Anticorpi monoclonali contro il Covid: tra due mesi i pazienti potranno essere curati a casa

Velocizzare il piano vaccinale

29 aprile 2021 – Gli anticorpi monoclonali se somministrati all’insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5 giorni, permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave. Sono concordi su questo gli infettivologi che questa mattina hanno fornito il quadro generale dell’uso dei monoclonali nelle diverse realtà regionali durante l’instant webinar organizzato da Motore Sanità dal titolo “ANTICORPI MONOCLONALI ANTI COVID” al fine di aprire un franco scambio di idee non basate sulla ricerca di visibilità ma sui dati scientifici disponibili sino ad ora e sulle prospettive future. Se in Liguria l’impiego degli anticorpi monoclonali sta procedendo a passo spedito grazie alla collaborazione tra ospedale e territorio, dalla Toscana la notizia è quella che entro luglio potrebbero essere messi a disposizione anticorpi monoclonali più potenti e potranno evitare ai pazienti Covid positivi di essere curati in ospedale.

L’EMA, AIFA ed altre istituzioni internazionali e nazionali (NIH) si sono espresse sull’utilità dell’uso degli anticorpi monoclonali contro l’infezione da SARS COV 2 che ha già provocato oltre 120mila morti. Attualmente le linee guida e i trial in corso sdoganano l’impiego dei medesimi più come profilassi che come terapia nei pazienti con malattia grave e conclamata. Così come gli antivirali, gli anticorpi monoclonali sono indicati in pazienti positivi entro 10 giorni dall’esordio dei sintomi e non in pazienti che necessitano di elevati volumi di ossigeno.
Gli anticorpi monoclonali non sono stati ancora completamente studiati e non hanno ricevuto l’approvazione definitiva dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ma un parere scientifico positivo all’uso da parte degli enti regolatori dei vari paesi europei, in conseguenza degli studi sino ad ora presentati in pazienti con le caratteristiche definiti nella slide precedente. Sono stati oggetto di autorizzazione temporanea AIFA l’anticorpo monoclonale bamlanivimab e l’associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab, prodotti dall’azienda farmaceutica Eli Lilly, nonché l’associazione di anticorpi monoclonali casirivimab-imdevimab dell’azienda farmaceutica Regeneron/Roche.

“Gli anticorpi monoclonali se somministrati all’insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5 giorni permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave. In Liguria circa 200 persone sono state trattate così senza nessun decesso. Si tratta di una “cura efficace” contro il virus. Peccato che in Italia non sia ancora sfruttata al massimo in tutte le regioni. Occorre che si intraprendano ovunque protocolli di collaborazione tra ospedale e territorio per consentire il loro utilizzo nelle prime fasi dell’infezione”, ha detto Matteo Bassetti, Presidente SITA e Direttore UO Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico “San Martino”, Genova.
La Regione Liguria grazie al virtuoso progetto di collaborazione tra territorio e ospedale incominciato a gennaio 2021 ha ottenuto importanti risultati su questo fronte terapico.
“La nostra regione ha organizzando il Dipartimento regionale di malattie infettive a cui fanno capo tutte le divisioni di malattie  infettive della Liguria e ha stabilito che dovesse esserci un rapporto tra l’ospedale e il territorio, ovvero che ogni azienda sanitaria dovesse instillare protocolli di collaborazione tra ospedale e medicina generale e questo è stato fatto nella provincia di Genova dallo scorso ottobre: oggi sono stati gestiti circa 600 pazienti Covid positivi – ha proseguito il dottor Bassetti -. Per quanto riguarda i dati della Liguria, che conta 1,5 milione di abitanti, siamo arrivati a somministrare 126 dosi di anticorpi monoclonali per milione di abitanti, il doppio rispetto a quello che avviene mediamente in altre regioni. Tutto questo è il frutto di questa collaborazione che fa sì che i medici di medicina generale intercettino i casi Covid positivi molto precocemente e li portino all’attenzione degli ospedali. I risultati preliminari sono molto incoraggianti”.
E poi ha aggiunto l’infettivologo: “I medici di medicina generale devono essere le “civette sul territorio” che intercettano la malattia e, in questo modo, insieme all’ospedale si potranno gestire anche altri nuovi monoclonali e le altre terapie. Tanto maggiore è la capacità di fare squadra con il territorio tanto maggiore è il successo delle terapie con i monoclonali. Chi non ha fatto squadra con il territorio i monoclonali non li sta utilizzando o non li ha utilizzati. I monoclonali sono la cartina di tornasole dell’organizzazione ospedale-territorio della gestione del Covid”. 

