#L’ictus non resta a casa!

L'ictus

Azzerate le prescrizioni dei nuovi anticoagulanti e accesso in ospedale più difficile per i pazienti durante la prima ondata.

L’appello dei medici: «Identificare le persone a rischio e mettere in atto programmi specifici che semplifichino l’accesso alle cure». 

Nuove strategie: realizzare piattaforme digitali di condivisione dati tra gli stakeholder del settore e “pacchetti di screening” per i pazienti a maggior rischio

27 novembre 2020. La malattia vascolare è stata messa in un angolo durante la pandemia da Covid-19 e i pazienti hanno avuto meno possibilità di accedere ai centri di cura con una conseguente diminuzione degli accessi in ospedale. Un dato che misura quanto l’emergenza sanitaria abbia profondamente sconvolto il percorso di cura e di assistenza per i pazienti colpiti da ictus cerebrale è che nella prima ondata è stata azzerata la prescrizione di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti ed è stato più difficolto per questi pazienti andare in ospedale dove il timore del contagio ha avuto un forte impatto sulla decisione del paziente a chiedere aiuto. Questo è il quadro emerso durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Ogni anno in Italia si registrano almeno 100.000 nuovi ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, circa un terzo delle persone colpite  non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità: il numero di persone che attualmente vive in Italia con gli esiti invalidanti di un ictus ha raggiunto la cifra record di quasi un milione (Rapporto 2018 Ictus). Una ricerca basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione, condotta dalla World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia, ha messo in evidenza che esiste una maggiore sensibilizzazione verso il tema della prevenzione in paesi come Olanda e Inghilterra mentre in Italia esiste un grosso gap tra l’implementazione delle linee guida per la prevenzione dell’ictus e ciò che in realtà viene fatto.

“Sulla prevenzione dell’ictus, le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti – ha spiegato Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare-Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organization e  dell’Osservatorio Ictus Italia: sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare  correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. Poi: potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario; promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. Sono convinta che finché non esiste un accesso equo alla terapia non si può implementare in maniera corretta la terapia prescritta. E, infine, sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

L’emergenza Covid-19 come ha reso difficoltoso l’accesso alle cure ai pazienti, ha anche fornito la possibilità di guardare a nuove opportunità. “L’ictus non rimane a casa, il paziente deve venire in ospedale ed essere trattato – si appella Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, Istituto Superiore di Sanità -. Un dato allarmante è stato registrato nei mesi di marzo, aprile e maggio e cioè che le prescrizioni di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti si sono azzerati. Inoltre l’accesso in ospedale a pazienti con malattie diverse dal Covid-19 è stato molto ridotto e decine di migliaia di visite ambulatoriali per malattie croniche sono state cancellate. Se veramente vogliano trarre un insegnamento da questa fase epidemica dobbiamo essere bravi a identificare le persone a rischio e mettere in atto dei programmi specifici che semplificano l’accesso alle cure, un esempio potrebbe essere l’impiego delle tele-visite”. “Gli smartphone, anche già in tempi pre Covid, sono venuti incontro ai pazienti – conclude Caso -. Credo che sia importante andare verso una cura più territoriale”.

“Abbiamo la necessità assoluta di governare l’emergenza ma non dimentichiamo le emergenze passate – ha dichiarato l’Onorevole Nicola Provenza, Componente Commissione XII (Affari Sociali) Camera dei Deputati –. Dobbiamo non soltanto intervenire sulla prevenzione, potenziandola, e intervenire con efficacia e prontezza per un riequilibrio tra ospedale e territorio. Non dobbiamo scordare che da febbrai a ottobre 18 milioni di prestazioni sono saltate”.

Quali altri strategie? Concordi le associazioni e federazioni di pazienti (FEDER-A.I.P.A. OdV, Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati, Federazione A.L.I.Ce. Italia ODV – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) a istituire tavoli di lavoro e piattaforme digitali per rilevare, sondare i dati e confrontarli tra i stakeholder del settore al fine di elaborare le migliori strategie per rendere migliore la vita del paziente con ictus e migliorare le cure, e a costituire “pacchetti di screening per la prevenzione dell’ictus” rivolti a pazienti a maggior rischio, in una logica di educazione alla salute e alla prevenzione appunto.

