L’8 maggio si celebra la Giornata mondiale del tumore ovarico In Italia 50.000 donne convivono con questa neoplasia.

La grande rivoluzione

7 maggio 2021 – Il tumore ovarico è la malattia tumorale femminile meno conosciuta, più sottostimata, che colpisce ogni anno più di 5mila donne. E’ un tumore aggressivo e silenzioso, spesso viene diagnosticato in fase avanzata, nell’80% dei casi, con poche possibilità di guarigione, perché per questo tumore non esiste prevenzione. E’ considerato il più letale tra i tumori ginecologici, uccide circa 3.200 donne, ed è il sesto per frequenza tra i tumori femminili. In Italia convivono con questa neoplasia 50mila donne. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è cresciuta dal 30% al 45% negli ultimi 10 anni grazie alle nuove cure (Antiangiogenetici e Parp inibitori) che, consentono alle pazienti di vivere più a lungo anche se con la malattia.
Di tumore ovarico si torna a parlare in occasione della Giornata mondiale sul tumore ovarico che si celebrerà sabato 8 maggio: un momento per informare e sensibilizzare le donne sulla patologia e sulla possibilità di curarsi.

L’appello rivolto alle donne arriva da Women for Oncology Italy, il network a sostegno delle professioniste dell’oncologia italiana istituito 5 anni fa come spin-off della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), da sempre in prima fila con iniziative concrete per combattere la battaglia contro il tumore ovarico, quanto mai attuale.
“È importante prendersi cura di sé, anche in questa patologia in cui è difficile fare prevenzione, poiché non esistono programmi di diagnosi precoce; è importante rivolgersi a centri qualificati di riferimento per questa patologia così come ricevere il test genetico per la valutazione del gene BRCA. Abbiate fiducia verso terapie innovative che hanno cambiato e sempre più cambieranno la pratica clinica”. 

 “I test genetici rivelano alle persone tutti i segreti nascosti nel DNA e aiutano a quantificare il loro rischio di ammalarsi – spiega Rossana Berardi, Presidente di W4O e direttore della Clinica Oncologica dell’Università Politecnica delle Marche e dell’AOU Ospedali Riuniti di Ancona –. Per il tumore dell’ovaio è importante ricercare la presenza di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, importanti sia per valutare l’ereditarietà che la possibilità di beneficiarsi di farmaci innovativi inibitori di PARP”. 

“Stiamo vivendo un momento estremamente interessante nella cura del tumore ovarico” conclude la Professoressa Domenica Lorusso, Professore associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Responsabile della ricerca clinica presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS. “Gli avanzamenti delle tecniche chirurgiche e le nuove terapie mediche, tra cui i parp inibitori, stanno cambiando la storia della malattia sia nelle pazienti portatrici della mutazione BRCA sia nei tumori non mutati e, mai come in questo momento, la ricerca sta aprendo nuove frontiere di cura che ci porteranno, se non alla guarigione, alla cronicizzazione della malattia per un numero sempre maggiore di pazienti”.

Farmaci antivirali e Covid-19: “Anticiparne l’uso garantirebbe inferiore progressione dell’infezione, maggior recupero, minori ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva”

Velocizzare il piano vaccinale

7 maggio 2021 – È stato appurato che l’utilizzo degli antivirali sia più efficace se effettuato sin dalle prime fasi dell’insorgenza dell’infezione da COVID-19. Ad oggi la terapia antivirale viene somministrata solo in ospedale e in fasi più avanzate della malattia. Evidenze cliniche hanno dimostrato come un uso anticipato di questi farmaci porterebbe ad una riduzione della progressione dell’infezione, una velocità di recupero maggiore, un minor ricorso all’ospedalizzazione e quindi una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva. Con l’obiettivo di approfondire la tematica insieme a clinici, decisori, economisti sanitari e società scientifiche, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD.

