Malattie rare: “Bisogni irrisolti dei pazienti e le criticità nei percorsi di presa in carico, necessario che i SSR migliorino i propri modelli di cura”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

8 luglio 2021 – Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza non supera i 5 casi su 10.000 persone, se ne conoscono e se ne diagnosticano tra le 7.000 e le 8.000, interessando quindi milioni di persone. I dati del registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, stimano in Italia 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti: il 20% delle patologie riguarda pazienti in età pediatrica. Per i pazienti in età adulta, invece, le più frequenti sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e quelle del sangue e degli organi ematopoietici (18%) – [Fonte: ISS 2015]. Ma ancora oggi, ad esempio, gli screening neonatali ed il ritardo diagnostico fanno in modo che i SSR debbano migliorare i propri modelli assistenziali. Con lo scopo di condividere a livello regionale i bisogni irrisolti dei pazienti e le criticità nei percorsi di presa in carico per poter valutare quale programmazione debba essere fatta, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘MALATTIE RARE. FOCUS ABRUZZO/MARCHE/UMBRIA’, secondo di 6 appuntamenti, realizzato grazie al contributo incondizionato di Alexion, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Biogen e Takeda.

“I farmaci orfani sono medicinali utilizzati per la diagnosi, la prevenzione e il trattamento delle malattie rare. In Europa una malattia è considerata rara quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti. In questo scenario estremamente complesso, tra rarità (in termini di numero di casi/10000 ab) e numerosità delle malattie (in termini di numero di patologie definibili rare) si aprono numerose problematiche di gestione dell’assistenza farmaceutica per le quali il confronto tra stakeholder rappresenta una modalità efficace per cercare di focalizzare l’attenzione sui principali problemi. L’accesso alle cure, in termini di disponibilità delle cure, sostenibilità economica e gestione logistica delle terapie, rappresenta sicuramente uno dei temi più caldi. Per quanto riguarda la tematica delle malattie rare in Umbria, Regione relativamente piccola, occorre fare i conti soprattutto con la sostenibilità economica, dove pochi casi impegnano un quantitativo importante di risorse economiche. Anche il problema della gestione di alcune patologie con medicinali off-label o con preparati galenici magistrali sono tematiche che aprono problemi gestionali in relazione all’erogazione dell’assistenza e dei relativi flussi di rendicontazione”, ha spiegato Alessandro D’Arpino, Direttore Farmacia Ospedaliera – Azienda Ospedaliera Perugia

“Negli ultimi anni, da quando la genetica ha iniziato ad imprimere una velocità fino ad allora inimmaginabile alla capacità di diagnosticare e, più recentemente, di curare, le malattie rare, e fra queste quelle neuromuscolari in prima linea, hanno assunto un diverso significato e peso nell’ambito medico. La spinta ad arrivare ad una diagnosi dettagliata, anche delle patologie più rare, è attualmente massima. Sono soprattutto le attuali capacità terapeutiche e la reale prospettiva di una sempre più efficace e ampia possibilità di trattamento di queste patologie che stanno facendo da potente motore al cambiamento culturale in atto. Patologie come, ad esempio, la Malattia di Pompe, le Amiotrofie Spinali e la Neuropatia Amiloidosica Familiare, che fino a pochi anni fa erano relegate in fondo ai trattati di medicina, hanno guadagnato posizioni ed aperto la strada a nuove esigenze, soprattutto nella gestione dei soggetti affetti. Il concetto di presa in carico del paziente, da sempre considerato importante soprattutto nell’ambito delle malattie rare, si sta rivelando sempre di più come l’unica strada da percorrere per ottenere il massimo vantaggio per il paziente e per il sistema sanitario. Le strutture sanitarie locali costituiscono il principale ambito in cui questi cambiamenti devono ottenere una risposta. Quindi è indispensabile che esse prendano coscienza delle attuali aspettative per adeguare la loro capacità di intervento nei confronti delle nuove esigenze mediche e sociali”, ha dichiarato Antonio Di Muzio, Responsabile del Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Neuromuscolari e degli Ambulatori Clinico e di Elettrofisiologia Clinica della Clinica Neurologica dell’Università di Chieti