Presso la Toscana Life Sciences Sviluppo di Siena sono stati sviluppati anticorpi monoclonali umani per il trattamento del Covid molto potenti e in grado di contrastare anche le varianti.
“Sta proseguendo la sperimentazione scientifica su monoclonali di seconda generazione quindi più potenti, somministrabili per via intramuscolo quindi al domicilio del paziente – ha spiegato Rino Rappuoli, Coordinatore scientifico Monoclonal Antibody Discovery (MAD) Lab, di Toscana Life Sciences. “Stiamo pensando di entrare nella fase clinica 2 e 3 e speriamo di potere mettere a disposizione queste terapie entro luglio”. 
L’obiettivo dei ricercatori è quello di “avere dei monoclonali che siano disponibili a pazienti non solo ad altissimo rischio infettivo ma anche per quelli che vogliono guarire velocemente, e che siano a prezzi accessibili e usabili sul territorio”. È diventato molto importante non tanto avere un cocktail di monoclonali ma avere il monoclonale giusto e più sensibile alle varianti – ha proseguito Rappuoli -: il nostro anticorpo monoclonale risponde a questi requisiti. Proveremo ad utilizzarlo anche dove altri monoclonali hanno fallito, che sono i casi di pazienti gravi”. 

“Certamente l’elemento della tempestività è fondamentale come lo è il punto di raccordo e di coordinamento tra la medicina generale e l’ospedale: bisogna essere tempestivi – ha spiegato Pierluigi Russo, Dirigente Ufficio Registri di Monitoraggio AIFA -. I dati dei trattamenti che noi monitoriamo sono assolutamente insufficienti e decisamente troppo pochi e coprono meno dell’1% dei pazienti contagiati. Capisco gli aspetti legati alle limitazioni previste dalla CTS nell’uso di questi medicinali che sono stati autorizzati con “autorizzazione in emergenza”, ma il punto fondamentale è che questa percentuale mi sembra troppo poco per riferire questa numerosità esclusivamente ai limiti previsti dalla Cts. Il registro di monitoraggio evidenzia una crescita lenta dell’uso dei monoclonali rispetto alla velocità del Sars Cvo 2 e questo è un punto negativo sicuramente, ma la possibilità di avere dei prodotti che stanno in fase di valutazione e di ulteriore autorizzazione ci aiutano ad avere una consapevolezza più estesa rispetto ai prossimi passi”. 

ANTICORPI MONOCLONALI e COVID-19: “Fondamentale il loro utilizzo in pazienti con i primi sintomi dell’infezione”

Tumori e Covid

29 aprile 2021 – Ad oggi, i dati disponibili sugli anticorpi monoclonali, confermati sia da EMA

che da AIFA, confermerebbero l’importanza del loro utilizzo in pazienti positivi entro 10 giorni

dall’esordio dei sintomi e non in pazienti con malattia grave, come avviene già per gli antivirali.

Con l’obiettivo di fare il punto sui dati scientifici disponibili sino ad ora e sulle prospettive

future, Motore Sanità ha organizzato l’instant Webinar ‘ANTICORPI MONOCLONALI ANTI COVID’.

 

Gli anticorpi monoclonali se somministrati all’insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5

giorni permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave.

In Liguria  circa 200 persone sono state trattate così senza nessun decesso. Si tratta di una “cura

efficace” contro il virus. Peccato che in Italia non sia ancora sfruttata al massimo in tutte le regioni.