“A distanza di più di 12 mesi dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, non abbiamo a disposizione una terapia capace di eradicare l’infezione; il trattamento dipende molto dallo stadio e dalla gravità della malattia. Poiché la replicazione della SARS-CoV-2 è massima immediatamente prima o subito dopo la comparsa dei sintomi, i farmaci antivirali diretti sono probabilmente più efficaci se utilizzati in questa prima fase della malattia. Fra i vari antivirali testati, remdesivir, un analogo nucleotidico inibitore dell’RNA-polimerasi di SARS-CoV-2, è ancora l’unico farmaco antivirale approvato dalle agenzie regolatorie (FDA, EMA, AIFA). Negli studi registrati ad oggi, il farmaco ha dimostrato di determinare un più rapido recupero clinico rispetto al gruppo placebo. Promettente sembra essere l’uso degli anticorpi monoclonali (l’associazione bamlanivimab e etesevimab è stata recentemente introdotta nella pratica clinica) che però devono essere impiegati proprio nei primi 2-5 giorni dell’infezione. Nel prosieguo della malattia si ipotizza che non sia tanto l’azione del virus a produrre l’evoluzione del quadro clinico quanto piuttosto uno stato iperinfiammatorio e di ipercoaugulabilità; in questa fase, i farmaci antiinfiammatori, immunomodulatori, anticoagulanti (e/o una loro combinazione). In Italia, è AIFA che ha il compito di valutare tutte le sperimentazioni cliniche con nuovi farmaci anti SARS-CoV-2. Il numero delle sperimentazioni è in costante crescita e questo dimostra come la ricerca italiana sia particolarmente attiva in questo ambito essendo in prima linea negli sforzi per comprendere, prevenire e trattare questa infezione pandemica”, ha dichiarato Anna Maria Cattelan, Direttore Reparto Malattie Infettive e Tropicali AOU Padova

Anche l’analisi di mortalità su circa 16’000 pazienti COVID-19 trattati con remdesivir in Italia secondo i criteri di rimborsabilità imposti da AIFA e inseriti nel Registro AIFA dal 29 ottobre 2020, ha mostrato una mortalità sulla popolazione generale sostanzialmente simile a quella emersa dallo studio registrativo.

Una recente valutazione del possibile impatto organizzativo ed economico stimato con l’utilizzo dell’antivirale attraverso un modello previsionale che simula l’evoluzione del corso pandemico ha mostrato benefici sulla possibile riduzione di occupazione delle terapie intensive con i relativi impatti economici.

“La stima delle capacità delle terapie intensive parte da un modello epidemiologico dinamico grazie al quale è possibile simulare l’evoluzione del corso pandemico. Tale simulazione si basa su delle ipotesi relative ai cambiamenti del tasso di riproduzione RT che tiene conto degli sviluppi della campagna di vaccinazione e delle politiche in merito al distanziamento sociale. La simulazione restituisce un numero di persone infettate, una porzione delle quali, sulla base di dati di letteratura ed osservabili empiricamente, viene ospedalizzata in regime ordinario o in terapia intensiva. Questa seconda fase del modello si basa su una catena markoviana che simula il percorso terapeutico degli ospedalizzati e quindi permette di calcolare per ogni settimana di osservazione, il numero di terapie intensive occupate, il numero di morti ed i relativi costi ospedalieri. A questa simulazione sono stati poi applicati i dati inerenti all’efficacia di Remdesivir ed anche la durata media delle degenze sia ordinarie che in terapia intensiva. Ciò ha permesso di confrontare gli effetti sia clinici che economici derivanti dall’impiego di Remdesivir nei soggetti eleggibili. I risultati mostrano come l’impiego di tale terapia permetterebbe, su 20 settimane, di salvare circa 13000 vite, occupare complessivamente circa 9000 terapie intensive in meno (su tutto l’arco delle 20 settimane) e di ottenere risparmi pari a 400 milioni di euro. È da ricordare come il modello possa essere adattato ad ulteriori cambiamenti nel corso della pandemia, ponendosi in primis l’obiettivo di informare i decision makers rispetto al potenziale valore derivante dall’introduzione di strategie terapeutiche volte a diminuire la pressione sulle terapie intensive ed il tasso di mortalità”, ha spiegato Matteo Ruggeri, Ricercatore, Centro Nazionale di HTA – Istituto Superiore di Sanità e Professore di Politica Economica, St Camillus International University of Health Sciences, Roma

Per i pazienti che possono beneficiare di queste terapie, rimane la necessità di garantirne l’accesso nei tempi indicati dal registro AIFA (entro i 10 giorni dall’insorgenza dei sintomi) attraverso protocolli terapeutici e di presa in carico diffusi su tutto il territorio nazionale, attraverso il coinvolgimento della medicina territoriale per l’identificazione del paziente e attraverso l’estensione della prescrivibilità a più specialità mediche all’interno delle strutture ospedaliere. Nuovi delivery form di remdesivir e nuovi antivirali contro COVID19 sono in sviluppo.