persone di ricominciare a fare prevenzione. Oggi è tempo di riprendere a fare prevenzione e a comunicare la necessità di prevenire le malattie oncologiche, anche perché ci stiamo avviando ad una nuova normalità che comprende la coesistenza con il Covid”