Occorre che si intraprendano ovunque protocolli di collaborazione tra ospedale e territorio per

consentire il loro utilizzo nelle prime fasi dell’infezione”, ha detto Matteo Bassetti, Presidente SITA

e Direttore UO Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico “San Martino”, Genova

 

“Nella battaglia contro il covid tutti gli strumenti a disposizione sono fondamentali e vanno utilizzati

nella maniera più efficace: innanzitutto occorre che la campagna vaccinale vada avanti con celerità

e che i cittadini continuino a mantenere i comportamenti adeguati contro il contagio. Gli anticorpi

monoclonali sono un altro strumento fondamentale e devono essere utilizzati in maniera tempestiva

ed appropriata. La somministrazione precoce, come sappiamo, è la chiave fondamentale e per

questo è importante il ruolo dei medici di famiglia che, lavorando a stretto contatto con le strutture

ospedaliere, possono ottimizzare la gestione di questa cura. Tuttavia, come ha mostrato il

monitoraggio dell’Aifa nei giorni scorsi, ci sono enormi differenze nella somministrazione degli

anticorpi monoclonali tra le varie realtà del paese e anche all’interno della stessa area territoriale.

È un problema che va con urgenza superato, perché l’accesso alle cure – in questo caso innovative

– deve essere omogeneo e funzionale ai bisogni delle persone”, ha dichiarato Antonio Gaudioso,

Presidente Cittadinanzattiva

 

“Considerati la terapia di precisione del COVID-19, gli anticorpi monoclonali rappresentano

un’opzione per tentare di bloccare l’infezione da SARS-CoV2 nelle prime fasi ed impedirne la

progressione a malattia che richieda la necessità di ricovero in particolare nei soggetti a rischio

di sviluppare un COVID-19 grave. Purtroppo, i monoclonali approvati recentemente da AIFA

sono stati messi a punto diversi mesi fa quando la circolazione prevalente del virus era di tipo

diverso da quella attuale. Questo ritardo si riflette purtroppo in una minore efficacia od addirittura

nella inefficacia di questi cocktail nei confronti delle varianti ora prevalenti in Italia, in particolare

quella brasiliana che in centro Italia incide sino al 30%. È quindi di particolare importanza lo

sviluppo clinico di monoclonali di seconda generazione che posseggano invece un’adeguata

attività contro le varianti. Una adeguata ed armonica continuità assistenziale tra medicina del

territorio ed ambulatorio ospedaliero per la somministrazione dei monoclonali è il requisito

indispensabile per garantire la precocità della diagnosi e dell’intervento terapeutico che,

altrimenti, perde la sua potenziale efficacia”, ha spiegato Francesco Menichetti, Direttore

UO Malattie infettive AOU Pisana e Presidente GISA

 

Un ictus su 4 è causato dalla fibrillazione atriale. La prevenzione dei fattori di rischio è fondamentale per evitare le conseguenze drammatiche della malattia

Aderenza e appropriatezza terapeutica

Secondo quanto riporta il Ministero della Salute, in Italia, ogni anno, si verificherebbero 120.000 casi di

ictus di cui l’80% sono nuovi episodi e il restante 20% ricadute, cioè pazienti che hanno già sofferto di

ictus in passato. Il rischio di incorrere in un ictus non è uguale in tutti i soggetti e aumenta con l’età

avanzata, la presenza di diabete mellito, ipertensione arteriosa, riduzione della funzione di pompa del

cuore, malattia delle arterie o in coloro che hanno già presentato una ischemia cerebrale. Un ictus su

4 è causato dalla fibrillazione atriale (nel 20% dei casi), aritmia cardiaca nonché disturbo cronico del

ritmo cardiaco più frequente, che ha come principale bersaglio il cervello e affligge circa 900.000

individui in Italia (il 2,04% è il tasso di prevalenza nella popolazione italiana). Tra le persone di età

maggiore di 40 anni, una su quattro potrà presentare nel corso della restante vita un episodio di

fibrillazione striale. Se si dovessero elencare i fattori di rischio dell’ictus e per ciascuno indicare il livello

di consapevolezza e conoscenza del pubblicoper quanto riguarda la fibrillazione atriale la

percentuale è del 43%, contro il 57% rispetto all’ipertensione, il 55% al diabete, il 53% per gli stili di vita

e il 45% per il consumo di alcol.

