Tumori neuroendocrini: “Teragnostica la nuova arma a difesa dei pazienti”

Tumori neuroendocrini

In Italia, i tumori neuroendocrini registrano 4/5 nuovi casi ogni 100.000 persone, ma i pazienti vengono diagnosticati in fase avanzata e ci convivono per molti anni.

Puglia, 17 dicembre 2020 – Approccio multidisciplinare, accesso uniforme alle terapie innovative e loro uso appropriato e personalizzato alle caratteristiche del paziente, per stabilire la necessità per le strutture ospedaliere e per il servizio sanitario regionale di introdurre la teragnostica nella pratica clinica.

Questo l’obiettivo del webinar “TERAGNOSTICA SFIDE DI OGGI E PROSPETTIVE FUTURE”, organizzato da MOTORE SANITÀ grazie al contributo incondizionato di Advanced Accelerator Applications, che ha visto la partecipazione dei massimi esperti del panorama sanitario italiano. Questo approccio permette, sin dalla fase diagnostica, di migliorare la stadiazione della patologia, selezionare i pazienti non risponder, definire le terapie successive ed il follow-up. I recenti progressi della ricerca hanno portato all’approvazione della prima terapia radio recettoriale per la presa in carico dei pazienti affetti da tumori neuroendocrini.

 

“I tumori neuroendocrini costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie che interessano numerosi organi e apparati, e fra essi primariamente il tratto gastroenteropancreatico e quello broncopolmonare. Un tempo considerati rari, i tumori neuroendocrini costituiscono oggi la seconda neoplasia del tratto digerente in termini di prevalenza. Il panorama terapeutico di questi tumori si è notevolmente ampliato nell’arco delle ultime due decadi, con il riconoscimento dell’attività antitumorale e anti secretoria degli analoghi della somatostatina, la dimostrazione dell’efficacia degli agenti biologici everolimus e sunitinib, la conferma dell’attività della chemioterapia in precisi subsets di malattia. Recenti evidenze di ricerca clinica hanno inoltre dimostrato come la terapia con analoghi “caldi” della somatostatina, ovvero analoghi radio marcati con il radionuclide Lutezio 177, fornisca risultati senza precedenti nel trattamento di pazienti affetti da tumori neuroendocrini del tratto gastroenteropancreatico, determinando un significativo beneficio in termini di sopravvivenza. La disponibilità di metodiche di imaging in grado di caratterizzare l’espressione dei recettori della somatostatina (ovvero il bersaglio di questi analoghi radio marcati) sulla superficie delle cellule tumorali consente inoltre la preselezione dei pazienti da arruolare a questa forma di trattamento, in un’ottica di medicina di precisione. Uno degli elementi chiave per il successo di questa forma di terapia è chiaramente rappresentato dalla sinergia fra specialisti con competenze diverse, e un network multidisciplinare è attualmente in fase avanzata di implementazione nell’ambito del territorio regionale pugliese”, ha spiegato Mauro Cives, Ricercatore Dipartimento Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università degli Studi di Bari

 

“Il termine TERAGNOSTICA è stato coniato in medicina nucleare molti anni fa; infatti, quando questo termine ancora non esisteva, la prima sostanza utilizzata (e lo è ancora oggi) per la diagnosi e la cura del tumore della tiroide è stato l’isotopo 131 dello iodio (Terapia radio metabolica del carcinoma tiroideo differenziato). Questa rinnovata disciplina, la TERAGNOSTICA, include in realtà numerose altre sostanze che sia da sole sia in coppie possono essere utilizzate per questo scopo (molecole marcate con isotopi gamma o positrone emittenti per la diagnostica possono essere marcate anche con isotopi alfa o beta- per la terapia). Queste sostanze (radiofarmaci) si legano su recettori presenti nel bersaglio da trattare o sostanze, come lo iodio, che sono internalizzate dal bersaglio tramite processi metabolici. Pertanto, mediante questi meccanismi è possibile sia localizzare con precisione i tessuti patologici (mediante l’imaging diagnostico) sia distruggerli con dosi elevate e mirate di radiazioni”, ha detto Giammarco Surico, Coordinatore Rete Oncologica ROP Regione Puglia

Image by Jackie Niam

Nuove terapie, diagnosi tempestiva e efficienti percorsi di cura per combattere il diabete giovanile

Nuove terapie

17 dicembre 2020 – In Italia il diabete di tipo 1 (DT1) ha un’incidenza di circa 8 bambini su 100.000,

con maggior frequenza nelle femmine (rapporto di 1 a 5) e necessita della somministrazione di

insulina più volte al giorno e di costante controllo della glicemia. Nuove terapie e strumenti