Diabete: Italia e Marocco si alleano per migliorare la gestione dei pazienti

7 luglio 2021 – I Diabete Mellito sono di tipo 1 e 2 e rappresentano la malattia cronica più diffusa al mondo (463milioni le persone affette, di cui 232milioni non diagnosticate). Una vera e propria pandemia silenziosa in costante crescita – la cui prevalenza aumenta al crescere dell’età – che inciderà pesantemente non solo nei Paesi occidentali, ma anche nei Paesi a sviluppo economico. In Italia i pazienti diabetici superano i 3milioni, con un sommerso percentuale ancora elevato e un’aderenza alla terapia e a corretti stili di vita che spesso non supera il 50%. 
«Ciò che succede in Marocco – che conta più di 1milione e 700mila diabetici adulti – in parte di verifica anche in Italia», spiega Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità, nel corso del webinar “#pazientealcentro: parliamo di Diabete. Italia Marocco, esperienze a confronto, organizzato da Motore Sanità e che ha visto la partecipazione delle Istituzioni italiane in Marocco. «Basti pensare che la Sardegna, la seconda isola più grande del nostro Paese, ha la più alta incidenza di Diabete tipo 1 al mondo. I numeri del sommerso, tanto in Italia quanto in Marocco, risulterebbero sottostimati per la difficoltà di tracciare tutti i casi realmente presenti su di un territorio dall’elevata complessità geografica, socio culturale e linguistica. Il dato più preoccupante è che la maggioranza dei pazienti diabetici in Marocco non raggiunge l’equilibrio glico-metabolico raccomandato dalle linee guida nazionali – così come avviene spesso anche in Italia – e internazionali, suggerendo l’esistenza di un gap tra la gestione di tale malattia cronica e le pratiche quotidiane delle persone nel Paese. Inoltre, nonostante i continui sforzi per aumentare le aspettative di vita della popolazione e migliorarne la qualità, sono ancora presenti, sia in Italia sia in Marocco, disuguaglianze di accesso alle cure e controllo della malattia, anche in rapporto a status sociale e stili di vita». 

«Da qui l’importanza della collaborazione scientifica tra i due Paesi per condividere le best practice, con un unico grande obiettivo comune: migliorare la gestione dei pazienti diabetici», ha commentato Federico Mozzi, Primo Segretario dell’Ambasciata dell’Italia in Marocco.

«Le difficoltà esistono dappertutto: tanto in Italia, quanto nel resto d’Europa, così come anche in Marocco», conferma Felice Strollo, Vice Presidente ANIAD – Professore IRCCS San Raffaele Pisana – Roma. «Persino negli Stati Uniti, l’accesso a tutti all’insulina è un problema, lo stesso dicasi da noi in Italia per quanto riguarda la possibilità generalizzata di accesso ai farmaci più innovativi. Da qui l’importanza di un Piano nazionale del Diabete, frutto del grosso sforzo fatto in Italia dalle Associazioni dei pazienti e dal Ministero della Sanità, che è stato rimodulato Regione per Regione. Bisogna partire da qui: dalla presenza di un Piano organizzato che preveda nel tempo un perfezionamento continuo su più fronti, compreso quello che riguarda educare il paziente a un corretto stile di vita. Noi come Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici (ANIAD) siamo pronti per un lavoro di collaborazione da costruire insieme, Italia-Marocco, nel futuro». 

 

“Un nuovo alleato nella lotta alle malattie cardiovascolari: la Troponina I ad elevata sensibilità può identificare precocemente soggetti a rischio di futuri eventi cardiaci”

Di Malta

7 luglio 2021 – Nonostante i miglioramenti degli esiti clinici, le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo. Realizzare un’azione di prevenzione attraverso un’accurata stratificazione del rischio cardiovascolare nella popolazione apparentemente sana risulta fondamentale per mitigare la progressione della malattia. La Troponina I ad elevata sensibilità per la stratificazione del rischio cardiovascolare, essendo un biomarcatore cardiospecifico, determina una maggiore accuratezza nella stima del rischio di futuri eventi cardiaci in persone apparentemente sane e in soggetti con fattori predisponenti a tali rischi: si tratta quindi di un nuovo alleato nella lotta alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, che nell’80% dei casi sono prevenibili con programmi educazionali e con una medicina territoriale proattiva.

Per approfondire i potenziali effetti della medicina predittiva, Motore Sanità ha organizzato 2 appuntamenti in Piemonte e in Puglia dal titolo “TROPONINA CARDIACA”, realizzati grazie al contributo non condizionante di ABBOTT.

“La Troponina cardiaca è normalmente presente nel sangue in quantità molto piccole. Quando si verifica un danno alle cellule del muscolo cardiaco, queste proteine vengono rilasciate nel circolo ematico: maggiore è il danno, più alta è la loro concentrazione nel sangue. L’utilizzo della Troponina come biomarcatore di lesione miocardica si è affermato negli anni come ausilio nella diagnosi di infarto e delle sindromi cliniche da ischemia e/o stress del muscolo cardiaco in ambito ospedaliero, soprattutto in pazienti afferenti al pronto soccorso o comunque in situazioni cliniche acute e critiche. Il progresso tecnologico ha portato alla possibilità di determinare minime quantità di Troponina circolanti anche in soggetti apparentemente sani e senza sintomi o segni clinici di sofferenza cardiaca (metodi cosiddetti ad elevata sensibilità). Pertanto, il campo di applicazione della Troponina sta gradualmente spostandosi verso la popolazione extra-ospedaliera, ad uso della medicina di base e della prevenzione delle malattie cardiache e cardiovascolari in generale. La possibilità di rilevare lievi aumenti della Troponina consente, infatti, di poter stratificare i soggetti apparentemente sani o con uno o più fattori di rischio sulla base della probabilità di sviluppare in futuro eventi cardiovascolari”, ha spiegato Giulio Mengozzi, Direttore Laboratorio di Biochimica Clinica, Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino.

