Antibiotico resistenza: una pandemia continua e silenziosa Le soluzioni proposte dalla Regione Veneto per far fronte a quello che l’OMS definisce “un problema globale non più rimandabile”

Innovazione del SSN

28 giugno 2021 – Rispetto a Covid-19, l’antibiotico resistenza (AMR) è una pandemia continua, silente ma annunciata oramai da anni e che richiede, per essere affrontata, impegno comune e azioni concrete non più rimandabili. 

A ribadire quanto denunciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Giuseppe Cicciù, Presidente Regionale Cittadinanzattiva Veneto, nell’ambito del webinar organizzato da Motore SanitàDAL “CUTTING EDGE” DELLA RICERCA IN ANTIBIOTICO TERAPIA AL BISOGNO DI NUOVI ANTIBIOTICI, DALLA VALUTAZIONE DEL VALORE AL PLACE IN THERAPY APPROPRIATO – FOCUS VENETO. Queste le sue parole: «Noi di Cittadinanzattiva ci eravamo interessati a queste tematiche – antibiotico resistenza (AMR) e Infezioni correlate all’assistenza (ICA) – già dieci anni fa. Tant’è che nel Piano Regionale avevamo presentato un documento con la Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie (SIMPIOS), portandolo all’attenzione della politica e delle istituzioni. Le cose però sono rimaste sulla carta, in mancanza di un’urgenza per cui agire. Ecco io penso che oggi, di fronte anche alla pandemia Sars-Cov 2, esista una necessità che diventa impellente».

Una preoccupazione condivisibile, alla luce di un dato che fa riflettere: il 46% degli operatori che lavorano in ospedale ancora ignora la pianificazione nell’ambito della prevenzione, la necessità di avere un’assistente sanitario ogni 250 pazienti, un medico per ogni tot posti letto per poter dare appunto una sicurezza adeguata al paziente, rispetto alla pianificazione.

Una call to action che non è rimasta inascoltata, ma che anzi è stata prontamente colta durante il webinar da Enoch Soranzo, Componente V Commissione Politiche Socio Sanitarie Regione del Veneto, che ha aggiunto: «Mai come in questo periodo post pandemico la classe politica, ma anche le istituzioni e gli stessi amministratori locali, hanno la consapevolezza che bisogna investire nella ricerca scientifica. Il fatto che per produrre un nuovo antibiotico ci vogliano minimo 8-11 anni (con una spesa globale ben oltre i 600milioni di euro), non può essere trascurato, soprattutto se riflettiamo su quelle che sono state le conseguenze della pandemia in questi ultimi due anni». 

«Un’osservazione mi sento di fare a questo proposito», ha commentato Fabio Presotto, Direttore UOC Medicina Interna Ospedale dell’Angelo ULSS 3 Serenissima – Consiglio Direttivo FADOI Veneto: «con tutte le attenzioni e le precauzioni che abbiamo avuto per la pandemia Covid, compreso il super utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, mi sarei atteso una riduzione delle infezioni correlate all’assistenza. Paradossalmente, invece, abbiamo osservato un loro aumento e questa è una cosa che deve far riflettere noi medici, in merito all’appropriatezza prescrittiva».

Tra le proposte suggerite, inoltre, quella di ampliare i referenti all’interno dei diversi reparti, formati dall’infettivologo. Senza escludere gli infermieri e gli operatori sociosanitari, che hanno un ruolo fondamentale nelle pratiche da adottare nella gestione di dispositivi all’interno del reparto, in grado di prevenire dal 30 al 50% delle infezioni.

Infine un’osservazione, a margine dell’incontro, sull’utilizzo massiccio di antibiotici in ambito agroalimentare che influenza l’antibiotico resistenza in maniera non irrilevante. Rimane questo un ambito su cui sarebbe opportuno lavorare, per contenere l’utilizzo di antibiotici in ambito veterinario e agroalimentare in generale.

L’innovazione in oncologia per salvare sempre più vite

Aderenza e appropriatezza terapeutica

26 giugno 2021 – In Italia ogni anno circa 270 mila cittadini sono colpiti al cancro. Attualmente, il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze invalidanti. Dell’altro 50% una buona parte si cronicizza, riuscendo a vivere più o meno a lungo.

 

Merito del progresso scientifico, ma attenzione: i problemi non sono spariti. Ne sono sorti di nuovi. Se da una parte infatti l’oncologia è protagonista di una situazione in rapida evoluzione, dall’altra questo richiede un altrettanto rapido adeguamento organizzativo per garantire l’equità, l’accesso all’innovazione e la sostenibilità.

 

«Credo sia giusto parlare di innovazione, ma contestualmente vanno recuperati quelli che per me sono i minimi sindacali di una buona oncologia, superate inaccettabili differenze fra Regioni», ha dichiarato Gianni Amunni, Associazione Periplo, nel corso del webinar ONCOnnection, RETI (Real Evidence Through Innovation): innovazione e grandi aspettative, dagli studi RCT al Real World quale valore?, organizzato da Motore Sanità. E ancora: «La pressione mediatica, il carico emotivo e anche la pressione commerciale che c’è in oncologia su alcune innovazioni, necessitano di avere dati certi e rapidamente fruibili necessari per la governance e anche per un rapporto più corretto tra produttori e utilizzatori. Oggi, però, i flussi correnti sono pochi, poco rappresentativi degli snodi sensibili, difficilmente interconnessi e spesso sbagliati. Occorre un investimento serio sulle strutture telematiche».   

 

A proposito di quest’ultimo punto Pierfranco Conte, Associazione Periplo, ha sollevato un’altra criticità: «Sogniamoci di produrre dati di Real World solidi, fino a quando ci saranno norme sulla privacy come quelle attuali. La tac di un paziente fatta a Padova, per esempio, non può essere vista da un medico di Ferrara e viceversa. Questo perché ogni volta che faccio la condivisione dei dati di un paziente con un collega che non lavora nel mio ospedale, violo una legge dello Stato Italiano, secondo quelle che sono le attuali norme sulla privacy».

 

Tornando al concetto del vivere più a lungo: certamente è l’obiettivo di tutti, ma questo non può prescindere dalla qualità della vita.

«Avete presente l’impatto che un percorso terapeutico ha sul paziente? E parlo da sopravvivente da 20 anni», ha aggiunto a conclusione del webinar Davide Petruzzelli, Componente Direttivo F.A.V.O. «Personalmente, amo definire l’esperienza diretta di chi vive la malattia “scienza laica”, ovvero un qualcosa che solo chi l’ha provata può descriverla. Seguendo questo mio ragionamento, potrebbero essere le Associazioni dei pazienti a determinare, nella ricerca, quali possono essere gli outcome principali di uno studio, quali quelli secondari, quali sono quelli più importanti per la loro vita. Attenzione a non ricadere sempre in un’area strettamente clinica. A volte l’outcome migliore può essere disatteso, se andiamo a chiedere ai pazienti il loro parere».