Le caratteristiche della fibrillazione atriale variano da individuo a individuo. Alcune persone non

manifestano alcun sintomo, spesso per anni, mentre per altre i sintomi cambiano di giorno in giorno,

ragione per cui il trattamento congiunto dei sintomi e della fibrillazione atriale si rivela tutt’altro che semplice.

A volte la fibrillazione atriale rimane l’unico evento, mentre in altri casi l’aritmia tende a ricorrere. Da qui

l’appello forte e chiaro delle Associazioni dei pazienti: “La fibrillazione atriale viene frequentemente

diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cerebrovascolare, c’è necessità urgente di una maggiore

sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente

la popolazione”.

L’attenzione sulla prevenzione dei fattori di rischio dell’ictus è molto alta ed è stata messa in luce in un

webinar organizzato da Motore Sanità, dal titolo Screening e prevenzione dell’ictus cerebrale.

Focus Veneto’, incontro patrocinato da A.L.I.Ce. Italia O.D.V. Associazione per la Lotta all’Ictus

Cerebrale, Feder A.I.P.A. ODV Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati, F.C.S.A.

Federazione Centri per la Diagnosi della Trombosi e la Sorveglianza delle Terapie Antitrombotiche

e FIMMG Sezione di Padova. Il webinar ha visto coinvolte le principali Associazioni impegnate nella

prevenzione dell’ictus che hanno portato i bisogni e le istanze dei pazienti e hanno formulato le proposte

per raggiungere l’obiettivo così importante quanto strategico della prevenzione.

 

FEDER-A.I.P.A. Odv, la federazione che rappresenta i pazienti anticoagulati e le associazioni presenti

sul territorio, arrivano i bisogni insoddisfatti dei pazienti che i volontari cercano di tramutare in risposte.

L’appello del suo presidente Nicola Merlin è forte.

C’è necessità di un cambiamento da parte delle associazioni e di sviluppare un forte interesse nella

prevenzione dei rischi collegati alla fibrillazione atriale, in questa fase di pandemia non è semplice,

perciò serve la collaborazione di tutti”.

 

Abbiamo bisogno dell’aiuto dei nostri associati e l’aiuto a livello nazionale e regionale” ha aggiunto

Marino Mancini, Coordinatore Regione Veneto di FEDER-A.I.P.A. Odv, associazione nata nel 2019

che cerca di elevare la qualità di vita dei pazienti, fa formazione e programma iniziative di valenza nazionale.

 

Perché c’è un dato importante che fa riflettere: durante gli screening organizzati in questi anni dalle

associazioni dei pazienti in cui le persone si  sottoponevano alla misurazione e rilevazione della pressione

arteriosa e del ritmo cardiaco si è riscontrato in circa il 2% dei casi la presenza di fibrillazione atriale.

Voglio ricordare che una fibrillazione atriale inconsapevole può determinare un ictus” ha rimarcato Merlin.

Il nostro compito è quindi promuovere la formazione e l’educazione del paziente e per fare questo abbiamo

realizzato un vademecum che abbiamo pubblicato sul nostro sito https://www.federaipa.com ed è anche

disponibile in versione cartacea, che dà le risposte sulla gestione della terapia anticoagulante”.

 

ALICE Italia Odv, Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, porta avanti il messaggio della prevenzione

nonostante i risvolti drammatici della pandemia.

Il Covid non ci ha aiutato perché le nostre campagne di sensibilizzazione hanno avuto minore possibilità

di essere svolte, è venuta meno la possibilità di fare screening in piazza o con la formula degli “ospedali a

porte aperte” ma non ha fermato la nostra mission” ha spiegato Nicoletta Reale, Presidente A.L.I.Ce. Italia

Odv. “Ci auguriamo di essere presto nuovamente in piazza per incontrare personalmente i nostri pazienti e

fornire loro tutte le informazioni perché mettano in campo una prevenzione contro l’ictus. Ancora oggi i

cittadini non hanno la piena consapevolezza dei suoi fattori di rischio, quindi la formazione e

l’educazione sono necessarie. E’ necessario inoltre che la popolazione modifichi il proprio stile di vita,

che vuol dire mettere in atto una prevenzione attiva. Sono fermamente convinta che sono necessarie delle

strategie per evitare che questa patologia e in particolare le conseguenze abbiano risvolti drammatici”.