“Le patologie cardiovascolari rappresentano una delle principali cause di mortalità nei paesi industrializzati e la loro prevalenza è destinata a crescere costantemente con l’invecchiamento della popolazione. Le strategie di prevenzione si basano sulla identificazione e correzione dei fattori di rischio individuali congiuntamente alla capacità di prevedere un futuro evento cardiovascolare in persone apparentemente sane. Esiste la possibilità di misurare, con metodologia ad elevata sensibilità, valori significativi di un biomarcatore cardio-specifico rilasciato in caso di danno miocardico subclinico, denominato Troponina I ad elevata sensibilità. Si tratta di un esame del sangue semplice da valutare che, insieme ai risultati clinici e diagnostici, consente di intervenire precocemente sui pazienti ad alto rischio e potrebbe evitare esami o trattamenti non necessari in pazienti a basso rischio”, ha dichiarato Nadia Aspromonte, UOS Scompenso Dipartimento Scienze Cardiovascolari Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS, Roma

Malattie rare: le esperienze della Toscana Andare verso una forma di Reti cliniche integrate per una presa in carico del paziente condivisa tra medicina generale e medicina specialistica

Di Malta

7 luglio 2021 – Condividere “proven practices”, far emergere bisogni irrisolti rispetto ai servizi erogati e le criticità nei percorsi di presa in carico, garantire qualità dei dati dei Registri dedicati e la programmazione di risorse appropriate, sono gli obiettivi per affrontare il grande tema delle malattie rare. Nomi come atrofia muscolare spinale (SMA), sindrome emolitica uremica atipica (SEUa), Ipertensione polmonare arteriosa idiopatica (PAH), sindrome dell’intestino corto (SBS) sono esempi pratici su cui discutere in ottica di Share Care Cure, su cui si fonda la struttura delle Reti di riferimento europee (ERN), 24 dal 2017, che coinvolgono 900 unità specialistiche localizzate in 300 ospedali di 26 paesi europei. A partire da questo modello la necessità in Italia è quella di fare rete in maniera dinamica, veloce e appropriata.
In base ai dati coordinati dal Registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola.
Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), in questa popolazione di pazienti le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e disturbi immunitari (20%).
Le malattie rare costituiscono uno straordinario banco di prova di efficacia e di efficienza per il sistema sanitario nazionale e per il medico di medicina generale in particolare. Otto casi su 10 sono diagnosticati dallo specialista e i medici di medicina generale ipotizzano una malattia rara solo nel 4,2% dei casi (pediatrici 16,75%). Inoltre, un medico di medicina generale con 1.500 assistiti dovrebbe avere in carico dai 4 agli 8 pazienti con malattia rara. Anche quando la diagnosi viene effettuata da un centro di riferimento spesso è il paziente stesso che funge da raccordo con il proprio medico. Di questo si è discusso nel webinar MALATTIE RARE. FOCUS TOSCANA’, organizzato da Motore Sanità.

In Regione Toscana l’attenzione è alta sul ruolo del modello a rete per la gestione delle malattie rare, della ricerca e dei Pdta nei confronti dei quali è stato implementato un modello che possa essere condiviso a partire dalle associazioni dei pazienti.

<<Le malattie rare sono necessariamente un modello a rete e solo il modello a rete fa la forza dell’approccio nei confronti delle malattie rare – ha spiegato Cristina Scaletti, Responsabile Clinico Rete Malattie Rare Regione Toscana -. Senza la ricerca non avremmo una terapia, quindi la ricerca – dagli screening fino ai meccanismi patogenetici, fino ad arrivare alla presa in carico del paziente e alla terapia – è un altro degli elementi trasversali in questo modello a rete>>. 

<<I punti fondamentali su cui dobbiamo battere sono l’informazione, la formazione e l’organizzazione – ha spiegato Mauro Ruggeri, Medico di Medicina Generale Responsabile Sede Nazionale SIMG -. Sul piando dell’informazione colmando carenze informative, facilitando l’accesso sia per i pazienti che per i medici a dati, documenti, norme aggiornate e ai centri di riferimento locali, e intervenendo sul tema delle esenzione ticket. Il medico di medicina generale deve essere in grado di dare un indirizzo al Centro specialistico al primo sospetto ed essere garanzia di continuità assistenziale. Sul piano dell’organizzazione dobbiamo andare sempre più verso una forma di Reti cliniche integrate per una presa in carico condivisa tra medicina generale e medicina specialistica (abbattendo gli ostacoli tra territorio e ospedale e tra ospedale e territorio) e sicuramente gli strumenti potrebbero essere la formazione di équipe uniche di cura, di piani assistenziali individuali e la valorizzazione dell’informatica e della telemedicina, che potrebbero essere validamente utilizzati in questo campo>>. 