(infusori per la somministrazione continua d’insulina e sensori per il monitoraggio continuo

della glicemia) consentono di ottimizzare queste due operazioni, ma resta fondamentale la diagnosi

precoce. È indispensabile che i genitori si rivolgano al pediatra o al medico di base, già ai primi

sintomi della malattia, come aumento della quantità di urine e frequenza delle minzioni (Poliuria),

sete eccessiva con aumento dell’assunzione di liquidi (Polidipsia), fame smisurata con aumento

dell’assunzione di cibo (Polifagia) e dimagrimento. Così, semplicissimi esami consentiranno

rapidamente di escludere o confermare il sospetto di diabete e poterlo trattare con tempestività.

Una buona comunicazione tra pediatri, medici di base e centri specialistici, unita ad una

organizzazione dei percorsi efficiente consente un’ottimale presa in carico che limiti i danni di

questa importante malattia cronica. Con lo scopo di approfondire gli aspetti di innovazione utili ad

implementare gli attuali percorsi di cura, Diabete Italia Onlus e Mondosanità hanno organizzato

il webinar “CRESCERE CON IL DIABETE. Bambini, ragazzi e giovani adulti: dalla scoperta alla

gestione del percorso assistenziale”, realizzato grazie al contributo incondizionato di SANOFI.

“Il muro concettuale secondo il quale il diabete in età pediatrica ha preferibilmente una patogenesi

autoimmune e quello dell’adulto una eziologia di tipo diverso, sta ormai definitivamente crollando. Il

diabete mellito in età infantile non sembra essere così ‘monotematico’ come si credeva che fosse.

Infatti, fino a qualche decennio fa, in Pediatria vigeva l’assioma che in caso di iperglicemia persistente

in età pediatrica, specialmente in presenza di chetoacidosi, l’unica diagnosi possibile fosse quella di

‘diabete mellito tipo 1’ e l’unica terapia ammessa fosse la somministrazione di insulina per tutta la vita.

Oggi, invece, da un lato ci sono stati molti progressi scientifici per capire la patogenesi e la eziologia

delle forme di diabete non autoimmuni, non sempre insulino-trattate, dall’altra, inoltre, l’aumento della

prevalenza della obesità infantile ha fatto anticipare drammaticamente la comparsa del diabete tipo 2,

forma che sembrava essere solo appannaggio delle persone anziane, fino a farlo comparire addirittura

in età adolescenziale. Il congresso, organizzato da Diabete Italia, è, quindi, come al solito particolarmente

sul pezzo in questo momento perché è importante che si faccia un’opera di informazione affinché tutti i

bambini possano praticare all’esordio del diabete il dosaggio degli anticorpi (GAD, IA2,IAA e ZnT8) e,

nel caso fossero negativi, permettere loro di praticare tutti gli approfondimenti utili, compresi quelli genetici,

per capire la eziologia della patologia in modo da scegliere una terapia che sia quanto più è possibile mirata

e ‘sartoriale’”, ha spiegato Dario Iafusco, Responsabile Centro Regionale Diabetologia Pediatrica

“G. Stoppoloni” AOU “Luigi Vanvitelli”, Napoli. Vicepresidente Diabete Italia

“I Pediatri di famiglia hanno un ruolo importante nella diagnosi precoce e nella prevenzione della

chetoacidosi per quanto attiene all’esordio, per il diabete tipo 1. Mentre per il tipo 2, la nostra conoscenza

dei bambini fin dalla nascita, delle loro famiglie, ed i bilanci di salute, possono rappresentare un punto di

osservazione privilegiato nel sospetto di una insulino-resistenza. Dopo l’esordio, la Pediatria del territorio

ha il dovere di sorvegliare il regolare sviluppo psicofisico del bambino, a maggior ragione in occasione di

patologia cronica, verificando, in continuità con i Colleghi dei centri di riferimento, l’adesione ai PDTA, il

corretto inserimento in ambiente scolastico e sorvegliando sulla qualità di vita del bambino e della sua

famiglia. Tutto questo unitamente alla nostra presenza costante nei confronti dei genitori per aiutarli

anche in occasione delle patologie intercorrenti, in modo da inserire il piccolo paziente e tutti i suoi 

caregiver all’interno di un sistema di cure che abbia proprio il bambino come fulcro”, ha detto Michele

Mencacci, Vice Segretario Regionale Umbria FIMP

 

Image by Macrovector