Malattie autoimmuni del fegato: “Ritardo diagnostico, gestione clinica complessa e assenza di terapie curative, che fare?”

Cirrosi Epatica

8 aprile 2021 – Le malattie autoimmuni del fegato insorgono quando il sistema immunitario aggredisce il fegato provocando un’infiammazione cronica e progressiva. In assenza di adeguato trattamento, questa condizione porta a cirrosi e insufficienza epatica. Se ne distinguono almeno 4 forme, ma la colangite biliare primitiva resta tra le più diffuse, colpendo maggiormente le donne tra i 40 e i 60 anni, con un’aspettativa di vita di circa 10 anni. Organizzare percorsi dedicati per queste malattie è fondamentale per poter avere una rapida diagnosi e presa in carico dei pazienti, ed evitare la progressione della malattia, fino alla cirrosi. Per discutere di nuovi modelli organizzativi per la gestione di questa complessa malattia, MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS LOMBARDIA: FEGATO E AUTOIMMUNITÀ’, realizzato grazie al contributo incondizionato di Intercept.

“Le malattie autoimmuni del fegato (MAF) sono un gruppo di patologie causate da  un’alterazione del sistema immunitario che individua ed aggredisce le proprie cellule del fegato e le cellule dei dotti biliari come elementi esterni all’organismo. Questo processo è seguito da infiammazione cronica e cicatrizzazione con lo sviluppo della cirrosi e le sue complicanze, che in alcuni casi possono richiedere il trapianto di fegato. Le MAF più comuni sono la epatite autoimmune (EAI) in cui il bersaglio sono le cellule del fegato (gli epatociti); e le malattie biliari come la colangite biliare primitiva (CBP) e la colangite sclerosante primitiva (CSP) in cui i bersagli sono le cellule dei piccoli dotti biliari e dei grandi dotti biliari, rispettivamente. Le MAF sono definite malattie rare anche se solamente la CSP è attualmente inclusa nella lista delle malattie rare. In Italia migliaia di individui ne sono affetti e rappresentano una importante indicazione al trapianto di fegato. Il maggior dilemma clinico e assistenziale nelle MAF è rappresentato dal ritardo diagnostico. Inoltre, la gestione clinica è complessa e caratterizzata dall’assenza di terapie curative e di marcatori di malattia. Nella EAI vi sono farmaci immunosoppressori che rallentano la evoluzione della malattia a costo di importanti effetti collaterali. Nella CBP vi sono 2 farmaci registrati con effetti subottimali. Nella CSP non vi sono terapie registrate. Dopo gli enormi passi avanti fatti nel campo della epatite C con l’eliminazione di una delle cause più frequenti di malattia cronica del fegato, le MAF rappresentano la più importante sfida della epatologia nei prossimi anni”, ha spiegato Marco Carbone, Dirigente medico U.O.C. Gastroenterologia Ospedale S. Gerardo, Monza Responsabile Centro malattie autoimmuni del Fegato

“La gran parte delle malattie epatiche croniche ha un andamento evolutivo nel tempo, con progressiva alterazione strutturale dell’organo e riduzione della funzione epatica fino alla cirrosi ed alle sue temibili complicanze: lo scompenso epatico e/o l’epatocarcinoma. Purtroppo, le epatopatie croniche decorrono in maniera asintomatica o paucisintomatica  fino alla fase terminale dell’insufficienza epatica. Per tale ragione è fondamentale diagnosticare il più precocemente possibile tutti i pazienti epatopatici, prestando attenzione ai sintomi e segni di malattia; alle alterazioni biochimiche e ai test di immagine suggestivi di un danno epatico, per poi iniziare il percorso di diagnosi e cura appropriato. I pazienti con  epatopatia cronica autoimmune rappresentano il paradigma di come una gestione multidisciplinare e condivisa – sia con i medici di medicina generale che con gli altri specialisti – sia in grado di: diagnosticare precocemente i pazienti, stratificarli in base al loro rischio di progressione del danno epatico e avviarli ad un trattamento basato sulla risposta capace di modificare significativamente la loro prognosi”, ha detto Mauro Viganò, Dirigente Medico Reparto Epatologia ospedale San Giuseppe, Milano

Digitalizzazione e umanizzazione in home care, ecco i modelli italiani per far fronte alla pandemia delle malattie croniche

La grande rivoluzione

Gli specialisti: «Gli applicativi gestionali devono semplificare il lavoro del medico di medicina generale abbattendo i carichi burocratici e semplificandogli il lavoro».

 

9 Aprile 2021 – Il periodo emergenziale che il mondo sta vivendo ha evidenziato la necessità che il Servizio sanitario nazionale e regionale abbia una rete vera che sia in grado di mettere a sistema l’interdisciplinarietà fra tutti gli attori che intervengono nel percorso di cura e di prevenzione del malato cronico, ciò al fine di predisporre un equilibrato rapporto tra medico, strutture sanitarie ed ospedali che abbia come obiettivo la salute del paziente e cittadino.  Il futuro del Sistema sanitario nazionale passa dall’home care quale diritto costituzionale del cittadino, che va oltre l’assistenza domiciliare integrata e deve fornire terapie complesse e una attività di medicina di iniziativaDigitalizzazione e  umanizzazione si coniugano all’interno di un modello organizzativo basato sui principi di ‘flessibilità’ e di ‘prossimità’, in grado di sfruttare a pieno le potenzialità della tecnologia per assicurare l’assistenza alle persone anche a distanza, in una relazione costante tra operatore sanitario e paziente.