<<Occorre investire maggiormente per risolvere le criticità comuni – ha spiegato Cecilia Berni, Responsabile Organizzativo Malattie Rare, Regione Toscana -. Nell’ambito dei progetti pilota degli screening penso alla necessità di una modulistica e di una normativa dedicata con specifico riferimento agli obblighi privacy. Penso ai ritardi che significano una diagnosi non effettuata. Nel progetto pilota con la Regione Lazio a livello toscano abbiamo potuto diagnosticare un neonato con atrofia muscolare spinale su 4mila nati. E’ importante affrontare questi dati perché sappiamo che quando si parla di diagnosti precoce si parla di un investimento in primis sulla salute della qualità della vita di una persona. Investire sulla salute vuol  dire anche risparmiare sulle gestioni in termini globali sanitari e sociali di una disabilità>>. 

Malattie rare: le esperienze del Lazio Andare verso una forma di Reti cliniche integrate per una presa in carico del paziente condivisa tra medicina generale e medicina specialistica

Blockchain e AI

7 luglio 2021 – Condividere “proven practices”, far emergere bisogni irrisolti rispetto ai servizi erogati e le criticità nei percorsi di presa in carico, garantire qualità dei dati dei Registri dedicati e la programmazione di risorse appropriate, sono gli obiettivi per affrontare il grande tema delle malattie rare. Nomi come atrofia muscolare spinale (SMA), sindrome emolitica uremica atipica (SEUa), Ipertensione polmonare arteriosa idiopatica (PAH), sindrome dell’intestino corto (SBS) sono esempi pratici su cui discutere in ottica di Share Care Cure, su cui si fonda la struttura delle Reti di riferimento europee (ERN), 24 dal 2017, che coinvolgono 900 unità specialistiche localizzate in 300 ospedali di 26 paesi europei. A partire da questo modello la necessità in Italia è quella di fare rete in maniera dinamica, veloce e appropriata.
In base ai dati coordinati dal Registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola.
Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), in questa popolazione di pazienti le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e disturbi immunitari (20%).
Le malattie rare costituiscono uno straordinario banco di prova di efficacia e di efficienza per il sistema sanitario nazionale e per il medico di medicina generale in particolare. Otto casi su 10 sono diagnosticati dallo specialista e i medici di medicina generale ipotizzano una malattia rara solo nel 4,2% dei casi (pediatrici 16,75%). Inoltre, un medico di medicina generale con 1.500 assistiti dovrebbe avere in carico dai 4 agli 8 pazienti con malattia rara. Anche quando la diagnosi viene effettuata da un centro di riferimento spesso è il paziente stesso che funge da raccordo con il proprio medico. Di questo si è discusso nel webinar MALATTIE RARE. FOCUS LAZIO’, organizzato da Motore Sanità.

La rete regionale delle malattie rare del Lazio attualmente risulta avere in carico più di 30mila pazienti affetti da malattia rare e un indice di attrazione dalle altre regioni di circa il 24%. Il modello organizzativo è composto di 16 istituti in cui risiedono circa 89 presidi che alimentano il registro delle malattie rare, e la maggior parte dei centri, avendo strutture di alta specialità a livello internazionale e nazionale, sono localizzate quasi tutte nella città di Roma e sono in collegamento tra di loro attraverso i Pdta.

<<Il modello della rete regionale del Lazio si basa sull’individuazione i centri di expertise e punta tutto sul rafforzamento del rapporto tra ospedale e territorio e questo è l’aspetto cruciale>> ha spiegato Esmeralda Castronuovo, Referente Centro di Coordinamento regionale delle Malattie Rare della Regione Lazio.

<<Stiamo lavorando non solo per un network aziendale – ha spiegato Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale Policlinico Tor Vergata, Roma – ma abbiamo iniziato una serie di collegamenti con le Asl vicine per un miglioramento della presa in carico dei pazienti con malattia rara attraverso dei Pdta reali, concreti e misurabili. Dobbiamo creare assolutamente dei link tra i centri e il territorio e, attraverso i nostri centri, avviare dei tavoli di formazione e informazione per i nostri medici di territorio e avvicinare i nostri pazienti in maniera tale che quando c’è una sospetta diagnosi possano immediatamente entrare nel circuito dei centri di patologie rare. Il problema quindi non è quello di aprire centri per le malattie rare ovunque, ma è perfezionarne la qualità e la professionalità e aumentare le reti di conoscenza tra noi e il territorio>>.