 

Bisogna essere non solo tempestivi e presenti durante l’evento ma anche durante e dopo” è stato l’appello

alle istituzioni di Paola Regazzo, Referente A.L.I.Ce. Veneto Odv. “Dobbiamo avere una rete continua che

già è molto attiva nel Veneto, ma bisogna fare di più. Dateci più possibilità di mettere in rete la filiera che

va dal cittadino al paziente che si trova in una situazione critica, al post. E’ giusto che tutti possano

avere una componente attiva, lavorare con una telemedicina efficace sul territorio, che libera gli ospedali

da persone che arrivano in situazioni critiche che hanno aspettato troppo e che permetta ai pazienti di non

soggiornare in ospedale per lunghi percorsi di riabilitazione, e magari riuscire ad avere percorsi di

riabilitazione facilitati a livello domiciliare piuttosto che con strutture diversamente convenzionate che

aiutano le persone ad avere risposte da casa”.

 

Anche secondo la medicina generale si deve lavorare di più sulla prevenzione e si deve guardare ad un

nuovo futuro del territorio.

Fimmg si sta impegnando molto negli ultimi anni, tanto che nell’ultimo anno Fimmg Padova ha portato

avanti un progetto di sperimentazione sull’utilizzo di Ecg e di Ecg older all’interno degli ambulatori della

medicina generale – ha spiegato Mariateresa Gallea, Medico Medicina Generale -: questa possibilità di

utilizzare strumenti di diagnostica di primo livello in autonomia o in alcuni casi in telemedicina ha visto

importanti risultati: sono state eseguite oltre 2.000 prestazioni. Ma tutto questo non può essere lasciato

alla singola iniziativa del medico o alla singola organizzazione. Su questo da anni stiamo lavorando, per

potenziare le forme organizzative della medicina generale intese come gruppo di medici che

condividono personale infermieristico e amministrativonell’ottica di una migliore e più efficace

gestione dei pazienti cronici, riducendo gli accessi impropri in pronto soccorso e di secondo livello”.

 

Abbiamo creato a Verona come a Padova una alleanza molto forte con l’ospedale per affrontare la

drammaticità della pandemia che ci ha riguardato tutti, da questo credo che si debba partire per

rinsaldare la conoscenza e i contatti con tutta la rete ospedaliera perché questo è il futuro che ci spetta

ha spiegato Giulio Rigon, Medico Medicina Generale. “L’integrazione tra ospedale e territorio sarà

possibile se facciamo crescere la medicina generale dotandola di personale infermieristico per

agevolare l’assistenza a domicilio al paziente e dotandola delle importanti tecnologie. Ricordiamo che

i pazienti colpiti da ictus hanno bisogno di cure, di supporto e di terapia fisica che spesso non trovano

sul territorio o trovano con difficoltà”.

 

Ha infine commentato così Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e

Vascolare, Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organisation e dell’Osservatorio Ictus

Italia. “Secondo il report europeo sulla fibrillazione atriale è necessario promuovere l’implementazione

delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus aumentando la comunicazione sulle best practice

evidenziando gli interventi chiave come la gestione della fibrillazione atriale e altre azioni preventive e

assicurando l’accesso alle terapie preventive anche innovative. C’è necessità di un maggiore 

potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario e penso all’istituzione dell’infermiere di

famiglia e all’impegno per i medici di medicina generale. Altro aspetto importantissimo è il sostegno

per le tecnologie digitali garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti,

da un lato con maggiori investimenti dall’altro con modalità di utilizzo definite. Insomma dobbiamo

creare una alleanza globale per l’approccio olistico dei nostri pazienti”.