In una regione come la Puglia, che conta 1 milione e 600mila malati cronici (il 40% degli assistiti) e un consumo procapite/annuo di 1.500 euro (l’80% delle risorse sanitarie) per un totale di euro 2.549.260.471), sono nati modelli di lotta alla cronicità che durante la pandemia sono stati in grado di restare accanto al paziente cronico e non lasciarlo solo. Questi i temi del quinto appuntamento dell’Academy di alta formazione di MOTORE SANITÀ TECH realizzato grazie al contributo di ENGINEERING, dal titolo ‘HOME CARE. Modelli socio-sanitari di resilienza territoriale, l’innovazione cambia il rapporto sanità-paziente: piattaforme tecnologiche, IA e Blockchain’.

Il progetto Diomedee dell’ASL di Foggia è una applicazione non “chiusa” ma una componente applicativa di un sistema informatico complesso incardinato su un Clinical data repository standard, in cui i blocchi funzionali del sistema informativo e gli operatori che li utilizzano sono distribuiti nello spazio. “I suoi obiettivi – spiega Tommaso Petrosillo, Dirigente Responsabile Sistemi Informativi e TLC – sono offrire un percorso assistenziale razionale e aderente alle linee guida nazionali e locali; favorire l’aderenza al followup da parte del paziente cronico rendendo i servizi assistenziali più facilmente fruibili nel territorio di residenza, evitare la mobilità dei pazienti cronici e il ricorso al ricovero ospedaliero inappropriato. Il sistema progettato associa l’utilizzo di app e strumenti digitali di uso comune e gratuiti, come Skype e WhatsApp, a quello di una cartella clinica informatizzata, con la quale gli operatori possono monitorare e condividere tutti i parametri clinici del paziente, compresa la terapia farmacologica in atto, rilevati da apparecchiature elettromedicali in uso al paziente. Gli ulteriori sviluppi riguarderanno il monitoraggio a distanze dei pazienti oncologici e dei pazienti in carico al dipartimento di salute mentale, il monitoraggio a distanza delle pazienti nel percorso nascita e l’APP Mo’Mamma, il monitoraggio distanza dei pazienti in carico al servizio di diabetologia ed endocrinologia”. A seguito della pandemia la ASL Foggia ha accelerato il processo di digitalizzazione e ha rimodulato il “Progetto Diomedee” ampliandolo e adattandolo alle sopraggiunte esigenze collegate all’emergenza Covid-19, rispondendo così alla necessità di monitorare a distanza i pazienti positivi, asintomatici, in isolamento domiciliare in casa o presso le strutture residenziali territoriali.

Il progetto Care Puglia 3.0 è il modello regionale per la presa in carico delle cronicità. “E’ una proposta di presa in carico del paziente cronico in termini di valutazione del bisogno di ciascun assistito e relativa offerta dei servizi, e una modalità attraverso la quale viene data attuazione dei percorsi terapeutici (PDTA) con un’alta attenzione sull’individuo affetto da patologia cronica attraverso la possibilità di personalizzare i PDTA di riferimento in Piano di assistenza individuale (PAI) – ha spiegato Pierluigi De Paolis, Medico di Medicina Generale -. L’implementazione di modelli di presa in carico si impernia sui medici di assistenza primaria nelle loro forme organizzative, nonché sulla riorganizzazione della rete dei servizi territoriali. Gli obiettivi di questo modello sono: assicurare continuità nella zona di cura delle malattie croniche, programmazione del percorso, la presa in carico proattiva ed empowerment del paziente; interventi di prevenzione primaria (modifica degli stili di vita insalubri) e secondaria (diagnostica precoce); obiettivi di cura del Piano Nazionale cronicità quali miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, minimizzazione della sintomatologia, prevenzione della disabilità, miglioramento della qualità della vita”.

Ma non solo. Secondo Pier Camillo Pavesi, Medico Cardiologo, “bisogna pensare ad applicativi gestionali in cui la telemedicina sia parte integrante, che siano finalizzati a semplificare il lavoro del medico di medicina generale abbattendo i carichi burocratici e semplificandogli il lavoro, per esempio attraverso l’integrazione con i CUP. I nuovi applicativi di gestione del paziente nel post Covid non potranno prescindere da una parte di telemedicina ma soprattutto devono avere dei sistemi di usabilità e di ergonomia integrati con la comunicazione a distanza con il paziente”.

Digitalizzazione però vuol dire porre maggiore attenzione al valore del dato clinico del paziente. L’utilizzazione delle nuove tecnologie dovranno rispondere a questo e altri principi. “Prima di tutto scegliere con accuratezza il fornitore è fondamentale, e il fornitore deve fornire una valutazione del rischio sul sistema informatico che si va a implementare – ha spiegato Simona Custer, Avvocato, Senior Associate A&A Studio Legale -. Anche la formazione è fondamentale rispetto a coloro che troveranno a maneggiare i nuovi sistemi poiché devono sapere come funzionano e quali sono le cautele da tenere in considerazione; i sistemi peraltro devono essere strutturati in modo da consentire l’accesso ai dati ai soli soggetti autorizzati a farlo, quindi sarà importante individuare chi sono i medici o gli infermieri, per esempio. La formazione del personale è fondamentale dunque circa l’uso dei software e della strumentazione sui principi di protezione del dato e della sua conservazione. Tutte queste informazioni devono anche essere rese note agli interessati: i pazienti prima del trattamento devono essere informati con un linguaggio semplice e chiaro sul trattamento e sui sistemi coinvolti. Invece, rispetto alle misure di sicurezza da adottare per garantire la tutela del dato, c’è al momento un vuoto normativo. Il consiglio – conclude l’avvocato – è prendere spunto e visionare le linee guida sul fascicolo sanitario elettronico che fornisce le misure di sicurezza utili, sperando che prima o poi si faccia chiarezza e ci siano sempre più indicazioni per poter gestire al meglio tutti i processi del trattamento dei dati”.