<<Nel Lazio c’è un’organizzazione sulle malattie rare che funziona grazie alla parte sanitaria rappresentata dai professionisti, medici e infermieri e grazie a tutte le associazioni che collaborano con noi. Abbiamo assunzioni di personale professionalmente capace e adeguato per seguire alcune patologie rare e questo vuol dire garanzia di servizio sanitario alle persone. Speriamo che la legge arrivi al temine quanto prima affinché possa incentivare ancora di più non solo l’interesse ma le cure. Questi pazienti hanno la stessa dignità e gli stessi diritti di tutti i cittadini della nostra regione e dei cittadini italiani>> ha aggiunto Rodolfo Lena, Presidente VII Commissione – Sanità, Politiche Sociali, Integrazione Sociosanitaria, Welfare Regione Lazio

<<L’esperienza del Covid ha messo in luce, anche grazie al grande lavoro delle associazioni dei pazienti, che ci sono dei nodi – ha concluso Teresa Petrangolini, Direttore Patient Advocacy Lab di ALTEMS -: se non si semplifica la della vita delle persone è impossibile gestire una malattia rara. Il secondo nodo è l’accesso alle tecnologie: è strategico un canale diretto di presa in carico attraverso dei sistemi digitali. Infine, in questa pandemia non avremmo mai superato certi passaggi, soprattutto per i malati cronici, se non ci fosse stata una grande collaborazione delle aziende farmaceutiche, delle amministrazioni, delle associazioni, di enti privati, perdere questa spinta sarebbe un errore>>. 

Malattie rare: “Bisogni irrisolti dei pazienti e le criticità nei percorsi di presa in carico, necessario che i SSR migliorino i propri modelli di cura”

6 luglio 2021 – Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza non supera i 5 casi su 10.000 persone, se ne conoscono e se ne diagnosticano tra le 7.000 e le 8.000, interessando quindi milioni di persone. I dati del registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, stimano in Italia 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti: il 20% delle patologie riguarda pazienti in età pediatrica. Per i pazienti in età adulta, invece, le più frequenti sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e quelle del sangue e degli organi ematopoietici (18%). [Fonte: ISS 2015] Ma ancora oggi, ad esempio, gli screening neonatali ed il ritardo diagnostico fanno in modo che i SSR debbano migliorare i propri modelli assistenziali. Con lo scopo di condividere a livello regionale i bisogni irrisolti dei pazienti e le criticità nei percorsi di presa in carico per poter valutare quale programmazione debba essere fatta, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘MALATTIE RARE. FOCUS LAZIO/TOSCANA’, primo di 6 appuntamenti, realizzato grazie al contributo incondizionato di Alexion, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Biogen e Takeda.

“L’approvazione all’unanimità del Testo Unico Malattie Rare e Farmaci Orfani dello scorso 26 maggio, alla Camera dei deputati, è un primo traguardo per il quale abbiamo giustamente gioito. Tutte le misure inserite contribuiscono a migliorare non solo gli aspetti sanitari della presa in carico dei pazienti rari, ma anche la qualità della loro vita sociale e lavorativa. Infatti questa è una legge-quadro che ha come obiettivo quello di rendere uniforme il trattamento delle malattie rare su tutto il territorio nazionale, attraverso il piano diagnostico terapeutico personalizzato che consente di accedere a tutti i servizi sanitari, compresi i trattamenti riabilitativi, ai servizi socio sanitari e consente anche di ottenere dispositivi medici personalizzati; di consolidare le buone pratiche sviluppate in questi anni; di favorire l’inserimento scolastico e lavorativo dei malati rari e di dare un forte impulso alla ricerca. Ora però dobbiamo finalizzare questo risultato, il percorso della legge quadro deve procedere velocemente nella sua seconda lettura al Senato”, ha spiegato Fabiola Bologna, Componente Camera dei deputati – XVIII Legislatura

“Le malattie rare (MR) sono state individuate come un’area di interesse prioritario in sanità pubblica già dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000. Successivamente è stato emanato il Decreto Ministeriale 279/2001 ‘Regolamento di istituzione della rete nazionale Malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie’. Questo Decreto istituiva la rete nazionale delle malattie rare per la prevenzione, diagnosi e trattamento, costituita da Presidi sanitari appositamente individuati dalle autorità sanitarie regionali. Negli anni tutte le regioni hanno definito la loro rete delle MR, istituito registri regionali per la raccolta di dati, confluenti, come indicato nel Decreto sopracitato, nel Registro nazionale malattie rare (RNMR). L’attività epidemiologica si pone come strumento di miglioramento delle capacità assistenziali della rete ponendosi quindi come elemento cardine a tutti i livelli, nazionale, regionale e locale, per la tutela delle persone con malattia rara e delle loro famiglie”, ha dichiarato Paolo Salerno, Centro Nazionale Malattie Rare CNMR Istituto Superiore di Sanità

SCIENZA, CONOSCENZA E CUORE. PROFESSIONISTE IN RETE

Causa Covid

Women for Oncology Italy lancia una petizione nazionale perché il superamento del gender gap diventi un obiettivo

Pochi giorni fa il Presidente Draghi ha sottolineato l’ingiustizia della condizione femminile e la necessità, per tutta la società, di utilizzare questi talenti ancora nascosti, per fare in modo che l’occasione della rinascita non sia sprecata e si possa veramente cominciare a colmare quelle differenze salariali, occupazionali e di carriera che ancora oggi fanno dell’Italia uno dei fanalini di coda europei. 