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Carcinoma mammario metastatico: “L’importanza della diagnostica di accompagnamento per una diagnosi precoce a disposizione delle pazienti per il successo della terapia”

Carcinoma mammario metastatico

27 novembre 2020 – Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequente tra le donne ed è potenzialmente mortale se non è individuata e curata per tempo. Se il tumore viene identificato in fase molto precoce la sopravvivenza a 5 anni nelle donne trattate è pari al 98%. Nel cancro metastatico purtroppo la sopravvivenza è molto minore, dipende dalle caratteristiche della paziente, dall’aggressività della patologia, dalle opzioni terapeutiche a disposizione e dallo stadio in cui la malattia viene diagnosticata. Ma nel caso del Carcinoma Mammario Triplo-Negativo, che ha un peso epidemiologico del 15-20% tra le neoplasie della mammella e che, in fase avanzata o metastatica, conta circa 1.500 pazienti in Italia, si aprono importanti prospettive di cura grazie alla immunoterapia anti-PD-L1 di Atezolizumab, anticorpo monoclonale studiato per legarsi alla proteina PD-L1 espressa sulle cellule tumorali e sulle cellule immunitarie infiltranti il tumore, in grado di riattivare l’azione dei linfociti T. Per il successo di questa terapia è fondamentale valutare nelle pazienti l’espressione del PD-L1 (Programmed Death Ligand 1) attraverso l’utilizzo di un test di accompagnamento per il cui uso mancano linee guida nazionali che consentano un rapido e appropriato accesso alle pazienti con queste precise caratteristiche cliniche. Con l’obiettivo di discutere su come velocizzare, modernizzare e implementare i progressi della diagnostica MOTORE SANITA’ ha organizzato il webinar ‘Immunoterapia ed efficienza organizzativa: un nuovo modello di governance nel trattamento dei tumori della mammella’, progetto sponsorizzato da Roche.

“Il focus è sulle pazienti portatrici di carcinoma della mammella noto come “triplo negativo”. Poiché questo tumore non esprime i classici bersagli terapeutici per specifica terapia ormonale o molecolare, fino ad ora l’unico trattamento appropriato e rimborsabile è stata la chemioterapia. Basandosi sui dati ottenuti dallo studio registrativo IMpassion130, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con Determina del 14 luglio 2020, e successiva Determina della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (n. 188 del 28-7-2020) hanno dato il via libera alla rimborsabilità per un farmaco immunoterapico (atezolizumab) associato a chemioterapia (nab-paclitaxel) in prima linea per la terapia di pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo non resecabile localmente avanzato o metastatico, i cui tumori presentano un’espressione di PD-L1 ≥1%. La scheda AIFA prevede che per l’eleggibilità al trattamento con atezolizumab i tumori siano testati con saggio immunoistochimico Ventana PD-L1 SP142, lo stesso usato nello studio registrativo. Il test, marcato CE-IVD, richiede specifiche modalità di lettura dei risultati e personale formato a tale scopo. Paradossalmente, al momento, la rimborsabilità del “compagno diagnostico”, ossia di PD-L1 SP142, non è prevista nei Livelli Essenziali di Assistenza. Questo sottintende che un’analisi a priori della governance è fondamentale così come la necessità di coinvolgimento di tutte le figure professionali che partecipano dalla diagnosi alla cura dei pazienti, anche nella stesura di documenti che devono garantire una logica di accessibilità ai farmaci sostenibile appropriata ed equa”, ha spiegato Anna Sapino, Direttore Scientifico IRCCS FPO Candiolo (TO).

“Si fa riferimento ad una opportunità di terapia che può derivare da una analisi biomolecolare. Perché questo si possa realizzare è necessario la condivisione dei professionisti, l’aggiornamento del PDTA e l’accessibilità alla specifica indagine biomolecolare. Le reti sono la sede  naturale in cui si possono raggiungere più facilmente questi obiettivi”, ha detto Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) Regione Toscana.

“Siamo estremamente felici di supportare questo evento che promuove un confronto tra i vari attori del Sistema Sanitario Nazionale sulla necessità di rendere accessibili le tecnologie sanitarie innovative. Soprattutto in ambito oncologico, la diagnostica di accompagnamento costituisce uno degli approcci più all’avanguardia per indirizzare il paziente alla terapia più indicata e quindi più efficace (personalizzazione della terapia) e contestualmente per contribuire alla sostenibilità economica dell’intero Ecosistema Salute grazie all’appropriatezza prescrittiva. In quest’ottica, Roche vuole essere un partner etico del Sistema Sanitario, favorendo la discussione, lo scambio di idee e la condivisione delle conoscenze”, ha dichiarato Guido Bartalena, PhD Head of Healthcare & Market Development Roche Diagnostics SpA.

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