«Finalmente il tema della presenza femminile nel mondo del lavoro e nelle istituzioni italiane comincia a diventare centrale anche per la politica», ha commentato la Professoressa Marilisa D’amico, Ordinario di Diritto costituzionale e Pro-Rettrice presso l’Università di Milano, nel corso del webinar “Scienza, conoscenza e cuore. Professioniste in Rete”. Iniziativa promossa dal Rotary Club di Senigallia, in interclub con il Rotary di Laveno Luino Alto Verbano e con il patrocinio di Women for Oncology Italy«In questo senso, occorre uno sforzo trasversale delle donne italiane e delle competenze femminili che si mettano al servizio della ripartenza. Speriamo di farcela tutte insieme, anche grazie all’aiuto e alla sorellanza tra donne», ha auspicato ancora la Professoressa D’amico.

Dati alla mano, i numeri del gender gap rivelano una scarsa rappresentatività delle donne agli eventi scientifici, così come nelle commissioni di nomina e delle posizioni apicali. 

«Ricordo che solo il 17% dei direttori generali in Italia è donna e, in ambito oncologico, ordinari di oncologia siamo appena 4 su 42 uomini», ha sottolineato la Professoressa Rossana Berardi, Presidente Women for Oncology Italy e Direttore della Clinica Oncologica Ospedali Riuniti Ancona – Università Politecnica delle Marche.

«C’è molto da fare anche nell’ambito della giustizia», ha aggiunto la Professoressa Silvia Allegrezza, Docente universitaria di Diritto e procedura penale presso l’Università di Lussemburgo. «Ogni volta che mi trovo ad osservare – pre Covid – un anfiteatro universitario che racchiude gli studenti dell’ultimo anno, che sia di master o di dottorato, il 60% sono ragazze. All’entrata in dottorato il 70% sono ragazze e poi le percentuali nelle posizioni apicali si capovolgono a favore degli uomini». 

«Io sono convinta che una strada da percorrere sia quella dell’ibridazione», ha chiosato la Professoressa Lucrezia Ercoli, Docente di Storia dello spettacolo presso l’Accademia di belle arti di Reggio Calabria. «In cui la contaminazione, a volte, è provocatoria, perché bisogna rompere qualche codice. In questo senso dobbiamo lavorare unite per costruire un nuovo immaginario, libero dai pregiudizi di genere che anche i “padri venerandi e terribili” della filosofia hanno contribuito a diffondere fin dalle origini della cultura occidentale». 

Da qui l’impegno di Women for Oncology Italy – anticipato dalla Presidente Berardi durante il webinar – nel lanciare una petizione nazionale perché venga introdotto come criterio positivo di valutazione, sia per i direttori generali, sia per le nomine accademiche (Direttori di dipartimento, Presidi di facoltà), la possibilità di aver creato le condizioni per un avanzamento di carriera femminile, tenendo conto di un’ottica di genere.

«Non perché si debba parlare di quote rosa», ha tenuto a specificare la Professoressa Berardi, «ma perché deve esserci un mezzo che ci permetta di ottenere un obiettivo importante in tempo veloce». 

Il webinar è stato promosso dal Rotary Club di Senigallia, in interclub con il Rotary di Laveno Luino Alto Verbano e con il patrocinio di Women for Oncology Italy.  Hanno partecipato Marilisa D’amico Ordinario di Diritto costituzionale e Pro-Rettrice presso l’Università di Milano, Silvia Allegrezza Docente universitaria di Diritto e procedura penale presso l’Università di Lussemburgo, Rossana Berardi Presidente Women for Oncology Italy e Direttore della Clinica Oncologica Ospedali Riuniti Ancona – Università Politecnica delle Marche, Lucrezia Ercoli Docente di Storia dello spettacolo presso  l’Accademia di belle arti di Reggio Calabria, Rita Chiari direttrice dell’Oncologia degli Ospedali riuniti di Padova sud, Erika Martinelli, associato di oncologia presso l’Università degli Studi della Campania, Francesco Surace Presidente del Rotary Club di Laveno Luino Alto Verbano e l’assessore Giorgia Latini della regione Marche. L’incontro è stato moderato da Gianna Prapotnich Segretario nuove generazioni distretto Rotary 2090.

 

Multidisciplinarietà e territorio: è questa la ricetta della Regione Puglia contro la Sclerosi Multipla

5 luglio 2021 – Sono 130mila le persone affette da Sclerosi Multipla in Italia. Un dato che è destinato ad aumentare se pensiamo che ogni anno, sempre nel nostro Paese, vengono diagnosticati 3.600 nuovi casi di questa malattia, di cui 230-250 nella Regione Puglia. Uno scenario globale gravato ulteriormente dalla pandemia Covid – di cui la Puglia ha registrato meno dell’1% dei casi, rispetto al dato nazionale – che a onor del vero, se da una parte ha creato indubbi problemi, dall’altra ha sdoganato la telemedicina, insieme ad altre modalità di approccio.

Rimane il fatto che siamo di fronte a una malattia che ha un peso sociale importante, se pensiamo che viene diagnosticata in giovane età, ovvero tra i 20 e i 40 anni. Significa che i pazienti devono convivere con la Sclerosi Multipla per tutto il resto della loro vita. Non solo: è anche una malattia complessa, perché all’inizio presenta pochissime problematiche in termini di sintomi e di disabilità, poi via via peggiora, fino ad arrivare alla forma più grave con disabilità ingombrante. Perciò ricomprende tanti quadri, sia clinici sia assistenziali.

«L’approccio alla Sclerosi Multipla, soprattutto nella parte della cronicità, deve essere multidisciplinare: sono tanti gli attori che devono giocare il loro ruolo per dare una risposta a questa malattia, ma sono anche tanti gli attori che assieme devono lavorare in questa rete clinica. La rete clinica non è solo quella delle neurologie, ma anche la riabilitazione e tutti i servizi che devono esistere sul territorio. Soprattutto in questo periodo di pandemia Covid abbiamo sperimentato l’importanza di avere un territorio capace di dare delle risposte e di darle insieme alla rete ospedaliera e specialistica. Voglio ricordare anche l’importanza della terapia precoce, della ricerca e il ruolo delle Associazioni dei pazienti», ha commentato Mario Alberto Battaglia, Presidente Nazionale FISM, nel corso del webinar ‘Focus Puglia: #MULTIPLAYER – La Sclerosi Multipla si combatte in squadra’, organizzato da Motore Sanità.

«Deve essere proprio questo l’indirizzo di ripartenza dalla pandemia Covid», ha confermato Pier Luigi Lopalco, Assessore Sanità e Benessere Animale Regione Puglia. «Un problema di salute oggi, non deve più essere visto solo come il problema del singolo specialista, ma deve essere affrontato necessariamente con un approccio multidisciplinare, che deve partire dal territorio. Se un paziente cronico dovesse arrivare in ospedale, deve arrivare in un ambiente che non ha più l’etichetta di una specialità, ma dove operano in team tutti gli specialisti che servono per risolvere il suo problema. È un approccio culturale estremante innovativo, perché un paziente cronico non ha solo bisogno del neurologo o del riabilitatore, ma anche di un internista e di altre figure multidisciplinari che, in un mondo perfetto, dovrebbero essere coordinate dal medico di famiglia che conosce la storia del paziente e che lo accompagna in questo percorso».

Non ci può essere solo l’aspetto sanitario però, là dove non c’è quello sociale e viceversa. 

E questo si riallaccia al discorso legato ai giovani adulti con diagnosi di Sclerosi Multipla e al loro bisogno di condurre una vita, per quanto possibile, buona. È anche quello che ha tenuto a ribadire Rosa Barone, Assessore Welfare, Politiche del benessere sociale e pari opportunità, Programmazione sociale ed integrazione socio-sanitaria, Regione Puglia: «L’inclusione sociale di queste persone, deve favorire una migliore reintroduzione di una vita normale là dove sia possibile. Un aspetto legato al Welfare non prescinde dalla sanità e viceversa e questo vale anche per tutte le patologie gravi che noi stiamo affrontando giorno dopo giorno».

Diabete Italia Onlus: lettera aperta al Ministro Speranza per garantire l’accesso alle terapie più innovative a tutte le persone con diabete di tipo 2

Blockchain e AI

Sono 4 milioni i casi accertati di diabete in Italia (l’8,5% della popolazione), oltre 1 milione le persone che ancora non sanno di averlo. La diffusione di questa malattia, quasi raddoppiata negli ultimi 30 anni, non arresta la sua corsa. 

A peggiorare ulteriormente questo scenario, la terribile pandemia da Covid-19 che ha particolarmente colpito i pazienti con diabete: il 27% delle persone decedute in Italia, a causa del Sars-Cov 2, ne soffriva. Il lockdown ha poi limitato l’erogazione delle visite da parte del Servizio sanitario nazionale, con effetti che si vedranno solo negli ultimi anni. 

A seguito di queste evidenze, Diabete Italia Onlus scende in campo rivolgendosi direttamente al Ministro della Salute Roberto Speranza, con una proposta: allargare la prescrizione dei farmaci di nuova generazione per le persone con diabete di tipo 2 – per il momento limitata ai soli specialisti in diabetologia – ai medici di medicina generale. L’obiettivo, espresso nella lettera inviata da Stefano Nervo, Presidente di Diabete Italia Onlus, è garantire l’accesso alle terapie più innovative a questi pazienti.

«L’attuale situazione crea disparità di accesso sul territorio nazionale, con particolare effetto negativo per i pazienti più fragili, meno abbienti e che vivono nelle località più disagiate e distanti dai centri di diabetologia», spiega Stefano Nervo, a nome di Diabete Italia Onlus. E ancora: «Grazie all’estensione della prescrivibilità di questi farmaci ai medici di medicina generale, molti pazienti non avrebbero più bisogno di recarsi al Centro diabetologico ospedaliero per riuscire a tenere sotto controllo la propria malattia. Delegare questo compito al medico di famiglia (mantenendo uno stretto coordinamento con gli specialisti), permetterebbe ai pazienti un più facile accesso alle cure migliori, più efficaci e di più semplice gestione. Considerando il rapporto di fiducia e profonda conoscenza che si instaura solitamente tra medico di famiglia e assistito, tutto ciò avrebbe ricadute positive sulla prevenzione delle complicanze, ottenendo un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti, oltre a risparmi notevoli per il Servizio sanitario nazionale nel medio/lungo periodo». 

A preoccupare, infine, è la prossima scadenza del mandato degli attuali componenti delle Commissioni tecniche consultive dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) prevista per settembre, rispetto alle tempistiche di definizione del documento da parte dell’Agenzia. Da qui la richiesta al Ministro Speranza da parte di Diabete Italia Onlus di supportare e stimolare l’azione di AIFA, per arrivare a una rapida definizione e approvazione della Nota per estendere la prescrivibilità dei farmaci innovativi (DPPIVi, GLP1-RA e SGLT2i) per il diabete di tipo 2 ai medici di medicina generale. 

Interstiziopatie polmonari: la Regione Campania in prima linea per batterla

La grande rivoluzione

2 luglio 2021 – Le interstiziopatie polmonari, malattie rare dell’apparato respiratorio, sono patologie a complessa gestione.
Come tutte le malattie rare colpiscono tra i pazienti più fragili. Per la loro gestione è fondamentale l’approccio di un team multidisciplinare.
I numeri della fibrosi polmonare idiopatica in Italia registrano tra i 15 e i 18 mila pazienti. Però solo 5.000 di questi hanno una diagnosi accertata. Nella Regione Campania si stimano circa 1.200 pazienti affetti da questa patologia. Fondamentale per la cura di queste persone è una diagnosi precoce.

«Penso che la parte politica debba sensibilizzarsi rispetto a questa esigenza», ha confermato Vincenzo Alaia, Presidente V Commissione Sanità e Sicurezza Sociale Consiglio Regionale Campania, intervenuto al webinar: ‘INTERSTIZIOPATIE POLMONARI: FOCUS CAMPANIA’, promosso da Motore Sanità. E ancora: «Sono patologie che devono essere gestite adeguatamente sul territorio attraverso percorsi ben stabiliti, così da dare risposte adeguate ai pazienti che ne soffrono, evitando che afferiscano ai pronto soccorsi, sovraccaricandoli». 

«La sfida per il futuro è proprio questa», ha ribadito Antonio Postiglione, Direttore Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale: «rivedere in un’ottica moderna l’organizzazione sanitaria. Per tempo abbiamo registrato una visione ospedalocentrica, senza casi intermedi: la Casa della salute, la Casa della comunità, il Distretto, un territorio che dreni tutte le esigenze primarie della prima cura del cittadino, per destinare poi le risorse alle strutture ospedaliere per cure ad alta intensità». 

Trattandosi di pazienti cronici, partiamo da un livello di complessità che richiede un impegno multidisciplinare molto elevato. È indispensabile per tanto garantire l’accesso alle cure a tutti con una diagnosi rapida, condividendo anche quelle che sono le best practice Regionali.

È quanto sottolinea Maria Rosaria Romano, Responsabile Assistenza Ospedaliera Regione Campania: «L’approccio multidisciplinare è fondamentale un po’ per tutte le patologie, a maggior ragione per le malattie rare, dove il tempo che intercorre tra la presa in carico del paziente e la diagnosi è fondamentale, per evitare che la malattia possa andare avanti, senza essere trattata. Sarebbe bello se riuscissimo a creare, nell’ambito della Rete che è già esistente, dei gruppi multidisciplinari. Un po’ come la Regione Campania sta già facendo per la Rete oncologica».

«La Regione Campania guarda a nuovi processi di sviluppo e di potenziamento dell’assistenza territoriale, lavorando anche insieme alle Associazioni dei pazienti, che rappresentano lo strumento per la raccolta dei bisogni ma anche l’opportunità per arrivare a soluzioni condivise sostenibili», ha aggiunto Ugo Trama, Responsabile Area Farmaci e Dispositivi Medici Regione Campania. «Un approccio che deve essere sempre più interdisciplinare e anche interconnesso con un potenziamento del percorso di digitalizzazione finalizzato alla realizzazione di una sanità di prossimità, attraverso piani di cura personalizzati e cure a distanza».